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DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA,
ON. SANDRO PERTINI,
A SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II*

Lunedì, 2 giugno 1984

 

Santità,

è per me motivo di gioia accoglierLa al Quirinale, a breve distanza di tempo dal proficuo nostro incontro avvenuto pochi giorni or sono in Vaticano, e porgerLe un caldo saluto di benvenuto a nome del popolo.

Questo antico Palazzo del Quirinale, di cui illustri Suoi predecessori varcarono la soglia in anni non lontani – e da ultimo Papa Paolo VI in occasione della chiusura del Concilio – fu un tempo simbolo di incomprensione tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Da un lato, secolare residenza dei Sommi Pontefici, nel cuore di quella Città Eterna che la Chiesa aveva eletto a sede della Sua missione terrena in quanto luogo del sacrificio dei due più grandi Apostoli della fede cristiana. Dall'altro, oggetto di rivendicazione da parte del nuovo Stato unitario italiano che aveva ristabilito a Roma la sua naturale storica ed unica Capitale.

Questa discordia appartiene al passato.

Oggi, con spirito di leale amicizia ed aperta fiducia, il Rappresentante della Chiesa cattolica ed il Capo dello Stato Italiano possono incontrarsi su questo antico colle grazie ad una concordia ritrovata e di recente consolidata mediante nuove intese sulla scia dei grandi ed originali insegnamenti che promanano, da una parte, dal Concilio Ecumenico Vaticano II e, dall'altra, dalla Costituzione Repubblicana.

Un altissimo significato attribuisco, Santità, alla Sua decisione di restituire la visita nel giorno della celebrazione della festa nazionale italiana, coincidente con la proclamazione della Repubblica libera e democratica. Riconosco, in questa felice coincidenza, il segno di una intensa sollecitudine e di una spiccata benevolenza del Papa verso l'Italia, la cui storia millenaria è legata, più di quella di ogni altro Paese, alla vicenda della Chiesa Cattolica. Questo diretto vincolo – sin dai tempi apostolici spettante al Pontefice come Vescovo di Roma – è stato dalla Santità Vostra assunto con entusiasmo e con la stessa profonda umanità di sentimenti con la quale – aggiungo – Ella ha atteso per molti lustri alla Sua missione pastorale nella patria terra di Polonia. Di ciò il popolo italiano Le è riconoscente e grato; e di simili sentimenti, nei quali mi riconosco, voglio oggi rendermi schietto interprete.

Come rappresentante di questo stesso popolo e garante della sua unità nazionale desidero in pari tempo sottolineare la completa risonanza di opinioni ed orientamenti su numerosi problemi del tempo e del mondo di oggi tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana.

In primo luogo pongo la convergenza sul terreno vitale della pace e della collaborazione tra i popoli.

Se tutti i popoli della terra coralmente potessero esprimere la loro volontà, tutti si esprimerebbero per la pace, consapevoli del tragico dilemma: o vivere affratellati insieme o insieme perire nell'olocausto nucleare.

Ella, Santità, è reduce da un viaggio planetario che, secondo la suggestiva tradizione paolina, ha effettuato nelle terre dell'Estremo Oriente e dell'Oceania, tra popoli ed in Paesi afflitti dal sottosviluppo ed attanagliati da violenze, conflitti o minacce di crisi. A tutti questi Paesi Ella ha recato il Suo messaggio di comprensione e tolleranza, senza stancarsi di ripetere che la guerra è maledizione per l'uomo, che la pace può e deve fiorire su questa terra e che ogni creatura umana ha il diritto di stare in piedi padrona dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri.

Dal canto mio desidero assicurarLe che questo messaggio ha trovato un'eco profonda nel cuore del popolo italiano e nelle stesse istituzioni e forze politiche del mio Paese. Sta di fatto che, nel terreno suo proprio e nell'ambito delle responsabilità derivanti dagli impegni assunti nei confronti di Nazioni amiche, anche la Repubblica italiana è con decisione orientata verso il dialogo, la comprensione, la giusta distribuzione delle risorse tra tutti gli uomini. Orientamento che discende dalla schietta e libera volontà del popolo sovrano, ma che nel contempo risale a profonde ragioni storiche e trova riscontro nell'obbligo solenne imposto dalla legge fondamentale che regge la nostra convivenza civile. Da questa vocazione nascono le iniziative di distensione che il Governo italiano ha più volte promosso; gli atti numerosi e concreti di buona volontà; la politica generosa e disinteressata di aiuto verso i popoli fratelli sfavoriti dalla sorte.

Più volte la Sua parola, Santità, si è levata a fare la medesima denuncia, che non si stanca di fare chi Le sta parlando: la vergogna dello sterminio per fame; l'ingiustizia dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; la soppressione dei diritti civili ed umani. Ella, Santità, ed io abbiamo conosciuto per diretta personale esperienza la sofferenza per le privazioni materiali; la quotidiana fatica manuale; l'angustia della disoccupazione; la nobiltà liberatrice del lavoro. Questi valori l'insegnamento evangelico ha additato a perenne modello di elevazione per tutti gli uomini. Questi stessi valori sono rispecchiati nei principii e nelle norme della Costituzione laica e democratica della Repubblica italiana.

Da ciò sgorga eloquente la conferma che – al di là delle opinioni e delle fedi – gli uomini possono incontrarsi sulla base dell'identica natura e della comunità di destino. Non la confessione religiosa, non la scelta filosofica, non la militanza politica possono costituire ostacolo sulla via della comprensione, che sola può evitare agli uomini una catastrofe totale, mai come oggi apparsa più concreta e possibile.

Ella, Santità, ha riposto nell'infanzia e nella gioventù uno scopo d'amore, di carità, di cure e di apostolato; ed io stesso continuo, giorno dopo giorno, a trarre energia e fiducia dal diuturno contatto con i giovani, che incontro numerosi tra queste stesse mura. 250.000 ne ho ricevuti da quando sono qui, al Quirinale. Non retorici discorsi ho fatto, ma ho conversato con questi giovani come fossimo antichi amici, rispondendo con lealtà alle loro domande. Due, soprattutto, sono state le domande postemi: «Terminati gli studi avremo un posto di lavoro? », « Il nostro domani sarà sconvolto dalla guerra atomica?».

Nostro dovere è operare oggi, perché questi giovani domani non conoscano amare delusioni e tragiche esperienze. Essi oltrepasseranno le soglie del Duemila, vivranno e cresceranno nel terzo millennio della nostra era. Essi sono la speranza e la ragione del nostro futuro. Su di noi incombe la responsabilità morale e politica di costruire un mondo dove il sole sorga ogni mattino per dar luce ad una comunità umana più libera, più serena, più affratellata, una comunità umana che consideri la guerra una grande sciagura, la pace un bene immenso. L'Italia assolve, con tutte le sue energie e con sincero slancio, a questo adempimento.

Da ultimo mi consenta, Santità, un'annotazione personale, come se nessuno ci ascoltasse. Giorni fa in Vaticano il Pastore delle genti cristiane ha accolto il Presidente della Repubblica Italiana da vero amico. Vorrei in questo giorno dirLe a mia volta quanto questa amicizia sia a me cara, per il sostegno e il conforto che dispensa al mio sforzo quotidiano, alle trepidazioni della mia coscienza, alle speranze che nutro per il Paese che rappresento e che profondamente amo ed al quale sin dalla prima giovinezza ho dedicato tutto me stesso.


*Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1 p.1595-1598.

L’Attività della Santa Sede 1984 p.450-452.

L'Osservatore Romano 22.5.1984.

 

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