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INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO JEAN-LOUIS TAURAN
ALLA VI ASSEMBLEA GENERALE DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA

Venerdì, 11 febbraio 2000


Ripercorrendo l'evolversi del dibattito nelle sedi internazionali in questi ultimi cinque anni, appare quanto l'Evangelium vitae (1) sia stata attuale. L'Enciclica presentava autorevolmente la posizione della Chiesa su una serie di attentati alla vita umana, specie al suo inizio ed al suo termine, che assumono un carattere nuovo in quanto aspirano a essere riconosciuti come diritti (2). E in effetti, negli anni seguenti, i momenti fondamentali della vita umana, come pure la sua trasmissione, sono stati presenti come forse mai prima non solo nella ricerca scientifica, ma anche nella formulazione delle politiche e nella produzione di strumenti giuridici internazionali.

Per avere un quadro adeguato, si deve premettere una distinzione fondamentale. Da una parte, vi sono le linee di tendenza emerse nelle Conferenze globali organizzate dalle N.U., che sono piuttosto di natura "politica", e però informano l'azione degli organismi internazionali del sistema delle N.U. Dall'altra parte, c'è il livello normativo, proprio delle convenzioni, le quali obbligano gli Stati, spesso limitandosi a singole questioni.

La difesa della vita alle Conferenze globali (Il Cairo e Beijing)

Dopo la caduta della contrapposizione ideologica tra i blocchi, pareva possibile, all'inizio degli anni '90, elaborare un consenso mondiale sui principali problemi dell'umanità. Si ebbe cosi una serie di Conferenze globali organizzate dalle N.U., le quali - è giusto darne atto - hanno contribuito a mettere a fuoco le necessità e le prospettive dell'umanità e a definire in modo più equilibrato lo sviluppo, che non è solo economico, ma sostenibile, umano e sociale ["Place people at the centre of development and direct our economies to meet human needs more effectively" (3)]. Per quanto riguarda la difesa della vita umana, il clima culturale era allora segnato da due elementi:  innanzitutto, da previsioni apocalittiche di una crescita demografica superiore alle risorse del pianeta, e, in secondo luogo, da una ideologia di femminismo radicale che reclamava la possibilità, per la donna, a disporre in modo totale del proprio corpo, ivi compreso un figlio non ancora generato.

In questo contesto, l'International Conference on Population and Development, al Cairo (5-13 settembre 1994), pose l'accento non sullo sviluppo, bensì sul controllo della popolazione, e vide una forte spinta a porre al centro la "salute riproduttiva delle donne" (4). Cosi, l'aborto venne considerato come una dimensione della politica demografica e come un servizio sanitario ("reproductive health service"). D'altra parte, però, nonostante forti pressioni, anche per l'impegno deciso della Delegazione della Santa Sede, fu riaffermato il principio ottenuto a Città del Messico nel 1984 e cioè che in nessun caso l'aborto potesse essere considerato un mezzo di pianificazione familiare (5), e non fu proclamato il cosiddetto "diritto all'aborto". Questi punti furono mantenuti anche un anno dopo, alla Fourth World Conference on Women (Beijing, 4-15 settembre 1995), dove le pressioni già attive al Cairo tornarono ancora più forti, diffondendo nei documenti finali il linguaggio su cui la Santa Sede aveva posto nel 1994 le proprie serie riserve. Una valutazione equilibrata di questi grandi incontri internazionali deve tener comunque presente che altre conclusioni - come quelle del Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale di Copenaghen, nel 1995, o del Vertice Mondiale sulla Sicurezza Alimentare a Roma, nel 1996 - sono risultate, specie sui temi sociali, decisamente più vicine alle posizioni della Santa Sede. Le tendenze presenti al Cairo ed a Beijing sono riaffiorate al momento in cui le N.U. hanno voluto dare una valutazione, a distanza di cinque anni, dell'attuazione del Programma d'Azione del Cairo. Si voleva introdurre la nuova espressione equivoca "contraccezione d'emergenza" (emergency contraception) che copre la realtà di un aborto precoce, indotto con pillole. La Santa Sede, con l'appoggio dell'Argentina, del Nicaragua e di alcuni altri Paesi riuscì a non far approvare questa espressione (6). La Santa Sede, inoltre ha denunciato la tendenza ad accettare un esercizio della sessualità fuori dal matrimonio, anche per gli adolescenti, e a considerare l'aborto come una dimensione delle politiche demografiche e come un metodo di scelta (7).

Anche in vista dell'azione nella società in difesa della vita umana, ci chiediamo:  qual è il peso delle conclusioni di questi incontri mondiali? Ricordiamo che esse non sono testi normativi per gli Stati, ma stabiliscono, per consenso, principi generali che hanno soltanto valore orientativo ("soft law"). Questi principi sono intesi a creare o confermare tendenze, che influenzano poi le decisioni politiche dei singoli Paesi. Inoltre, questi principi possono divenire condizioni per gli aiuti multilaterali o anche bilaterali ai Paesi poveri.

È da notare però che si è di fronte a tendenze che non si decidono su di un solo termine o un solo paragrafo; mentre in sede di verifica "Cairo + 5" l'espressione "emergency contraception" non era approvata, negli stessi giorni la pillola abortiva RU486 veniva liberalizzata, con il nome di Mifegyne, in alcuni Stati europei (8). E questo grave fatto può essere visto nella linea dell'altra affermazione del Programma di Azione della Conferenza del Cairo "nei casi in cui l'aborto non è proibito dalla legge, esso dovrebbe essere praticato in condizioni di sicurezza" (n. 8.25) (9). Come sapete, la "pillola del giorno dopo" è distribuita, da parecchie settimane, nelle scuole in Francia e, in via sperimentale, nelle farmacie di Londra.

È da rilevare che le motivazioni addotte per sostenere queste tendenze sono andate mutando. All'inizio - ad es. prima e durante la Conferenza del Cairo - si agitava lo spettro di una crescita incontrollata della popolazione, ma questo timore è stato smentito:  mentre le proiezioni demografiche vengono riviste al ribasso, i documenti internazionali associano ora al tema della crescita demografica quello dell'"invecchiamento della popolazione". Ultimamente, si è affermato il cosiddetto "human rights approach":  tutte queste tematiche vengono cioè viste in termini di diritti umani. Spesso, si fa anche appello alla libertà individuale di disporre del proprio corpo, in particolare per gli adolescenti.

Linee d'azione dei Comitati delle Convenzioni e
delle Agenzie del sistema delle Nazioni Unite

Le conclusioni delle Conferenze globali hanno anche un secondo effetto. Esse costituiscono un orientamento per i Comitati delle Convenzioni e una direttiva per l'azione politica delle agenzie e degli organismi internazionali, in particolare quelli del sistema delle Nazioni Unite, ma anche di altri (10).

Così, il CEDAW, Comitato della Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne del 1979, che afferma i diritti delle donne in materia di pianificazione familiare (11), ha emesso, nel febbraio 1999, una Raccomandazione generale (12), in cui si auspica che le leggi che condannano l'aborto come un crimine, vengano emendate nel senso di togliere le sanzioni a carico delle donne (13); inoltre, si afferma che uno Stato è tenuto a fornire i servizi di salute riproduttiva anche nel caso in cui i sanitari opponessero obiezione di coscienza (14).

Possiamo dire, poi, che tutto il lavoro per lo sviluppo delle NU porta ora il marchio del Cairo e di Pechino, e le linee operative dei piani d'azione di quelle Conferenze vengono proposte nelle consulenze, nei contratti di collaborazione e nelle varie forme di assistenza sia ai Governi che alle istituzioni non statali:  non dobbiamo meravigliarci se vengono proposte, ad es., anche ad Università, case di cura o Diocesi cattoliche:  in tal caso, occorre valutare bene sia gli impegni che si assumono, sia l'impatto che l'eventuale intesa con tale agenzia internazionale avrebbe nel contesto locale.

Sul piano delle Dichiarazioni generali, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha cercato, almeno fino al 1998, di lasciare spazio alle opinioni contrarie ai concetti di "salute riproduttiva" e "diritti riproduttivi". Ciò ha permesso alla Santa Sede di far valere la propria voce, cosi che, ad es., il documento con cui l'OMS (15) recepì le conclusioni della Conferenza del Cairo ha evitato alcuni dei punti più conflittuali di quel Rapporto; inoltre, il Comitato di etica sulla clonazione umana e sulla ricerca medica ha raggiunto conclusioni relativamente accettabili. Per quanto riguarda le politiche concrete in campo sanitario, è da tener presente che l'Organizzazione Mondiale della Sanità assiste gli Stati nel formulare programmi sanitari nel quadro del consenso mondiale. Molti programmi, poi, sono finanziati da alcuni Stati nonché da fondazioni private. Così, accanto a molti programmi perfettamente condivisibili, vi era e vi è il Programma di ricerca sulla riproduzione umana, che mira a sviluppare la tecnologia della contraccezione e dell'aborto chimico.

È da rilevare però che l'attuale direzione dell'OMS, iniziata nel 1998, ha preso una posizione molto più decisa in favore del controllo delle nascite e della salute riproduttiva. Il livello dichiarativo si è allineato all'orientamento pratico, purtroppo in un senso che la Santa Sede non può condividere. Allo stesso tempo, la necessaria ristrutturazione ha eliminato i settori più in dissenso con la nuova direzione (che erano anche quelli più in sintonia con la sensibilità dell'Evangelium vitae):  tra l'altro, è stata congelata, e forse di fatto cancellata, la creazione di un comitato etico. Cospicui sono, inoltre, i fondi destinati alla ricerca nel campo della cosiddetta "reproductive health" (16).

Fra gli altri organismi, possiamo ricordare, come particolarmente significativi, UNICEF e UNHCR. Il primo ha iniziato da tempo programmi contraccettivi e di educazione sessuale; come noto, la Santa Sede ha sospeso il proprio contributo simbolico all'UNICEF, di fronte al rifiuto di quest'ultimo di garantire che esso non sarebbe andato a programmi contrari ai principi cattolici.

L'Alto Commissariato delle N.U. per i Rifugiati provvede alla sopravvivenza di 22,3 milioni di profughi e sfollati ("refugees, displaced persons and returnees") in tutto il mondo. Nel novembre 1996, l'UNHCR annunciava di associarsi all'UNFPA per offrire "emergency reproductive health services" che includono la cosiddetta "contraccezione post-coitale" o di emergenza e l'assistenza per "incomplete abortions" nei campi di rifugiati nella guerra civile in Rwanda. Anche la Federazione Internazionale della Croce Rossa e le "Red Crescent Societies" hanno accettato di seguire questo progetto. L'UNHCR ha pubblicato anche il famoso "Iteragency Field Manual" in cui si sottolinea l'educazione sessuale da dare agli adolescenti come pure i "reproductive services". Un esempio recente di queste politiche nei confronti dei profughi è stato l'invio, annunciato dall'UNFPA durante la recente crisi del Kosovo, di "emergency reproductive health kits" per 350.000 persone.

Per quanto riguarda i rapporti tra le agenzie internazionali, si passa sempre di più da forme di partenariato per una collaborazione su programmi specifici a tipi di alleanze strategiche dove la leadership tecnica di alcune organizzazioni tende a perdere terreno a beneficio delle potenti agenzie politicamente ed economicamente presenti sul territorio. L'ONUSIDA, il programma delle Nazioni Unite di lotta contro l'AIDS, è emblematico su come questo tipo di collaborazione tra le organizzazioni e le agenzie delle Nazioni Unite finisce per svalutare la funzione tecnica di alcune agenzie e favorire "lobbies" di varia natura.

Normative internazionali riguardo ai temi dell'Enciclica

Vogliamo ora passare agli strumenti giuridici normativi che, a livello internazionale, regolano i momenti delicati dell'inizio, della fine e della trasmissione della vita umana. E, mentre prima abbiamo colto delle tendenze, ora conviene esaminare i singoli temi, tenendo presente anche il sorgere di questioni nuove.

Diritto alla vita e aborto (17)

È importante ricordare innanzi tutto che gli strumenti giuridici internazionali proclamano solennemente il diritto fondamentale alla vita (18). È da avvertire però, che, sin dai primi dibattiti nelle sedi internazionali dopo la Seconda Guerra Mondiale, le richieste, anche numerose e forti, di definire questo diritto nel senso di una interdizione dell'aborto si scontrarono con la resistenza di Paesi anche di tradizione protestante (19).

A livello degli strumenti giuridici delle N.U., l'affermazione più forte del diritto alla vita anche del bimbo non nato è contenuta nella Dichiarazione e nella Convenzione sui Diritti del Bambino (20). Il Principio 4 della Dichiarazione, ripreso nel Preambolo della Convenzione, afferma che il bambino ha bisogno di una "appropriata protezione legale, sia prima sia dopo la nascita". Ma anche questa affermazione fu possibile lasciando alle legislazioni nazionali di determinare il momento a partire dal quale c'è l'essere umano.

A livello regionale, possiamo parlare di strumenti giuridici internazionali e di politiche in materia di vita non nata nei Continenti Europeo ed Americano. Per quanto riguarda il Consiglio d'Europa e l'Unione Europea, si dà in pratica purtroppo per scontato che l'accesso all'aborto sia un fatto acquisito, benché la legislazione di alcuni Paesi (Malta e Irlanda) non lo ammettano. Quando si tratta di elaborare strumenti giuridici internazionali che possano toccare questo tema - come la recente Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina, del Consiglio d'Europa - si utilizzano terminologie che non interferiscano con le legislazioni nazionali, per poter raggiungere il consenso. È da notare poi che in situazioni particolari, come nel conflitto in Kosovo, sia l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa (21) sia il Parlamento Europeo (22) hanno adottato risoluzioni che affermavano il diritto ad abortire per le donne che avessero subito violenza.

La Convenzione Americana sui Diritti Umani (23), entrata in vigore nel 1978 e ratificata da 25 Paesi dell'America e dei Caraibi (sui 34 della regione) è l'unica convenzione internazionale di diritti dell'uomo che dà riconoscimento giuridico alla vita sin dal concepimento (24), e questo impegno risulta chiaro agli Stati membri (25). A questa Convenzione, la Santa Sede ha fatto più volte appello nei suoi interventi in sede di Organizzazione degli Stati Americani, o di altre organizzazioni del cosiddetto "sistema interamericano", e tali interventi hanno costantemente trovato buona accoglienza.
Una questione specifica, nel contesto dell'aborto, è costituita dalla problematica della cosiddetta "gravidanza forzata". Si tratta del caso, particolarmente odioso, in cui una donna, violentata per motivi etnici, sia costretta a dare alla luce il bambino contro la propria volontà. Il termine, in sé ambiguo (26), di "forced pregnancy", era comparso nei documenti finali della Conferenza di Vienna, in riferimento diretto a situazioni di conflitto, ed era stato ripreso alle Conferenze del Cairo e di Beijing. Allorché si trattò di istituire il Tribunale Penale Internazionale, alla Conferenza Diplomatica di Roma, nell'estate 1998, alcuni Paesi, di fronte agli stupri etnici continuati in Bosnia-Erzegovina, volevano inserire la "gravidanza forzata" come forma specifica nell'elenco dei crimini contro l'umanità. Poiché il termine rischiava di essere interpretato come giustificazione dell'aborto, sia in situazioni di conflitto armato sia come precedente per altre situazioni, la Santa Sede, non avendo ottenuto la cancellazione o la sostituzione del termine, volle che esso fosse chiaramente definito. Cosi, il crimine è stato ancorato nel diritto internazionale, senza alcun riconoscimento dell'aborto come diritto. Non mancarono resistenze, ma alla fine i delegati definirono la "forced pregnancy" come "The unlawful confinement of a woman forcibly made pregnant, with the intent of affecting the ethnic composition of any population or carrying out other grave violation of international law. This definition shall not in any way be interpreted as affecting national laws relating to pregnancy".

Sperimentazione sugli embrioni (27)

La sperimentazione sugli embrioni umani è un punto su cui il dibattito internazionale ha incontrato difficoltà tali da non avere ancora trovato un consenso. A livello mondiale, la Dichiarazione Universale UNESCO sul Genoma Umano e i Diritti dell'Uomo, pur trattando di sperimentazioni sui geni, nonostante le osservazioni fatte presenti, insieme ad altri, anche dalla Santa Sede, tace in merito. Una difficoltà è costituita dalla tendenza avviata dal "Rapporto Warnock" e seguita tra l'altro dalla legislazione inglese, che accetta la sperimentazione sugli embrioni fino al 14° giorno. Questo significa non riconoscere carattere pienamente umano all'embrione sino al completamento del periodo dell'impianto. Per ottenere il consenso inglese, e d'altra parte sentendo l'esigenza di proteggere l'embrione, i negoziatori del testo della Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la Biomedicina, aperta alla firma dal Consiglio d'Europa ad Oviedo nel 1997, hanno rinviato una trattazione dell'argomento ad un futuro Protocollo addizionale, fissando nell'art. 18 della Convenzione due punti che, pur insufficienti, non sono, in linea di principio, senza valore; [1] qualora la legge consenta la ricerca sugli embrioni, essa deve assicurare all'embrione una protezione adeguata, e [2] è proibita la creazione di embrioni ai fini di ricerca. Sarebbe molto auspicabile che il Protocollo addizionale proponga un pieno rispetto dell'embrione umano:  anche se non accogliesse molte adesioni, costituirebbe un'affermazione di principi chiara nel diritto internazionale.

Genoma umano e clonazione

Accanto alle sperimentazioni sugli embrioni, pare utile accennare a due temi che negli ultimi anni hanno assunto particolare rilievo, e cioè al trattamento del patrimonio genetico umano ed alla clonazione umana.

Di fronte allo sviluppo ed alle conquiste scientifiche del Progetto Genoma, si era delineata la prospettiva di una possibile appropriazione e di uno sfruttamento economico dei geni umani in quanto tali. L'allora Direttore Generale dell'UNESCO, Federico Mayor Zaragoza, prese l'iniziativa di uno strumento giuridico che stabilisse principi in questo delicato e ancora inesplorato settore. Nel gennaio 1993 prese l'avvio il processo che portò alla elaborazione, effettuata dal Comitato Consultivo Internazionale di Bioetica, della Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e i Diritti dell'Uomo. Essa fu adottata dall'UNESCO il 12 novembre 1997 e poi dall'Assemblea Generale delle Nazioni il 9 dicembre 1998 (28). Questo documento è stato seguito con attenzione, lungo tutto il suo iter, dalla Santa Sede (29), che ha sostenuto, oltre a vari altri punti, soprattutto la necessità di porre l'accento sulla protezione di ogni singolo essere umano (piuttosto che su quello dell'insieme dei geni dell'umanità), l'interdizione di ogni clonazione umana, l'inadeguatezza del concetto di "patrimonio dell'umanità" per il patrimonio genetico, la necessità della difesa dell'embrione, il controllo degli interessi politici, economici e militari che possono influire sulla ricerca genetica.

La Dichiarazione adottata, oltre a vari principi sul rispetto dei pazienti, proclama il genoma umano, con una formula poco felice, patrimonio dell'umanità (seppure "in senso simbolico"), proibisce di trarre dai geni umani nel loro stato naturale profitto economico (30) ed afferma che la clonazione di esseri umani - purtroppo soltanto a fini riproduttivi - è contraria alla dignità umana e non dovrebbe essere permessa (31). Questo rifiuto della clonazione, inizialmente non previsto, fu aggiunto verso la conclusione dell'elaborazione del testo, in seguito al noto esperimento della pecora Dolly.

Mentre la Dichiarazione dell'UNESCO è, per sua natura, una proclamazione di principi (è però previsto un meccanismo per seguirne l'applicazione negli Stati), il primo strumento giuridico vincolante su quest'ultimo tema è stato elaborato dal Consiglio d'Europa:  il 12 gennaio 1998, 19 Paesi (32) hanno firmato a Parigi un Protocollo alla Convenzione Europea di Biomedicina che interdice la clonazione di esseri umani. Esso, prevedendo anche gravi sanzioni penali, interdice "toute intervention ayant pour but de créer un être humain génétiquement identique à un autre être humain vivant ou mort", con qualsiasi tecnica ed escludendo deroghe neppure per ragioni di sicurezza pubblica, prevenzione di infrazioni penali, di protezione della salute pubblica o di protezione dei diritti e libertà altrui.

Sia nel caso della Dichiarazione UNESCO sia in quello del Protocollo del Consiglio d'Europa, si deve constatare che il consenso raggiungibile (e non senza fatica) a livello internazionale, anche in un momento in cui l'opinione pubblica era in grande maggioranza sensibile e favorevole a norme precise, è stato per escludere la clonazione umana a fini riproduttivi, ma non quella rivolta ad altri scopi, come ad es. di ricerca o terapeutici.

Questioni di brevettabilità della vita umana

Nell'aprile 1994, con l'entrata in vigore dell'Accordo di Marrakesh, è stata istituita l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Dal punto di vista della difesa della vita, può essere importante l'accordo sulla protezione della proprietà intellettuale (33). I base ad esso, gli Stati sono tenuti a concedere brevetti ai prodotti farmaceutici ed alle invenzioni biotecnologiche. Tuttavia, uno Stato può escludere dal regime di brevettabilità quelle invenzioni che esso ritiene inammissibile per motivi morali o di ordine pubblico e buon costume (34). Come noto, il brevetto conferisce al titolare il monopolio dello sfruttamento di un'invenzione per 20 anni. Se un prodotto o un'invenzione sono esclusi dal brevetto, possono essere sfruttati, ma in regime di libera concorrenza; cioè, chiunque è libero di "copiare".

Attualmente, le ricerche biotecnologiche richiedono investimenti enormi, per cui il monopolio dello sfruttamento commerciale è condizione sine qua non per il lancio di un prodotto (altrimenti, esso non sarebbe remunerativo). Per questo, se uno Stato escludesse il brevetto per un genere di prodotti, le Società produttrici non lo immetterebbero su quel mercato. Questa norma appare importante, specie di fronte a possibili prodotti e procedimenti ottenuti con l'impiego di feti abortivi, embrioni o mediante clonazione umana.

Tuttavia, non è escluso che i produttori, che premono per espandere il mercato, insistano per ottenere brevetti, e si prospetti un cambiamento delle norme. Per tale eventualità, è importante la Direttiva Europea 98/44/CE, del 6 luglio 1998, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (35). Questa direttiva di per sé obbliga soltanto gli Stati membri dell'Unione Europea; tuttavia essa fornisce una serie di definizioni sostanziali sulla brevettabilità, con cui dovranno confrontarsi e armonizzarsi gli Stati membri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio OMC/WTO (162 Paesi), e che costituirà un orientamento dottrinale e de iure condendo per gli altri Stati e anche per l'eventuale armonizzazione giuridica all'interno dei diversi blocchi economico-commerciali in costituzione (MERCOSUR, APEC, ecc.) (36). La direttiva europea fissa il principio che è proibito brevettare il corpo umano, le sue parti e le cellule umane germinali; essa vieta inoltre la brevettabilità dell'embrione umano, dei metodi di clonazione umana e quella dei procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano (37). È proibita, inoltre, la brevettabilità dell'utilizzo di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Questo testo dell'Unione Europea è importante in quanto colma un vuoto giuridico; il rispetto di questi principi dipenderà però anche dall'interpretazione giurisprudenziale e dalla volontà politica dei Paesi europei nei futuri negoziati a livello mondiale.

Pena di morte

Come noto, sulla pena capitale le posizioni, tradizionalmente, si dividono:  mentre alcuni Stati considerano a ragione come una conquista della civiltà giuridica l'abolizione della pena di morte, altri invece ritengono quest'ultima una misura efficace ed esemplare. Quando l'Enciclica annovera "tra i segni di speranza" la "sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte" (38), ed afferma che "il problema va inquadrato nell'ottica di una giustizia penale (...) sempre più conforme alla dignità dell'uomo", può richiamarsi a fatti giuridici precisi. In sede di Consiglio d'Europa, il Protocollo N. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, concernente la pena di morte, del 28 aprile 1984, sancì nel suo articolo 1 che "la pena di morte è abolita. Nessuno può essere condannato a una tale pena né eseguito", ammettendo eccezioni soltanto per il tempo di guerra o di pericolo imminente di conflitto (39). Questa tendenza è andata, nell'ambito europeo, rafforzandosi:  l'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, nell'ottobre 1994, ha adottato una Raccomandazione che chiede l'abolizione totale della pena di morte in tutti gli Stati membri, respingendo a larghissima maggioranza un emendamento che intendeva salvaguardare il diritto degli Stati nei casi di alto tradimento e spionaggio. Eguale tendenza si registrava anche presso l'Unione Europea:  il Parlamento Europeo, nel marzo 1992, ha adottato una Risoluzione che propone l'abolizione della pena capitale in tutti i Paesi del mondo. I Paesi dell'Unione Europea sono impegnati a negare l'estradizione agli imputati che potrebbero essere condannati a morte. Inoltre, l'impegno per l'abolizione della pena di morte in tutto il mondo pone questo punto come condizione per i negoziati con gli altri Paesi.

La presa di posizione dell'Evangelium vitae (40) ha attirato l'attenzione anche a livello internazionale. Come noto, l'enciclica afferma che "alla misura estrema della soppressione del reo" non si deve giungere "se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non fosse possibile altrimenti", rilevando anche che "oggi, però, a seguito dell'organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti" (41).

Nel giugno seguente alla pubblicazione dell'Enciclica, il Parlamento Europeo ha chiesto agli Stati Uniti di rinunciare all'applicazione della pena capitale. Nel maggio 1999, lo stesso Parlamento di Strasburgo ha reiterato la richiesta che la questione della moratoria universale delle esecuzioni fosse inclusa nella successiva Assemblea Generale ONU.

Significativo appare il seguito a livello delle Nazioni Unite. Nel maggio 1996 - a poco più di un anno dalla pubblicazione dell'Enciclica - la 5ª sessione della Commissione delle N.U. per la Prevenzione del Crimine e la Giustizia Penale (42) prese in esame il tema, ed il Rapporto del Segretario Generale dedicò un intero numero (43) alla posizione espressa da Giovanni Paolo II nell'Evangelium vitae.

Nel Gruppo di lavoro sull'argomento, il III, l'Austria, con Germania e Italia, presentò un progetto di risoluzione (44), che però si scontrò con l'opposizione dei Paesi islamici, per i quali era questione di diritto divino, ed altri Paesi, come Tunisia e Giappone. Come compromesso finale, la risoluzione adottata affermò "takes note with appreciation of the continuing process towards worldwide abolition of the death penalty". D'altro canto, però, la proposta di una moratoria delle esecuzioni capitali, presentata all'Assemblea Generale nel novembre 1999, fu rinviata di fronte alla forte opposizione da parte di molti Paesi.

È importante rilevare che i Tribunali internazionali per il Rwanda e per l'ex-Jugoslavia non hanno previsto la pena capitale. Questo è particolarmente significativo nel caso del Rwanda:  un imputato processato nel Paese africano è passibile di morte, mentre non lo è qualora venga condannato dal Tribunale internazionale. La Conferenza diplomatica di Roma, che ha istituito il Tribunale Penale Internazionale, non ha previsto, fra le pene, quella capitale.

Eutanasia

Il dibattito intorno alla "morte dolce", affrontato talora con definizioni non adeguate alla realtà scientifica né ai termini della questione etica, era iniziato prima della pubblicazione dell'Evangelium vitae. Si può rilevare che a livello internazionale - sul tema, il dibattito si è sinora limitato alle istituzioni europee - quando si è trattato di votare per strumenti giuridici, ha sinora prevalso la difesa della vita.

In sede di Parlamento Europeo, ancora nel 1991, una risoluzione sull'assistenza ai morenti, che di fatto ammetteva l'eutanasia ed era stata approvata dalla Commissione per l'ambiente, la sanità e la protezione dei consumatori, non fu presentata in plenaria, anche per l'interessamento degli episcopati europei e dei parlamentari sensibili alla posizione cattolica. Lo stesso Parlamento, nel 1996 (45), ha adottato una Risoluzione sugli attacchi contro il diritto alla vita dei portatori di handicap:  in essa, si rifiuta energicamente la tesi secondo cui i minorati, i pazienti in stato di "coma vigile"  ed  i  neonati  non  abbiano  un  diritto illimitato alla vita, afferma che il diritto alla vita è accordato ad ogni uomo indipendentemente dalla salute, dal sesso, dalla razza e dall'età, e si pronuncia contro l'eutanasia attiva dei pazienti in coma vigile e dei neonati con handicap (46).

L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, nel giugno 1999, ha approvato una Raccomandazione a favore del mantenimento del divieto assoluto di porre intenzionalmente fine alla vita dei malati terminali e dei moribondi. Tutti gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure legislative necessarie per la protezione giuridica e sociale dei malati terminali; a tutti devono essere assicurate le cure palliative anche a domicilio, e la disponibilità di antidolorifici, anche nel caso in cui essi possano avere, come effetto secondario, un peggioramento delle condizioni del malato. Questa presa di posizione ha quindi respinto la tesi del "diritto alla morte" sostenuta da molte organizzazioni, e potrebbe riaprire il dibattito in Olanda e Svizzera, dove l'eutanasia è praticata nel quadro di una stretta regolamentazione, e influire in quelli, come Belgio e Lussemburgo, dove sono stati ultimamente presentati progetti di legge sul tema.

Conclusione

In questo momento, le politiche e le norme internazionali sulla vita umana presentano un quadro frastagliato, una scacchiera complessa, con elementi fissati in tempi di sensibilità diverse, e ancora in movimento. Se, tuttavia, vogliamo coglierne la "logica", per cosi dire, possiamo rilevare che:  a) si ha una buona tutela della vita dell'uomo nato, anche nei confronti degli interessi della ricerca scientifica e, almeno sinora, anche della volontà soggettiva:  l'idea dell'eutanasia non è accettata. In questo senso, si può notare una non-accettazione, almeno a livello globale, della pena di morte; b) qualora vi sia un interesse di un individuo nato contro la vita di un essere umano non nato (feto o embrione), quest'ultima viene sacrificata (cfr per l'aborto, la procreazione assistita, l'utilizzo degli embrioni soprannumerari ed anche la clonazione a fini terapeutici); c) l'interesse della ricerca scientifica tende a prevalere sul rispetto della vita non nata; d) si hanno isolati limiti fermi:  il rifiuto della clonazione a fini riproduttivi, e, in Europa, il rifiuto della creazione di embrioni a scopi di ricerca.

I questo insieme, che si afferma in un quadro di positivismo giuridico, è facile notare incoerenze e contraddizioni vistose. I vista dell'azione a favore della vita, mi pare utile tener presente che, in realtà, queste politiche internazionali sono la conseguenza ed il riflesso di correnti di pensiero - che potremmo chiamare edonistiche e neo-malthusiane - forti nei Paesi sviluppati, associate ad interessi economici e politici veri o presunti. Il consenso politico raggiunto ad una Conferenza mondiale oppure l'applicazione di una Convenzione possono avere un notevole influsso a livello nazionale; ma a loro volta sono condizionati dall'opinione pubblica, che può essere influenzata da quanto si opera dal basso. D'altra parte, gli strumenti giuridici internazionali, pur con i loro limiti, contengono principi, ai quali possono fare appello i cittadini per richiedere agli Stati una maggiore protezione della vita umana. Inoltre, lo spazio per un'azione "dal basso", ispirata dalla carità, appare ampio. Si può fare molto per la vita e per creare un'opinione pubblica più aperta alla speranza, prima che il problema arrivi a livello di dibattito mondiale. E si può agire a molti livelli, da quello nazionale fino a quello locale:  dall'attenzione alla concessione di brevetti, a misure pratiche di solidarietà alle madri che hanno difficoltà ad accogliere una vita che nasce, all'insistenza per il diritto all'obiezione di coscienza senza discriminazione per gli operatori sanitari, all'impegno per una ricerca scientifica che rispetti la vita.


1) Di seguito citata come EV.

2) EV 11.

3) Copenhagen Declaration on Social Development (12.03.1995) n. 26 a.

4) "Women's reproductive health".

5) "In no case should abortion be promoted as a means of family planning" (ICDP Platform 8.25).

6) Essa avrebbe praticamente vanificato la proibizione dell'aborto come metodo di pianificazione familiare, sanzionata al Cairo.

7) Cfr la Dichiarazione interpretativa di S. E. Mons. Renato R. Martino alla Sessione speciale dell'Assemblea Generale ONU (30 giugno - 2 luglio 1999), in L'Osservatore Romano del 5-6 luglio 1999, p. 2.

8) La pillola, commercializzata in Francia, Gran Bretagna e Svezia, è stata autorizzata il 6 luglio 1999 in Germania ed ha avuto il giorno seguente il "via libera" delle autorità mediche belghe; la ditta produttrice prevede una prossima approvazione in Austria, Danimarca, Spagna, Finlandia e Paesi Bassi.

9) "In circumstances where abortion is not against the law, such abortion should be safe"; "Dans les cas où il n'est pas interdit par la loi, l'avortement devrait être pratiqué dans de bonnes conditions de sécurité".

10) Gli organismi internazionali più influenzati sono, nel sistema dell'ONU, UNICEF, UNFPA, OMS, UNDP e le Commissioni Economiche dell'ONU CE, CEA, CEPAL, ESCAP. In particolare, l'UNFPA con l'IPPF (International Planned Parenthood Federation) ha programmi in 157 Paesi, spingendo a cambiare leggi e ad attuare programmi di pianificazione delle nascite, con la disponibilità di 335 milioni di US$. Tra quelli non appartenenti al sistema ONU, si segnalano la Banca Mondiale, le Banche regionali per lo sviluppo e l'OCDE.

11) Convenzione citata, art. 12 e 14.

12) Relativa all'art. 12 della Convenzione.

13) "When possible, legislation criminalizing abortion could be amended to remove punitive provisions imposed on women who undergo abortion":  Implementation of art. 21 of the Convention... General recommendation on article 12:  Women and health (1 February 1999) n. 31c, p. 14.

14) "It is discriminatory for a State party to refuse to legally provide for the performance of certain reproductive health services for women. For instance, if health service providers refuse to perform such services based on conscientious objection, measures should be introduced to ensure that women are referred to alternative health providers" (ibidem, n. 11 p. 5).

15) Cfr Risoluzione dell'Assemblea OMS WHA 48.10, del 12 maggio 1995.

16) Nel Progetto di Budget - Programma 2000-2001, il "programma sistemi sanitari e salute comunitaria" conosce un aumento del 20,37% del suo budget. Esso potrà contare su 145.022.000 US$, l'ammontare più consistente dopo quello destinato alle malattie trasmissibili. Di questa somma, 21.622.000 $ provengono dal budget ordinario, mentre 123.400.000 $ da altri fondi. Si nota che 64.561.000 $ (circa il 50%) saranno destinati alla salute e ricerca riproduttiva. Gli altri capitoli del programma che beneficeranno del finanziamento sono i sistemi sanitari, la salute e lo sviluppo del bambino e dell'adolescente, la salute della donna. L'indicazione è chiara:  incrementare e diffondere idee, iniziative, programmi sulla salute riproduttiva nell'ottica laicista con tutte le conseguenze morali relative alla sessualità e alla famiglia.

17) Cfr EV 13.17.58-60.

18) Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 3 "Everyone has the right to life, liberty and security of person"; Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, art. 6.1 "Every human being has the inherent right to life. This right shall be protected by law. No one shall be arbitrarily deprived of his life".

19) In particolare, Gran Bretagna e Danimarca.

20) "Whereas the child, by reason of his physical and mental immaturity, needs special safeguards and care, including appropriate legal protection, before as well as after birth" (Preamble of the Declaration of the Rights of the Child, proclaimed by General Assembly resolution 1386 - XIV - of 20 November 1959); "...He shall be entitled to grow and develop in health; to this end, special care and protection shall be provided both to him and his mother, including adequate pre-natal and post-natal care" (ibid., Principle 4). Venti anni dopo, nella Convenzione, si richiamò nel Preambolo il Principio 4 della Dichiarazione e si riconobbe all'art. 6 che "every child has the inherent right to life"; ma si formulò nell'art. 1 la definizione "a child means every human being below the age of eighteen year..." ponendo il termine "ad quem", ma non indicando con precisione l'inizio e lasciando l'interpretazione del termine "human being" alle legislazioni nazionali, proprio al fine di rendere "accettabile" il testo anche per quei Paesi che non volevano una proibizione internazionale dell'aborto.

21) Seconda parte, aprile 1999.

22) Sessione di marzo 1999.

23) Pacto de San José de Costa Rica, del 22 novembre 1969, entrato in vigore il 18 luglio 1978.

24) Art. 4 1 "Toda persona tiene derecho a que se respete su vida. Este derecho estará protegido por la ley y, en general, a partir del momento de la concepción. Nadie puede ser privado de la vida arbitrariamente".

25) Questa è una delle ragioni per cui gli USA non hanno ratificato. L'Argentina, nella riforma costituzionale del 22 agosto 1994, all'articolo 22, ha dato gerarchia costituzionale alle dichiarazioni di Diritti della Convenzione Americana, insieme a quelle dei due Patti sui diritti umani delle Nazioni Unite. Nel 1998, anche il Salvador ha incorporato nella costituzione le disposizioni della Convenzione Americana.

26) In quanto è difficile vedere come delitto la nascita di un essere umano innocente; si è piuttosto in presenza di una somma di crimini già gravemente sanzionati:  la violenza sessuale, il sequestro di persona, etc.

27) Cfr EV 63.

28) 85ª sessione plenaria, Risoluzione 53/152 del 9 dicembre 1998.

29) Oltre che dalla Conferenza Episcopale Francese, che pubblicò una interessante e tempestiva presa di posizione.

30) Cfr Art. 4:  "Le génome humain en son état naturel ne peut donner lieu à des gains pécuniaires".

31) Cfr Art. 11:  "Des pratiques qui sont contraires à la dignité humaine, telles que le clonage à des fins de reproduction d'êtres humains, ne doivent pas être permises".

32) Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Moldavia, Norvegia, Portogallo, Romania, San Marino, Slovenia, Spagna, Svezia, Macedonia e Turchia. L'entrata in vigore è prevista quando almeno 5 Paesi firmatari abbiano ratificato. Il Protocollo è aperto alla firma dei 41 Stati membri del CdE e di altri che hanno partecipato alla sua elaborazione, come Australia, Canada, Giappone, Santa Sede e Stati Uniti.

33) Si tratta del cosiddetto accordo ADPIC/TRIPs' (Aspects des droits de propriété intellectuelle qui touchent au commerce / Trade related aspects of intellectual property rights), che stabilisce un regime comune di protezione della proprietà intellettuale.

34) Accord de Marrakech instituant l'Organisation Mondiale du Commerce (Marrakech, 15 aprile 1994) - Annexe 1c:  Accord sur les aspects des droits de propriété intellectuelle qui touchent au Commerce (ADPIC), art. 27 e 73.

35) Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, serie L n. 213, 30 luglio 1998, p. 13. Gli Stati membri dell'UE devono adeguare le rispettive normative nazionali alla Direttiva entro il 30 luglio 2000.

36) Sarebbe un esempio di come il livello regionale può influenzare positivamente sul livello universale.

37) Direttiva 98/44/CE, Articolo 6,  2.

38) EV 27.

39) Protocollo N. 6 cit., art. 2; gli Stati devono dare comunicazione al Segretario Generale del Consiglio d'Europa circa la propria legislazione. Ai Paesi che hanno aderito in seguito al Consiglio, viene chiesto di conformare le proprie norme in senso abolizionista. [nel 1995, l'Ucraina ha affermato che avrebbe rispettato una moratoria delle esecuzioni fino all'abolizione della pena capitale entro tre anni.]

40) Cfr EV 27.55-56.

41) EV 56.

42) Vienna, 21-31 maggio 1996.

43) Doc. E/CN.15/1996/19, N. 42 p. 11.

44) Doc. E/CN. 15/1996/L.17.

45) Sessione del 20-24 maggio 1996.

46) È da notare, tuttavia, che non si tratta del diritto alla vita dei bambini non nati.

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