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SEMINARIO DELLA CSCE SUI LAVORATORI MIGRANTI

INTERVENTO DEL REV. PADRE LORETO DE PAOLIS, C.S.*

Varsavia - Giovedì, 24 marzo 1994





È con sentimento di sincera gratitudine verso S. E. l’Ambasciatore Cortese che prendo la parola a conclusione di questo incontro sulle migrazioni. Gratitudine per l’iniziativa ripetuta nello spazio di meno di un anno e per l’efficacia con cui è stata organizzata.

Quelle, sui cui problemi noi abbiamo riflettuto in questi giorni, sono migrazioni stabili, chiaramente orientate a installarsi definitivamente nella società di accoglienza. È una migrazione costituita da nuclei familiari.

La famiglia costituisce la grande preoccupazione dell’immigrato. È per il suo sostentamento e per una prospettiva di vita migliore di quella che è toccata in sorte a lui che egli intraprende il duro cammino della emigrazione. Ma nello stesso tempo la famiglia è la vittima più esposta alle ripercussioni più immediate delle condizioni negative del fenomeno migratorio. Per questo la stessa famiglia deve richiamare l’attenzione di quanti, a diverso titolo, si preoccupano di promuovere l’autentico bene dei migranti. Vale la pena ricordarlo in una circostanza significativa come questa, mentre è in corso la celebrazione dell’Anno Internazionale della Famiglia indetto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.

È un dato certamente positivo il fatto che la maggioranza dei Paesi riconosca all’immigrato il diritto di farsi raggiungere e convivere con la propria famiglia e che molte Istituzioni Internazionali insistano nel ribadirne l’importanza. Ma, come è pure stato ricordato negli incontri di questi giorni, il riconoscimento di tale diritto trova spesso ostacoli di vario genere che ne ritardano, e, talora, ne impediscono l’effettivo godimento.

È importante che l’autorità pubblica, tenendo conto delle loro particolari esigenze, non faccia mancare alle famiglie degli immigrati, quanto ordinariamente essa assicura alle famiglie dei propri cittadini. In particolare è suo compito difendere le famiglie degli immigrati da ogni tentativo di emarginazione e razzismo, promuovendo una cultura di convinta ed operosa solidarietà. In questa linea di azione vanno anche adottate concrete misure di accoglienza, insieme a quei servizi sociali atti a favorire anche per loro un' esistenza serena ed uno sviluppo rispettoso della dignità umana.

È soprattutto importante creare un clima di civile ed umana convivenza. Prima ancora che degli aiuti materiali, gli immigrati hanno bisogno di comprensione fraterna e fattiva, e spazi sociali in cui le loro fatiche possano esprimersi in una prospettiva di sicurezza. Essere a servizio degli immigrati esige che ci si sintonizzi con la loro naturale e legittima ansia di riscatto, sostenendone l’aspirazione a nuove e migliori opportunità di vita per sé e per i loro figli. Essi attendono di essere accolti come persone e non come strumenti di produzione o, peggio, di essere considerati come un peso fastidioso del quale non si vede l’ora e il modo di liberarsi.

In questa prospettiva vanno affrontati i problemi diversamente connessi con il fenomeno migratorio, in particolare quelli della casa, del lavoro, della sicurezza oltre che della diversità di lingua, di cultura e di educazione.

Integrarsi nella comunità di accoglienza è per i migranti un processo naturale e senza dubbio anche auspicabile; prudenza vuole tuttavia che non se ne forzino i tempi. L’azione specifica ad essi riservata, mentre non può ignorare il rispetto dovuto alla loro diversa identità culturale e al loro patrimonio spirituale, deve anche garantire il legittimo collegamento con il paese d’origine nella fase del graduale inserimento sociale.

Anche l’educazione dei figli rimane nel contesto dell’emigrazione un punto di fondamentale importanza per una sana impostazione della vita familiare. Sarebbe utile anche aiutare gli immigrati a non lasciarsi assorbire eccessivamente dalle attività lavorative a discapito dell’educazione dei figli e della cura di quei valori dai quali dipendono la vera pace e felicità della famiglia, di quei valori cioè per i quali essi hanno trovato il coraggio di andare all’estero.

La carta CSCE di Parigi riconosce che "i diritti dell’uomo sono diritti innati di ogni essere umano, sono inalienabili e garantiti dalla legge". La stessa legge, disciplinando i flussi migratori, determina quali migranti sono legali e quali illegali. Noi ovviamente abbiamo limitata la nostra attenzione solo ai primi. Forse pero non è fuori luogo ricordare che tra i secondi vanno moltiplicandosi situazioni che rientrano nell’ambito della dimensione autenticamente umana. Alludo per esempio alla precarietà del diritto alla assistenza sanitaria e scolastica dei bambini e alle cure mediche delle donne in maternità.

Le migrazioni presentano sempre un duplice volto: quello della diversità e quello della universalità. Il primo è quello del confronto di uomini e gruppi di popoli differenti, con le inevitabili tensioni, latenti rifiuti e polemiche aperte; il secondo è quello dell’incontro armonico di gente diverse che si ritrovano nel comune patrimonio di umanità e di fraternità, e si arricchiscono attraverso la messa in comune di molteplici culture.

Sotto il primo profilo le migrazioni accentuano le divisione della società presso cui arrivano; sotto il secondo profilo contribuiscono in modo incisivo all’unità della famiglia umana ed al benessere universale.

E in questi giorni di riflessione si sono alternati momenti dell’uno e dell’altro aspetto. Abbiamo però sperimentato come le istituzioni, quali la CSCE possano contribuire ad esorcizzare le forze nefaste dell’aspetto negativo del contrasto e sviluppare le energie positive.

Il grave e diffuso fenomeno della disoccupazione acuisce le difficoltà di comprensione. Queste però non possono indurre a cambiare l’atteggiamento nei confronti delle migrazioni che deve rimanere positivo, perché, come afferma la Santa Sede rimane sempre vero che le migrazioni, favorendo la reciproca conoscenza e l’universale collaborazione, attestano e perfezionano l’unità della famiglia umana e confermano chiaramente quel rapporto di fraternità tra i popoli per cui una parte dà e riceve simultaneamente dall’altra. Parole, queste, che non enunciano però semplicemente un principio di logica sociale ma molto di più: un missione da assolvere o una meta da perseguire.

Infatti l’incontro dei popoli di altra cultura, di mentalità profondamente diversa, abituati ad atteggiamenti differenti di fronte alla vita e alle sue vicende, non avviene solo a livello di tecnologia, né di semplice vicinanza sul lavoro, per quanto fraterna; l’incontro autentico e più vero avviene nel profondo, nelle radici della persona, in ciò che essa è e non in ciò che essa fa o produce. L’inculturazione è il risultato lento e progressivo di un confronto di culture. L’ascolto attento e paziente di culture diverse, la capacità di intuire le potenzialità per poter camminare insieme, la qualità rara di affiancarsi nel cammino senza imporsi, senza sovrapporsi, sono tutti doni di Dio che solo una ricerca dell’essenziale può farci trovare.


 

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