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DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
ROMANO PRODI
A SUA SANTIT
À GIOVANNI PAOLO II*

Giovedì, 4 luglio 1996

 

 Santo Padre,

È questo un giorno di particolare gioia per me. L'incontro che Vostra Santità ha voluto concedermi è di grande conforto.

Ella ben conosce i bisogni e le difficoltà di questa nostra Patria. Al cuore di Vostra Santità non sono estranee le molte croci di questo Paese. Con forza, in numerose occasioni, e recentemente a Palermo, nei giorni del Terzo Convegno nazionale delle Chiese in Italia, Ella ha domandato per questa sua «seconda Patria», che vive « una crisi di crescita », l'avvio di un grande rinnovamento culturale, spirituale e morale, che dalle persone, dalle famiglie, dalla vita sociale giunga a trasformare l'intera Nazione. Ella ha richiamato tutti a considerare con maggiore urgenza l'antico male delle violenze mafiose e le nuove insidie dei particolarismi corporativi, locali, territoriali che minacciano l'integrità della Nazione, la stessa eredità di culture e di fede del nostro popolo. Ella ha chiesto di riconoscere i segni dello Spirito, di condividere l'etica della libertà e della solidarietà, di assumere la cura della vita debole.

Oggi, che sono chiamato alla responsabilità del servizio per il mio Paese, porto con me queste parole, come conforto al mio impegno.

Dopo l'esperimento tragico dei conflitti mondiali che hanno sconvolto e afflitto il secolo, dalla «Grande Guerra» alla «Guerra fredda», il nostro Paese vuole ulteriormente sviluppare e compiere il disegno istituzionale e civile della sua democrazia, così come la nostra Costituzione, scaturita 50 anni fa dalla coscienza della resistenza contro l'ingiustizia e la sopraffazione, domandava ed esige. Tutte le ispirazioni culturali autenticamente democratiche sono messe alla prova: chiamate a compiere questo passo, a riconoscere e a sviluppare il valore sociale e politico della vita democratica piena. Sul mio Governo, espressione di questa volontà, grava una particolare domanda, una precisa responsabilità, in ordine a questo compimento. L'obiettivo principale è quello della ricostruzione dello Stato democratico, dopo la grave crisi della moralità nella vita pubblica, l'assicurazione della libertà e della dignità sociale di tutti i cittadini.

Uno Stato autenticamente laico può superare ogni timore nel riconoscere e nell'apprezzare pienamente non solo la sovranità della Chiesa nel proprio ordine e la sua intangibile libertà, ma la ricchezza della sua presenza spirituale e il contributo civile che da essa promana.

I valori della tradizione cristiana, vivi nella coscienza del Paese, hanno da esser presenti nelle istituzioni, alle quali una ispirazione cristiana contribuisce a dare forme ed energie di umanità, di laicità, di saldezza; nel costume, che vogliamo sottrarre al rischio di un progressivo deterioramento; nella famiglia di cui deve essere tutelata la funzione; nei luoghi della formazione, cui si vuole garantire libertà e possibilità. In una società sempre più secolarizzata, la parola e la testimonianza della Chiesa sono irrinunciabili. Nella vita dei popoli, delle società, delle comunità, la libertà non è mai prematura.

Da Berlino, pochi giorni fa, Ella ha chiesto agli uomini liberi e forti dell'Europa di farsi interpreti convinti della libertà, di divenire essi stessi – abbattuto ogni muro di oppressione, aperta ogni porta – una porta di libertà, poiché la libertà è facoltà interiore, prima di essere un necessario vincolo sociale.

Negli stessi giorni, a Firenze si compiva una tappa importante del processo di unificazione dell'Europa. Dovremmo essere come appagati. Non è così. Infatti, cos'è oggi l'Europa post-moderna e post-comunista? Qual è il valore che viene riconosciuto a questo nome di Europa? Chi entrerà davvero e con quale cittadinanza in questo orizzonte? Se l'Europa sarà esclusivamente la somma di interessi economici e la risultante di convenienze politiche, la libertà volgerà nuovamente in arbitrio, l'identità dei popoli in nazionalismo, intolleranza, conflitto, come le ferite aperte nei Balcani ci mostrano. Se il nome dell'Europa sarà memorie, culture, solidarietà allora più solide radici sosterranno la pianta, meno amari saranno i suoi frutti.

L'esistenza cristiana abita la diversità delle nazioni e delle culture europee, e in questa ricchezza un compito peculiare spetta forse all'Italia.

È possibile l'Europa senza l'Italia? Senza il nostro Paese, io credo che l'Europa rimanga un continente interiormente diviso.

In conformità alla sua storia civile e religiosa, per l'armonia dell'incontro tra ragione e fede, tra luce e passione che qui si è realizzata, per il particolare significato che la sua stessa capitale ha per l'intera cattolicità, all'Italia intera è come affidato di difendere per tutta l'Europa il patrimonio di testimonianza della Sede Apostolica. Per la sua storia il nostro Paese è chiamato a essere come una riserva di umanità, uno strumento efficace per la pace.

È con questo spirito, Santità, e per questo nostro legame che il mio Governo ed io guardiamo al Grande Giubileo del Duemila come a un evento essenzialmente morale e religioso, apportatore di frutti di pace, occasione di accoglienza di molte genti.

Vostra Santità voglia accogliere le mie parole come segno di devozione personale e di affetto di tutto il popolo italiano. Nel cammino verso il 2000, al Messaggero di pace, il nostro ringraziamento, la nostra preghiera.


*Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2 p.29-30.

 

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