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L'OMELIA DEL CARDINALE LEGATO PONTIFICIO 
ANGELO SODANO DURANTE LA SOLENNE 
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA RIAPERTURA 
AL CULTO DELLA BASILICA SUPERIORE 
DI SAN FRANCESCO IN ASSISI

Domenica, 28 novembre 1999



Signor Presidente della Repubblica,
Signor Cardinale,
Eccellenze Reverendissime,
Distinte Autorità,
Reverendi Padri Francescani Conventuali
Fratelli e Sorelle nel Signore!

1. "Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina". Questo comando del Crocifisso al Poverello d'Assisi risuona quest'oggi tra noi con particolare eloquenza, mentre viene riaperta al culto questa antica ed illustre Basilica. Racconta san Bonaventura nella Legenda maior che frate Francesco dapprima intese le parole alla lettera. Tornato in sé, gli fu fatto comprendere dallo Spirito che quella divina ispirazione si riferiva principalmente alla Chiesa che Cristo acquistò col suo sangue ed egli la riferì secondo tale significato ai suoi frati (cfr Fonti Francescane 1038).

L'episodio, da tutti conosciuto, trova analogia nel racconto della visione di Innocenzo III (cfr FF 1064) raffigurato da Giotto sulle pareti di questa insigne Basilica Superiore. Non si trattava di una costruzione materiale, bensì del mistico edificio della Chiesa di Cristo.

"Francesco, va' e ripara la mia casa...". Queste parole trovano eco nel nostro spirito, mentre, riuniti a celebrare l'Eucaristia in questo sacro luogo, eleviamo al Signore un profondo rendimento di grazie, vedendo questo tempio riparato e gremito di fedeli. Iddio è stato vostro sostegno, fratelli e sorelle nel Signore, durante la terribile prova del terremoto, abbattutosi su Assisi, sull'Umbria e su parte delle Marche, due anni e due mesi orsono, e, grazie all'apporto di tutti, si è rinnovato il prodigio di una rapida ricostruzione della una casa.

In effetti, da quel tragico 26 settembre 1997, quando a due riprese il terremoto ha seminato morte e distruzione in queste terre, si è sprigionato in Italia e nel mondo un vasto sentimento di concreta solidarietà, anch'esso da considerarsi tra i frutti più belli del comune sforzo per restituire all'umanità questa Basilica, scrigno di arte, luogo di preghiera, tenda d'incontro di quanti amano Dio, l'uomo, la pace, il creato, nel nome e sotto la protezione di san Francesco d'Assisi.

2. La presente circostanza è, pertanto, ricca di gioia e di speranza. Ancor più carica di letizia perché il Santo Padre è tra noi spiritualmente presente. Egli, con gesto di singolare predilezione, ha voluto inviarmi come Suo Legato a presiedere la solenne liturgia di consacrazione dell'altare papale e della riapertura al culto di questa veneranda Basilica. A Lui inviamo insieme un deferente e riconoscente pensiero. Da Lui accogliamo l'invito a perseverare coraggiosamente nell'ardua opera della ricostruzione esteriore e soprattutto interiore, ben coscienti che le ferite più difficili da rimarginare sono quelle che il sisma ha lasciato nel cuore di chi questo tragico evento ha vissuto in modo diretto.

In questo momento, rivolgiamo un commosso pensiero alle vittime del terremoto ed in particolare a quelle causate dai crolli interni della Basilica, a seguito della seconda e violenta scossa tellurica. Preghiamo per i due tecnici della Sovrintendenza umbra, Bruno Brunacci e Claudio Bugiantella, e per i due frati, P. Angelo Api e Zdzislaw Borowiec, che qui hanno perso la vita. Volgiamo poi il nostro fraterno pensiero a quanti portano ancora nelle loro persone e nelle loro famiglie i segni di quella terribile prova.

Rivolgo ora un deferente pensiero al Signor Presidente della Repubblica e lo ringrazio per la sua gradita presenza. Saluto le Autorità, di ogni ordine e grado, e le ringrazio per avere favorito il complesso meccanismo che ha coinvolto tecnici, scienziati, esperti e maestranze, energie e risorse, così da giungere, alla vigilia del Grande Giubileo, alla riapertura di questo sacro Tempio. Il sentimento di gratitudine si estende ai cittadini di Assisi; ai fedeli che da ogni parte del mondo si sono attivati per far giungere il loro sostegno; ai cari Frati Minori Conventuali che non hanno mai voluto abbandonare il sacro luogo, patrimonio della spiritualità e dell'arte, che appartiene all'intera umanità. La nostra orazione si eleva fiduciosa verso il Cielo, affinché il Signore doni a quanti ancora sopportano le conseguenze del sisma conforto e consolazione. Ed a noi la tenacia di proseguire l'opera iniziata.

3. Ci apprestiamo a celebrare il Sacrificio eucaristico su un altare nuovo e viene spontaneo alla mente il richiamo al mistero di salvezza che su esso si compie. Nella dedicazione solenne del nuovo altare, la liturgia esorta i fedeli a porre in evidenza questa consolante realtà.

Già nell'Antico Testamento l'altare era venerato come il luogo fisico della mistica e reale presenza della maestà e della misericordia di Dio. Giacobbe, dopo avere ricevuto in sogno da Dio stesso la benedizione e la promessa della discendenza, eresse in Betel una stele e versò olio sulla sua sommità, poiché là era la casa del Signore degli eserciti, la porta del cielo (cfr Gn 28, 17-18).

La visione avuta da Giacobbe ben ci indica il significato del tempio:  Giacobbe vide una scala che andava dalla terra al cielo, una scala sulla quale Dio scendeva verso l'uomo e l'uomo poteva salire verso Dio. Una "anábasis" di Dio verso l'uomo e una "katábasis" dell'uomo verso Dio. Era una visione che già prefigurava il profondo senso del mistero cristiano, e cioè della venuta di Dio in mezzo a noi. Anzi è una visione che già faceva prevedere l'aspetto tipico del cristianesimo, che lo distingue da tutte le altre religioni, e cioè il fatto di Dio che si fa uomo, venendo ad abitare in mezzo a noi.

4. Fratelli e Sorelle! Nel momento in cui, come Comunità, ci apprestiamo a compiere il divino Sacrificio della Messa, dobbiamo anche tenere presenti le parole di Cristo:  "Se presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt 5, 23-24).

Solo persone riconciliate con i fratelli possono accedere con umile fiducia all'altare del Signore ed incontrare il Dio del perdono e dell'amore, della gioia e della pace. La casa di Dio diventa così anche la casa dell'uomo. La "domus Dei" è, in tal modo anche la "domus hominis". Non si può infatti onorare Dio senza onorare l'uomo. Non si può amare il Padre senza amare i suoi figli. La Parola di Cristo nel Vangelo è di perenne attualità.

Sulla porta di ogni tempio si potrebbe scrivere quello che ho letto una volta in una chiesetta di campagna:  "Qui si entra per amare Dio, di qui si esce per amare gli uomini".

5. In ogni chiesa vi è poi un centro; è l'altare del sacrificio eucaristico. A questo riguardo, San Francesco di Assisi, le cui spoglie mortali sono qui custodite, esclamava pieno di fede:  "Ecco, [il Figlio di Dio] ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani del sacerdote" (FF 144).

Su quest'ara vengono perciò a celebrarsi la pace e l'alleanza tra Dio e l'uomo, tra la terra e il cielo; vengono a manifestarsi la misericordia e l'amore che legano Dio ai suoi figli; si compie visibilmente la fraternità che deve vincolare quanti nella fede sono fratelli, perché figli dell'unico Padre celeste. In questo spazio di comunione la Chiesa risplende come casa di tutti, poiché per tutti essa prega, per tutti rinnova il sacrificio della Croce. Su quest'altare si celebra la Vita che non muore e agli uomini di ogni tempo viene donato il cibo dell'immortalità che è "pane dei pellegrini, vero pane dei figli" (Sequenza del Corpus Domini). È Cristo questo pane vivo disceso dal Cielo e soltanto lui può colmare le attese più profonde del  cuore  umano  e  lenirne  le  sofferenze e le ferite; solo lui è risposta agli interrogativi profondi d'ogni essere umano.

6. Fratelli e Sorelle nel Signore! La cerimonia odierna si svolge nella prima domenica di Avvento, tempo liturgico di intensa preghiera. Con grande confidenza ci rivolgiamo verso Iddio consapevoli, come ricorda il profeta Isaia nella prima lettura, che siamo "argilla" e quindi fragili. Ma ci conforta la consapevolezza che è proprio lui a darci forma perché tutti noi siamo opera delle sua mani.

Con tali sentimenti, entriamo nell'ultimo Avvento del millennio che ci condurrà a varcare la porta santa del Grande Giubileo dell'Anno 2000. L'Apostolo, nella seconda lettura, ci incoraggia a perseverare, aspettando la manifestazione del Signore nostro Gesù. E Cristo stesso, nel brano evangelico poc'anzi proclamato, chiede ai discepoli di stare attenti, di vegliare. "Quello che dico a voi - precisa il divin Maestro - io dico a tutti:  vegliate!" (Mc 13, 37). Sentiamo rivolte a noi queste parole, nel corso della presente celebrazione liturgica che richiama la precarietà dell'esistenza, ma al tempo stesso pone in evidenza la certezza della presenza divina.

Riascoltiamo la voce della Chiesa che, con la sua invocazione, scandisce l'autentica speranza dell'uomo:  "Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum; aperiatur terra et germinet Salvatorem" (Is 45, 8). Da questo luogo insigne si leva verso il cielo la nostra implorante invocazione:  "Fa splendere il tuo volto e salvaci, Signore!". Sentiamo unirsi a noi le voci dei tanti fratelli e sorelle della tradizione francescana, che ha dato vita a questa Basilica:  da san Francesco, a santa Chiara, a san Bonaventura, a sant'Antonio da Padova, a san Bernardino da Siena ed a tanti altri lungo secoli segnati da abbondanti frutti di santità, sino a san Massimiliano Kolbe ed al beato Pio da Pietrelcina. Sono nostri fratelli e sorelle che hanno saputo attendere la venuta del Salvatore e, incontratolo, si sono rivestiti di lui. Così hanno edificato la Chiesa sul fondamento che è Cristo, unica e universale via che porta a Dio.

Ci aiutino con il loro esempio e la loro preghiera a diventare testimoni generosi del Vangelo e "irreprensibili nel giorno del Signore" (1 Cor 8). In modo speciale, ci sostenga con la sua potente intercessione Maria, la Vergine fedele, che ha generosamente accolto l'invito di Dio a diventare un Tempio splendido per l'incontro tra Lui e l'umanità. Amen!

 

 

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