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RIUNIONE DI MADRID

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Giovedì, 13 novembre 1980


Signor Presidente,

È mio dovere rivolgere un cordiale saluto ed esprimere un caldo ringraziamento al Governo e alla Nazione Spagnola che, con ospitalità veramente premurosa e degna delle grandi tradizioni di questo paese, ci accoglie con tanta distinzione.

La riunione di Madrid si apre in un contesto internazionale che è profondamente turbato. L'atmosfera in cui, cinque anni fa, fu firmato l’Atto Finale di Helsinki era certamente molto diversa, perché la Conferenza conclusa solennemente il 1° agosto 1975 rappresentò, da un lato, il traguardo più elevato nel processo di superamento della guerra fredda e, dall'altro, sembrava schiudere all'Europa, e di riflesso alla vita internazionale, nuove vie possibili di convivenza pacifica e di cooperazione.

L'attenzione dei popoli europei prima distratta e poi sempre più interessata, si volse con speranza crescente ai contenuti dell'Atto Finale, in cui erano proclamate affermazioni importanti come l'uguaglianza sovrana di ogni Paese partecipante, la rinunzia alla forza, la composizione pacifica delle controversie, il rispetto dei diritti umani, l'autodeterminazione dei popoli, la collaborazione tra gli Stati, l’esecuzione in buona fede degli obblighi di diritto internazionale. Inoltre, l’attesa si fissava sui seguiti successivi dell’Atto finale, cioè sulla prospettiva di «relazioni migliori e più strette tra tutti i Paesi partecipanti, in tutti i campi», e sul complesso di misure concrete dirette a creare migliori condizioni di vita negli scambi tra i popoli interessati.

Il significato dell’Atto finale non consisteva quindi solo nella volontà di superare contrapposizioni passate, ma ancor più nel tentativo di creare i presupposti di un processo dinamico di rapporti più intensivi, avvicinando le nazioni fra loro, e facendole cooperare alla realizzazione di alcuni valori fondamentali nella loro vita e nei rapporti internazionali.

Dopo circa due anni, nel 1977-78, si tentò a Belgrado un primo bilancio, registrando un certo numero di attuazioni positive, ma nello stesso tempo dovendo prendere atto con rammarico di ritardi e manchevolezze di applicazione che si rivelarono evidenti; soprattutto fu deludente riscontrare l’impossibilità di fare progredire la portata dell’Atto finale con iniziative che lo arricchissero ulteriormente, o almeno agevolassero un’attuazione più vasta delle sue disposizioni.

Questa riunione di Madrid si apre in una situazione mondiale ancor più tesa per alcuni avvenimenti internazionali di particolare gravità fuori dell’area europea; mentre, al perdurare di una crisi economica pesante e generalizzata, si aggiunge l’accentuata corsa agli armamenti che, oltre a sperperare risorse altrimenti utili, mette a rischio ogni residuo di fiducia sulla quale solo è possibile sperare per avviare tentativi di dialogo e negoziato.

L’Atto finale ha riconosciuto «l’interesse che rivestono gli sforzi miranti a ridurre il rischio di un confronto militare e a promuovere il disarmo», come elemento indispensabile per la distensione politica. Questo punto è particolarmente importante per la pace. Infatti, anche quel «codice di cortesia» che l’Atto finale prevede con le notifiche preventive di manovre militari e di movimenti militari, ed altre ancora dello stesso genere, non può avere effetti positivi per mantenere la fiducia se non nella misura in cui gli armamenti non siano accresciuti o, tanto meglio, siano ridotti. Invece, in questi cinque anni, la corsa agli armamenti, sia strategici sia convenzionali, si è progressivamente accelerata; questo è uno dei fattori che pesa negativamente sul «processo di Helsinki», perché tra i 35 Partecipanti, se alcuni sono quasi o del tutto disarmati, altri continuano ad accumulare un complesso di mezzi di distruzione sempre più elevato e sofisticato. Come ha ammonito il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel discorso all'Assemblea dell'ONU, chi dispone di tali mezzi micidiali mostra che vuole essere pronto alla guerra, «ed essere pronto significa essere in potere di provocarla». Il riarmo in corso è il primo punto vistosamente negativo del bilancio dell’Atto finale, ed è anche un grande interrogativo di responsabilità che si pone per l’esame delle proposte nella riunione di Madrid.

Parimente è accaduto con la distensione politica. Essa non poteva, né può, essere soltanto un’espressione verbale, ma deve ispirare una mutua realtà di comportamenti e di rapporti, incluso un responsabile autocontrollo nelle controversie e nei conflitti, che sappia accogliere, e possibilmente comporre in accordo, le esigenze fatte valere dalle altre parti.

Inoltre, l’Atto finale riconosce che fra la pace e la sicurezza in Europa e quelle nel mondo intero esiste uno stretto legame: il processo di distensione deve pertanto applicarsi anche a tutte le aree geografiche, nelle quali i medesimi protagonisti del dialogo in Europa si trovino ad affrontarsi in contrasti di vario genere, diretti o mediati, con giochi, talora mutevoli, di alleanze, per perseguire propri interessi. Se la sicurezza è indivisibile, indivisibile dev’essere anche la distensione ».

Terzo fattore di crisi è quello umano. La minaccia della distruzione che viene dalla corsa agli armamenti provoca un profondo turbamento nei spiriti: non ci può essere pace sotto l’incubo del terrore. Ma anche le aspre contrapposizioni ideologiche, la durezza repressiva nei confronti dei dissenzienti, le tensioni provocate da schieramenti che si formano all’accendersi di ogni focolaio di crisi, suscitano reazioni di risentimento, di ostilità, talvolta anche di odio, che si trasformano in moltiplicatori umani delle tensioni stesse, ed aggravano i già difficili rapporti tra gli Stati.

Questo fattore umano della pace non è spesso valutato sufficientemente. Eppure l’Atto finale di Helsinki ha dedicato a determinati aspetti umani – contatti tra le persone, il riunirsi delle famiglie, i matrimoni fra cittadini di Stati diversi, i viaggi, il turismo, gli incontri tra i giovani – alcune nelle sue clausole più significative. Anche l’incremento in tutto il vasto settore delle informazioni, gli scambi culturali e scientifici non hanno forse come fine un arricchimento mutuo da persone a persone, da gruppi a gruppi, che coinvolge la comprensione e l’amicizia tra i popoli? E la tutela delle minoranze nazionali, dei lavoratori emigranti, dell’ambiente di vita non ha come oggetto l’uomo nelle sue aspirazioni, bisogni ed attività?

Non è facile, in questa materia, dare un bilancio particolareggiato. Ogni Paese partecipante può mettere in evidenza certi risultati e lamentare carenze o occasioni mancate. La Santa Sede ha una esperienza nel settore umanitario, non fosse che per le molte e pressanti richieste che riceve, da persone, da famiglie, da gruppi di varia natura, che invocano di continuo l’applicazione in loro favore degli impegni dell’Atto finale, ed a vantaggio delle quali essa si adopera nei limiti delle sue possibilità.

Tuttavia, l’aspetto centrale del fattore umano è rappresentato, nell’Atto di Helsinki, dal VII principio riguardante il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, di coscienza, religione o credo. Là soprattutto dove si proclama il «significato universale» di tali diritti, il cui rispetto è definito «fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione» tra gli Stati partecipanti, come «tra tutti gli Stati», la Conferenza di Helsinki trovò uno dei suoi punti ideali più elevati.

– «Significato universale» vuol dire infatti che questi diritti hanno valore per tutti i Paesi, ogni Stato si fa impegno d’onore di attuarli, e l’interesse altrui per l’attuazione non può considerarsi ingerenza indebita;
– «fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere» vuol dire considerare l’uomo protagonista dei più alti valori della vita sociale e degli stessi rapporti internazionali.

E poiché tutti gli Stati Partecipanti hanno l’impegno di contribuire a promuovere l’esercizio effettivo dei diritti umani, la Santa Sede, conforme alla sua missione, ha ritenuto di dover dare il suo miglior contributo – fin dalle Consultazioni preparatorie di Dipoli, a Helsinki nel 1972-73 –, un apporto specifico a favore della libertà di coscienza e di religione.

A tale fine, in continuità con gli orientamenti del Sommo Pontefice Paolo VI, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto, mentre si approssimava la riunione di Madrid, dirigere a tutti i Capi di Stato dei Paesi firmatari dell'Atto Finale una lettera personale, accompagnata da uno speciale documento che contiene una ampia riflessione sui contenuti della libertà di coscienza e di religione. Questo documento è oggi messo a disposizione delle delegazioni e della stampa perché possa essere conosciuto e studiato.

L'iniziativa del Sommo Pontefice si propone di offrire una sintesi di tutti gli elementi, della libertà religiosa, quali risultano dall’esperienza universale della Chiesa Cattolica, messi in evidenza non solo per sé e per i suoi aderenti, ma per i credenti delle altre religioni, e per la coscienza religiosa dell'uomo in generale.

Nell’epoca in cui viviamo, la libertà religiosa è menzionata in tutte, o quasi, le Costituzioni degli Stati, e in importanti documenti a carattere internazionale, ma il suo contenuto non è abbastanza, o uniformemente, precisato. Inoltre, nella scala dei bisogni dell’uomo qual è il posto riservato all’esigenza religiosa? Eppure, essa è una realtà che tocca la profondità dell'essere delle persone, in quanto si rivolge a dare una risposta agli interrogativi fondamentali dell’esistenza, e ad offrire determinati valori e significati primari per l’uomo, come la verità e l’amore, l’uguaglianza e la giustizia, il senso del sacrificio e del dolore, il perché del vivere e del morire.

Il documento di papa Giovanni Paolo II offre un parametro adeguato, per mettere a disposizione una base ampia e solida, suscettibile di iniziative appropriate in favore di una giusta libertà per l’esercizio delle attività religiose e morali, nel pieno rispetto dei diritti degli altri membri della società, credenti e non credenti, e delle altre confessioni religiose. Questo approccio costruttivo dovrebbe incoraggiare un dialogo aperto con tutti i Paesi interessati.

Dai vari aspetti della libertà religiosa scaturisce una sorta di radiografia, positiva o negativa, delle situazioni dei singoli Paesi, alcune delle quali bisogna riconoscere che pongono interrogativi angosciosi: perché a determinate Chiese non è consentita la facoltà legale di esistere alla pari di altre confessioni religiose? Perché le famiglie non possono liberamente disporre l’educazione dei propri figli nella fede che professano? Perché tra i giovani che sentono una chiamata al sacerdozio o alla vita religiosa solo alcuni sono autorizzati ad entrare in un seminario o in un istituto di formazione? Perché determinate diocesi non possono avere liberamente un Pastore scelto dalla Santa Sede? E, in altri casi, i Pastori non sono sempre liberi di esercitare il loro ministero?

Ponendo tali interrogativi non significa che non si riconosca che, in certi casi, si è registrato un miglioramento, anzi una tendenza a rendere più normali gravi situazioni precedenti; ma manca ancora quel «salto di qualità» che riporti la libertà religiosa al livello che le è dovuto.

Una riflessione attenta consente di vedere che la libertà religiosa può coesistere con sistemi sociali diversi; la Chiesa chiede soltanto spazio per la vita dello spirito. Essa si rende conto che, anche in società permissive ispirate prevalentemente a criteri edonistici, il respiro religioso dell’uomo può essere reso arduo non dalla mancanza di libertà, ma dall’assedio di falsi miraggi; c’è, talora, un deterioramento morale che rende difficile alla persone conquistare la propria libertà interiore. Ma non è meno vero che i sistemi che negano o limitano grandemente la libertà religiosa privano l’uomo di fondamentali diritti e privano se stessi del beneficio di un certo apporto anche umano, perché la fede religiosa non si rivolge solo alla ricerca e al culto di Dio, ma educa le persone a un sentimento autentico di uguaglianza e di fraternità.

D’altra parte la libertà religiosa – come rileva nel documento Giovanni Paolo II – non può esercitarsi che in modo responsabile, cioè in accordo con i principi etici, e nel rispetto dell’uguaglianza e della giustizia, le quali possono essere rafforzate tramite un dialogo della società civile con le Istituzioni che, per loro natura, sono al servizio della vita religiosa.

Signor Presidente,

L’iniziativa della Santa Sede vuole essere, quindi, un invito aperto e franco per un dialogo serio e costruttivo su un tema che tocca profondamente le ispirazioni e le attese di milioni e milioni di persone. Noi abbiamo speranza che essa possa trovare buona accoglienza e permetta di trarre alcune positive conclusioni nell’ambito della riunione di Madrid.

Con tale gesto la Santa Sede mostra la sua fiducia, al di là delle difficoltà che questa riunione esperimenta, nella possibilità che qui a Madrid si realizzi un passo in avanti nel processo cominciato a Helsinki.

Lo stesso favorevole auspicio noi formuliamo per le altre proposte costruttive, che sono o saranno sottoposte all’esame di questa riunione.


*L’Osservatore Romano, 15.11.1980 p.1, 4.

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Mgr Achille SILVESTRINI

Intervention à la Réunion de Madrid**

Jeudi 13 novembre 1980



Monsieur le Président,

Je me dois d’abord d’adresser un hommage cordial et d’exprimer un chaleureux remerciement au gouvernement et à la nation espagnole qui nous accueillent avec une distinction et une hospitalité dignes des grandes traditions de ce pays.

La réunion de Madrid s’ouvre dans un contexte international de troubles profonds. L’atmosphère qui régnait il y a cinq ans, au moment de la signature de l’Acte final d’Helsinki était sans doute autre, car la Conférence qui se conclut solennellement le 1er août 1975 représentait d’une part la phase la plus avancée du processus de dépassement de la guerre froide et, d’autre part, semblait ouvrir pour l’Europe, et conséquemment pour la vie internationale, de nouvelles perspectives de vie en commun pacifique et de coopération.

L’attention des peuples européens, d’abord distraite, ensuite toujours plus intéressée, considère avec une espérance croissante le contenu de l’Acte final qui proclame des affirmations importantes telle l’égalité souveraine de chaque pays participant, le renoncement à la force, le règlement pacifique des différends, le respect des droits de l’homme, l’autodétermination des peuples, la collaboration entre les États, l’exécution de bonne foi des obligations de droit international. Cette attente visait en outre les suites de l’Acte final, autrement dit la perspective de «relations meilleures et plus étroites entre tous les Pays participants, dans tous les domaines», ainsi que l’ensemble des mesures concrètes destinées à établir de meilleures conditions de vie dans les échanges entre les peuples concernés.

Le sens de l’Acte final n’exprimait donc pas seulement la volonté de surmonter les oppositions du passé, mais surtout la tentative de créer les préalables d’un processus dynamique de rapports plus intenses rapprochant les nations entre elles, et favorisant la réalisation en coopération de certaines valeurs fondamentales dans leur propre vie de même que dans les rapports internationaux.

A Belgrade, environ deux ans plus tard, en 1977-78, on s’efforçait de dresser un premier bilan. A coté d’un certain nombre de réalisations positives, on devait toutefois constater avec regret des retards et des insuffisances évidents. On remarquait, ce qui est encore plus décevant, le manque d’épanouissement de l’Acte final par le biais d’initiatives capables de l’enrichir ou, tout au moins, d’en permettre une application plus large.

Notre réunion de Madrid s’ouvre dans un contexte mondial encore plus tendu, étant donné la gravité particulière de certains événements internationaux qui sévissent en-dehors de l’Europe. En outre, à une crise économique persistante, lourde et généralisée, s’ajoute actuellement une course aux armements de plus en plus acharnée, gaspillant de précieuses ressources autrement exploitables et mettant en danger les dernières chances de la confiance, seul fondement de tout espoir et de toute tentative de dialogue et de négociation.

L’Acte final a reconnu «l’intérêt que revêtent les efforts visant à réduire le risque d’une confrontation militaire et à promouvoir le désarmement», comme élément indispensable à la détente politique. C’est là un point particulièrement important pour la paix. En effet, même ce code du «savoir-vivre» que l’Acte final prévoit avec les notifications préalables des manœuvres et des mouvements militaires et autres mesures du même genre, ne saurait engendrer des effets positifs dans le maintien de la confiance si ce n’est dans la mesure où la course aux armements était freinée ou, mieux encore, arrêtée. Or, au cours des cinq dernières années au contraire, la course aux armements stratégiques et conventionnels a repris une allure de plus en plus accélérée. Voilà un des facteurs qui pèse lourdement sur le «processus» d’Helsinki car, si parmi les 35 pays participants, d’aucuns sont presque ou complètement désarmes, d’autres continuent d’accumuler un arsenal de moyens de destruction de plus en plus important et sophistiqué. Comme le soulignait le Pape Jean-Paul II dans son allocution à l’Assemblée Générale de l’ONU, celui qui dispose de ces moyens meurtriers fournit la preuve qu’il est prêt à combattre, «et être prêts à la guerre veut dire être en mesure de la provoquer». Le réarmement en cours est le premier point ouvertement négatif du bilan de l’Acte final; il représente également une grande inconnue quant aux responsabilités qu’implique l’examen des propositions à la réunion de Madrid.

Il en va de même quant à la détente politique. Elle ne pouvait ni ne peut représenter de simples mots, son rôle consistant à inspirer une loyauté réciproque dans les rapports et les comportements; elle exige une maîtrise de soi responsable dans les différends et les conflits qui sache prendre en considération et concilier les exigences que font valoir les autres parties, si possible dans le cadre d’un accord.

L’Acte final reconnaît en outre l’existence d’un lien étroit entre la paix et la sécurité en Europe et dans le monde entier; aussi le processus de la détente doit-il s’appliquer également à toutes les régions géographiques, où, à la recherche de leurs propres intérêts, les protagonistes du dialogue européen pourraient s’affronter directement ou indirectement, dans des conflits, au gré d’alliances parfois instables. Si la sécurité est indivisible, la détente est indivisible à son tour.

Le troisième facteur de la crise est le facteur humain. La menace de destruction découlant de la course aux armements, trouble profondément les esprits: la paix et le cauchemar de la terreur ne peuvent aller de pair! Mais il faut encore ajouter les âpres querelles idéologiques, la dure répression vis-à-vis des dissidents, les tensions provoquées par des coalitions issues des premières étincelles de tout foyer de crise qui déclenchent des réactions de ressentiment, d’hostilité, parfois même de haine, et qui deviennent les multiplicateurs humains de ces tensions non sans aggraver les rapports toujours difficiles entre les États.

Ce facteur humain de la paix est fréquemment sous-évalué. Et pourtant l’Acte final d’Helsinki a consacré à certains aspects humains quelques-unes de ses clauses les plus significatives, notamment la réunification des familles, les mariages entre citoyens d’États différents, les voyages, le tourisme, les rencontres de jeunes. Et le développement du secteur de l’information tout entier, les échanges culturels et scientifiques ne visent-ils pas un enrichissement mutuel de personne à personne, de groupe à groupe, qui entraîne la compréhension et l’amitié entre les peuples? Et quant à la sauvegarde des minorités nationales, des travailleurs migrants, de l’environnement n’a-t-elle pas pour objet l’homme dans ses aspirations, ses besoins et ses activités?

Il n’est guère aisé d’établir un bilan détaillé en la matière. Chaque pays participant peut mettre en vedette certains résultats et signaler avec regret des insuffisances ou des occasions manquées. Le Saint-Siège a sa propre expérience dans le secteur humanitaire, ne serait ce qu’en raison des nombreuses et pressantes requêtes que lui adressent des personnes, des familles et des groupes divers invoquant constamment l’application des engagements de l’Acte final en leur faveur. Aussi le Saint-Siège s’emploie-t-il dans la mesure de ses possibilités, à répondre à leurs attentes.

Toujours est-il que l’aspect central du «facteur humain» est représenté, dans l’Acte final, par le septième principe portant sur le respect des droits de l’homme et des libertés fondamentales, y compris la liberté de pensée, de conscience, de religion ou de conviction. C’est surtout en proclamant "l’importance universelle" de ces droits, dont le respect est déclaré «facteur essentiel de la paix, de la justice et du bien-être nécessaire pour assurer le développement des relations amicales et de la coopération» entre les États participants, «comme entre tous les États », que la Conférence Helsinki toucha le sommet de son idéal plus élevé:

– «importance universelle» veut dire en réalité que ces droits valent pour tous les pays; chaque État s’engageant sur son honneur à les appliquer; ce qui fait que l’intérêt d’autrui pour leur application ne saurait être taxé d’ingérence indue;

– «facteur essentiel de paix, de la justice et du bien-être» veut dire considérer l’homme comme protagoniste des valeurs les plus hautes de la vie sociale et des rapports internationaux eux-mêmes.

Et puisque tous les États participants se sont engagés à promouvoir l’exercice effectif des droits de l’homme, le Saint-Siège, conformément à sa mission, s’est cru en devoir de fournir – déjà à partir des consultations préparatoires de Dipoli, à Helsinki en 1972-73 – un apport spécifique en faveur de la liberté de conscience et de religion.

Dans ce but, et dans la ligne des orientations du Pape Paul VI, à la veille de la réunion de Madrid Jean-Paul II a adressé à tous les Chefs d’État des pays signataires de l’Acte final une lettre personnelle nantie d’un document spécial présentant une ample réflexion sur le contenu de la liberté de conscience et de religion. Ce document est aujourd’hui mis à la disposition des délégations et de la presse pour sa divulgation et son étude.

L’initiative du Souverain Pontife se propose d’offrir une synthèse des différents éléments découlant de l’expérience universelle de l’Église catholique. Ces éléments sont mis en relief non seulement pour l’Église et ses fidèles mais aussi pour les croyants des autres religions et pour la conscience religieuse de l’homme en général.

Dans l’époque où nous vivons, la liberté religieuse est mentionnée dans presque toutes les Constitutions des États ainsi que dans d’importants documents internationaux; néanmoins son contenu n’est-il pas suffisamment, ni uniformément précisé. En outre, quelle est la place réservée à l’exigence religieuse dans l’échelle des besoins de l’homme? Il s’agit pourtant d’une réalité atteignant le tréfonds de la personne, du fait qu’elle donne une réponse aux questions fondamentales de l’existence et offre à l’homme certaines valeurs primordiales, telles la vérité et l’amour, l’égalité et la justice, le sens du sacrifice et de la souffrance, le pourquoi de la vie et de la mort.

Le document du Pape Jean-Paul II établit un paramètre adéquat fournissant une base large et sûre à toutes les initiatives utiles et favorables à une juste liberté dans l’exercice des activités religieuses et morales, avec le plus grand respect pour les droits des autres membres de la société, croyants et incroyants, ainsi que des autres confessions religieuses. Cette approche constructive devrait encourager un dialogue ouvert entre tous les pays concernés.

Il découle des divers aspects de la liberté religieuse une sorte de radiographie, positive ou négative, des situations des différents pays. Or, certaines d’entre elles ne sont pas sans poser, il faut bien le reconnaître, des questions angoissantes. Pourquoi telle ou telle église n’a-t-elle pas la faculté légale d’exister au même titre que d’autres confessions religieuses? Pourquoi les familles des croyants ne peuvent-elles pas librement pourvoir à l’éducation de leurs propres enfants dans la foi qui est la leur? Pourquoi parmi les jeunes qui se sentent appelés au sacerdoce ou à la vie religieuse, seuls quelques-uns sont autorisés à entrer dans un séminaire ou dans un institut de formation? Pourquoi certains diocèses ne peuvent-ils pas avoir un Pasteur choisi librement par le Saint-Siège? Et pourquoi dans d’autres cas, les Pasteurs ne sont-ils pas toujours libres d’exercer leur propre ministère?

Poser de telles questions, cela ne revient pas à méconnaître une amélioration dans certains cas particuliers, voire une tendance à normaliser de graves situations – mais il manque encore ce «saut qualitatif» situant la liberté religieuse au niveau qui est le sien.

Une réflexion approfondie nous montre que la liberté religieuse peut coexister avec des systèmes sociaux différents; l’Église ne demande qu’un espace pour la vie de l’esprit. Elle se rend compte que dans des sociétés permissives elles-mêmes inspirées avant tout par des critères de plaisir le souffle religieux de l’homme peut être étouffé non certes par manque de liberté, mais sous l’emprise de mirages trompeurs. Il y a parfois une détérioration morale qui empêche les personnes de conquérir leur propre liberté intérieure. Mais il n’est pas moins vrai que les systèmes niant ou limitant gravement la liberté religieuse, privent l’homme de droits fondamentaux et se privent eux-mêmes de certains apports humains, car la foi religieuse ne vise pas uniquement la recherche et le culte de Dieu, mais développe aussi dans les personnes un véritable sentiment d’égalité et de fraternité.

D’autre part – comme le souligne Jean-Paul II dans le document en question – la liberté religieuse ne peut s’exercer que d’une manière responsable, c’est-à-dire conformément aux principes éthiques et dans le respect de l’égalité et de la justice, celles-ci pouvant être renforcées à travers un dialogue de la société civile avec les Institutions qui, de leur propre nature sont au service de la vie religieuse.

Monsieur le Président, L’initiative du Saint-Siège veut être par conséquent une invitation ouverte et franche à un dialogue sérieux et constructif sur un sujet affectant profondément les aspirations et les attentes de millions et de millions de personnes. Aussi espérons-nous qu’elle soit favorablement accueillie et permettre d’aboutir à quelques conclusions positives dans le cadre de la Réunion de Madrid.

Le Saint-Siège témoigne ainsi sa confiance dans la possibilité que Madrid, en dépit des difficultés qui marquent notre réunion, représente un pas en avant dans le processus amorcé à Helsinki.

Nous formons le même vœu pour les autres propositions constructives dont notre réunion sera saisie.


**L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.49 p.19.

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Mgr Achille SILVESTRINI

Intervention à la Réunion de Madrid***

Jeudi 13 novembre 1980



Mr President,

It is my duty to address a cordial greeting and to express warm thanks to the Spanish Government and Nation which welcomes us with such distinction and hospitality, worthy of the great traditions of this country.

The Madrid meeting opens in an international context that is deeply disturbed. The atmosphere in which the Helsinki Final Document was signed five years ago was certainly very different, because the Conference, which solemnly concluded on I August 1975, represented, on the one hand, the highest goal reached in the process of emerging from the cold war and, on the other hand, seemed to open to Europe, and consequently to international life, new possible ways of peaceful coexistence and cooperation.

The attention of European peoples, at first heedless and then more and more interested turned with growing hope to the contents of the Final Document, which proclaimed important affirmations such as the sovereign equality of every participating country, renunciation of force peaceful settlement of controversies, respect for human rights, the self-determination of peoples, collaboration among States, and the implementation in good faith of the obligations of international law. Expectation was also focused on the consequences of the Final Document, that is, on the prospect of better and closer relations among all participating countries in all areas", and on the set of concrete measures aimed at creating better conditions of life in exchanges among the peoples concerned.

The significance of the Final Document therefore, consisted not only in the determination to overcome past oppositions, but even more in the attempt to create the premises of a dynamic process of more intense relations, bringing the nations closer to one another, and getting them to cooperate in putting some fundamental values into practice in their lives and in international relations.

About two years later, in 1977-78, the effort was made in Belgrade to draw up a first balance sheet. Alongside a certain number of positive achievements, it was regretfully necessary to note evident delays and inadequacies in the application of the Document. Above all, it was disappointing to have to record the failure to expand the scope of the Final Document by means of initiatives capable of enriching it, or at least of facilitating a wider application of its provisions.

This meeting in Madrid opens in an even more tense world situation, because of some international events of particular seriousness outside the European area; while, to the continuation of a heavy and generalized economic crisis, there is added the escalation of the arms race which, in addition to wasting resources that would otherwise have been put to use, endangers all remaining confidence, which is the only hope of starting attempts at dialogue and negotiation.

The Final Document recognized «the interest of efforts aimed at reducing the risk of a military confrontation and at promoting disarmament», as an indispensable element for political detente. This point is particularly important for peace. In fact, even that «code of courtesy» that the Final Document foresees with prior notification of military manoeuvre and military movements and similar events, cannot have positive effects to maintain confidence unless to the extent to which armaments have not increased or, even better, have been reduced. On the contrary, in these five years the race for both strategic and conventional armaments has continued at an ever increasing rate: this is one of the factors that weighs negatively on the «Helsinki process», because of the thirty-five Participants, if some are almost or completely disarmed, others continue to accumulate an arsenal of more and more effective and sophisticated means of destruction. As the Sovereign Pontiff John Paul II pointed out in his address to the U.N. Assembly, those who are in possession of these deadly weapons show that they want to be ready for war and being ready means being able to start it". The rearmament in progress is the first conspicuously negative point of the balance-sheet of the Final Document, and it is also a great question mark with regard to the responsibility involved in the examination of the proposals at the Madrid meeting.

The same thing has happened as regards political detente. It could not, it cannot be only a verbal expression, but must inspire a reciprocal loyalty of behaviour and relations, including responsible self-control in controversies and conflicts which is able to take into consideration and reconcile, if possible in the framework of an agreement the requirements brought forward by the other parties.

Furthermore, the Final Document recognizes that there is a close connection between peace and security in Europe and in the whole world: therefore the process of detente must be applied also to all the geographical areas in which the promoters of the dialogue in Europe may find themselves involved in conflicts of various kinds with one another, directly or indirectly, in accordance with sometimes changing alliances, in pursuit of their own interests. If security is indivisible, detente, too, must be indivisible.

The third factor of the crisis is the human one. The threat of destruction deriving from the arms race deeply troubles souls: peace and the nightmare of terror cannot go hand in hand. But also bitter ideological quarrels, harsh repression of dissidents, tensions caused by coalitions that are formed at the outbreak of every hotbed of crisis, bring about reactions of resentment, hostility, sometimes even hatred, which become the human multipliers of these tensions, and aggravate the already difficult relations between States.

This human factor of peace is often not sufficiently evaluated. Yet the Helsinki Final Document dedicated some of its most significant clauses to certain human aspects – contacts between persons, reunification of families, marriages between citizen of different States, journeys, tourism, meetings between the young. And do not the increase in the whole vast sector of information, and cultural and scientific exchanges, aim at mutual enrichment between persons, and between groups, which leads to understanding and friendship between peoples? And does not the safeguarding of national minorities, emigrant workers, and the environment, have as its object man in his aspirations, needs and activities?

It is not easy to draw up a detailed balance-sheet on this matter. Every participating country can highlight certain results and point out with regret shortcomings or lost opportunities. The Holy See has its own experience in the humanitarian sector, were it only as a result of the many pressing requests it receives from persons, families, and various groups, who continually invoke the application of the commitments of the Final Document in their favour, and whom it strives to help in every way in the limits of its possibilities.

However, the central aspect of the «human factor» is represented, in the Final Document, by the 7th Principle concerning respect of human rights and of the fundamental freedoms, including freedom of thought, conscience, religion or creed. It was above all by proclaiming «the universal importance» of these rights, respect for which is declared «an essential factor of the peace, justice and prosperity necessary to ensure the development of friendly relations and cooperation among the participating States, as among all States», that the Helsinki Conference touched one of the peaks of its ideals:

– «universal importance» means, in fact, that these rights apply to all countries; every state undertakes on its honour to put them into practice, and the interest of others in their application cannot be considered undue interference;

– «an essential factor of peace, justice and prosperity» means considering man the promoter of the highest values of social life and of international relations themselves .

And since all the participating States undertook to promote the actual exercise of human rights, the Holy See, in accordance with its mission, considered it its duty to make a specific contribution in favour of freedom of conscience and religion, as early as the preparatory Consultations of Dipoli, at Helsinki in 1972-73.

For this purpose, in continuity with the orientations of the Sovereign Pontiff Paul VI, the Holy Father John Paul II, on the eve of the Madrid meeting, sent to all the Heads of State of the signatory countries a personal letter, accompanied by a special document that contains a broad reflection on the contents of freedom of conscience and religion. Today this document is put at the disposal of the delegations and the press so that people can get to know it and study it.

The initiative of the Sovereign Pontiff aims at offering a synthesis of all the elements of religious freedom, as seen from the universal experience of the Catholic Church. These elements are emphasized not only for the Church and her faithful, but also for believers of other religions and for the religious conscience of man in general.

In the time in which we live religious freedom is mentioned in nearly all the Constitutions of States, and in important international documents, but its content is not sufficiently, or uniformly, specified. Furthermore, in the scale of man’s needs, what is the place reserved for the religious requirement? Yet it is a reality that touches the innermost being of persons, since it gives an answer to the fundamental questions of existence and offers man certain primary values and meanings, such as truth and love, equality and justice, the sense of sacrifice and suffering, the reason for life and for death.

Pope John Paul II’s document offers an adequate parameter to make available a wide and solid foundation for appropriate initiatives in favour of a just freedom for the exercise of religious and moral activities, in full respect for the rights of other members of society, believers and non-believers, and of other religious confessions. This constructive approach should encourage an open dialogue with all the countries concerned. From the various aspects of religious freedom there springs a kind of x-ray, positive or negative, of the situations of the individual countries. Some of these situations, it must be recognized, raise disquieting questions: Why do certain Churches not have the legal right to existence like other religious confessions? Why are families unable to provide freely for the education of their children in the faith that they profess? Why are only some of the young people who feel a call to the priesthood or to religious life authorized to enter a seminary or an institute of formation? Why cannot certain dioceses freely have a pastor chosen by the Holy See? And, in other cases, why are pastors not always free to exercise their ministry?

To raise these questions does not mean  the failure to recognize that, in certain cases, improvement has been made, a tendency to make serious previous situations more normal – but there is still lacking that «leap of quality» to bring back religious freedom to the level to which it belongs.

Careful reflection shows that religious freedom can coexist with different social systems ‑ the Church asks only for space for the life of the spirit. She realizes that, also in permissive societies inspired mainly by hedonistic criteria man’s religious spirit may be stifled not by lack of freedom, but under the impact of deceptive mirages: there is, sometimes, a moral deterioration which makes it difficult for persons to win their own interior freedom. But it is no less true that systems which deny, or greatly limit, religious freedom deprive man of fundamental rights, and deprive themselves of the benefit of a certain contribution which is also human: because religious faith does not aim only at the search and worship of God, but educates persons to a real sentiment of equality and brotherhood.

On the other hand religious freedom – as John Paul II points out in the document – cannot be exercised unless in a responsible way that is, in accordance with ethical principles, and in respect for equality and justice, which can be strengthened by means of a dialogue of civil society with the Institutions which, by their nature, are in the service of religious life.

Mr President, The initiative of the Holy See wishes to be, therefore, an open and frank invitation for a serious and constructive dialogue on a subject that deeply touches the aspirations and expectations of millions and millions of persons. We hope that it will meet with a good reception and make it possible to draw some positive conclusions in the framework of the Madrid Meeting.

With this act the Holy See shows its confidence that here in Madrid, in spite of the difficulties that mark our meeting, it will be possible to take a step forward in the process started at Helsinki. We make the same wish for other constructive proposals which are, or will be, put before the attention of this meeting.


***L'Osservatore Romano. Weekly Edition in English 1981 n.3 p.12.

 

 

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