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GIUBILEO DEI RAPPRESENTANTI PONTIFICI

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SODANO

Venerdì 15 Settembre 2000

Cari Confratelli nell'episcopato,
benmeriti Rappresentanti pontifici!

Il nostro incontro giubilare è iniziato ieri, con la festa dell'Esaltazione della Santa Croce, e continua oggi, nel ricordo della Vergine Addolorata. La liturgia di queste due giornate viene così ad illuminare queste fraterne riunioni così come, del resto, la luce della fede ci indica, ogni giorno, il nostro Cammino.

Nel Vangelo abbiamo nuovamente ascoltato le parole profetiche rivolte dall'anziano Simeone alla Madre di Gesù:  Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione... E anche a te una spada trafiggerà l'anima (Lc 2, 34-35).

1. La raffigurazione della spada che trafigge il cuore di Maria è rimasta impressa fortemente nel popolo cristiano, ispirando anche magnifiche composizioni letterarie ed opere d'arte. Jacopone da Todi ci ha lasciato la bella sequenza dello Stabat Mater. I Servi di Maria giunsero poi a rappresentarci la Madre del Signore come trafitta da ben sette spade, a ricordo di sette episodi particolarmente significativi della sua vita solcata dal dolore:  da quello provato a Betlemme nel dare alla luce Gesù nella povertà di una grotta, fino allo strazio della deposizione del corpo di Cristo dalla croce. Nella rappresentazione della Pietà, Michelangelo ha scolpito nel marmo il dolore di Maria.

Sono tutte immagini che ci mostrano la Madre di Gesù come intimamente unita alla Passione del Figlio, vera "Socia Redemptoris".

2. Cari Confratelli, voi siete venuti a Roma per rinnovarvi nello spirito, partecipando al Grande Giubileo del 2000, con l'impegno della continua conversione e con il proposito della rinvigorita fedeltà alla propria missione. In tale contesto, la memoria liturgica dell'Addolorata ricorda a tutti il cammino della croce, quel cammino che ogni apostolo di Cristo deve percorrere se vuole cooperare all'opera della redenzione.

Da questa Basilica, l'Apostolo Pietro sembra ripetere a noi quanto diceva ai primi cristiani:  Christus passus est pro vobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (1 Pt 2, 21). Sì, Cristo ha patito per noi, lasciandoci un esempio, affinché noi ne seguiamo le orme.

3. L'esperienza comune ci insegna che l'esistenza quotidiana di un Inviato pontificio comporta rinunzie non lievi:  la distanza dal proprio ambiente, le difficoltà di adattamento ad altro contesto culturale, in alcuni casi la prova della solitudine o della malattia, senza considerare le spine collegate al lavoro metodico e silenzioso, qual è quello tipico di un Nunzio Apostolico.

Nello stesso tempo, però, sappiamo bene che questo è il contributo personale che ognuno di noi deve portare per l'edificazione del Regno di Cristo.

Significativo, a tale riguardo, è il titolo che il compianto Cardinale Agostino Casaroli volle dare alle sue memorie:  Il martirio della pazienza (Torino, Ed. Einaudi, 2000).

Egli ricordava quanto un giorno gli aveva confidato un Vescovo lituano, mentre accennava al martirio della prudenza, che ancora lo faceva soffrire. Il presule era tornato in diocesi dopo aver scondito una lunga pena detentiva, ma osservava che erano sopravvenute altre prove, parimenti gravose.

"Ho passato anni in Siberia - diceva - e non ho mai pianto; sapevo di soffrire per la fedeltà alla Chiesa, e ciò mi dava pace e tranquillità; dormivo i miei sonni sereni, e svegliandomi al mattino sapevo che cosa avrei dovuto fare durante il giorno. Ora non più. Ogni giorno sono a chiedermi quali decisioni devo prendere, al servizio della Chiesa... Critiche, lagnanze, esortazioni da tutte le parti; chi mi giudica troppo debole o arrendevole di fronte al governo, e chi mi rimprovera di essere poco prudente o poco previdente" (Ibid., pag. XXV).

Simile a quel martirio della prudenza appariva al compianto Segretario di Stato il martirio della pazienza che si prova quando si deve lavorare in ambienti difficili. È questo il nostro contributo personale alla diffusione del Regno di Dio.

4. A questo valore salvifico della sofferenza ci richiamava il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella Sua nota Lettera Apostolica Salvifici doloris (in AAS., 1984, p. 201-250), partendo dall'esempio dell'Apostolo Paolo che vedeva nelle sue tribolazioni uno strumento di grazia e di redenzione, sì da esclamare di fronte ai Colossesi:  "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo, che è la Chiesa" (Col 1, 24).

Ecco il contributo che siamo chiamati a dare; un contributo dato con amore, che ci fa sentire lieti anche nelle tribolazioni. Anche l'Apostolo Pietro ci rivolge lo stesso invito quando afferma:  "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate  rallegrarvi  ed  esultare"  (1 Pt 4, 13).

5. I teologi hanno molto discusso sui motivi per i quali la Provvidenza Divina ha voluto legare alla sofferenza il prezzo della Redenzione. Due noti professori della Pontificia Università Gregoriana, i compianti Padri Flick ed Alszeghy, S.I., dedicarono al tema il bel volume intitolato "Il mistero della Croce. Saggio di teologia sistematica", Brescia, Ed. Queriniana, 1978.

È certo utile che gli studiosi abbiano indagato il rapporto fra la croce di Gesù e la Redenzione del mondo, fra teologia della gloria e teologia della croce. È giusto che continuino a farlo anche oggi. I Santi di ogni tempo l'hanno però ben capito, contemplando il Crocifisso e Colei che stava "iuxta crucem Domini". È la lezione tramandataci dagli Apostoli e dai martiri, da tanti pastori e dottori della Chiesa, con la loro vita evangelica  ed  il  loro  servizio  al  prossimo.

Sia questa la grazia che anche noi imploriamo dal Signore, per intercessione di Maria, Sua Madre Addolorata. Il nostro Giubileo segnerà così un rinnovamento nella nostra vita interiore e ci confermerà nel santo proposito di offrire tutta la nostra esistenza per la redenzione del mondo.

6. Cari Confratelli, abbiamo posto mano all'aratro, lavorando in campi diversi, là dove la Provvidenza Divina ci ha chiamato. Il nostro dovere è di continuare nel nostro impegno quotidiano, sospinti da un grande amore ai nostri fratelli e ripetendo ciò che l'Apostolo Paolo diceva a Timoteo:  "Omnia sustineo propter electos. Sopporto ogni cosa per gli eletti" (2 Tim 2, 10).

Le difficoltà del nostro lavoro sembrano oggi aumentare con il sorgere di nuovi problemi. Però, come Paolo potremo sempre testimoniare di fronte al mondo la nostra fede incrollabile dicendo:  "Omnia possum in eo qui me confortat". Tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 4,13). Amen.

                                       

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