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SEMINARIO DELLA CSCE SULLE MIGRAZIONI,
COMPRESI RIFUGIATI E PROFUGHI

INTERVENTO DEL REV. PADRE LORETO DE PAOLIS, C.S.*

Varsavia - Venerdì 23 aprile 1993



Sono convinto che al termine di questi 4 giorni di intenso confronto di idee e di esperienze ciascuno di noi si senta più preparato ed animato a riprendere il suo cammino di servizio ai migranti e rifugiati.

Questa accresciuta preparazione e sensibilità misura anche il risultato di questo seminario. Un risultato tanto più autentico quanto più facilmente riconducibile nel solco della dimensione umana da cui il seminario ha preso le mosse e l’ispirazione.

Anche se difende il diritto ad emigrare, la Santa Sede è ben lontana dall’incoraggiarne l’esercizio. Le migrazioni sono sempre un male, anche se, in determinate circostanze, possono essere considerate un male minore.

Le migrazioni presentano sempre un conto molto alto; a pagarne il prezzo più elevato sono sempre i protagonisti di tale avventura, i migranti stessi. Ma non sarebbe né possibile né umano lasciarne a loro tutto il peso. Lo scrittore Max Fisch, riferendosi agli ineludibili problemi che i migranti pongono alla società di accoglienza, disse: abbiamo cercato braccia da lavoro e invece sono arrivati degli uomini.

L’emigrato si muove per motivi economici e viene accettato dalle società in questa prospettiva. Ma è una situazione riduttiva del fenomeno che ignora la dimensione umana del lavoro. Passato il tempo dell’emergenza, il migrante presenterà le sue istanze irrinunciabili, quali l’unità familiare, il rispetto della sua identità culturale e la partecipazione alla vita sociale e politica. Si tratta di diritti che hanno delle modalità specifiche che incidono sulla struttura della società nella quale egli vive e lavora. E tale incidenza sarà tanto più vasta e profonda quanto più esplicito sarà il riconoscimento di tali diritti e lo spazio di accoglienza loro riservato.

Questo, d’altronde, non può essere considerato una gratuita concessione, ma un dovere implicito nell’accettazione del migrante che con il lavoro esprime anche diritti e attese. E questa può essere considerata la parte di prezzo che nella dolorosa vicenda delle migrazioni incombe sulla società di accoglienza.

Oggi il fenomeno delle migrazioni si esprime in forme molteplici e in proporzioni molto vaste, perché si sono moltiplicate le cause che lo determinano. Mentre si riduce ovunque il numero dei profughi prodotti dalle cause prese in considerazione dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e 1967, crescono le masse di coloro che, pur spinte a lasciare il proprio paese da motivi diversi, sono tuttavia bisognose di protezione internazionale. Alla ricerca delle vie per assicurare protezione a tali persone questo seminario ha dedicato molto spazio. L’attenzione con cui sono stati accolti i suggerimenti emersi fanno ben sperare sulla prospettiva di una soluzione valida. La convenzione di Ginevra, del 1951 ha svolto una funzione molto importante. Ma quando fu varata nessuno poteva pretendere che essa potesse fare fronte a tutte le vicende con cui la storia continua a sorprenderci nel bene come nel male. A situazioni nuove bisogna rispondere con strumenti nuovi. Parallelamente alla Convenzione di Ginevra, che potrà continuare a svolgere la sua fruttuosa funzione, si potrà adottare un altro strumento giuridico adeguato alla situazione presente. Se così hanno fatto i Paesi dell’America Latina e quelli dell’Africa, non si vede perché non possano fare anche quelle della CSCE.

Nel programma di difesa della dignità della persona umana, le migrazioni e il movimento dei rifugiati costituiscono un campo di grande rilievo. La Santa Sede vi vede un fatto di fraternità universale, perfettamente congeniale alla sua fisionomia sovranazionale.

È per questo che vi è entrata quasi d’istinto e continua a coglierne tutte le variazioni per adeguarvi le sue forme di intervento.

Essa si sente in dovere di farsi portavoce di queste categorie di persone presso la società, i governi e le istituzioni internazionali, ma soprattutto presso i fedeli al fine di spingerli alla solidarietà.

La solidarietà, per essere vera, deve diventare esperienza quotidiana di assistenza, di condivisione e di partecipazione; deve coinvolgere non solo le istituzioni ma anche le famiglie e le singole persone. Un’esigenza, questa, che trova ampio riscontro in molti paesi, specie dell’Europa Centrale, dove, in mancanza di adeguate strutture pubbliche, buona parte dei rifugiati, ha trovato ospitalità ed assistenza presso le famiglie.

Come è facile immaginare, l’impegno delle singole persone e famiglie è ispirato e coordinato da istituzioni per le quali la solidarietà costituisce una dimensione essenziale e irrinunciabile. E il ruolo di queste istituzioni non può essere ignorato soprattutto quando si tratta di prendere decisioni politiche o di formulare norme giuridiche, per il contributo che esse possono dare per la salvaguardia della dimensione umana del problema.

Per finire, ricordo che il punto a cui deve mirare ogni impegno nel campo delle migrazioni e dei rifugiati è quello di liberare l’uomo dalla necessità, per restituirgli il diritto di scegliere se lasciare o rimanere nel proprio paese.

Per arrivare a tanto è necessario agire sulle cause delle migrazioni involontarie. E cosi il cammino incontro al migrante e al rifugiato ci porta al suo paese di origine per influire sulle cause della guerra che vi infuria o del sottosviluppo che degrada uomini e cose.

Ma tale proposito è autentico nella misura in cui è accompagnato dalla concreta solidarietà ed accoglienza di chi, a causa del pericolo incombente o del bisogno, si trova in difficoltà.




 

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