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RIUNIONE DI ESPERTI SULLE QUESTIONI RELATIVE AL RISPETTO
DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI

INTERVENTO DI MONS. ANGELO PALMAS*

Ottawa - Lunedì 20 maggio 1985




La nostra delegazione ha ascoltato con molta attenzione e interesse gli interventi con cui le varie delegazioni hanno finora contribuito ai lavori della nostra riunione. Da prospettive e con accenti diversi, esse hanno tutte confermato l’importanza che i rispettivi Governi annettono al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nel quadro globale del processo avviato a Helsinki, come fattore essenziale per la pace, la cooperazione tra i Paesi partecipanti, e hanno illustrato il proprio parere circa la situazione che, riguardo al rispetto ed effettivo esercizio dei singoli diritti e libertà, si può riscontrare nei Paesi partecipanti.

Quanto a realtà concrete, accanto a informazioni senz’altro positive ed incoraggianti, abbiamo ricevuto altre notizie – da ritenere oggettive, attesa la serietà e autorevolezza di tutte e di ognuna delle delegazioni qui presenti – che sembrano meno conformi a quanto sarebbe lecito aspettarsi da una adeguata attuazione delle disposizioni dell’Atto Finale di Helsinki e del Documento conclusivo di Madrid. Allo stesso tempo, alcune delegazioni hanno avanzato idee o suggerimenti per l’auspicabile miglioramento al riguardo.

Non sono mancati momenti di contrasto, frutto di opinioni diverse sull' essenza stessa dei diritti umani e delle libertà fondamentali, oppure sulla valutazione di situazioni di non effettivo rispetto di alcuni diritti o libertà in alcuni Paesi.

Senza volere entrare ora in discussioni teoriche, dall’insieme di quanto abbiamo potuto ascoltare, nonché in base ad altre informazioni giunte alla nostra delegazione, pare che si debba affermare la necessità di giungere ad un miglioramento, talvolta sostanziale, per quanto riguarda il rispetto efficace dell’uno o dell’altro diritto, nell’uno o nell’altro dei Paesi partecipanti, qualora si desideri adempiere adeguatamente l’impegno assunto in materia a Helsinki, rinnovato poi a Madrid.

La delegazione della Santa Sede desidera limitarsi a comunicare notizie sicure e concrete per quanto riguarda il rispetto effettivo e l’esercizio effettivo della libertà religiosa, argomento al quale si sono riferite anche numerose delegazioni. Essa dispone, infatti, di informazioni dirette concernenti, soprattutto, la situazione della Chiesa cattolica in tutti i Paesi partecipanti, ed è anche a conoscenza di notizie relative ad altre confessioni religiose. Alcune realtà sono state ricordate a tutti noi qui ad Ottawa con precise segnalazioni.

Si tratta di situazioni e di realtà chi si verificano all’interno di determinati Paesi: tuttavia, per ragioni di solidarietà umana ed anche per quella solidarietà generata dall' appartenenza alla medesima confessione religiosa, tali situazioni e realtà interessano pure i popoli degli altri Stati qui rappresentati: di conseguenza, la manifestazione di tale interesse, con l’auspicio del loro miglioramento, non dovrebbe essere ritenuta fuori luogo o in contrasto con i principi dell’Atto Finale di Helsinki, considerati nel loro insieme.

Desiderando contribuire ai lavori e al successo della nostra riunione, la delegazione della Santa Sede ritiene quindi di dover partecipare in merito alcune considerazioni oggettive, affinché ognuno dei presenti – senza pregiudizi e senza polemiche – le possa valutare e possa giungere a conclusioni personali circa le reali possibilità di professione e di pratica religiosa che oggidì hanno milioni di uomini, che vivono in alcuni Paesi partecipanti. E ciò, in rapporto alle giuste attese sorte dalle relative formulazioni dei noti documenti internazionali e degli impegni assunti nel quadro della CSCE. A questo riguardo, accanto all’art. 91 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo e del Patto sui Diritti civili e politici, si può anche ricordare l’ampia e precisa formulazione della Dichiarazione sull’Eliminazione di ogni forma di intolleranza o di discriminazione basata sulla religione o il credo, approvata, senza voto, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 novembre 1981.

Senza pretendere di imporre il proprio giudizio, sembra alla nostra delegazione – alla luce dei suddetti documenti – che, ad esempio, la libertà religiosa non è rispettata quando i giovani aspiranti al sacerdozio o ad una vita di consacrazione nei voti religiosi vengono impediti di realizzare la loro vocazione, perché non possono essere aperti seminari o case di formazione, o perché, in quelli esistenti, l’ammissione dei candidati trova difficoltà o viene imposto un numero chiuso, nettamente inferiore alle richieste: oppure perché le congregazioni religiose non hanno legale possibilità di esistere.

Ci si chiede, poi, quali garanzie di libertà possano sussistere nei casi – ancora molto frequenti – in cui i sacerdoti sono impediti di esercitare il loro ministero, o quando una pesante sorveglianza li sottopone alla condizione di chiedere continue autorizzazioni per ogni singola attività pastorale, o vengono processati e condannati per motivi che, in ultima analisi, sono connessi all’esercizio del loro ministero.

In altri casi, comunità di fedeli, non potendo ottenere l’autorizzazione ad avere un proprio pastore, si vedono sistematicamente private di un’adeguata assistenza religiosa e, cosa ancora più grave per la comunità cattoliche, moltissime di queste non possono avere un proprio vescovo – elemento essenziale per la vita delle medesime comunità – perché la nomina non è stata finora mai consentita, talvolta anche da più di un decennio.

Sul piano della coscienza individuale, come può parlarsi di libertà quando alle famiglie non è permesso di far ricevere ai figli un’educazione che sia coerente con le proprie convinzioni religiose e morali? O quando, al contrario, devono vedere i propri figli subire l’imposizione di un’educazione che è in contrasto con la loro fede religiosa, talvolta senza neppure avere la possibilità di ricevere l’insegnamento religioso-catechistico offerto dalla comunità religiosa a cui appartengono?

Com’è ovvio, la delegazione della Santa Sede non può non sottolineare l’importanza fondamentale dell’insegnamento religioso per la vita delle comunità e famiglie dei credenti. Sarebbe inutile parlare di libertà per tali gruppi se disposizioni legali in un determinato Paese impedissero loro di proporre alla gioventù la propria concezione religiosa.

Far ciò significherebbe mutilare sostanzialmente i diritti fondamentali di dette comunità e famiglie e, in definitiva, significherebbe lasciare loro unicamente la libertà di morire per via di estinzione come comunità di credenti.

- Ci sembra, inoltre, che l’educazione religiosa dei giovani, che spetta primordialmente alle comunità e famiglie sopra menzionate, è, per il suo contenuto, anche nella linea di due importanti testi internazionali adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. È indubbia una speciale responsabilità delle famiglie e delle comunità religiose nell’educazione della gioventù se – come recita il secondo principio della Dichiarazione sui Diritti del Bambino del 1959 – «l’enfant doit bénéficier d’une protection spéciale et se voir accorder des possibilités et des facilités par l’effet de la loi et d’autres moyens, afin d’être en mesure de se développer d’une façon saine et normale sur le plan physique, intellectuel, moral, spirituel et social, dans des conditions de liberté et de dignité». Occorre riconoscere, d’altro lato, che la formazione religiosa aiuta a creare nel bambino o nel giovane una disposizione contraria alle tendenze – sempre più presenti e sempre crescenti – che allontanano, l’essere umano dallo «esprit de la paix, de la justice, de la liberté... du respect et de la compréhension mutuelle» senza i quali non si può sperare di «promouvoir l’égalité en droits de tous les êtres humains et de toutes les Nations, le progrès économique et social, le désarmement et le maintien de la paix et de la sécurité internationales», come auspicato nel primo principio della Dichiarazione concernente la promozione fra i giovani degli ideali di pace, di mutuo rispetto e di comprensione, dell’anno 1965.

Ci sono poi genitori che guardano con angoscia all’avvenire dai loro figli: sanno, infatti, che questi, proprio perché credenti, si vedranno chiuse o rese difficili le strade degli studi, delle professioni, di una partecipazione qualificata alla vita della società. Che dire, inoltre, di quelle comunità confessionali – alcune delle quali composte da qualche milione di persone, come le comunità cattoliche di rito orientale in alcuni Paesi partecipanti – a cui tuttora è negato il riconoscimento legale? In tal modo, i fedeli non possono vivere nella comunità religiosa alla quale, per libera scelta della loro coscienza, vorrebbero appartenere.

Altre situazioni ancora attirano la nostra attenzione. Ad esempio, che cosa si deve pensare quando i credenti non possono ricevere alcuna assistenza religiosa – nonostante, essi la chiedano – nei luoghi pubblici di cura o di detenzione?

Sembra, poi, che alle comunità religiose potrebbero essere riconosciuti più ampi spazi di libertà di espressione, particolarmente nel settore dei mass media. Parimenti, dovrebbero essere superate le attuali misure limitative per la pubblicazione, la diffusione e la ricezione di libri, ed altri sussidi religiosi. Né si dovrebbe impedire a membri e rappresentanti di comunità religiose che tornano da viaggi all’estero, di portare con sé materiale strettamente religioso.

Per le singole comunità cattoliche, il collegamento con le altre componenti della chiesa universale e il costante legame con la Santa Sede costituiscono, come a tutti è noto, elemento essenziale della propria fede. È auspicabile che il riconoscimento di tale esigenza porti ad agevolare la concessione nei permessi di viaggi e contatti, soprattutto per i membri della gerarchia e per i responsabili di organismi ecclesiali. Contatti e viaggi analoghi sono anche auspicati da altre confessioni religiose.

Purtroppo, queste considerazioni non costituiscono un elenco esauriente di situazioni di mancato rispetto della libertà religiosa. La formulazione dell’esercizio di questo diritto, contenuto nei sopra citati documenti internazionali, non ammette certamente – neppure quando prevede qualche limite – tale stato di cose: e tanto meno li potrebbe legittimare. Occorre, pertanto, cambiarli radicalmente.

Nessuno pensi che si ha l’intenzione di entrare in campi o competenze che non ci spettano: infatti, il quadro globale dei dieci principi dell’Atto Finale, rettamente interpretati nella loro interdipendenza, ci dà titolo legittimo per trattare problemi concernenti persone e popoli di cui ci sentiamo solidali per motivi inderogabili.

Il nostro interesse e le attese riposte al riguardo in questa riunione non ci fanno dimenticare o  sottovalutare le condizioni particolari di ogni Paese partecipante, o le sue scelte politico-sociali. Ma nemmeno possiamo dimenticare o sottovalutare antiche, legittime tradizioni dei rispettivi popoli. Non possiamo, infatti, non rilevare che – riguardo all’esercizio della libertà religiosa – in più Paesi partecipanti c’è stata – in seguito ai cambiamenti socio-politici avutisi qualche decennio fa – una vera involuzione e che, di conseguenza, alcuni popoli – quindi, decine di milioni di uomini e di donne – si sono trovati nell’impossibilità di vivere secondo le proprie antiche tradizioni religiose. Purtroppo, si tratta di un fatto innegabile.

Il processo avviato a Helsinki contiene possibilità notevoli per uno sviluppo favorevole in materia di diritti dell’uomo e di libertà fondamentali e noi, che dobbiamo guardare al futuro, ne dobbiamo approfittare. Perciò la delegazione della Santa Sede si è preoccupata di analizzare le cause del mancato raggiungimento di risultati più incoraggianti dopo Helsinki e dopo Madrid: risultati, che avrebbero comportato l’avvicinamento – in alcuni Paesi – a situazioni più conformi alle tradizioni religiose dei loro popoli. Nel fare tale analisi, essa ha tenuto anche presente le situazioni concernenti altri diritti e libertà, dell’uno o dell’altro tipo, nell’uno e nell’altro Paese, che le singole delegazioni hanno sufficientemente illustrato, mostrando le carenze esistenti in più settori: per esempio, riguardo ai diritto alla vita (certa mente il più fondamentale in  vista dall’adempimento della vocazione storica di ogni uomo anche come membro di una comunità), dal quale derivano, fra l’altro, il rispetto dell’integrità fisica e psicologica, il diritto al lavoro ed i diritti del lavoratori, la libertà di movimento, la libertà di espressioni e di associazione, i diritti riguardanti l’abitazione e le necessità basiche per una vita degna, i diritti delle minoranze, ecc. ecc;

La questione è tanto più significativa in quanto i Paesi partecipanti hanno accolto nei loro testi costituzionali il riconoscimento e la garanzia di tali diritti e libertà, il cui contenuto concreto si trova illustrato nei noti documenti internazionali, che appartengono al patrimoni comune di tutti i nostri Paesi e dei nostri popoli. Ci sono, poi, le leggi e i regolamenti con cui ogni Stato, nell’esercizio dei propri diritti sovrani, stabilisce condizioni precise di attuazione delle norme costituzionali: leggi e regolamenti che, come le pratiche amministrative e locali che ne derivano, sono sempre perfettibili in vista della migliora attuazione degli impegni sanciti nelle norme costituzionali.

Dal dibattito avutosi nei giorni scorsi, è apparsa una divisione profonda tra i partecipanti circa il contenuto dei diritti e libertà fondamentali e circa l’azione che spetta ad ogni stato per assicurarne l’effettivo godimento. Purtroppo tale divisione deriva anche da concezioni socio-politiche diverse. La delegazione della Santa Sede auspica che si possa arrivare a formulazioni concrete intese a superare le divergenze esistenti, evitando di restare tenacemente attaccati ai propri punti di vista ed essendo disposti a riconoscere e accettare quanto di valido ci possa essere nella altre proposte.

a) Tuttavia, le espressioni di sorpresa circa la maniera come i diritti umani e le libertà fondamentali sono applicati negli altri Paesi non sono inutili. Esse permettono di precisare i punti sui quali occorre mettersi d’accordo e costituiscono anche un invito reciproco ad una riflessione o esame di coscienza sulle possibilità di perfezionamento che ogni stato può apportare alla propria maniera di assicurare l’effettivo esercizio e godimento dei suddetti diritti e libertà. Ogni Stato partecipante potrebbe così verificare se e in che modo la lettera e lo spirito dei documenti internazionali su ricordati, nonché dell’Atto Finale di Helsinki e del Documento conclusivo di Madrid, trovino conveniente applicazione nelle leggi e regolamenti, come nella pratica amministrativa, allo scopo di introdurvi le modifiche che appaiano necessarie. Qualora i risultati effettivi non dovessero soddisfare sufficientemente alle attese e ai desideri degli individui e dei gruppi sociali riguardo a determinati diritti e libertà, sarebbe da chiedersi se non debbano anche essere riesaminati i principi basilari a partire dal quali si sviluppa la logica dei diversi sistemi socio-politici.

b) Ma la nostra riunione può ancora promuovere altre possibilità per riavvicinare i nostri punti di vista e per trovare soluzione ad alcune delle situazioni gravemente carenti che sono state ricordate dalle varie delegazioni ed anche dalla nostra. Infatti, tutti professiamo sincera fede nell’uomo e nella sua dignità intrinseca: su una tale base comune, quasi certamente la tenuta di «tavole rotonde bilaterali» su questioni «inerenti ai diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», previste nel Documento conclusivo di Madrid, porterebbe ad una migliore conoscenza mutua e ad uno sviluppo favorevole del rispetto e dell’esercizio effettivo dei medesimi diritti e libertà. La nostra delegazione può dare atto, infatti, di risultati positivi raggiunti, nel campo dell’attuazione della libertà religiosa in seguito a contatti bilaterali avuti con alcuni Paesi.

L’esame franco e aperto dei problemi ha permesso una più precisa comprensione di tutta le loro componenti e la soluzione di alcuni di essi, anche se molti altri problemi rimangono purtroppo ancora irresoluti, soprattutto nei Paesi meno aperti a tali contatti. E’ pertanto auspicabile che la nostra riunione sottolinei l’utilità delle «Tavole rotonde», raccomandando forze che ogni Stato partecipanti accolga con favore l’invito rivoltogli in tale senso da un altro Stato partecipante, nel quadro concreto previsto dal Documento conclusivo di Madrid: ciò, «per le discussioni di questioni inerenti ai diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, conformemente ad un ordine del giorno concordato in uno spirito di rispetto reciproco, al fine di conseguire una maggiore comprensione e cooperazione in base alle disposizioni dell’atto finale».

c) Se quanto sopra vale per tutti i diritti e libertà, il Documento conclusivo di Madrid include due disposizioni concrete, la cui attuazione potrà portare ad un miglioramento nell’esercizio della libertà religiosa, nei Paesi in cui tale miglioramento pare necessario. Mi riferisco all’effettiva consultazione – da parte delle autorità statali – dei culti, delle istituzioni e delle organizzazioni religiose per la sistemazione delle questioni che te riguardano e alla considerazione favorevole – da parte delle medesime autorità – delle richieste di comunità religiose di credenti, cattoliche e non cattoliche, per la concessione dello «status» prevista nei singoli Stati per i culti, istituzioni e organizzazioni religiosa. Ciò facendo, come pure accogliendo con favore altre eventuali proposte relative ad aspetti concreti dell’esercizio della libertà religiosa, gli Stati partecipanti adempirebbero l’impegno assunto a Madrid di «intraprendere azioni necessarie a garantire la libertà dell’individuo dì professare e praticare, solo o in comune con altri, una religione o un credo agendo secondo i dettami della propria coscienza».

Tutto ciò risponderebbe, a parere della nostra delegazione, alle esigenze di attuazione dal Documento conclusivo di Madrid in materia di diritti dell’uomo e libertà fondamentali, in quanto esso prevede «l’ulteriore e continuo sviluppo in questo campo in tutti gli Stati partecipanti indipendentemente dai loro sistemi politici, economici e sociali», nonché «la loro determinazione di sviluppare le loro leggi e regolamenti» nel campo di ogni tipo di diritti per «assicurare un progresso costante e tangibile» e «garantire l’esercizio effettivo di tali diritti e libertà».

Non si deve, poi, dimenticare  che l’Atto Finale di Helsinki ed i suoi sviluppi successivi sono stati resi possibili da una situazione di rapporti tra gli Stati e tra i popoli – che si cerca peraltro di consolidare – ben diversa da quella in cui, nel passato, certe normative inferiori furono promulgate a talune prassi amministrative vennero a formarsi.

Se la nostra Riunione di Ottawa riuscirà a promuovere risultati concreti nel quadro dei suggerimenti su esposti, non c’è dubbio che in una prossima riunione della CSCE – a Vienna, e auspicabilmente in un’altra riunione analoga alla presente – il bilancio generale riguardo al rispetto ed obiettivo esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà religiosa, sarà più favorevole.

La delegazione della Santa Sede formula l’auspicio che, in vista di tale obiettivo, si raccolga il consenso necessario attorno alle proposte che verranno presentate e a che, di conseguenza, i nostri lavori abbiano positivi risultati. Essa è pertanto pronta ad appoggiare gli sforzi diretti in tale senso e le proposte che cerchino di avallare tali risultati.



*L'Osservatore Romano 22.5.1985 p.2.

 

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