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Commemorazione del 50° Anniversario della Creazione del Sinodo dei Vescovi

17 ottobre 2015
Aula Paolo VI

Il Rilievo e l’influsso del Sinodo dei Vescovi nella vita e nella missione
della Chiesa in Europa

Riflessioni di S.Em il Card. Vincent Nichols, Arcivescovo di Westminster

 

Santo Padre, Eminenze e Eccellenze Reverendissime, Monsignori, Reverendi Padri, Reverende Suore, Illustrissimi Signori e Signore, Fratelli e Sorelle in Cristo,

Mi onoro di poter rivolgervi una parola sul Sinodo dei Vescovi da una prospettiva europea e in vista dell’influsso del medesimo Sinodo in Europa. Alcuni di voi forse vi domandate: “Perché quel rappresentante di un’isola da noi staccata ci sta parlando a nome di questo grande continente? Se volete una risposta, dovrete rivolgervi a Sua Eminenza il Cardinale Baldisseri.

i. Collegialitas Affectiva

Vorrei cominciare queste mie riflessioni con una parola assai personale. Ho iniziato il mio cammino di formazione sacerdotale nel 1963. Nel settembre di quell’anno, con 17 anni, sono arrivato al Venerabile Collegio Inglese qui a Roma, poco prima della Seconda Sessione del Secondo Concilio Vaticano. Tutti i Vescovi di Inghilterra e Galles erano residenti al Collegio Inglese durante le sessioni del Concilio. Il giovane diciassettenne si meravigliava di vedere tanti Vescovi! Non avevo mai visto qualcosa del genere. Ora mi ci sono più o meno abituato. Ma in quelle circostanze ho imparato la mia prima lezione sul significato della Collegialità Episcopale, la collegialitas affectiva.

Se ricordo bene, ogni mattina durante quella seconda sessione, i Vescovi, uno alla volta, scendevano la scala principale del Collegio, ed ogni singolo fu accolto e condotto in macchina alla Basilica di San Pietro per il lavoro del giorno. Il Vescovo-Principe fu accompagnato come si doveva al suo compito importantissimo.

Più tardi, durante la terza e la quarta sessione del Concilio, però, le cose erano cambiate. Ora i Vescovi scendevano la scala insieme, sono usciti a piedi dalla porta principale del Collegio e si dirigevano verso la Piazza Farnese, dove tutti sono saliti in un pullman e hanno fatto insieme il viaggio verso il lavoro del giorno. Ora erano fratelli nel Signore, collegati fra loro nella sfida di un compito comune, plasmati in un collegio affettivo secondo il nuovo spirito che animava la Chiesa. Il Sinodo dei Vescovi, creato nel 1965, era uno strumento chiave per esprimere e rafforzare quello nuovo spirito. Senza alcun dubbio ha stabilito rapporti forti e arricchenti tra i Vescovi stessi e fra i Vescovi e il Santo Padre, rapporti che sarebbero stati inconcepibili prima del Concilio.

ii) Eurocentrismo

Il mio compito, però, è di riflettere sul Sinodo e sull’Europa. Vi esorto, quindi, a tener presente che nel corso del novecento, l’Europa era forse di tutti i continenti quello più palesemente diviso. Due grandi guerre, un periodo lungo di “Guerra Fredda” e due potenti ideologie atee avevano fatto risorgere nel continente e nel suo popolo potenti elementi ostili fra loro, suscitando guerre segnate da milioni di vittime, creando atteggiamenti rigidi e stereotipi nel modo di pensare di tante persone. L’Europa non solo era profondamente divisa, ma anche fissata su se stessa.

Pian piano, le assemblee e il lavoro del Sinodo dei Vescovi hanno contribuito a superare la nostra visione eurocentrica, non solo nel mondo ma anche nella Chiesa. Alcuni ritengono che tale svolta si manifesti nell’internazionalizzazione della Curia. Ma si tratta di un cambiamento molto più profondo.

Si tratta della scoperta profonda che i tesori della Chiesa sono reperibili ben al di fuori del suo terreno tradizionale europeo e dell’attività missionaria di ispirazione europea adempiuta nei secoli recenti. Per esempio, fu nell’Aula sinodale che per la prima volta ho potuto apprezzare la perseveranza dell’attività missionaria della Chiesa in Giappone, che continua fino ad oggi nonostante cent’anni in cui ha portato poco frutto visibile. La lotta e l’eroismo della Chiesa in Cina si esprime in modo eloquente per il fatto stesso dell’assenza forzata dei Vescovi cinesi da quest’Aula. I conflitti che affliggono la Chiesa in certe regioni di Africa e la vitalità delle tradizioni teologiche della Chiesa in Sudamerica sono stati spesso presentati nel Sinodo e portati alla conoscenza di noi Vescovi europei. Ora siamo più consapevoli che il ressourcement della vita e del pensiero della Chiesa proviene da tante regioni diverse, grazie a Dio.

A me, un momento che mi ha particolarmente colpito era l’Assemblea Speciale del Sinodo sull’Oceania nel 1998. La Messa celebrata nella Basilica di San Pietro fu accompagnata da corni di conchiglia grande e da processioni vivaci e da enormi ghirlande di fiori, suscitando i grandi spazi, la bellezza e la freschezza delle remote isole Pacifiche dove il cristianesimo contava ancora la prima generazione di aderenti. Mi ricordo in modo molto vivo della gioia dei Vescovi provenienti da quelle isole, di cui alcuni avevano intrapreso viaggi di una settimana di durata per arrivare a Roma. Non si erano mai pensati di incontrare un abbraccio così caloroso qui a Roma. Ringrazio il buon Dio della ricca varietà della vita cattolica che i Sinodi ci hanno fatto presente, superando per sempre l’immagine eurocentrica della Chiesa che avrebbe impedito così fortemente le nostre discussioni.

iii) Sinodi di Vescovi europei

La portata per l’Europa della creazione del Sinodo dei Vescovi si vede in modo forse più chiaro nelle due Assemblee Speciali per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, che si tennero nel 1991 e nel 1999. Quando riflettiamo su quei due Sinodi ci ricordiamo alcuni grandi personaggi che hanno avuto un influsso particolare in questo luogo: nel 1991 il Cardinale Lustiger di Parigi, il Cardinale Glemp di Varsavia, il Cardinale Vlk di Praga e il Cardinale Ruini che fu Relator. Nelle loro vite hanno vissuto alcuni grandi temi della Chiesa in Europa: i rapporti con il Giudaismo in seguito all’Olocausto, la lotta della Chiesa in Polonia per i cuori e per le menti della gente, l’imprigionamento, si potrebbe dire, della Chiesa in Cecoslovacchia, dove durante tanti anni il Cardinale Tomasek, predecessore del Cardinale Vlk, fu sottoposto ad una sorveglianza totale da parte del Governo, sia per le finestre, sia dall’interno della sua residenza. E nonostante tutto, è rimasto una roccia. Quel popolo durante tanti anni fu sottoposto al martello del comunismo: ciononostante mi è stato detto, riguardante il Cardinale Tomasek, “era il Padre della nostra nazione”.

Quel primo Sinodo, secondo l’intenzione di Papa San Giovanni Paolo II, doveva far respirare la Chiesa tramite i suoi due polmoni, quello cattolico e quello ortodosso, anche se prima ancora fu necessario far respirare insieme l’Est e l’Ovest. Devo ammettere che, in molti rispetti, quell’Assemblea Speciale non riusciva a venire incontro a tali aspettative. Fu troppo radicato il sospetto reciproco. Si usava il linguaggio dello “scambio dei doni”, inteso nel senso che l’Est possedeva i doni di una fede provata e del martirio, mentre l’Ovest fu decadente e benestante. Alcuni interpretavano lo “scambio dei doni” nel senso di una richiesta di sostegno finanziario, in contraccambio della testimonianza di una fede eroica. Non spiccava il livello di autocritica fra noi. Noi occidentali conoscevano fino a un certo punto le sfide che ci affrontavano: il secolarismo, l’umanesimo, la cultura dell’indifferenza, ma siamo rimasti lontani da riconoscerne la vera profondità. Alcuni fra gli Orientali speravano di tornare alla condizione di rilievo sociale di una volta, anche se non di dominio.

Da quel Sinodo non è uscito un documento finale. La distanza fra l’Est e l’Ovest era più grande di quanto si pensava e le ferite causate da settant’anni di sottomissione all’Unione Sovietica rimanevano troppo profonde.

Otto anni più tardi la Seconda Assemblea Speciale Europea del Sinodo ha contribuito alla redazione di un’Esortazione Apostolica di alta qualità, Ecclesia in Europa (28 giugno 2003). A questo Sinodo vigeva una maggiore reciprocità. All’Ovest, stavamo penetrando la vera profondità e la radicalità delle sfide affrontandoci e pian piano ci siamo accorti della necessità della Nuova Evangelizzazione nei paesi in cui la socializzazione era stata accolta come promotrice della dovuta Evangelizzazione. Ma la cultura e il Vangelo andavano staccandosi l’uno dall’altro con grande rapidità. E le Chiese dell’Est si rendevano conto che la loro nuova apertura faceva entrare soprattutto le filosofie e le culture occidentali di indole materialista, a scapito della convinzione religiosa di tante persone, la quale era stata intrecciata alla resistenza eroica al dominio politico straniero. I nostri problemi stavano avvicinandosi e l’incoraggiamento e l’ispirazione che abbiamo offerto l’uno all’altro diventavano sempre più reciproci. Questo processo continua ad ora. L’Europa, dall’Atlantico fino agli Urali - come la concepiva Papa San Giovanni Paolo Secondo - stava verificandosi sempre di più, ma non come una grande realtà cristiana o cattolica, come forse si era sperato. L’impegno dell’evangelizzazione è più importante ora che mai.

iv) Altre espressioni di Collegialità in Europa

Non posso non includere in questa riflessione un accenno all’emergersi e al lavoro del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. Anche se non è mancata una certa tensione attorno a tale istituto, non c’è dubbio che ha continuato e ha accompagnato il lavoro dei Sinodi Europei dei Vescovi e che ha servito bene la collegialità presente in questo continente. Fra i suoi Presidenti figurano alcuni grandi leader della vita cattolica d'Europa: il Cardinale Martini, il Cardinale Hume, e il Cardinale Vlk. Nelle riunioni annuali dei Presidenti di tutte le Conferenze Episcopali di Europa, avvenute ogni anno dal 1996 in poi, si scambiano vivamente le gioie e le prove, in cui più facilmente si può capire e accogliere sia quanto ci unisce sia quanto prospettiamo in modo diverso fra noi. Così anche le tre grandi Assemblee Europee Ecumeniche radunate presso la CCEE hanno avuto un contributo di rilievo, soprattutto alla fede e all’entusiasmo dei tanti giovani partecipanti.

In tutto questo, il lavoro del Sinodo dei Vescovi si è portato avanti in Europa.

v) Sfide

Evidentemente, non mancano le sfide che affrontano il Sinodo stesso.

1. Non è facile valutare l’influsso dei documenti post-sinodali in Europa. Alcuni sono di un certo rilievo: Familiaris Consortio, Christifideles Laici, Pastores Dabo Vobis, Sacramentum Caritatis ed Evangelii Gaudium. Altri hanno avuto un influsso minore.

2. Sempre delicati sono i rapporti con i media, soprattutto nei paesi dell’Europa occidentale: la libera stampa di indole critica e indagatrice non può non entrare in tensione con il desiderio di controllare la diffusione di informazione.

3. La maniera della consultazione usata nei Sinodi precedenti a questi sulla Famiglia comportava non solo uno stimolo invigorente ma anche una certa frustrazione, sia perché le domande furono formulate in modo poco adatto a suscitare risposte ampie, sia perché una consultazione pubblica implica la responsabilità di trasparenza, alla quale siamo stati pregati di rinunciare.

4. Devo ammettere, la metodologia delle sessioni stesse del Sinodo richiede grandi risorse di energia! I cambiamenti introdotti per il corrente Sinodo, però, hanno alleggerito questo aspetto.

Ma nonostante certi difetti, il Sinodo dei Vescovi è un dono capace di trasformare tante cose nella Chiesa, di cui le grandi possibilità non sono per niente esaurite.

vi) Il momento attuale

Ora il mondo è cambiato. L’Europa non è più come era prima, neanche nel 1999. Qualsiasi parrocchia dell’Arcidiocesi di Westminster, per esempio, include fedeli provenienti da 30 o 40 nazioni diverse. Come sappiamo bene, la migrazione verso l’Europa da parte di popoli in fuga dalle guerre, dalla violenza e dalla povertà negli stati arabi e in altre regioni pone una sfida al nostro senso europeo di chi siamo e di dove siamo nel mondo. L’Unione Europea sta affrontando questioni e tensioni critiche, soprattutto la tentazione di diventare una città fortificata, mirata a proteggere se stessa e i propri beni e conforti materiali, ottenuti, senz’altro, da ogni parte del mondo. Ogni Paese deve affrontare le proprie sfide e difficoltà. All’Europa non mancano nemici e quindi deve agire con attenzione e vigilanza. Ma non siano dimenticate le parole che mi piace citare: è giusto tacere quando i bambini dormono ma non quando muoiono.

L’ultima riunione dei Presidenti delle Conferenze Episcopali Europee ebbe luogo qualche settimana fa in Gerusalemme, in presenza del Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Non solo avevamo la possibilità di incoraggiare i nostri fratelli e sorelle cristiane in Terra Santa, ma abbiamo potuto riconoscere alcune sfide comuni. Fra tali sfide, darei forse il massimo rilievo a quelle che affrontano oggi la famiglia e alla forza che ci porta la famiglia. Abbiamo parlato dello tsunami culturale delle "teorie del gender" che inonda certi settori delle nostre società. Allo stesso tempo, abbiamo riconosciuto insieme che la famiglia è il primo testimone della fede nella società, il primo laboratorio sulla fede e la spina dorsale di ogni parrocchia, il primo maestro dell’umanità per ogni persona. Ora l’Europa conosce bene questa sfida e la necessità di imparare come far presente alla gente la pienezza dell’invito al matrimonio nel Signore, la sua fedeltà, la sua fecondità e la sua testimonianza. Inoltre, sappiamo l’importanza di trovare i momenti, le parole, le azioni che possano mettere in rilievo la vera misericordia di Dio verso tutti chi Lo cercano. Noi Vescovi europei, insieme, ringraziamo Dio con cuori sinceri per tutto quanto abbiamo ricevuto da quando il Sinodo dei Vescovi fu istituito cinquant’anni fa e per tutto ciò che stiamo ricevendo in questi giorni in questo Sinodo.

Dixi. Gratias.

+ Cardinal Vincent Nichols
Archbishop of Westminster