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RIUNIONE DI ESPERTI SULLE QUESTIONI RELATIVE AL RISPETTO
DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI

INTERVENTO DI MONS. ANGELO PALMAS*

Ottawa - Lunedì 13 maggio 1985



Signor Presidente, anche la delegazione della Santa Sede desidera rinnovare al Governo federale del Canada i sentimenti della propria gratitudine per la calda ospitalità offerta a questa riunione di esperti sui diritti dell’uomo della conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE).

Estendiamo, inoltre, il nostro ringraziamento e la nostra ammirazione al Segretario esecutivo, Ambasciatore Rogers, e ai suoi collaboratori per la cortesia e l’abilità con cui si adoperano per rendere efficaci i nostri lavori.

Signor Presidente, il primo agosto prossimo ricorre il decimo anniversario della firma dell’Atto finale di Helsinki. Frutto di tre anni di intenso negoziato, succeduti a più lunghe attese e preparativi, il documento fu allora accolto con unanime soddisfazione. I Capi di Stato e di Governo che lo sottoscrissero sottolinearono le nuove prospettive per la sicurezza, la cooperazione e la pace, che potevano aprirsi con l’applicazione delle disposizioni dell’atto finale. Queste, infatti, non riguardavano soltanto i rapporti interstatali in senso stretto, bensì i popoli e gli uomini concreti. Destinatari ultimi dei risultati della Conferenza, popoli e uomini dell’Europa, degli Stati Uniti d’America e del Canada guardarono con favore e con speranza a tale «dimensione umana» dell’atto finale.

Benché consapevoli dell’importanza di tutte le disposizioni incluse nell’atto finale, è da ricordare, a tale riguardo, l’inclusione, nella «Dichiarazione sui principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti», del 7° principio, sul «rispetto dei diritti dall’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, di coscienza, religione o credo» e, nel cosiddetto «terzo cesto», delle disposizioni relative alla «cooperazione nel settore umanitario». Sono testi ricchi di significato ed impegnativi sul piano unilaterale bilaterale e multilaterale.

Riconoscendo il «significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» il cui rispetto è «fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e di cooperazione fra loro», gli Stati partecipanti assunsero l’impegno di «rispettare costantemente tali diritti e libertà nei loro reciproci rapporti» e di «adoperarsi congiuntamente e separatamente» per promuoverne «il rispetto universale ed effettivo». Tale esplicito impegno non poteva non suscitare vive attese nei popoli e negli uomini dei rispettivi Paesi.

Parve legittima, e quasi doverosa, l’aspettativa di uno sviluppo favorevole di talune situazioni concrete che, in questa o quella Nazione, apparivano carenti dal punto di vista del rispetto dei diritti dell’uomo. E ciò non soltanto nella prospettiva del conseguimento di un vantaggio interno per se stessi o per il proprio popolo, ma anche per le conseguenze positive che ne sarebbero derivate per i cittadini delle altre Nazioni, attese la portata universale e la dimensione comunitaria del rispetto della dignità e delle libertà fondamentali della persona umana. Ne sarebbe inoltre scaturito un favorevole influsso sui rapporti fra gli Stati partecipanti, senza dimenticare il valore esemplare che il progresso in tale campo avrebbe avuto per altri Paesi non partecipanti, le cui popolazioni soffrivano – e soffrono – a causa dalla guerra e della violazione dei diritti dell’uomo.

Signor Presidente, sin dalle consultazioni preparatorie di Dipoli, la Santa Sede aveva fatto presente l’interesse che annetteva a questo argomento, ponendo un accento speciale – di cui nessuno poteva sorprendersi – sulla libertà religiosa. I suoi rappresentanti assicurarono, nelle diverse fasi del negoziato, un peculiare contributo alla redazione del 7° principio, nel cui contesto si legge, fra l’altro che «gli Stati partecipanti riconoscono e rispettano la libertà dell’individuo di professare e praticare, solo o in comune con altri, una religione o un credo, agendo secondo i dettami della propria coscienza». Parimenti, i suoi delegati lavorarono perché nel cosiddetto «terzo cesto» fossero concretamente recepite alcune esigenze concernenti i contatti, gli incontri e lo scambio di informazioni fra le confessioni religiose e i loro rappresentanti.

In questi dieci anni, i Paesi partecipanti si sono posti sulla strada indicata nell’Atto finale, nell’intento di onorare l’impegno politico-morale assunto il 1° agosto 1975. I loro rappresentanti si sono riuniti, prima a Belgrado e poi a Madrid, per fare il punto della situazione generale e dar nuovo impulso al processo multilaterale avviato a Helsinki. Consapevoli che l’Atto finale deve essere preso nella sua «globalità» – come un «totum» in cui le singole disposizioni concorrono all’equilibrio complessivo – le delegazioni hanno preso in esame, in queste sedi, i singoli capitoli del documento. Anche la delegazione della Santa Sede ha esposto il suo parere, con un particolare riferimento ai diritti  dell’uomo, congratulandosi per i progressi avutisi e rilevando le molte speranze ancora insoddisfatte in tale settore.

Nel documento concordato al termine della riunione di Madrid, accanto ad altri impegni, gli Stati partecipanti ribadivano «la loro determinazione di promuovere ed incoraggiare l’esercizio effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e di assicurarne un progresso costante e tangibile» indipendentemente dai sistemi politici, economici e sociali. In concreto essi assumevano l’impegno di «sviluppare le loro leggi e regolamenti nel campo dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e degli altri diritti dell’uomo e libertà fondamentali» e di «garantire l’esercizio effettivo di tali diritti e libertà». Anche in questa occasione la delegazione della Santa Sede ha contribuito alla redazione di tali clausole e ha operato per l’inclusione di un esplicito impegno degli Stati a intraprendere le azioni necessarie a garantire la libertà religiosa, a consultare in ogni occasione opportuna le autorità religiose e a prendere in favorevole considerazione le richieste presentate da comunità confessionali per ottenere lo «status» previsto nei rispettivi ordinamenti per «i culti, le istituzioni e le organizzazioni religiose».

Logicamente, la Santa Sede accolse con molto favore a Madrid la proposta di una riunione di esperti sul rispetto dei diritti dell’uomo, recepita poi nel documento conclusivo.

Sembra alla Santa Sede che la convocazione di questa Riunione di Ottawa – insieme agli altri incontri programmati nel medesimo documento per sviluppare in maniera bilanciata altri aspetti importanti della sicurezza e la cooperazione in Europa – corrisponda alle attese dei popoli e degli uomini dei Paesi partecipanti e costituisca un esempio concreto di attuazione dell’impegno previsto nel 7° principio, di «adoperarsi congiuntamente» per promuovere il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell’uomo, nonché espressione dell’auspicabile cooperazione in questo campo.

La nostra riunione dovrebbe affrontare, con spirito costruttivo, il mandato di elaborare «conclusioni e raccomandazioni», che rendano possibile una miglior attuazione dell’Atto finale e del Documento di Madrid circa il rispetto del diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà religiosa.

Tale mandato sembra escludere una impostazione teorica e speculativa dei lavori. Occorrerebbe un esame – non polemico, ma obiettivo e realistico della situazione nei singoli Paesi. In altre parole, si tratta di vedere se, e in che misura, la realtà della vita degli uomini dei nostri Paesi rispecchi il tenore richiesto dai documenti internazionali in cui vengono solennemente proclamati tali diritti e libertà, e che sono richiamati dal Documento conclusivo di Madrid: cioè, la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale del Diritti dell’Uomo e i Patti internazionali sui diritti dell’uomo.

Nessuno si offenderà se si arrivi a scoprire che – insieme a determinati buoni risultati e malgrado la buona volontà – l’uno o l’altro diritto o libertà (civile, politico, economico, sociale o culturale), nell’uno o nell’altro Paese, non è rispettato in maniera soddisfacente per tutti. Infatti, come il comportamento umano, anche l’attività degli Stati è sempre suscettibile di miglioramento, e dovrebbe essere sempre alla ricerca di un più completo adeguamento ad una situazione ideale.

Vero è che le notizie che giungono dai vari Paesi partecipanti – e che sembrano sufficientemente fondate – inducono a rilevare non poche e spesso gravi deficienze: ne abbiamo sentito da parte dei delegati finora intervenuti – e ne sentiremo ancora – segnalazioni autorevoli. Le molte legittime attese manifestate ormai da dieci anni, dagli uomini e dai popoli dei Paesi partecipanti, ancora non sono state accolte come dovuto.

Se infatti, in linea teorica o di principio, le norme costituzionali prevedono la garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in concreto se ne devono registrare notevoli limitazioni pratiche ed ingiustificabili negazioni. In diversa misura a seconda dei Paesi e del tipo di diritti e libertà di cui si parli. È pero dovere istituzionale della pubblica autorità cercare di promuovere condizioni di vita che permettano a tutti i singoli cittadini e ai gruppi sociali di perseguire lo sviluppo armonico delle proprie potenzialità personali, familiari e comunitarie, godendo di pari diritti e libertà, con un contenuto che non può non essere coestensivo con la primaria dignità della persona umana, in qualsiasi società in cui questa si trovi a vivere.

Ne consegue che in un Passe ove fosse stato raggiunto un alto livello di rispetto di un determinato gruppo di diritti – civili e politici, oppure economici, sociali e culturali – occorrerà intensificare gli sforzi per giungere ad analogo livello di garanzia anche degli altri diritti e libertà fondamentali.

Signor Presidente, i documenti internazionali citati nel 7° principio contemplano un contenuto piuttosto amplio per i singoli diritti e libertà. Quello della libertà religiosa è definito nell’articolo 10 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo e nello stesso articolo del Patto sui diritti civili e politici. I limiti in essi indicati non possono interpretarsi in modo riduttivo, o, peggio ancora, vanificante. Tali limiti, infatti, sono intesi ad assicurare la miglior realtà possibile di rispetto e di garanzia effettiva di tutti i diritti per tutti.

Solo in tale prospettiva essi appaiono necessari e accettabili: perderebbero, invece, ogni legittimità, qualora fossero usati per privilegiare determinate categorie di persone, a scapito e con la discriminazione di altri, sulla base di non importa quale criterio. Ciò vale, evidentemente, per tutti i diritti e libertà, ma sembra acquisire particolare importanza in riferimento ad alcuni diritti o libertà ritenuti basilari per la loro più alta connessione con la dignità della persona umana, fra i quali la nostra delegazione rileva primordialmente la libertà di pensiero, di coscienza, di religione o credo, che – riguardando l’ambito più intimo di ogni persona – riscuote inoltre maggiore solidarietà fra gli uomini.

In tale contesto, ritengo conveniente ricordare che, alla vigilia della Riunione di Madrid, Sua Santità Giovanni Paolo II, con una lettera personale, presentò ai Capi di Stato dei Paesi partecipanti un documento sul contenuto della libertà religiosa, redatto in base all' esperienza universale della Chiesa cattolica, ma sostanzialmente condivisibile dai seguaci di altre religioni e corrispondente alla coscienza religiosa dell’umanità. Infatti, si metteva in risalto una premessa di valore universale, quale il menzionato intimo legame della libertà religiosa con la dignità della persona umana. In quanto questa sente l’esigenza interiore, indistruttibile, di agire liberamente «secondo i dettami della propria coscienza»: l’uomo si sente portato – fondandosi sulle proprie convinzioni – a seguire una concezione religiosa o metafisica, che coinvolge tutta la sua vita in ciò che concerne le scelte e i comportamenti fondamentali.

Riferendosi alle riflessioni di detto documento, la delegazione della Santa Sede a Madrid – come già aveva fatto a Belgrado – non mancò di riconoscere alcuni progressi realizzati nel rispetto della libertà religiosa a seguito dell’Atto finale, ma rilevò altresì come la situazione interna in alcuni dei Paesi partecipanti risultasse ancora lontana anche da un livello accettabile nella garanzia di tale libertà. La nostra delegazione sarebbe ora ben lieta di poter registrare un miglioramento di tali situazioni, in conseguenza dell’impegno rinnovato a Madrid.

Purtroppo, non è così. Con amarezza e preoccupazione, si devono costatare gravi carenze per l’effettivo esercizio da parte sia degli individui che delle comunità – della libertà di coscienza e di credo.

Sono state numerose le delegazioni finora intervenute che, facendosi eco del sentimento di solidarietà dei rispettivi popoli e delle confessioni religiose radicate nei loro Paesi, non hanno potuto non far presente la propria insoddisfazione circa il grado di rispetto e di esercizio della libertà religiosa in alcuni degli Stati partecipanti.

La nostra delegazione si congratula nel rilevare questo generalizzato interesse e si riserva di riferirsi, in un prossimo intervento, in maniera più particolareggiata, a situazioni concrete che ritiene gravemente carenti riguardo all’effettivo rispetto e godimento della libertà religiosa.

Lo farà, come sempre, con spirito costruttivo, cercando di individuare anche le cause che portano a tali situazioni e di suggerire eventuali vie per il loro auspicato miglioramento.
Grazie, Signor Presidente.


*L'Osservatore Romano 15.5.1985 p.2.

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Mgr Angelo PALMAS

Intervention à la réunion d’experts sur les questions relatives au respect des droits de l’homme et des libertés fondamentales**

Ottawa, Lundi 13 mai 1985



Monsieur le Président, la Délégation du Saint-Siège désire, elle aussi, assurer le gouvernement fédéral du Canada de sa propre gratitude pour la chaleureuse hospitalité qu’il a offerte à cette réunion d’experts sur les droits de l’homme, due à l’initiative de la Conférence sur la Sécurité et la Coopération en Europe (CSCE).

Nous étendons en outre nos remerciements et notre admiration au Secrétaire Exécutif, M. l’Ambassadeur Rogers et ses collaborateurs, pour la courtoisie le dévouement avec lesquels ils se sont prodigués pour rendre nos travaux efficaces.

Monsieur le Président, le 1er août 1985 nous célébrerons le Xe anniversaire de la signature de l’Acte final d’Helsinki. Fruit de trois années d’intenses négociations qui faisaient suite à de plus longues attentes, à de plus longs préparatifs, le document fut à l’époque accueilli avec unanime satisfaction. Les Chefs d’État et de Gouvernement qui le signèrent soulignèrent les nouvelles perspectives pour la sécurisé, la coopération et la paix qui pouvaient s’ouvrir grâce à l’application des dispositions de l’Acte final. Celles-ci, en effet, ne regardent pas seulement les relations entre États – au sens strict – mais aussi les peuples et les hommes concrets. Les ultimes destinataires des résultats de la Conférence, les peuples et les hommes d’Europe, des Etats‑Unis d’Amérique et du Canada considérèrent avec faveur et espérance cette «dimension humaine de l’Acte final».

Bien que conscients de l’importance de toutes les dispositions comprises dans l’Acte final, nous devons rappeler à cet égard, l’inscription, dans la «Déclaration sur les principes qui règlent les relations entre les États participants» du septième principe sur «le respect des droits de l’homme et des libertés fondamentales de l’homme y compris la liberté de pensée, de conscience, de religion ou credo», et dans la partie dite «troisième principe» des dispositions relatives à la coopération dans le «secteur humanitaire». Ce sont des textes riches de signification et d’engagements sur les plans unilatéral, bilatéral et multilatéral.

Reconnaissant «la signification universelle des droits de l’homme et des libertés fondamentales» dont le respect est «un facteur essentiel de la paix, de la Justice et du bien-être nécessaires pour assurer le développement de relations amicales et de coopération entre eux» les États participants prirent l’engagement de «respecter constamment ces droits et ces libertés dans leurs relations mutuelles» et de «se prodiguer conjointement et séparément», pour promouvoir «leur respect universel et effectif». Un engagement si explicite ne pouvait manquer de susciter de vives espérances parmi les populations et hommes des pays respectifs.

Il semble donc parfaitement et dûment légitime de s’attendre à un développement favorable de certaines situations concrètes qui, dans telle ou telle nation, révélaient un manque de respect pour les droits de l’homme. Et ceci non seulement en vue d’obtenir un avantage interne pour eux-mêmes ou pour leur propre peuple, mais aussi en vue des conséquences positives qui en découleraient pour les autres nations, considérant la portée universelle et la dimension communautaire du respect de la dignité et des libertés fondamentales de la personne humaine. En outre, on pouvait s’attendre à ce qu’il ait une heureuse influence sur les relations entre les nations participantes, sans oublier la valeur exemplaire que le progrès dans ce domaine allait avoir pour d’autres pays non participants dont les populations souffraient – et souffrent – à cause de la guerre et des violations des droits de l’homme.

Monsieur le Président, dès l’époque des consultations préparatoires de Dipoli, le Saint-Siège avait souligné l’intérêt qu’il attachait à ce domaine, mettant particulièrement l’accent – ce qui ne saurait surprendre – sur la liberté religieuse. Ses représentants apportèrent, dans les diverses phases des négociations, une contribution spéciale à la rédaction du 7ème principe: dans le contexte de celui-ci on peut lire notamment que «les États participants reconnaissent et respectent la liberté de l’individu pour professer et pratiquer, seul ou en commun avec d’autres, une religion ou un credo, agissant selon ce que lui dicte sa propre conscience». De même, ses délégués se prodiguèrent pour que dans ce qu’on appelle le «troisième principe» soient concrètement agréées quelques-unes des exigences concernant les contacts, les rencontres et les échanges d’informations entre les confessions religieuses et leurs représentants.

Durant ces dix années, les pays participants se sont mis sur la voie indiquée par l’Acte final afin d’honorer l’engagement politico-social assumé le 1er août 1975. Leurs représentants se sont réunis d’abord à Belgrade, puis à Madrid pour faire le point au sujet de la situation générale et donner un nouvel élan au processus multilatéral mis en marche à Helsinki. Conscientes du fait que l’Acte final doit être pris "globalement" ‑ comme un «totum» dont les dispositions particulières concourent a l’équilibre de l’ensemble – les délégations ont, dans ce siège –, soumis a un examen les différents chapitres du document. La délégation du Saint-Siège, elle aussi a donné son avis, se référant particulièrement aux droits de l’homme et exprimant sa joie pour les progrès accomplis, elle a souligné les nombreuses espérances qui restent à combler dans ce domaine.

Dans le document souscrit de commun accord au terme de la réunion de Madrid, les Etats participants ont réaffirmé, à côté d’autres engagements «leur volonté de promouvoir et encourager l’exercice effectif des droits de l’homme et des libertés fondamentales et de leur assurer un progrès constant et tangible», indépendamment des systèmes politiques, économiques et sociaux. Ils assumaient, en concret, l’engagement de «développer leurs lois et règlements dans le domaine des droits civils, politiques, économiques, sociaux et culturels et des autres droits de l’homme et libertés fondamentales» et de «garantir l’exercice effectif de ces droits et libertés». Également à cette occasion, la délégation du Saint-Siège a contribué à la rédaction de ces clauses et s’est prodiguée pour y faire insérer un engagement explicite des États à entreprendre les actions, nécessaires pour garantir la liberté religieuse, à consulter en toute occasion opportune les autorités religieuses et à prendre favorablement en considération les requêtes présentées par des communautés confessionnelles pour obtenir le «status» prévu dans les systèmes législatifs respectifs pour «les cultes, les institutions et les organisations religieuses».

Il est logique que le Saint-Siège ait accueilli très favorablement la proposition d’une réunion d’experts au sujet du respect des droits de l’homme, qui était prévue dans le document final.

Le Saint-Siège estime que la convocation de cette Réunion d’Ottawa ‑ de même que les autres rencontres prévues dans ledit document pour développer de manière équilibrée d’autres aspects importants de la sécurité et de la coopération en Europe ‑ correspond aux aspirations des populations et des hommes des Pays participants et constitue un exemple concret de réalisation de l’engagement, prévu dans le «7e principe» de «se prodiguer conjointement» pour promouvoir le respect universel effectif des droits de l’homme ainsi qu’une expression de la souhaitable coopération dans ce domaine.

Notre réunion devrait affronter, dans un esprit constructif, le mandat d’élaborer «des conclusions et des recommandations» qui rendent possible une meilleure réalisation de l’Acte final et du Document de Madrid en ce qui concerne le respect des droits de l’homme et des libertés fondamentales, y compris la liberté religieuse.

Ce mandat semble exclure toute organisation théorique et spéculative des travaux. Serait nécessaire un examen objectif et réaliste – et nullement polémique – de la situation dans les divers pays. En d’autres mots, il s’agit de voir si et dans quelle mesure la vie des hommes de nos pays reflète dans la réalité la teneur requise par les documents internationaux où ces droits et libertés sont proclamés solennellement et que rappelle le Document final de Madrid – c’est-à-dire la Charte des Nations Unies, la Déclaration Universelle des Droits de l’homme et les Pactes Internationaux sur les Droits de l’homme.

Que personne ne se sente offensé si l’on arrive à découvrir que – à côté de bons résultats bien déterminés et malgré la plus totale bonne volonté – l’un ou l’autre des droits et des libertés (civils, politiques, économiques, sociaux ou culturels) ne sont pas toujours, dans tel ou tel pays, respectés de manière qui satisfasse tout le monde. En fait, tout comme le comportement humain, l’activité des Etats est toujours, elle aussi, susceptible d’amélioration et il faudrait être sans cesse à la recherche d’une plus parfaite adaptation à une situation idéale.

Il est vrai que les informations qui proviennent de différents pays participants – et qui semblent assez fondées – entraînent à relever de nombreuses et souvent graves déficiences: nous en ont fait part diverses délégations intervenues jusqu’à présent – et nous en parleront encore d’autres – toutes signalisations entièrement dignes de foi. De nombreuses aspirations légitimes manifestées il y a 10 ans par les populations et les hommes des pays participants, attendent encore d’être accueillies comme il se doit.

En effet si, en théorie et en principe, les normes constitutionnelles prévoient la garantie des droits humains et des libertés fondamentales, on doit déplorer qu’en pratique, se révèlent encore d’importantes limitations et d’injustifiables négociations, en mesure diverse suivant les pays et le genre de droits et libertés en cause. Les autorités publiques ont donc le devoir de s’efforcer de promouvoir des conditions de vie qui permettent à tous les citoyens et à tous les groupes sociaux de poursuivre l’harmonieux développement de leur propre potentiel personnel, familial et communautaire, jouissant de droits et libertés identiques qui ne sauraient manquer de co-exister avec la dignité primordiale de la personne humaine, dans n’importe quelle société où celle ci doit vivre.

Il en résulte que, dans un pays qui est parvenu à un degré élevé de respect d’un groupe déterminé de droits – civils et politiques, ou bien économiques sociaux et culturels – il faut intensifier les efforts pour élever également au même niveau la garantie des autres droits et des autres libertés fondamentales.

Monsieur le Président, les documents internationaux cités dans le 7e principe contemplent un contenu des plus amples concernant les divers droits et libertés. Celui qui a trait à la liberté religieuse est défini par l’article 18 de la Déclaration Universelle des Droits de l’homme et dans le même article du Pacte sur les droits civils et politiques. Les limites qui y sont indiquées, ne peuvent être interprétées de manière négative ou, pis encore, destructive. En fait ces limites sont conçues pour assurer le maximum de respect et de garantie efficace de tous les droits, pour tous.

C’est uniquement dans cette perspective qu’ils se révèlent nécessaires et acceptables: ils perdraient par contre toute crédibilité, si l’on s’en servait pour favoriser des catégories déterminées de personnes au détriment d’autres, et selon une discrimination basée sur n’importe quel critère, quel qu’il soit. Ceci vaut évidemment pour tous les droits et pour toutes les libertés; cela semble toutefois acquérir une particulière importance si l’on se réfère à quelques-uns des droits et libertés que l’on considère de valeur fondamentale en raison de leur plus étroite connexion avec la dignité de la personne humaine parmi ceux-ci notre délégation relève d’abord et avant tout la liberté de pensée, de conscience, de religion ou credo, qui – concernant la sphère la plus intime de chaque personne – trouve en outre une majeure solidarité parmi les hommes.

Dans ce contexte, je pense qu’il convient de rappeler que, à la veille de la réunion de Madrid, Sa Sainteté le Pape Jean-Paul II a transmis par lettre personnelle aux Chefs d’État des pays participants un document sur le contenu de la liberté religieuse, rédigé en se basant sur l’expérience universelle de l’Eglise Catholique, mais que les disciples des autres religions peuvent substantiellement admettre, car il correspond à la conscience religieuse de l’humanité. En effet, le Pape y a mis en relief une prémisse de valeur universelle comme l’est l’intime lien de la liberté religieuse, précitée, avec la dignité de la personne humaine du fait que celle-ci ressent l’exigence intime – indestructible – d’agir librement «selon les indications de sa propre conscience»: l’homme se sent porté – se fondant sur ses propres convictions ‑ à suivre une conception religieuse ou métaphysique qui implique toute sa vie en ce qui concerne les options et les attitudes fondamentales.

Se référant aux réflexions contenues dans ledit document, la Délégation du Saint-Siège à Madrid ne manqua pas – comme elle l’avait déjà fait à Belgrade – de reconnaître quelques progrès dans le respect de la liberté religieuse réalisés à la suite de l’Acte final mais elle fit également noter que la situation interne dans quelques-uns des pays participants se révélait encore bien loin d’un niveau acceptable dans la garantie de cette liberté. Notre Délégation serait maintenant très heureuse de pouvoir enregistrer une amélioration de ces situations, conséquence des engagements renouvelés à Madrid.

Malheureusement, il n’en est pas ainsi. Il faut constater avec amertume et préoccupation, que subsistent de graves carences pour l’exercice effectif tant par les individus que par les communautés – de la liberté de conscience et de credo.

Nombreuses sont les délégations intervenues jusqu’à ce moment qui, se faisant l’écho du sentiment de solidarité des peuples respectifs et des confessions religieuses enracinées dans leur pays, n’ont pu que faire état de leur propre insatisfaction au sujet et du degré de respect et d’exercice de la liberté religieuse dans certains des États participants.

Notre délégation relève avec joie cet intérêt généralisé et se réserve de se référer de manière plus détaillée – à l’occasion d’une prochaine intervention – à des situations concrètes qu’elle considère comme gravement déficientes en ce qui concerne le respect et l’effective jouissance de la liberté religieuse.

Elle le fera, comme toujours, dans un esprit constructif, cherchant à détecter également les causes qui mènent à de telles situations et à suggérer d’éventuelles voies pour leur amélioration si vivement souhaitée.

Merci, Monsieur le Président


*L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.37 p.5.

 

 

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