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PRIMA SESSIONE DELLA SECONDA FASE DELLA CSCE
(SOTTO-COMMISSIONE A)

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Martedì, 9 ottobre 1973



Abbiamo ascoltato con molto interesse le dichiarazioni dei vari delegati che ci hanno preceduto ed abbiamo preso conoscenza con viva attenzione dei documenti che sono stati depositati dai rappresentanti di vari Paesi, sia nella prima fase della Conferenza ad Helsinki, sia in queste prime settimane del nostro lavoro.

È superfluo che io metta in evidenza la considerazione tutta particolare che la Santa Sede porta a tutto ciò che riguarda le norme che debbono reggere i rapporti tra gli Stati. La sua sollecitudine per la pace, i principi morali e giuridici ai quali Essa si ispira e che Essa sostiene, la sua stessa partecipazione a questa Conferenza bastano di certo ad attestarlo.

D’altra parte, in questo momento, mentre il dibattito è ancora ai suoi preliminari, una materia così vasta e complessa com’è quella che abbiano dinanzi, non mi consente di proporre se non qualche considerazione di carattere generale, più di premessa per il nostro lavoro che di sostanza. Per quanto riguarda la nostra Delegazione, vorremmo che il dibattito si sviluppasse e si approfondisse, per ascoltare ancora a lungo, con attenzione e simpatia, le varie opinioni dei distinti delegati ed esperti, per riflettere e farci idee più precise su ciascun problema.

Le considerazioni generali, alle quali vorrei limitarmi, sono le seguenti.

A questa Sottocommissione è affidato un compito di grande responsabilità; dare alla sicurezza e alla cooperazione in Europa un documento di base («i principi basilari che ogni Stato partecipante deve rispettare ed applicare nelle sue relazioni con gli altri Stati partecipanti»), che costituisce il fondamento ideale e giuridico sul quale sia possibile innestare e costruire quelle intese e quelle collaborazioni che siano idonee «a promuovere migliori relazioni» e «ad assicurare condizioni in cui i loro popoli possano vivere in pace, liberi da qualsiasi minaccia o attentato alla loro sicurezza».

C’è quindi, da una parte, una posizione di partenza: una sicurezza da garantire, una pace da rafforzare, in modo da metterle al riparo, stabilmente, da ogni minaccia o attentato; e, dall’altra parte, qualcosa da creare, da costruire, qualcosa che parte dal presente e va verso il futuro: promuovere migliori relazioni e sviluppare una cooperazione.

Il documento sui principi dovrà pertanto rispondere ad una duplice funzione: da un lato, di garantire, rasserenare, porre le basi stabili di una solida sicurezza e tranquillità; dall’altro, offrire le premesse, il quadro, il contesto, le motivazioni che consentano il miglioramento e lo sviluppo di più intensi rapporti.

A noi sembra pertanto che, alla luce di tali considerazioni, la questione prioritaria sia di contenuto e di sostanza, anziché di forma del documento; cioè quale contenuto, quale carica di forza debbano avere i principi per adempiere tale duplice funzione.

Ora, perché i principi possano avere efficacia per garantire e per rassicurare a noi sembra che sia necessario:

1) che i principi siano espressi con enunciati espliciti, chiari e precisi, non involuti o ambigui; ampi ed esaurienti, non meramente generici; fondati su criteri sicuri ed obiettivi, quali si riscontrano nel diritto internazionale generale già elaborato e in vigore, in modo da trarne significati ed interpretazioni obiettivamente validi per tutti;

2) che i principi contengano una manifestazione di volontà sufficientemente adeguata ad esprimere in concreto quella «determinazione degli Stati partecipanti di rispettare ed applicare nello stesso modo e senza riserve, in tutti gli aspetti delle loro reciproche relazioni e della loro cooperazione» i principi medesimi. Senza questa manifestazione di volontà diretta ad assumere impegni concreti, il documento sui principi rischierebbe di essere una proclamazione di lodevoli, ma astratte, buone intenzioni, che non basterebbe né a garantire, ne a rassicurare.

Nello stesso tempo, perché i principi possano rappresentare le premesse di base che siano efficaci per incoraggiare e costruire rapporti di amicizia e di cooperazione migliori e più intensi, dovremmo fare in modo che da ciascuno di essi, e dal loro contesto, si sprigioni tutta quella carica positiva, quella vitalità creativa che essi contengono. Se, infatti, alcuni principi (come ad es. il non ricorso alla minaccia o all' uso della forza, l’inviolabilità delle frontiere e dell’integrità territoriale, il non intervento negli affari interni) mettono l’accento su un non-fare, non-violare, non-ingerirsi, e quindi esprimono un concetto più negativo che positivo; altri principi, che li integrano,(come la composizione pacifica delle controversie, l’uguaglianza dei diritti e l’autodeterminazione dei popoli, la cooperazione tra gli Stati, l’esecuzione in buona fede degli impegni internazionali, il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) esprimono un' attitudine positiva, di amichevole disponibilità nei rapporti, di considerazione e di stima reciproca, di volontà di operare insieme, di valori comuni da proteggere e da promuovere. Sono questi aspetti, questi elementi che con maggior fecondità possono far nascere un nuovo, più costruttivo clima di relazioni e di cooperazione.

Abbiamo udito, in questo dibattito, affermazioni interessanti che condividiamo pienamente: la necessità di creare un assetto durevole di pace, l’esigenza che le diversità di sistemi politici, economici e sociali non ostacolino lo sviluppo di un’amichevole collaborazione, fruttuosa per tutte le parti interessate. Ma una di queste affermazioni vorremmo sottolineare in modo particolare: quella del delegato francese, che citando un’espressione dell’illustre Capo dello Stato del suo Paese, ha detto che i popoli d’Europa, via via che prenderanno coscienza di quello che li unisce, troveranno più facile far progredire la distensione con soluzioni idonee per i problemi che ancora li dividono. È questa coscienza di tutto ciò che ci unisce, che non è poco, né di scarso valore, che noi dovremmo sforzarci di fare emergere nel documento che elaboreremo sui principi per dare la possibilità ai popoli europei di fondare la fiducia dei loro rapporti sul sentimento di qualcosa di grande e di fecondo che essi hanno in comune: e cioè non solo la storia, la situazione geografica, determinati interessi economici, ma anche alcuni fondamentali valori dello spirito come un comune senso di giustizia, di rispetto, di autentica considerazione e stima per l’identità di ciascun popolo, ed inoltre la cultura, e il comune culto dei diritti e della dignità della persone, di tutte le persone e delle loro più nobili aspirazioni.

Per fare questo, a nostro avviso, sarebbe desiderabile che ogni delegazione desse un contributo proprio di idee e di proposte che ci mettano in grado di avere dinanzi il quadro più ampio e più completo possibile di tutti gli aspetti più positivi della nostra vita e dei nostri rapporti. I sistemi possono essere due: da una parte, come già hanno fatta le delegazioni dell’URSS e della Iugoslavia, porre sul tavolo dei progetti d’insieme, certamente utili per avere una visione complessiva de problemi e del possibile modo di comporli insieme in una prospettiva adeguata; e, dall’altra, incoraggiare e sollecitare l’approfondimento di ciascun singolo aspetto, con proposte specifiche e particolareggiate su ogni problema, come già hanno fatto alcune delegazioni, la Repubblica Federale Tedesca, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi e il Belgio, e come speriamo che altre delegazioni ancora vorranno fare.

Soltanto quando avremo dinanzi agli occhi una ricca rassegna di idee e di proposte potremo affrontare, con maggior profitto, un lavoro di composizione e di sintesi che possa far sperare in un risultato conforme alle premesse che mi son permesso di delineare. Ma prima occorre che ogni Paese abbia modo di esprimere e di proporre tutte le aspettative, le esigenze e le richieste che sono proprie alla sua situazione particolare e al suo modo di concepire i rapporti e la cooperazione inter-europei, dando l’apporto del proprio genio e della propria individualità.

Per parte nostra, proprio per questo intento, riteniamo di poter dare un contributo sul tema che, già durante le Consultazioni di Helsinki, abbiamo cercato di sviluppare come più attinente alla natura e ai fini che sono propri della Santa Sede e della sua missione spirituale: i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, con particolare riferimento alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di convinzione.

A tale fine ci permettiamo di presentare un documento contenente alcune riflessioni ed una specifica proposta di testo, che sottoponiamo all’attenzione e allo studio delle altre delegazioni, non per discuterlo oggi, ma per offrirlo come materia alle loro riflessioni e deduzioni in vista della discussione che, al momento opportuno, si svilupperà su questo principio.

E’ una proposta che non vuole essere esclusiva, e che anzi vorrebbe integrarsi con alcune formulazioni sui diritti dell’uomo che già sono state presentate, ed in particolare con il paragrafo dedicato a questo principio dalla proposta jugoslava e con quella della Delegazione britannica.

Neppure noi non ci proponiamo, oggi, di illustrarla e spiegarla, ma solo di presentarla in attesa che, in sede di dibattito appropriato, ci sia possibile conoscere le impressioni delle altre delegazioni, ed a nostra volta ci sia consentito di poter fornire tutte quelle precisazioni e motivazioni che risulteranno utili perché sia accolta.

Oggi, invece, vorrei limitarmi a darne lettura e a pregare il Segretariato di farla tradurre, dall’originale francese in cui è redatta, e di farla distribuire,

Grazie, signor Presidente.

 

 

 

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