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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE ALLA 59ª SESSIONE GENERALE
DEL COMITATO ESECUTIVO DELL'ALTO COMMISSARIATO
DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI (UNHCR)

INTERVENTO DI S.E. MONS. SILVANO M. TOMASI*

Ginevra, 7 ottobre 2008

 

Presidente,

1. I riflettori dell'opinione pubblica sono puntati sulla crisi dei mercati finanziari, sull'attuale forma dell'organizzazione economica e sulla irresponsabilità e l'avidità di alcuni nel gestirla. Le conseguenze di questa crisi enormemente complicata hanno un duro impatto sui gruppi vulnerabili nella società e dimostrano in maniera concreta l'interconnessione e la mancanza di equità nel mondo di oggi. La comunità internazionale deve affrontare ulteriori sfide molto urgenti. Il mutamento climatico causa scarsità di cibo e di acqua, degrado dell'ambiente e aumento di disastri naturali. In alcune regioni, questi fattori insieme ai relativi conflitti portano a una intensificazione del dislocamento forzato delle persone e a una maggiore incertezza sulla nostra capacità di offrire loro la protezione e l'assistenza di cui hanno bisogno. D'altro canto, questo momento può risvegliare la consapevolezza che è veramente responsabilità comune determinare la prosperità o la sofferenza del villaggio globale.

2. I disastri naturali e quelli causati dall'uomo espongono milioni di persone e famiglie a condizioni di estrema povertà e a violazioni dei loro diritti umani fondamentali. Queste situazioni intollerabili rendono loro impossibile restare nei luoghi di residenza, anche se vorrebbero. Guardando al futuro, le condizioni delle persone sradicate appaiono più che mai ambigue e deprimenti. In vista dell'emergere e della sovrapposizione di queste nuove complessità, i nostri dibattiti sulla protezione potrebbero dover affrontare gravi ostacoli. Risposte politiche, un'assistenza immediata e conoscenze tecniche sono necessarie, ma bisogna acquisire anche una chiara dimensione etica e porla al centro del dibattito mentre prendiamo decisioni su come offrire un'adeguata protezione.

La Delegazione della Santa Sede ha partecipato con grande interesse ai dibattiti sulla protezione. Ha sostenuto la priorità accordata a questo aspetto urgente nelle recenti iniziative dell'UNHCR come le conclusioni sulla disposizione sulla protezione internazionale mediante forme complementari di protezione (2005), la conclusione sulle donne e le giovani a rischio (2006), la conclusione sui bambini a rischio (2007), il dialogo del commissario sulle sfide per la protezione (2007) e l'agenda per la protezione (2002). Infatti, l'UNHCR ha ricevuto dall'Assemblea generale il compito di estendere le sue capacità di protezione a nuovi gruppi: apolidi, persone ritornate nel proprio paese e alcuni gruppi di persone dislocate all'interno della loro stessa nazione. Nel corso degli anni, sono stati introdotti i concetti di "determinazione dei gruppi (prima facie)" e di "protezione temporanea" in considerazione di situazioni di movimenti di afflusso di massa. Inoltre, gli accordi regionali e l'approccio per gruppi hanno ampliato il campo di protezione e la capacità di soddisfare tale esigenza.

3. Il processo di allertare gli Stati su nuove esigenze di protezione mostra sia un metodo pragmatico sia una comprensione dinamica delle implicazioni della Convenzione sui rifugiati del 1951 e il suo protocollo del 1967. Nello stesso spirito, attraverso strumenti regionali, gli Stati hanno esaminato le rispettive realtà locali e hanno concordato su una strategia più adatta e integrale, adattando le norme giuridiche all'evoluzione della dislocazione forzata e alle condizioni geografiche. La più recente conclusione generale sulla protezione internazionale, ora sottoposta ad approvazione, evidenzia giustamente alcuni problemi attuali legati all'intolleranza e al fallimento nella soddisfazione di diritti dei richiedenti asilo e, nello stesso tempo, incoraggia il mantenimento di importanti leggi internazionali relative ai diritti umani come necessario elemento di riferimento. Infatti, sembra urgente estendere la riflessione e le norme statutarie per coprire l'intera gamma di situazioni in costante mutamento di persone costrette a lasciare i propri luoghi di residenza.

4. La comunità internazionale è riuscita a elaborare strumenti coraggiosi e chiari per proteggere i rifugiati dalla violenza e dalla persecuzione attraverso la Convenzione sui rifugiati del 1951, il protocollo del 1967 e accordi regionali aggiuntivi. Gli esistenti strumenti per rifugiati costituiscono l'inizio di un continuum all'estremità del quale potremmo porre le convenzioni e gli accordi approvati dalle Nazioni Unite e dall'Organizzazione internazionale del lavoro per proteggere i lavoratori migranti e le loro famiglie. Attualmente, fra queste due politiche polarizzate si situano milioni di altre persone costrette ad abbandonare la propria residenza a causa della desertificazione, della carestia, del cambiamento climatico, dell'oppressione generalizzata e dell'abuso dei diritti umani. Molte di queste persone sradicate rientrano nel mandato dell'UNHCR, come quanti divengono apolidi. Tuttavia, molte altre non rientrano nella tipologia dei rifugiati o dei lavoratori migranti, ma la comunità internazionale non può ignorare la loro piaga né può negare l'obbligo etico di estendere anche a loro la protezione, per quanto tale compito possa risultare difficile.

5. Nel nostro mondo interconnesso siamo legati a tutte le persone dislocate dalla nostra comune umanità e dall'idea che la globalizzazione della giustizia e della solidarietà è la migliore garanzia per la pace e per un futuro comune. Bisogna dunque affrontare il problema di come avviare il processo per formalizzare modi e mezzi per la protezione di milioni di persone al centro del continuum:  la responsabilità di proteggerle, fornire assistenza per la sopravvivenza immediata, criteri per la loro accoglienza in altri luoghi, strutture di coordinamento. Le migliori pratiche esistenti e gli obblighi relativi ai diritti umani possono essere un punto di partenza per l'elaborazione di uno strumento giuridico.

6. L'esperienza della comunità internazionale con la realizzazione delle convenzioni giuridicamente vincolanti mostra il valore dei comitati di esperti che monitorano e raccomandano una interpretazione comune del loro contenuto. Forse un gruppo simile per la Convenzione dei rifugiati può essere un utile complemento, possibilmente nell'ambito delle strutture esistenti dell'UNHCR, in questo momento in cui i tribunali, a volte, divergono ampiamente nelle interpretazioni.

7. In conclusione, signor Presidente, lo sforzo costante per tutelare i diritti umani di tutte le persone costrette ad abbandonare i propri luoghi di residenza è in linea con un'etica coerente di vita e con una realizzazione sempre più integrale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, il cui 60º anniversario cadrà quest'anno. Il dislocamento non è un fenomeno isolato da altre realtà sociali. È il risultato di decisioni politiche, di negligenza e di mancanza di prevenzione nonché di eventi naturali imprevisti. È un fenomeno che ricade sotto la responsabilità degli Stati e della comunità internazionale. Una risposta adeguata, quindi, non è possibile senza l'azione coerente delle agenzie e degli attori che hanno il mandato di trovare le soluzioni migliori. Lo stato di allerta creativo richiesto per tali soluzioni dovrebbe spingere la comunità internazionale a muovere nuovi passi nell'ambito della protezione. Gli strumenti giuridici sono certamente necessari, ma, in definitiva, saranno una cultura di solidarietà e l'eliminazione delle cause del dislocamento a sostenere il sistema di protezione.


*L’Osservatore Romano, 24.10.2008, p.2.

 

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