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PRIMA SESSIONE DELLA SECONDA FASE PREPARATORIA ALLA CSCE
(GRUPPO SPECIALE DI LAVORO DELLA I COMMISSIONE
SUL REGOLAMENTO PACIFICO DELLE CONTROVERSIE)

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Ginevra - Lunedì, 5 novembre 1973

 

 

Abbiamo seguito con grande attenzione il corso dei dibattiti vertenti sulla 3a frase del paragrafo 21 delle Raccomandazioni Finali di Helsinki e abbiamo preso conoscenza con vivo interesse della proposta della Delegazione della Svizzera per una convenzione su un sistema europeo di regolamento pacifico delle controversie.

Non è mia intenzione, per adesso almeno, di dare un apprezzamento esauriente sul documento elvetico. Mi riservo l’opportunità di farvi ritorno più in là, dopo che il documento sarà stato oggetto di un più approfondito esame da parte della mia delegazione.

Per il momento, la mia delegazione si compiace di esprimere il suo appoggio di carattere generale, associandosi alle delegazioni che considerano il documento elvetico come una proposta che ha di mira sviluppi positivi dell’ordinamento internazionale.

È superfluo mettere qui in evidenza il pensiero della Santa Sede sulla questione, a tutti cara, della pacifica soluzione delle controversie. Si tratta infatti di una questione intimamente legata alla causa della pace, di cui la Santa Sede si è sempre dichiarata assertrice e promotrice.

È nota, inoltre, la nostra adesione data all' idea del progetto elvetico, avanzata ad Helsinki, dove è stato messo in rilievo che nel pensiero di recenti Sommi Pontefici l’istituzione di un sistema vincolante per la soluzione pacifica delle controversie è stata sempre considerata un' esigenza essenziale per il consolidamento di una pacifica comunità internazionale e che in due momenti drammatici della storia europea - agosto 1917 e Natale 1942 - Benedetto XV e Pio XII indicarono questa esigenza come un elemento integrante, accanto agli altri due (disarmo e rinunzia all’uso e minaccia della forza), per un’alternativa non illusoria al ricorso alla guerra.

Mi sia permesso di citare qui il discorso del Capo delle Delegazione della Santa Sede ad Helsinki, il 6 luglio scorso. In quell’occasione, Monsignor Casaroli ha detto:

«La Santa Sede stima che per conseguire realmente gli obiettivi della Conferenza nel settore della sicurezza, sarà di capitale interesse trovare, di comune accordo, in conformità col paragrafo 21 delle Raccomandazioni Finali, misure concrete idonee a «rendere effettivo il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza» e, tra le altre, un «metodo di regolamento pacifico delle controversie tra Stati partecipanti».

«Da una parte, infatti, la Santa Sede attribuisce un valore fondamentale alle condizioni obiettive della pace ed alla volontà politica degli Stati in merito all’osservanza dei principi che reggono la loro coesistenza pacifica e la loro mutua e proficua collaborazione. Dall’altra, essa, basandosi su esperienze ben note a tutti, considera che, nei periodi di difficoltà e di crisi, quando la visione chiara delle situazioni e delle conseguenze, o la volontà di un accordo pacifico, rischiano di turbarsi nelle parti direttamente interessate, è necessario, per non dire vitale, che la collettività degli Stati europei disponga di mezzi appropriati per garantire la pace: nel rispetto della sovranità degli Stati membri, certamente, ma anche nella ricerca efficace di una soluzione o di un compromesso che preservi il comune interesse alla sicurezza».

La Delegazione della Santa Sede riafferma adesso il suo pensiero favorevole a quell’idea, ora resa concreta, del documento presentato dalla Svizzera. Essa considera il documento come un progetto valido e costruttivo, in vista della elaborazione di uno strumento giuridico atto a rafforzare il principio del non ricorso alla minaccia e all’uso della forza e a rendere effettiva la composizione pacifica delle controversie.

Si è dovuti arrivare agli inizi del secolo XX perché il principio del regolamento pacifico obbligatorio dei conflitti internazionali venisse introdotto nel diritto internazionale. Esso figura, per la prima volta, nella Convenzione dell’Aja del 1907; poi nel Patto della Società delle Nazioni, nella Carta delle Nazioni Unite... Documenti questi, e altri, che sono stati qui ricordati, come ricordato e sottolineato è stato pure il carattere ora timido, ora generale della formulazione del principio, nonché la sua limitata efficacia e forza.

Noi riteniamo che soddisferemo meglio al mandato delle Raccomandazioni Finali di Helsinki se, all’impegno solenne e vincolante del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza, che esprime un concetto più negativo che positivo, noi aggiungiamo un’attitudine positiva, di reciproca volontà di comporre pacificamente le controversie mediante un sistema vincolante, liberamente accettato e rispettato dagli Stati partecipanti.

È stato detto che il documento elvetico costituisce un passo avanti oltre la Carta delle Nazioni Unite.

La Delegazione della Santa Sede si rende conto, come altre delegazioni, delle difficoltà politiche e giuridiche che tale passo implica. Ma essa riafferma che l’Europa ha titoli storici e i giuristi insigni per compiere, solo che ne abbia la volontà, un simile passo.

Abbiamo seguito, e ne facciamo oggetto di serio e profondo esame, i rilievi che sono stati fatti sul progetto elvetico.

Tra questi rilievi troviamo particolarmente interessante, perché offre uno spunto di riflessione, che ci sembra fondamentale, il riferimento qui fatto dalla delegazione italiana alla Dichiarazione sui rapporti amichevoli fra gli Stati per quanto riguarda la compatibilità tra sovranità e accettazione preventiva di un metodo di soluzione pacifica.

Se anche la Conferenza non riuscirà ad elaborare completamente il progetto, la delegazione della Santa Sede ritiene che sarà già molto importante che gli Stati partecipanti esprimano un impegno comune di fondo per portare avanti il progetto stesso.

 

 

 

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