X Assemblea Generale Ordinaria, 1998: Lineamenta
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SINODO DEI VESCOVI

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X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

IL VESCOVO

SERVITORE DEL VANGELO DI GESÙ CRISTO

PER LA SPERANZA DEL MONDO

LINEAMENTA

CITTÀ DEL VATICANO

1998


Questo testo dei Lineamenta si trova

regolarmente inserito nel sito Internet vaticano:

http :// www.vatican.va

© Copyright 1998 - Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi e Libreria Editrice Vaticana.

Questo testo può essere riprodotto dalle Conferenze Episcopali oppure con la loro autorizzazione, a condizione che il suo contenuto non sia alterato in nessun modo e che due copie del medessimo siano inviate alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 00120 Città del Vaticano.


PRESENTAZIONE

L'argomento assegnato dal Santo Padre Giovanni Paolo II alla Decima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi "Episcopus minister Evangelii Iesu Christi propter spem mundi", da celebrarsi nel tempo del Giubileo dell'Anno 2000, porta in sé un duplice segno: quello della conclusione di un itinerario e l'altro di una celebrazione di comunione.

Quando nel 1987 si svolse il sinodo sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo ebbe inizio un percorso che potrebbe essere compreso sotto il titolo: "la vita dei corpi ecclesiali dopo il Concilio Vaticano II".

Il Sinodo, che in quel Concilio è nato, è divenuto una fedele "Traditio Concilii", ricalcandone, cioè, in certo modo, la struttura, il metodo, lo spirito, ma, soprattutto, trasmettendo, meditando ed elaborando argomenti e propositi conciliari.

Fu così, perciò, che il "corpus laicorum", "christifideles scilicet qui, utpote baptismate Christo concorporati" (Lumen gentium, 31), venne luminosamente illustrato nella Settima Assemblea sinodale del 1987. Ad esso accedono, come primo passo, tutti i figli della Chiesa, che con il battesimo sono costituiti popolo santo di Dio.

Nel 1990 il sinodo si occupò, nella Ottava Assemblea, della formazione dei presbiteri, di quel "corpus presbyterorum", nel quale "i presbiteri...sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale", formando "un unico presbiterio" (Presbyterorum ordinis, 8).

La Nona Assemblea passò, poi, a trattare l'argomento della vita consacrata, di quelle persone, cioè, che, come "corpus vitae consecratae", per mezzo della pratica dei consigli evangelici seguono Cristo con maggiore libertà, imitandolo più di vicino (cf. Perfectae caritatis, 1).

Infine, alla Decima Assemblea è riservato il tema del Vescovo nella sua prerogativa di servo annunciatore del Vangelo, insieme a tutti gli altri vescovi, con i quali forma un "collegium seu corpus episcoporum" (Lumen gentium, 22).

L'itinerario sinodale, avviato con la meditazione sulla vocazione e missione dei laici, passando poi attraverso gli altri stati di vita, dei presbiteri, cioè, e delle persone consacrate, giunge ad una meta completiva con la Decima Assemblea dedicata al Vescovo, quale apostolo del Vangelo di Gesù Cristo (cf. Rom 1,1.9).

Ma poiché il Corpo Mistico di Cristo è uno, non può la varietà di membra sussistere funzionalmente se non in una superiore unità che conferisce compattezza e vitalità all'intero corpo, che è la Chiesa. Infatti "i sacri pastori...sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo" (Lumen gentium, 30).

È per questo che laici, presbiteri, persone consacrate e vescovi tendono all'unico fine e concorrono all'unico scopo: far crescere l'unico Corpo del Signore fino alla piena maturità (cf. Ef 4,13), nella comunione, poiché "nei vari generi di vita e nelle varie professioni un'unica santità è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre, seguono Cristo povero, umile e carico della croce per meritare di essere partecipi della sua gloria" (Lumen gentium, 41).

Il cammino sinodale, che è "comunione di vie" (Giovanni Paolo II ai Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, L'Osservatore Romano, 2 dicembre 1992, p. 5), inizia nella comunione, si sviluppa nella comunione, trova esiti di comunione.

Questo documento dei Lineamenta è destinato ad alimentare e stimolare la riflessione di tutti coloro che, incamminandosi, già nelle chiese locali, su questo sentiero di comunione che è il Sinodo, cercano con la preghiera e la meditazione di esprimere le istanze e gli intenti propri della loro comunità.

Proposte, indicazioni e aspettative dovranno essere studiate ed elaborate dai Vescovi nelle Conferenze Episcopali o negli organismi analoghi, quindi indirizzate alla Segreteria Generale del Sinodo. Il Questionario serve a concentrare l'attenzione su punti particolari della dottrina e della prassi della Chiesa. Se in casi concreti si avverte la necessità di esporre argomenti non compresi nel Questionario, c'è ampia facoltà di procedere in tal senso, anzi è ben accetta ogni iniziativa di approfondimento e arricchimento nello studio del tema sinodale.

Le risposte al Questionario dovranno essere inviate alla Segreteria Generale del Sinodo entro il 30 settembre 1999 per consentire la stesura dell'Instrumentum laboris, che sarà il testo di riferimento per i Padri dell'assemblea "giubilare" del Sinodo dei Vescovi, evento che sarà culmine di cronologia cristiana e di comunione ecclesiale.

Jan P. Card. SCHOTTE, C.I.C.M.

Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi


INTRODUZIONE

1. L'infinita ricchezza del mistero di Cristo rivive nel mistero della Chiesa e si manifesta attraverso la varietà delle vocazioni e la diversità degli stati di vita, nei quali è articolata la comunione ecclesiale. Nella concretezza delle loro molteplici attuazioni, essi corrispondono all'insieme dei doni che lo Spirito Santo ha effuso sui battezzati (cf. 1 Cor 12, 4-6). Scaturiti dall'unica e comune origine trinitaria, i diversi stati di vita sono intimamente collegati fra loro sì da essere gli uni ordinati agli altri e, quando sono vissuti nella consapevolezza della loro rispettiva identità e complementarità, reciprocamente si edificano. Ciascuno, poi, e tutti insieme sono ordinati all'incremento e alla crescita della Chiesa così come, mediante il loro organico dispiegarsi, contribuiscono all'adempimento della sua missione nel mondo.(1)

Dopo che il Concilio Vaticano II aveva messo in evidenza la grande realtà della comunione ecclesiale, poiché questa non è uniformità ma è dono dello Spirito, che passa anche attraverso la varietà dei carismi e degli stati di vita, si è avvertita l'esigenza di meglio esplicitarne l'identità, la vocazione e la specifica missione nella Chiesa.(2) Per questo su di essi hanno portato la loro attenzione le ultime tre assemblee ordinarie del Sinodo dei vescovi, cui hanno fatto seguito le tre esortazioni apostoliche di Giovanni Paolo II Christifideles laici sulla vocazione e missione dei fedeli laici, Pastores dabo vobis sul sacerdozio ministeriale e Vita consecrata sullo stato di quanti, uomini e donne, seguono Cristo più da vicino nella professione dei consigli evangelici della castità, povertà e obbedienza. Da ciò ne è derivata una più viva consapevolezza della loro importanza e del valore della loro presenza costitutiva nella vita della Chiesa, per volontà del Signore.(3) Nella Chiesa, dunque, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, tanto l'elemento gerarchico tanto quello carismatico sono coessenziali e concorrono entrambi, sia pure in modo diverso ma sempre con reciproco scambio incessante, al suo rinnovamento.(4)

2. L'esperienza del post-concilio ha pure mostrato quanto il rinnovamento voluto dal Concilio sia dipeso e dipenda dai Vescovi. Né poteva essere diversamente a motivo del loro ministero di costruttori, garanti e custodi della comunità cristiana della quale, in nome di Cristo, sono stati costituiti pastori. Ciascuno di loro è, nella propria Chiesa particolare, il promotore efficace della vita dei fedeli laici e il custode attento della vita consacrata ; i presbiteri, poi, sono i suoi "necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il popolo di Dio".(5)

E', dunque, urgente che, come nel passato, ancora oggi, quando la Chiesa è giunta alle soglie del Terzo Millennio, i vescovi nel loro ministero s'impegnino con determinatezza e coraggio nel rinnovamento di essa secondo le direttive del Concilio Vaticano II, in modo che attraverso la sua opera il mondo possa essere "destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento".(6)

3. Per questa ragione il tema scelto da Giovanni Paolo II per la X Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi è : "Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo". Esso intende sottolineare anzitutto che è Gesù Cristo la speranza dell'uomo, di ogni uomo e per tutto l'uomo.(7)

Lo stesso tema si propone di aggiungere che l'intero servizio di ogni vescovo è per la speranza, è servizio di annuncio e di testimonianza della speranza in quanto annuncio di Cristo. Ogni vescovo deve poter fare proprie le parole di S. Agostino : "Quali che siamo, la vostra speranza non sia riposta in noi. Da vescovo, mi abbasso a dire questo: voglio rallegrarmi di voi, non essere esaltato. Non mi congratulo affatto con qualsiasi persona che avrò scoperto riporre in me la speranza: va corretto, non rassicurato ; deve cambiare, non è da incoraggiare... la vostra speranza non sia riposta in noi, non sia riposta negli uomini. Se siamo buoni, siamo ministri ; se siamo cattivi, siamo ministri. Ma se siamo ministri buoni, fedeli, siamo realmente ministri".(8)

La preparazione alla X Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi e i suoi lavori non potranno che svolgersi alla luce di quanto il Concilio Vaticano II ha insegnato riguardo ai Vescovi, successori degli Apostoli, "i quali col Successore di Pietro, Vicario di Cristo e Capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente".(9)

4. Ogni vescovo, partecipe della pienezza del sacramento dell'Ordine, è principio e fondamento visibile dell'unità nella Chiesa affidata al suo servizio pastorale operando perché cresca come Famiglia del Padre, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito mediante la triplice funzione che vi è chiamato a svolgere, ossia quella d'insegnare, di santificare e di governare, presenza viva e attuale di Cristo "pastore e vescovo" delle nostre anime (1 Pt 2, 25), vicario nella Chiesa particolare non soltanto della sua parola ma della sua stessa persona.(10) Poiché, poi, la Chiesa è la comunione di tutte le Chiese, edificando la sua Chiesa particolare il vescovo contribuisce all'edificazione di tutta la Chiesa che è "in Cristo come sacramento o segno e strumento dell'intima unione dell'uomo con Dio e dell'unità del genere umano".(11) Con la crescita della Chiesa, dunque, cresce pure "quel corpo dell'umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo".(12)

Lo stesso Concilio Vaticano II ha pure rimesso in onore la realtà del collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli ed è espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai vescovi in comunione tra loro e col Successore di Pietro. In quanto membri di questo Collegio tutti i vescovi "sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo"(13) e per istituzione e volontà di Cristo "sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che, sebbene non sia esercitata con atti di giurisdizione, sommamente contribuisce al bene della Chiesa universale".(14)

Questo magistero è presente come uno dei princìpi animatori in tutti i documenti del Concilio Vaticano II ed ha nel decreto Christus Dominus una più specifica determinazione circa la missione pastorale dei Vescovi. Il Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983, ne ha poi ripreso la figura delineandone pure lo stato giuridico. Ma già dieci anni prima, al fine di illustrare il tipo ideale del vescovo adatto al nostro tempo e di più esplicitamente descrivere la sua figura morale-ascetico-mistica, la Congregazione per i Vescovi aveva pubblicato il Direttorio Ecclesiae imago (22 febbraio 1973) la cui validità ancora oggi permane.(15)

5. La prima Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nell'ottobre 1969, trattando il tema della collegialità dei Vescovi nella Chiesa, ebbe la possibilità di riflettere approfonditamente sulla dottrina conciliare circa la comunione sacramentale fra i vescovi. La stessa realtà del Sinodo dei Vescovi, poi, è un validissimo strumento di comunione. Radunati nel Sinodo cum Petro et sub Petro i vescovi portano la loro esperienza di pastori delle Chiese particolari e "rendono manifesta e operante quella coniunctio, che costituisce la base teologica e la giustificazione ecclesiale e pastorale del riunirsi sinodalmente".(16)

La X Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi sarà senza dubbio l'occasione per verificare che quanto più salda è la comunione dei Vescovi fra loro tanto più ne risulta arricchita la comunione della Chiesa. Lo stesso loro ministero, poi, risulterà rafforzato e confortato dal reciproco scambio delle esperienze. Inserita nel contesto del Grande Giubileo del 2000 e avendo al centro della sua attenzione la figura stessa del vescovo quale ministro del Vangelo per la speranza del mondo, la prossima Assemblea sinodale ordinaria prevede tra i suoi scopi quello di mettere in luce che ai Vescovi "spetta il nobile scopo di essere i primi a proclamare le «ragioni della speranza» (cf. 1 Pt 3, 15): questa speranza che si basa sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua parola e che ha come certezza inequivocabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul male e il peccato".(17) L'avvento del Terzo Millennio, peraltro, insieme con tutti i cristiani sollecita in particolare i vescovi a valorizzare e approfondire, in campo ecclesiale e in campo civile, "i segni della speranza presenti in questo ultimo scorcio di secolo, nonostante le ombre che spesso li nascondono ai nostri occhi".(18)

La speranza cristiana è intimamente congiunta all'annuncio coraggioso e integrale del Vangelo, che eccelle tra le funzioni principali dei Vescovi. Per questo, al di sopra dei loro molteplici doveri e compiti, "al di sopra di tutte le preoccupazioni e le difficoltà, che sono inevitabilmente legate al fedele lavoro quotidiano nella vigna del Signore, deve stare innanzi tutto la speranza".(19)


Capitolo I

CONTESTO ODIERNO DELLA MISSIONE DEL VESCOVO

6. I padri conciliari, quando a conclusione del Concilio Vaticano II fecero ritorno nelle proprie Chiese particolari, ai presbiteri, loro primi collaboratori, e a tutti gli altri membri del popolo di Dio, insieme con i testi dottrinali e pastorali, portarono anche l'istanza di una nuova figura di vescovo, conforme al volto comunionale della Chiesa, che quello stesso Concilio aveva messo in luce richiamandone l'origine ultima e il modello trascendente nel mistero divino della comunione trinitaria.(20) Al tempo stesso portarono non soltanto la dottrina circa il carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale, ma anche la ricchezza di una preziosa esperienza vissuta nella collegialità. Era implicito che la figura del vescovo, dopo di ciò, non sarebbe più stata la stessa.

Una nuova valorizzazione della figura del vescovo

7. Emergeva, infatti, la necessità di una diversa valorizzazione della funzione e dell'autorità del vescovo. Questo non già unicamente nell'aspetto esteriore, al quale pure dalla Sede Apostolica si cominciò ben presto a provvedere, ad esempio con la lettera m. p. Pontificalia insignia di Paolo VI (21 giugno 1968) o, anche, con l'Istruzione Ut sive sollicite (31 marzo 1969), che riportavano le insegne pontificali e gli abiti episcopali a maggiore semplicità e conformità allo spirito umile e povero che sempre deve rifulgere in coloro che hanno una speciale responsabilità nel servizio dei fedeli.

La nuova valorizzazione della figura del vescovo, tuttavia, riguardava soprattutto il suo significato spirituale e morale, avente il carisma primo dell'apostolicità. Egli è l'economo della grazia del supremo sacerdozio; è il maestro autentico che proclama con autorità la parola di Dio riguardante la fede e i costumi.

8. Nella lettera apostolica in preparazione al Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II rammenta che è giusto ed è bene per la Chiesa invitare i suoi figli a varcare la Porta Santa purificandosi, nel pentimento, da errori, infedeltà e incertezze. La Chiesa stessa, anzi, intende farsi carico del peccato dei suoi figli.(21)

E', dunque, opportuno che la X Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, al termine del secondo millennio, riconosca, in umile gesto di pentimento, che anche il ministero episcopale nel suo storico manifestarsi in certi momenti è stato inteso più come una forma di potere e di prestigio che come un'espressione di servizio.

9. Il Concilio Vaticano II nel suo magistero ha richiamato in più circostanze la dottrina di san Cipriano, vescovo di Cartagine, dal quale ha ripreso l'idea della mutua inclusione della Chiesa nel vescovo e del vescovo nella Chiesa: la Chiesa è il popolo unito al suo sacerdozio, il gregge riunito intorno al suo pastore.(22) La medesima idea ha guidato il decreto Christus Dominus nel descrivere la Chiesa particolare come porzione del popolo di Dio che aderisce al suo pastore il quale, coadiuvato dal presbiterio, lo riunisce nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia.(23)

Il vivo desiderio e l'emergente richiesta da parte di molti fedeli di vivere la comunione con il proprio vescovo, il loro interesse all'incontro personale con lui, al dialogo, al confronto delle idee nell'analisi e nella verifica delle situazioni locali, nella progettazione pastorale, sono fatti certamente positivi. Nella pressante domanda di quanti hanno vivo il senso della Chiesa è, infatti, presente il bisogno che il vescovo sia sempre più luminosamente segno di quella comunione di carità,(24) di cui la Chiesa stessa è sacramento nel mondo.

Nuove istanze e difficoltà per il ministero episcopale

10. Questo dato, che ha la sua risposta istituzionale nella costituzione di luoghi specifici di partecipazione alla vita della Chiesa particolare, come i Consigli presbiterali e pastorali e la celebrazione di Sinodi diocesani, comporta, oltre quelle normali, ulteriori difficoltà per l'esercizio del ministero episcopale. Il rischio è che una serie d'impegni di vario genere e in stretta successione fra loro giunga ad affollare la giornata di un vescovo e che particolari circostanze, derivanti non in ultimo dal ruolo pubblico che in diversi paesi gli è riconosciuto nella società civile, possano distoglierlo dalle sue primarie incombenze. Accade allora che egli sia totalmente assorbito da richieste tali da fare prevalere l'aspetto amministrativo e burocratico, a scapito del rapporto personale spirituale del pastore con il suo gregge. Anche il ruolo pubblico di un vescovo ha bisogno di un accurato discernimento.

A ciò si aggiungano altre difficoltà, che derivano, ad esempio, dall'esteso territorio diocesano o dalla quantità dei fedeli o anche dalla persistente concezione, in alcune parti, che il vescovo sia la persona importante e influente cui è possibile rivolgersi per ottenere favori o agevolazioni di vario genere.

11. Si tratta, invero, della difficoltà di farsi realmente "tutto a tutti". In ogni caso, ciascun vescovo è tenuto a cercare e a realizzare, nei suoi impegni quotidiani, il giusto equilibrio tra la guida interna di una comunità e il dovere missionario di annunciare agli uomini il Vangelo. Non meno necessaria è la ricerca di un equilibrio tra la contemplazione e l'azione.

Poiché, poi, effettivamente l'onore episcopale è un onere gravoso e faticoso, maggiormente si mette in luce l'importanza della cooperazione dei presbiteri. Non si tratta, in questo caso, di una semplice opportunità pratica, visto che la necessaria cooperazione del presbiterio è radicata nello stesso evento sacramentale.(25) D'altra parte tutti i cristiani hanno il diritto e il dovere di cooperare, in forma sia personale sia aggregativa, alla missione della Chiesa, conformemente alla propria vocazione e ai doni dello Spirito. Spetta, dunque, al vescovo riconoscere e rispettare questo sano pluralismo delle responsabilità, accoglierlo, valorizzarlo e coordinarlo con sapienza pastorale, sì da evitare inutili e dannose dispersioni delle energie.(26) Così facendo egli sarà presente nella Chiesa particolare non soltanto con la forza della sua singola personalità ma, più ancora, con la figura di una persona ministeriale, che attua una presenza di comunione.

Emergenze nella comunità cristiana

12. Il Vaticano II è stato per la Chiesa un'autentica grazia di Dio e un gran dono dello Spirito santo. Da questo Concilio sono derivati molti frutti spirituali per la Chiesa universale e per quelle particolari, come anche per gli uomini del nostro tempo. In particolare esso fu grande atto d'amore verso Dio, verso l'umanità e verso la Chiesa, della quale espose nei suoi testi la natura e la struttura fondamentale voluta dal Signore, la vocazione ecumenica e l'attività apostolica e missionaria.

La II Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 constatò con soddisfazione e con speranza che gran parte dei fedeli, rispondendo agli impulsi dello Spirito, aveva accolto il magistero del Vaticano II con slancio e con grande adesione d'animo sì da vedere accresciuto il sensus Ecclesiae. Da esso, che comporta una più approfondita conoscenza della Chiesa, un maggiore amore per la Chiesa e un vivo sentire in Ecclesia, sono rinvigoriti pure il dinamismo missionario e l'impegno nel dialogo ecumenico perché sia ristabilita l'unione visibile fra i cristiani.

Soprattutto hanno conosciuto autentico slancio nei fedeli laici il senso della corresponsabilità e la volontà di partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Dopo il Concilio sono pure sorte e, accanto al tradizionale associazionismo, si sono sviluppate nuove realtà aggregative che, con fisionomia e finalità specifiche e diverse, partecipano alla missione della Chiesa di annunciare il Vangelo come fonte di speranza e di rinnovamento per la società.(27) Anche l'esigenza di valorizzare il "genio" della donna, è sempre più sentita nella comunità dei fedeli. Universalmente diffusa, poi, e in alcune Chiese fiorente con sorprendente vigore, è la vita consacrata, su cui ha molto riflettuto l'ultima Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi cui ha fatto seguito l'esortazione apostolica Vita consecrata. Si tratta di fenomeni confortanti poiché ad essi è strettamente legato il rinnovato vigore nell'adesione a Cristo, luce delle genti e speranza dell'uomo.

Diminuzione del fervore e soggettivizzazione della fede

13. La crescita, tuttavia, non sempre è stata tale da sostenere, soprattutto presso i popoli cristiani d'antica data, l'urto del secolarismo, che da tempo insidia le radici religiose del cuore umano. Nell'ambito ecclesiale non mancano altri fenomeni preoccupanti e negativi, quali l'ignoranza religiosa purtroppo persistente e crescente fra molti credenti ; la scarsa incidenza della catechesi, soffocata dai più diffusi e suadenti messaggi dei mezzi di comunicazione di massa, il malinteso pluralismo teologico, culturale e pastorale ; il persistere di un senso di diffidenza e quasi di insofferenza per il magistero gerarchico ; le spinte unilaterali e riduttive della ricchezza del messaggio evangelico.(28)

Tra gli effetti si deve annoverare l'insorgere di una "mancanza di fervore, tanto più grave perché nasce dal di dentro ; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza".(29) A ciò si aggiungono pure la frattura tra la fede e la vita, fra l'accoglienza del Vangelo e la sua traduzione concreta nei comportamenti e nelle scelte quotidiane e l'insorgere tra i fedeli di un soggettivismo, talora esasperato, che si manifesta soprattutto nel campo etico e morale ma anche nei contenuti della fede.

Il fenomeno della soggettivizzazione della fede, che si accompagna alla crescita dell'individualismo, è purtroppo presente in un grande numero di cristiani con l'esito di una diminuita sensibilità all'insieme complessivo e oggettivo della dottrina della fede. Al contrario, cresce l'adesione soggettiva a ciò che piace ed è conforme alla propria "esperienza". Difficoltà come queste esigono che soprattutto i vescovi, insieme con il loro presbiterio, accrescano gli sforzi perché la parola di Dio giunga integra ai fedeli e siano mostrati a loro, senza adulterazione alcuna, lo splendore e l'intensità d'amore "della verità che salva" (2 Tess 2, 10).

Il bisogno di presentare la luce del Vangelo e l'autorevole insegnamento della Chiesa sui princìpi che sono alla base e sostengono la vita morale è presente nella Veritatis splendor (25 marzo 1995) dove Giovanni Paolo II ha riproposto i fondamenti dell'agire cristiano e il rapporto essenziale che intercorre fra verità e libertà.

14. Occorre, invero, riconoscere, che l'esercizio del magistero episcopale era relativamente facile quando la vita della Chiesa si svolgeva in diverse condizioni e poteva agevolmente ispirare le culture e partecipare alle loro forme espressive. Nell'attuale crisi, che investe il linguaggio e il pensiero, tutto questo è divenuto, indubbiamente, più arduo e difficile ; anzi, proprio nell'annuncio della verità, i vescovi vedono spesso sfidati e messi a dura prova la loro fede e il loro coraggio.

Spetta, però, a loro, in prima persona, l'inalienabile dovere di essere i custodi della Verità e questo senza ignorare i molti problemi, che oggi incontra un credente giustamente desideroso di progredire nell'intelligenza della fede. A ciascun vescovo l'Apostolo rivolge l'esortazione ad attingere sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù (cf. 2 Tim 2, 1) e annunciare la Parola in ogni occasione, opportuna e importuna, a vigilare sopportando le sofferenze, a compiere l'opera di annunciatore del Vangelo (cf. 2 Tim 4, 1-5).

Molto importante è, a tale scopo, conservare viva e visibile la comunione gerarchica col vescovo di Roma e incrementare l'affetto collegiale con gli altri vescovi, particolarmente nelle varie assemblee episcopali.(30)

La vita matrimoniale e famigliare

15. Tra i più importanti "cammini" della Chiesa alle soglie del Terzo Millennio, come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua Lettera del 2 febbraio 1994, c'è la famiglia. Uno sguardo alla vita della Chiesa nei nostri giorni fa rilevare che fra i cristiani è accresciuta la convinzione che la coppia e la famiglia cristiane sono fonti di santificazione. Negli sposi, in particolare, è aumentata la consapevolezza della propria vocazione alla santità e del significato positivo e cristiano della sessualità. Al riguardo un sostegno essenziale, negli ultimi decenni, è venuto dal magistero del Vaticano II, esposto nella costituzione pastorale Gaudium et spes, cui dalla Sede Apostolica sono stati aggiunti molti altri interventi, dall'enciclica Humanae vitae di Paolo VI all'esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

La famiglia, però, è oggi pure insidiata da numerose minacce, che vanno dalla mentalità consumistica al diffuso edonismo, dal permissivismo morale alla dannosa propaganda di forme deviate della sessualità. I mezzi di comunicazione sociale, peraltro, non di rado innalzano al livello di schemi di vita sociale comportamenti degradanti la dignità della persona e quindi opposti alla vita morale indicata dal Vangelo e insegnata dalla Chiesa. A ciò si aggiungano il mito di una "esplosione demografica" e i timori di una sovrappopolamento, che impedirebbe all'umanità di provvedere ai suoi vitali bisogni. Questi fenomeni e queste paure aprono la strada alla piaga dell'aborto e all'eutanasia, soprattutto perché alimentati da un'invadente e, talvolta, subdola "cultura di morte", contro la quale ha elevato la sua voce Giovanni Paolo II con l'enciclica Evangelium vitae (25 marzo 1995).

Nel campo della vita umana, infine, la biologia e la bioingegneria hanno puntato lo sguardo sulle forze più nascoste della natura e, appropriandosi delle metodologie più ardite per dominarle e utilizzarle, hanno realizzato enormi progressi. Sono, tuttavia, noti i gravi rischi di sconfinamento e di abuso e i profondi interrogativi antropologici e morali che derivano da operazioni che, attentando alla vita e alla dignità dell'uomo, sono forme inaccettabili di manipolazione e di alterazione.

Tutto ciò non cessa di allarmare e preoccupare in primo luogo i vescovi, ben consapevoli che la famiglia risulterà fortificata solo se corrisponderà alla vocazione del Padre celeste, che chiama i suoi figli a vivere nella fedeltà l'unione coniugale, ad esercitare responsabilmente la procreazione e ad impegnarsi amorevolmente nell'educazione della prole.

In un'ora in cui sembra da molti smarrito il legame tra verità, bene e libertà, i vescovi avvertono urgente il dovere di ricordare, con la voce del santo vescovo Ireneo di Lione, che "la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la visione di Dio" (31). Di qui la necessità che l'uomo viva secondo le esigenze della sua dignità di creatura di Dio e di figlio nel Figlio, redentore dell'uomo. Eminente forma di carità verso gli uomini è quella di non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, accompagnando la proclamazione della verità con la pazienza e la bontà di cui il Signore Gesù ha dato l'esempio.

Le vocazioni al ministero presbiterale e alla vita consacrata

16. L'attenzione dei vescovi alla formazione dei futuri presbiteri e la loro preoccupazione per la scarsità del clero sono sempre state presenti nelle discussioni delle diverse assemblee del Sinodo dei vescovi, in particolare di quella del 1990. Allora si poté constatare come in molte Chiese particolari ci sia un confortante risveglio e aumento delle vocazioni al ministero presbiterale, per il quale tutti devono innalzare la lode al Signore ; in altre Chiese, invece, soprattutto dell'Europa occidentale e dell'America del Nord, è persistente una sensibile diminuzione, aggravata dall'innalzarsi dell'età media dei sacerdoti impegnati nella cura pastorale. D'altra parte, anche laddove è sensibile l'aumento delle vocazioni rimane pur sempre il divario tra la crescita numerica e le esigenze dei fedeli.

Ciò comporta un'evidente difficoltà per il ministero episcopale ed è sorgente di notevoli preoccupazioni per molti vescovi. Ogni comunità cristiana, infatti, ha la sua incessante sorgente nel sacramento della Eucaristia, di cui il sacerdote è ministro. La presenza di vocazioni sacerdotali, poi, è una premessa necessaria per la crescita della Chiesa e una verifica per la sua vitalità spirituale.

Anche l'incremento delle vocazioni alla vita consacrata si presenta come una grave necessità per la Chiesa, che ha sempre bisogno di questi testimoni del "secolo futuro". La loro presenza è condizione indispensabile per l'opera della nuova evangelizzazione. Per questa ragione la promozione delle vocazioni al ministero sacro e alla vita consacrata, come la loro adeguata formazione, devono essere un impegno di tutto il popolo di Dio. Tale preoccupazione dev'essere prioritaria per tutti i vescovi perché sia assicurato il cammino di speranza per la diffusione del Vangelo e la costante edificazione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

La sfida delle sette e dei nuovi movimenti religiosi

17. Il soggettivismo della fede e il permissivismo morale, ma pure una carente formazione religiosa ed una scarsa esperienza di vita liturgica ed ecclesiale, espongono i fedeli di non poche comunità cristiane, in Europa, in America e in Africa, all'attrazione esercitata dal proliferare delle sètte o "nuove forme di religiosità", come oggi si usa denominarle. Ad esse dedicò la sua attenzione la II Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi nel 1985. In quella sede ci si interrogò se, pure in ambito cattolico, sia stato sufficientemente manifestato il senso del sacro.(32) Sull'argomento è poi intervenuta la Santa Sede, con apposito e articolato documento preparato da alcuni Dicasteri romani.(33) Anche le Conferenze episcopali, soprattutto le Conferenze generali dell'Episcopato latinoamericano, hanno riflettuto sul tema. Giovanni Paolo II vi fa frequente richiamo sia nel ricevere i vescovi in visita ad limina sia nel corso dei suoi molteplici pellegrinaggi apostolici.

E' chiaro che questi "nuovi movimenti religiosi" pochissimo hanno in comune con un'autentica ricerca di Dio e per questo, sia nelle loro dottrine sia nei loro metodi, si propongono come alternative, in opposizione non soltanto alla Chiesa cattolica ma anche alle altre Chiese e comunità ecclesiali.

Alla diffusione di questi nuovi movimenti religiosi è necessario reagire con un'opera pastorale che pone al centro la persona, la sua dimensione comunitaria e il suo anelito ad un autentico rapporto personale con Dio. La loro presenza suggerisce, in ogni caso, il bisogno di rivitalizzare la catechesi a tutti i livelli adeguandola alla mentalità del popolo e al suo linguaggio, ponendo sempre al centro l'insondabile ricchezza di Cristo, unico Salvatore dell'uomo. Spetta in primo luogo ai vescovi, nelle cui Chiese particolari si rileva il fenomeno, dirigere la pastorale su questi percorsi come pure tutelare i valori della pietà popolare. Sarà, in tal modo, possibile arginare il proselitismo delle sètte, senza attacchi personali e con posizioni contrarie allo spirito del Vangelo, ma sempre con lo spirito caritatevole di chi accoglie la persona per evangelizzarla.

Il contesto della società degli uomini

18. Le emergenze oggi presenti nella vita della Chiesa, delle quali solo alcune, forse più emblematiche, sono state sommariamente richiamate, sono congiunte e, anzi, risentono della storia degli uomini nella quale essa vive. La Chiesa, difatti, è popolo di Dio peregrinante alla ricerca della città futura e permanente (cf. Ebr 13, 14). Benché, per vocazione, trascenda i tempi e i confini delle nazioni, dovendosi estendere a tutta la terra, la Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, entra nella storia degli uomini,(34) partecipe delle loro vicende e solidale con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono.(35)

E' vero, però, che rispetto al momento della celebrazione del Concilio gli attuali scenari mondiali sono profondamente mutati. D'altra parte molti degli attuali cambiamenti non erano del tutto prevedibili dai Padri del Vaticano II, almeno nella forma in cui si sono prodotti.

Il diverso scenario mondiale

19. Diverso, infatti, è l'assetto delle nazioni e degli equilibri internazionali ; il progresso della scienza e della tecnica in ogni campo ha posto nuovi problemi ; negli ambiti della bioingegneria e in quello delle comunicazioni sono avvenute autentiche rivoluzioni tecnologiche, che hanno aperto nuove possibilità al controllo della natura, dei processi sociali e della stessa vita umana. Anche l'ateismo odierno è diverso, non avendo più come prevalente la forma dell'ateismo scientifico o dell'ateismo umanistico bensì quella dell'ateismo pratico e dell'indifferenza religiosa. In questa forma esso è stato sempre presente nella storia ; oggi, però, ha assunto una realizzazione più invadente e quasi anonima, specialmente nelle parti del mondo di antica tradizione cristiana.

Da tutto ciò, insieme con le enormi possibilità, si sono fatte strada anche nuove minacce per la vita degli uomini. Le sfide poste alla Chiesa dalle profonde mutazioni dell'agire umano sono molteplici e sarebbe impossibile ricordarle tutte : esse riguardano la persona umana e la sua vita, dal suo primo inizio alla sua conclusione con la morte, l'ambiente minacciato nei suoi fondamentali equilibri, il convivere civile e lo sviluppo dei popoli, la forza inedita dei nuovi mezzi di comunicazione di creare o modificare una cultura e d'influire sui processi economici e politici. In tale situazione la lettera enciclica Centesimus annus poneva la triplice istanza di un'ecologia ambientale, di un'ecologia umana e di un'ecologia sociale.(36)

20. Anche il grande tema della pace nel mondo, nella seconda metà del secolo che sta per finire, si prospetta in forme diverse. Essa s'imposta nel nuovo quadro della "globalizzazione". Soprattutto con l'apporto del mondo delle comunicazioni, il mondo sta divenendo sempre più un "villaggio globale". In contrapposizione, però, si sviluppa pure un orientamento verso la frammentazione, segnata dall'affermazione, esasperata e talvolta fittizia, di identità culturali, politiche, sociali e religiose.

Accade così che, mentre si vedono crollati gli antichi muri, altre barriere sono state innalzate. E, se pure oggi non si verificano conflitti generalizzati, persistono, invece, quelli locali e interni, che interpellano la coscienza di intere popolazioni in ogni parte del mondo. La perdita di tante vite umane e l'enorme numero di profughi, di rifugiati e di sopravvissuti, feriti nel corpo e nello spirito, sono un risultato troppo negativo che blocca lo sviluppo dei diritti umani, tiene in permanente crisi i processi di pace e ostacola il perseguimento del bene comune della società.

E' aberrante che, non di rado, si pretenda di giustificare con motivazioni di ordine religioso le lotte e i conflitti con gli altri. Il fenomeno del fondamentalismo o fanatismo religioso è senz'altro da condannare. Esso, però, dev'essere studiato attentamente nelle sue motivazioni giacché quasi mai è solo religioso, ma, in alcuni casi, il sentimento religioso è strumentalizzato per altri fini, politici o economici.

21. Altrettanto grave è il peso della povertà e della miseria che grava su intere popolazioni, mentre, nei paesi economicamente più sviluppati, diminuisce il senso della solidarietà. Le frontiere della ricchezza e della povertà non delimitano soltanto le nazioni ricche da quelle povere e ancora in via di sviluppo, ma attraversano pure quelle medesime società al loro interno.

La questione sociale è oggi resa ancora più complessa dalle differenze di cultura e dei sistemi di valori tra i vari gruppi di popolazione, che non sempre coincidono col grado di sviluppo economico e contribuiscono, invece, a creare maggiori distanze. A ciò si aggiungano le piaghe dell'analfabetismo, la presenza di forme diverse di sfruttamento e di oppressione economica, sociale, politica e anche religiosa della persona umana e dei suoi diritti, le discriminazioni di ogni tipo, specialmente quelle più odiose perché fondate sulla differenza razziale. Altre forme di povertà sono la difficoltà o impossibilità di accedere ai livelli superiori d'istruzione, l'incapacità di partecipare alla costituzione della propria Nazione, la negazione o la limitazione dei diritti umani e, tra questi, il diritto alla libertà religiosa.

L'elenco potrà senza dubbio essere ampliato, aggiungendovi altri fattori che seminano stanchezza nei cuori e nelle menti e minacciano seriamente le speranze per un futuro migliore. Tali sono, ad esempio, la corruzione della vita pubblica che si registra in diversi Paesi ; il mercato della droga e della pornografia, che erodono ulteriormente la fibra morale, la resistenza e le speranze dei popoli ; le somme enormi, spese per gli armamenti, non soltanto a scopo di difesa ma pure per procurare la morte ; un comportamento non corretto nelle relazioni internazionali e negli interscambi commerciali a detrimento dei paesi in via di sviluppo, le restrizioni alla libera professione della fede ancora poste in alcune Nazioni.

Alcune direzioni delle speranze umane

22. Elencando ed esaminando queste emergenze, la Chiesa che si dispone ad entrare nel terzo millennio cristiano, pur senza evadere dalla serietà e dalla gravità dei problemi, continua a fare proprio l'ottimismo fondato sulla speranza cristiana, che fu della costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II. A chi guarda più da vicino la storia degli uomini alle soglie del nuovo millennio, infatti, non mancano di giungere segnali di speranza ; essa, anzi, appare attraversata come da una calda corrente di libertà, che muove gli uomini e le donne di ogni parte della terra.

Soffermando su di essa la propria attenzione Giovanni Paolo II, nel discorso rivolto il 5 ottobre 1995 all'Organizzazione delle Nazioni Unite, ne ha illustrato il senso alla luce delle imprescindibili esigenze della legge morale universale. Egli ha pure invitato le Nazioni ad assumersi il rischio della libertà col riaffermare i diritti umani fondamentali e la dignità e il valore della persona umana, nei nuovi contesti di una società multietnica e multirazziale e della mondializzazione dell'economia, e con la ricerca di un giusto equilibrio tra i due poli della particolarità e della universalità. I diritti delle nazioni, infatti, altro non sono che i diritti umani colti nello specifico livello della vita comunitaria. Da qui scaturisce anche il rispetto delle "differenze" come fonte di una più profonda comprensione del mistero dell'uomo.(37)

Nel passaggio dal secondo al terzo millennio cristiano, la vita degli uomini si mostra pure pervasa da un promettente e sensibile, benché fragile in rapporto alle ansie e alle preoccupazioni, interesse per i valori dello spirito e da un più diffuso bisogno di interiorità, da una maggiore attenzione alla responsabilità dell'uomo verso la natura e da una crescente consapevolezza delle presenti opportunità, al fine di costruire una nuova e migliore civiltà e un mondo che veda tutti coinvolti, in solidale e coraggiosa collaborazione per gli obiettivi della pace e della giustizia, per un risveglio morale a favore del rispetto per la dignità e i diritti umani nel mondo.

Vescovi testimoni e servitori della speranza

23. La Chiesa sente nel vivo del suo corpo le tensioni e le contrapposizioni che affliggono gli uomini contemporanei e in tutti i suoi membri vuole rendersi presente nella difesa della dignità dell'uomo e della sua integrale promozione. Gesù stesso ha avvertito che egli s'identifica con tutti i poveri di questo mondo e che riguardo a questa identificazione giudicherà alla fine dei tempi (cf. Mt 25, 31-46).

Alle soglie del Terzo Millennio la Chiesa è consapevole "che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna. Anche da questa consapevolezza deriva il suo amore preferenziale per i poveri, la quale non è mai esclusiva né discriminante verso altri gruppi".(38) A immagine di Gesù che "vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9, 36) tale compito dev'essere assunto dai vescovi in prima persona.

24. La storia della Chiesa è popolata di figure di vescovi che, in forza dell'imperativo derivante dalla missione episcopale, si sono profondamente impegnati nella promozione e nella difesa coraggiosa della dignità umana. Questa, infatti, rappresenta un valore evangelico che mai può essere disprezzato senza grave offesa del Creatore. Tali figure non appartengono soltanto alle epoche passate ma pure ai nostri giorni. Di alcuni, poi, la testimonianza di sangue è depositata nel cuore delle loro Chiese particolari e della Chiesa universale. Ai tanti vescovi che, insieme coi loro sacerdoti, con religiosi e laici, hanno sofferto il carcere e l'emarginazione sotto i regimi totalitari dell'Est e dell'Ovest negli ultimi decenni, si aggiungono oggi altri che, come il Buon Pastore, hanno dato la vita per il loro gregge.

Il loro sacrificio, unito a quello di molti fedeli, mentre aggiorna e allunga il martirologio di una Chiesa che, al termine del secondo millennio, "è divenuta nuovamente Chiesa di martiri",(39) mostra efficacemente che il messaggio sociale del Vangelo non è un'astratta teoria ma una vita che si dona.

25. Essere seminatore di speranza vuole dire adempiere una missione ineludibile della Chiesa. L'intero servizio episcopale è per la speranza, ministero per "la rinascita ad una speranza viva" (1 Pt 1, 3) del popolo di Dio e di ogni uomo. E', perciò, necessario che il vescovo orienti tutto il suo servizio di evangelizzazione al servizio della speranza, soprattutto dei giovani, minacciati da miti illusori e dal pessimismo di sogni che svaniscono, e di quanti, afflitti dalle molteplici forme di povertà, guardano alla Chiesa come alla loro unica difesa, grazie alla sua speranza soprannaturale.

Servitore della speranza, ogni vescovo deve pure custodirla salda in se stesso perché è il dono pasquale del Signore risorto ed è fondata nel fatto che il Vangelo, al cui servizio il vescovo è principalmente posto, è un bene totale, il punto cruciale nel quale s'incentra il ministero episcopale. Senza la speranza tutta la sua azione pastorale rimarrebbe sterile. Il segreto della sua missione è, invece, nell'inflessibilità della sua speranza.


Capitolo II

TRATTI D'IDENTIFICAZIONE DEL MINISTERO

DEL VESCOVO

26. La II Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi indicò nella Koinonia-Communio il concetto centrale dell'ecclesiologia del Vaticano II. Quest'ecclesiologia, presente nella viva Tradizione della Chiesa e comune patrimonio nell'Oriente e nell'Occidente durante quasi l'intero primo millennio dell'era cristiana, costituisce il sentiero del rinnovamento della vita ecclesiale ed è pure il fondamento di tutto il ministero pastorale nel pellegrinaggio della Chiesa attraverso la storia umana.(40)

Che la Chiesa sia mistero di comunione è un'affermazione che non riguarda soltanto le sue strutture esteriori, ma piuttosto la sua intima natura e la sua realtà più profonda, che tocca il cuore del mistero della Santa Trinità. La Chiesa, infatti, come ha ricordato il Concilio, è popolo adunato conformemente all'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ;(41) dalla Trinità ha origine, nella Trinità sussiste e verso la Trinità è in cammino. Questa natura e questa missione della Chiesa "quale l'ha costituita Cristo suo fondatore e suo fondamento, determinano e definiscono la natura e la missione dell'episcopato".(42)

Il ministero del vescovo in relazione alla Santa Trinità

27. Ogni identità cristiana si rivela all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria. Anche il senso e lo scopo del ministero episcopale dev'essere compreso nella Ecclesia de Trinitate, inviata ad ammaestrare tutte le genti e a battezzarle nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cf. Mt 28, 18-20).

Per questo, nelle relazioni tra ciascun vescovo e i fedeli della Chiesa particolare affidati alle sue cure devono riflettersi le relazioni tra le persone divine della Trinità nell'unità : nel Padre è la fonte dell'autorità, nel Figlio è la fonte del servizio e nello Spirito è la fonte della comunione. Così "la parola «comunione» ci porta fino alla sorgente stessa della vita trinitaria che converge nella grazia e nel ministero dell'episcopato. Il vescovo è immagine del Padre, rende presente Cristo come Buon Pastore, riceve la pienezza dello Spirito Santo dalla quale scaturiscono gli insegnamenti e le iniziative ministeriali affinché possa edificare, a immagine della Trinità e attraverso la parola e i sacramenti, questa Chiesa, luogo del dono di Dio ai fedeli che gli sono stati affidati".(43)

Il ministero episcopale in relazione a Cristo e agli Apostoli

28. Il ministero episcopale si configura nella Chiesa come ministero nella successione apostolica. L'ininterrotta testimonianza della Tradizione riconosce nei vescovi coloro che possiedono il "tralcio del seme apostolico"(44) e succedono agli apostoli quali pastori della Chiesa.

Certamente i Dodici sono unici quali testimoni del mistero del Verbo incarnato, crocifisso e risorto. Ma, nel tempo che intercorre tra la Pasqua del Signore e la sua venuta nella gloria, dopo la scomparsa degli Apostoli sono i vescovi a ereditarne la missione. Radicati nell'eph'apax apostolico in forza del sacramento dell'Ordine, sono rivestiti di una exousia che, vissuta in comunione col Successore di Pietro, "ha il fine di dare continuità nel tempo al volto del Signore, che è costituito da tutta la Chiesa, vegliando in particolare affinché non vengano alterati i suoi tratti essenziali e le sue fattezze specifiche che lo rendono unico tra tutti i volti della terra".(45)

29. Ministri dell'apostolicità di tutta la Chiesa per volontà del Signore e rivestiti della potenza dello Spirito del Padre, che regge e guida (Spiritus principalis), i vescovi sono successori degli Apostoli non soltanto nell'autorità e nella sacra potestas ma pure nella forma della vita apostolica, nelle sofferenze apostoliche per l'annuncio e la diffusione del Vangelo, nella cura tenera e misericordiosa dei fedeli loro affidati, nella difesa dei deboli, nella costante attenzione al popolo di Dio.

Configurati in modo particolare a Cristo mediante la pienezza del sacramento dell'Ordine e resi partecipi della sua missione, i vescovi lo rendono sacramentalmente presente e per questo sono chiamati "vicari e legati di Cristo" nelle Chiese particolari cui, in suo nome, presiedono.(46) Per mezzo del loro ministero, infatti, il Signore Gesù continua ad annunciare il Vangelo, a diffondere sugli uomini la santità e la grazia mediante i sacramenti della fede e a guidare il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno sino all'eterna felicità.

Il ministero episcopale in relazione alla Chiesa

30. Dono dello Spirito fatto alla Chiesa, il vescovo è anzitutto, come ogni altro cristiano, figlio e membro della Chiesa. Da questa Santa Madre egli ha ricevuto il dono della vita divina nel sacramento del Battesimo e il primo ammaestramento nella fede. Con tutti gli altri fedeli egli condivide l'insuperabile dignità di figlio di Dio, da vivere nella comunione e in spirito di grata fraternità. D'altra parte, rimanendo fedele di Cristo tra gli altri, in forza della pienezza del sacramento dell'Ordine, egli è anche colui che, di fronte ai fedeli, è maestro, santificatore e pastore, che agisce in nome e in persona di Cristo. Non si tratta, evidentemente, di due relazioni semplicemente accostate fra loro bensì in reciproco e intimo rapporto, ordinate come sono l'una all'altra perché entrambe attingono dalla ricchezza di Cristo unico e sommo sacerdote.(47) Tuttavia, un vescovo diventa "padre" proprio perché pienamente "figlio" della Chiesa.

Per questo, come già ricordava il Direttorio Ecclesiae imago, il vescovo "deve armonizzare in se stesso gli aspetti di fratello e di padre, di discepolo di Cristo e di maestro della fede, di figlio della Chiesa ed, in un certo qual senso, di padre della medesima, essendo egli il ministro della rigenerazione soprannaturale dei cristiani".(48)

Il vincolo che unisce il vescovo alla Chiesa è stato spesso descritto pure come un mistico vincolo sponsale. E' Cristo, in verità, l'unico sposo della Chiesa. In quanto segno sacramentale di Cristo Capo, il vescovo lo è pure di Cristo Sposo. Riflettendo in forma visibile e speciale l'immagine dello Sposo, il vescovo deve esserne pure il testimone credibile nella comunità. Rivestito della carità sponsale del Redentore, egli è impegnato a fare fiorire nella Chiesa "l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo", a farla apparire "piena di tutta la ricchezza di Dio" (Ef 3, 18s).

E' così che il vescovo esplica il suo compito di pascere il gregge del Signore, ossia come risposta all'amore e come amoris officium(49). In tal modo egli accresce pure la speranza nella sua Chiesa particolare, poiché, attraverso il suo servizio, essa conserva la certezza che non le verrà mai meno la carità pastorale di Gesù Cristo, di cui ogni vescovo è reso partecipe.

Il vescovo in relazione al suo presbiterio

31. Il ministero del vescovo si determina in relazione alle diverse vocazioni dei membri del popolo di Dio e, anzitutto, in rapporto ai sacerdoti, anche religiosi, e al presbiterio da loro costituito nella sua Chiesa particolare.(50) I documenti del Vaticano II(51) hanno fatto nuova luce sull'antica realtà del collegio presbiteriale quale corpo organico, costituito da tutti i presbiteri incardinati in una Chiesa particolare o al suo servizio, riunito attorno al vescovo nel governo pastorale di ogni Chiesa. Tale vincolo profondo si basa sulla partecipazione, benché in grado diverso, al medesimo e unico sacerdozio di Cristo e alla stessa missione apostolica che tale sacerdozio conferisce. Per questa sua natura e missione il sacerdozio ministeriale appare, nella struttura della Chiesa, come un dono dello Spirito, come un carisma, "segno della priorità assoluta e della gratuità della grazia, che alla Chiesa viene donata dal Cristo risorto".(52)

Il Concilio Vaticano II ha descritto le reciproche relazioni tra il vescovo e i presbiteri con immagini e terminologia diverse. Ha indicato nel vescovo il "padre" dei presbiteri,(53) ma ha pure unito al richiamo della paternità spirituale quello alla fraternità, all'amicizia, alla necessaria collaborazione e al consiglio. E' vero, però, che la grazia sacramentale giunge al presbitero tramite il ministero del vescovo e questa stessa gli viene donata in vista della subordinata cooperazione col vescovo per la missione apostolica. Questa medesima grazia unisce i presbiteri alle diverse funzioni del ministero episcopale. In virtù di questo vincolo sacramentale e gerarchico i presbiteri, suoi necessari collaboratori e consiglieri, suo aiuto e strumento, assumono, secondo il loro grado, gli uffici e la sollecitudine del vescovo e lo rendono presente nelle singole comunità. (54)

32. La relazione sacramentale-gerarchica si traduce nella ricerca, costantemente coltivata, di una comunione affettiva ed effettiva del vescovo coi membri del suo presbiterio e conferisce consistenza e significato all'atteggiamento interiore ed esteriore del vescovo verso i suoi presbiteri. Forma factus gregis ex animo (cf.1 Pt 5, 3), il vescovo deve esserlo anzitutto per il suo clero, al quale si propone come esempio di preghiera, di sensus Ecclesiae, di zelo apostolico, di dedizione alla pastorale d'insieme e di collaborazione con tutti gli altri fedeli.

Al vescovo, poi, incombe in primo luogo la responsabilità della santificazione dei suoi presbiteri e della loro formazione permanente. Alla luce di queste istanze spirituali e anche delle attitudini dei singoli, come pure in risposta alle esigenze poste dalla organicità dell'azione pastorale e dal bene dei fedeli, il vescovo agisce in modo da impegnare il ministero dei presbiteri nel modo più congruo possibile.

33. All'atteggiamento del vescovo verso ogni singolo presbitero si unisce la consapevolezza d'avere attorno a sé un presbiterio diocesano. Per questo egli non può trascurare di alimentare in loro la fraternità che sacramentalmente li unisce e di promuovere fra tutti lo spirito di collaborazione in una efficace azione pastorale d'insieme.

Il vescovo deve, anzi, quotidianamente impegnarsi affinché tutti i presbiteri sappiano e concretamente avvertano di non essere avulsi o abbandonati, ma membri e parti di "un unico presbiterio, sebbene destinato a diversi uffici".(55) In questo senso il vescovo valorizza il Consiglio presbiterale e tutti gli altri organi formali e informali di dialogo e cooperazione coi suoi sacerdoti, consapevole che la testimonianza di comunione affettiva e effettiva tra vescovo e presbiteri è portatrice di efficaci stimoli per la comunione nella Chiesa particolare a tutti gli altri livelli.

34. Nella comunione ministeriale e gerarchica della Chiesa vi sono, accanto ai presbiteri, anche i diaconi, ordinati non per il sacerdozio ma per il ministero. Servendo i misteri di Dio e della Chiesa nella diaconia della parola, della liturgia e della carità, per il loro grado nell'Ordine sacro, i diaconi sono strettamente congiunti al vescovo e al suo presbiterio(56). E', perciò, conseguente affermare che il vescovo è il primo responsabile del discernimento della vocazione dei candidati,(57) della loro formazione spirituale, teologica e pastorale. E' sempre il vescovo che, tenendo conto delle necessità pastorali e della condizione famigliare e professionale, affida loro i compiti ministeriali facendo sì che la loro presenza sia organicamente inserita nella vita della Chiesa particolare e che non sia trascurata la loro formazione permanente.

Il ministero del vescovo in rapporto ai consacrati

35. Espressione privilegiata della Chiesa Sposa del Verbo ed anzi, com'è ricordato sin dal principio nell'esortazione apostolica Vita consecrata, sua parte integrante, posta "nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione",(58) è la vita consacrata. Mediante essa, nella varietà delle sue forme, acquistando una tipica e permanente visibilità, sono in qualche modo resi presenti nel mondo e sono additati come valore assoluto ed escatologico i tratti caratteristici di Gesù, vergine, povero e obbediente. La Chiesa intera è grata alla Trinità Santa per il dono della vita consacrata. Dalla sua presenza si vede come la vita della Chiesa non si esaurisce nella struttura gerarchica, quasi fosse composta unicamente da ministri sacri e da fedeli laici, ma fa riferimento a una più ampia, ricca e articolata struttura fondamentale, che è carismatico-istituzionale, voluta da Cristo stesso e inclusiva della vita consacrata.(59)

La vita consacrata è, perciò, un dono dello Spirito irrinunciabile e costitutivo per la vita e la santità della Chiesa. Essa è necessariamente in una relazione gerarchica col ministero sacro, specialmente con quello del Romano Pontefice e dei Vescovi. Nell'esortazione apostolica postsinodale, Giovanni Paolo II ha richiamato il peculiare vincolo di comunione, che le varie forme di vita consacrata e le Società di vita apostolica hanno con il Successore di Pietro, nel quale è pure radicato il loro carattere di universalità e la loro connotazione sovradiocesana.

36. In quanto la vita consacrata è intimamente legata al mistero della Chiesa e al ministero dell'Episcopato, collegialmente unito in comunione gerarchica con il Successore di Pietro, esiste una responsabilità dell'intero Collegio episcopale verso di essa. Ai vescovi in unione col Romano Pontefice, come già enunciavano le note direttive di Mutuae relationes, Cristo-capo affida il compito "di prendersi cura dei carismi religiosi, tanto più perché la stessa indivisibilità del ministero pastorale li fa perfezionatori di tutto il gregge. In tal modo, promuovendo la vita religiosa e proteggendola in conformità alle sue proprie definite caratteristiche, i vescovi adempiono un genuino dovere pastorale".(60)

Nel quadro delle indicazioni contenute in quel documento, di quanto è emerso nella IX Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi e del magistero pontificio contenuto nell'esortazione post-sinodale Vita consecrata, è sempre presente l'istanza d'incrementare i mutui rapporti tra le Conferenze episcopali, i Superiori maggiori e le loro stesse Conferenze, al fine di favorire la ricchezza dei carismi e di operare per il bene della Chiesa universale e particolare. Ciò, evidentemente, nel rispetto delle loro rispettive responsabilità e nella comune consapevolezza che la comunione nella Chiesa universale si realizza mediante la comunione nelle Chiese particolari.

Per il fatto che, come ha insegnato il Concilio, le Chiese particolari "sono formate a immagine della Chiesa universale e in esse e da esse è costituita l'una e unica Chiesa cattolica"(61), le persone consacrate, ovunque si trovino, vivono la loro vocazione per la Chiesa universale all'interno di una determinata Chiesa particolare, dove realizzano la loro presenza ecclesiale e svolgono ruoli significativi. In particolare, a motivo del carattere profetico inerente alla vita consacrata, sono in ciascuna Chiesa particolare annuncio vissuto del Vangelo della speranza, testimoni eloquenti del primato di Dio nella vita cristiana e della potenza del suo amore nella fragilità della condizione umana.(62) Da qui l'importanza, per l'armonioso sviluppo della pastorale diocesana, della collaborazione tra ciascun vescovo e le persone consacrate.(63)

37. La Chiesa è grata ai tanti vescovi che, nel corso della sua storia sino ad oggi, hanno a tal punto stimato la vita consacrata quale peculiare dono dello Spirito per il popolo di Dio, d'avere loro stessi fondato famiglie religiose, molte delle quali sono ancora oggi attive nel servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Il fatto, poi, che il vescovo si dedichi alla tutela della fedeltà degli istituti al loro carisma è un motivo di speranza per gli stessi istituti, specialmente per quelli che si trovano in difficoltà.

Il ministero del vescovo in rapporto ai fedeli laici

38. Il Concilio Vaticano II, l'Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1987 e la successiva esortazione apostolica Christifideles Laici di Giovanni Paolo II hanno ampiamente illustrato la vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo.(64) La dignità battesimale, che li rende partecipi del sacerdozio di Cristo, e un dono particolare dello Spirito conferiscono loro un posto proprio nel Corpo della Chiesa e li chiamano a partecipare, secondo una loro modalità, alla missione redentrice che essa svolge, per mandato di Cristo, sino alla fine dei secoli. A loro riguardo, in particolare, la Chiesa riconosce e sottolinea il valore redentivo della qualità secolare di gran parte delle loro attività. I laici, infatti, svolgono la propria caratteristica responsabilità cristiana in molti campi, tra cui gli spazi della vita e della famiglia, della politica, del mondo professionale e sociale, dell'economia, della cultura, della scienza, delle arti, della vita internazionale e dei mass-media.

In tutte le loro molteplici attività i fedeli laici sono chiamati a unire il proprio personale talento e l'acquisita competenza alla testimonianza limpida della propria fede in Gesù Cristo. Impegnati nelle realtà temporali, i laici, come ogni cristiano, sono chiamati a rendere conto della speranza teologale (cf. 1 Pt 3, 15) e ad essere solleciti del lavoro relativo alla terra presente proprio perché stimolati dall'attesa di una "nuova terra".(65)

Per la loro collocazione nel mondo i laici sono in grado di esercitare una grande influenza sulla cultura, allargandone le prospettive e gli orizzonti di speranza. Così facendo, rendono pure uno speciale contributo alla sua evangelizzazione, tanto più necessario quanto ancora persistente è, nel nostro tempo, il dramma della separazione tra il Vangelo e la cultura. Nell'ambito delle comunicazioni, poi, che molto influenzano la mentalità delle persone, ai fedeli laici spetta una responsabilità particolare soprattutto in vista di una corretta divulgazione dei valori etici.

39. Sebbene i laici, per vocazione, abbiano prevalenti occupazioni secolari, non si dimenticherà che loro appartengono all'unica comunità ecclesiale, di cui numericamente costituiscono la grande parte. Dopo il Concilio Vaticano II si sono felicemente sviluppate nuove forme di partecipazione responsabile dei laici, uomini e donne, alla vita delle singole comunità diocesane e parrocchiali. Sono, dunque, presenti nei vari consigli pastorali, svolgono un ruolo crescente in diversi servizi come l'animazione della liturgia o della catechesi, sono impegnati nell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ecc.

Un certo numero di laici accetta pure di dedicarsi a tali compiti con impegni permanenti e talora perpetui. Questa collaborazione dei fedeli laici è certamente preziosa per le esigenze della "nuova evangelizzazione", particolarmente laddove si registra un insufficiente numero di ministri ordinati.

40. Anche lo sviluppo del fenomeno associativo costituisce una grande ricchezza della Chiesa post-conciliare. Con la diversità delle loro ispirazioni, queste nuove realtà aggregative, insieme con quelle di più antica data, offrono a molti fedeli un sostegno insostituibile per il progresso della loro vita cristiana e fanno crescere l'insieme della Chiesa. L'esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici ha ricordato che tutte queste associazioni, movimenti e gruppi, pur nella loro legittima diversità, debbono però convergere nella finalità che le anima, ossia quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare la luce del Vangelo.(66)

Spetta alla missione pastorale del vescovo accogliere e favorire la complementarità tra realtà aggregative d'ispirazione diversa, vegliare sul loro accompagnamento, sulla formazione teologica e spirituale dei loro animatori e sul buon inserimento di tutti nella comunità diocesana.

41. Segno del Dio che chiama alla speranza (cf. Ef 4,4 ) i vescovi devono esserlo soprattutto per i fedeli laici che, inseriti nel vivo dei molti problemi del mondo e nelle difficoltà della vita quotidiana, sono particolarmente esposti al turbamento e alla sofferenza. Accade pure che, a causa delle loro opzioni specificamente cristiane, loro si sentano e siano isolati tra gli altri. In queste circostanze la presenza pastorale del vescovo col suo presbiterio deve sostenerli perché siano cristiani di forte speranza e aiutarli a vivere nella certezza che il Signore è sempre accanto ai suoi figli.

Non di rado, ancora, le varie difficoltà della vita inducono alcuni fedeli laici ad una sorta di "fuga dal mondo" e alla privatizzazione delle proprie convinzioni religiose. Anche per questi motivi è importante che trovino nel vescovo e nel suo presbiterio un solido appoggio per l'unità della loro vita e per la fermezza della loro fede. Da ultimo, nel loro servizio pastorale i vescovi debbono riservare uno speciale interesse verso i cattolici che sbagliano o che sono "lontani", cercandoli anche con l'aiuto di altri fedeli laici e sforzandosi di aiutarli ad assumere di nuovo una partecipazione vitale nella vita della Chiesa.

42. La riflessione sui fedeli laici deve includere anche quella circa la necessità della loro adeguata formazione. E' ovvio, d'altra parte, che il vescovo sia attento nel sostenere, particolarmente sul piano spirituale, quanti collaborano più da vicino alla missione ecclesiale. Sempre urgente, perciò, è avvicinare con una catechesi sistematica i fedeli laici alla Parola di Dio, espressa nelle Scritture e autenticamente interpretata dal Magistero della Chiesa.

Un posto speciale nella formazione dei fedeli laici dev'essere riconosciuto alla dottrina sociale della Chiesa, perché li illumini e li stimoli nella loro opera, secondo le urgenti esigenze di giustizia e bene comune, cui devono portare il loro deciso contributo nelle urgenti opere e servizi che la società reclama. Ugualmente importante è la formazione dei giovani alla vita matrimoniale e famigliare, corroborando le loro speranze e le loro attese per un amore profondo e autentico alla luce del disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia. Nella misura in cui le loro opere sono motivate dalla carità ed esprimono la verità del loro stato laicale, i fedeli laici servono l'avvento del Regno di Dio.

Il vescovo in relazione al Collegio episcopale e al suo Capo

43. Inviato in nome di Cristo come pastore di una Chiesa particolare, il vescovo ha cura della porzione del popolo di Dio che gli è stata affidata e la fa crescere quale comunione nello Spirito per mezzo del Vangelo e della Eucaristia. Per questo il suo ministero è quello di essere, come singolo, il visibile principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare affidatagli - nell'unità della fede, dei sacramenti e del regime ecclesiastico - e quindi di rappresentarla e di governarla con la potestà ricevuta.(67)

Tuttavia ogni vescovo è pastore di una Chiesa particolare in quanto è membro del Collegio dei vescovi. In questo medesimo Collegio ogni vescovo è inserito in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica con il Capo del Collegio e con le membra.(68) Da ciò derivano per il ministero del vescovo alcune conseguenze molto importanti che, per quanto in forma sintetica, è opportuno considerare.

44. La prima è che un vescovo non è mai solo. Questo è vero non soltanto rispetto alla sua collocazione nella propria Chiesa particolare, come s'è detto, ma pure nella Chiesa universale, correlato come è - per la natura stessa dell'episcopato uno e indiviso(69) - a tutto il Collegio episcopale, il quale succede al Collegio apostolico.

Per questa ragione ogni vescovo è simultaneamente in relazione alla Chiesa particolare e alla Chiesa universale. Visibile principio e fondamento dell'unità nella propria Chiesa particolare, ogni vescovo è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa e la Chiesa universale. Tutti i vescovi, perciò, pur residenti nelle diverse parti del mondo ma sempre custodendo la comunione gerarchica con il Capo del Collegio episcopale e con i membri di esso, danno consistenza e figura alla cattolicità della Chiesa ;(70) al tempo stesso conferiscono alla Chiesa particolare, cui sono preposti, la medesima nota della cattolicità.

Così ogni vescovo è come punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e punto visibile della presenza dell'unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare. Nella comunione delle Chiese, dunque, il vescovo rappresenta la sua Chiesa particolare e, in questa, egli rappresenta la comunione delle Chiese. Mediante il ministero episcopale, infatti, le portiones Ecclesiae vivono la totalità dell'Una-Santa ed è presente in esse la totalità della Cattolica-Apostolica. (71)

45. La seconda conseguenza, su cui appare giusto soffermarsi, è che proprio quest'unione collegiale, o comunione fraterna di carità, o affetto collegiale - come si esprime il Concilio - è la fonte della sollecitudine che ogni vescovo, per istituzione e comando di Cristo, deve avere per tutta la Chiesa e per le altre Chiese particolari, come pure per "quelle parti del mondo dove la parola di Dio non è stata annunciata, o dove, specie a motivo dello scarso numero di sacerdoti, i fedeli sono in pericolo di allontanarsi dai precetti della vita cristiana, anzi di perdere la fede".(72)

D'altra parte già i doni divini, mediante i quali ogni vescovo edifica la sua Chiesa particolare, ossia il Vangelo e l'Eucaristia, sono i medesimi che non soltanto costituiscono ogni altra Chiesa particolare come riunione nello Spirito ma pure la aprono, ciascuna, alla comunione con tutte le altre Chiese. L'annuncio del Vangelo, infatti, è universale e, per volontà del Signore, è rivolto a tutti gli uomini ed è immutabile in tutti i tempi. La celebrazione dell'Eucaristia, poi, per sua stessa natura e come tutte le altre azioni liturgiche, è atto di tutta la Chiesa, appartiene all'intero Corpo della Chiesa, lo manifesta e lo implica.(73) Anche da qui scaturisce il dovere di ogni vescovo, come legittimo successore degli apostoli e membro del collegio episcopale, di essere in certo qual modo garante della Chiesa tutta (sponsor Ecclesiae).(74)

Ciò premesso, appare evidente che nel Collegio episcopale ogni vescovo nell'esercizio del suo ministero s'incontra ed è, in viva e dinamica comunione, con il vescovo di Roma, Successore di Pietro e Capo del Collegio, e con tutti gli altri fratelli vescovi sparsi nel mondo intero.

46. I vescovi, sia singolarmente sia unitamente agli altri fratelli vescovi, insieme con tutta la Chiesa trovano nella Cattedra di Pietro il principio e fondamento visibile dell'unità nella fede e della comunione. La comunione gerarchica col vescovo di Roma richiede pure che i vescovi, nel loro magistero nella propria diocesi, esprimano fedele impegno di adesione al magistero del Papa, anche ordinario, lo diffondano nelle forme più appropriate, vi contribuiscano in vario modo, sia personalmente sia mediante la propria Conferenza Episcopale e, quando è il caso, lo difendano.

Una specifica forma di questa collaborazione con il Romano Pontefice è il Sinodo dei Vescovi, dove avviene un fruttuoso scambio di notizie e di suggerimenti e sono delineati, alla luce del Vangelo e della dottrina della Chiesa, gli orientamenti comuni che, una volta approvati dal Successore di Pietro, tornano a beneficio delle stesse Chiese locali. In tal modo la Chiesa intera è validamente sostenuta per mantenere la comunione nella pluralità delle culture e delle situazioni. Simile finalità si riscontra anche nella visita ad limina.

47. Per quello che concerne la collaborazione dei vescovi, il Concilio Vaticano II ha vivamente auspicato anche la ripresa, con nuovo vigore, della veneranda istituzione dei Concili provinciali e plenari,(75) come pure ha sottolineato l'utilità delle più recenti Conferenze Episcopali.(76) Queste in particolare accolgono il patrimonio comune che la Chiesa ha ricevuto dal Signore per mezzo della Rivelazione e, senza mai perdere di vista la sua universalità di cui la Sede di Pietro è garante, si adoperano perché sia adattato al volto dei popoli dove essa vive.

Punto di riferimento dell'attività di ogni Conferenza episcopale rimangono sia l'identità e la responsabilità personali di ciascun vescovo partecipante sia la comunione che conduce a sostenersi reciprocamente nell'opera di evangelizzazione e a rispondere efficacemente alle comuni difficoltà pastorali. Dalla testimonianza comune dei propri vescovi dipendono la credibilità della predicazione, l'efficacia del ministero pastorale e la comunione che il vescovo è chiamato a servire tra i propri fedeli.

48. I rapporti scambievoli tra i vescovi, tuttavia, vanno ben oltre i loro incontri istituzionali. La coscienza viva della collegialità episcopale deve spingerli a realizzare fra di loro, soprattutto nell'ambito della medesima provincia e regione ecclesiastica, le molteplici espressioni della fraternità sacramentale che vanno dalla reciproca accoglienza e stima alle molteplici attenzioni di carità. Il direttorio Ecclesiae imago accenna pure ad altre forme di collaborazione, come l'aiuto reciproco con lo scambio di sacerdoti a ciò disposti, l'unificazione dei Seminari e di altri servizi di apostolato, quando ciò sia utile.(77)

La comunione fra i vescovi deve esprimersi, inoltre, in quei casi in cui, particolari necessità della Chiesa particolare, abbiano reso utile la presenza di un vescovo coadiutore o un vescovo ausiliare. A riguardo di questi vescovi, in determinate circostanze dati in aiuto al vescovo diocesano per il servizio della Chiesa particolare, il Concilio esorta che loro, quali suoi primi cooperatori, circondino sempre il vescovo diocesano di obbedienza e di rispetto e che questi li ami come fratelli e li circondi di stima.(78)

Una particolare attenzione e una singolare sollecitudine, infine, devono essere riservate da parte dei vescovi ai loro fratelli vescovi più bisognosi, soprattutto a quelli che soffrono per l'isolamento, per l'incomprensione e anche per la solitudine e a quei vescovi che, ammalati o anziani, per il bene della Chiesa particolare e in conformità alla vigente disciplina ecclesiastica hanno presentato al Romano Pontefice la rinuncia al loro ufficio e hanno lasciato il governo della Diocesi. Questi vescovi, oltre a continuare a fare parte del Collegio episcopale, continuano a donare molto alla Chiesa, in preghiera, esperienza e consiglio.

Nella realtà del Collegio episcopale, dunque, sostenuto dal Papa e dai suoi fratelli nell'episcopato, ogni vescovo trova, insieme con gli aiuti necessari per adempiere alla sua missione, anche un efficace alimento per la sua speranza onde affrontare con coraggio i vari problemi che possono sorgere nella vita della Chiesa e per sostenere la speranza dei fedeli affidati alle sue cure di pastore.

Servi della comunione per la speranza

49. Nel vivo di queste molteplici relazioni, che attingendo dal mistero della comunione trinitaria raggiungono la comunione dei fedeli nella Chiesa particolare, considerati nei vari ordini, secondo i diversi carismi e ministeri che da questi scaturiscono, e si allargano nella comunione dei vescovi e delle Chiese, la figura del vescovo appare nella ricchezza del suo essere uomo di comunione, attorno al quale s'intesse concretamente l'unità dei fedeli. Questo ministero di comunione è sostenuto dalla speranza, la quale deve alimentare quotidianamente l'impegno di ogni vescovo nel costruire quotidianamente la Chiesa, cui è stato preposto dallo Spirito, come comunità di fede e di amore fra gli uomini. La speranza teologale del vescovo è fondata su Cristo ed è comunicata alla porzione del popolo di Dio che gli è stata affidata, sostenuta dalla comunione con il Romano Pontefice e con tutti gli altri vescovi.

La comunione, per parte sua, apre la via alla speranza perché la parola che giunge ad ogni uomo dalla testimonianza della comunione è messaggio di speranza e perché, come ha scritto l'Apostolo, la carità è la virtù che "tutto spera" (1 Cor 13, 7). Contro i fermenti disgregatori, che insidiano la vita della Chiesa e del mondo, il vescovo è servo, costruttore, promotore, garante, difensore e custode della Chiesa-comunione che, proprio in questo, è germe, principio e fermento di comunione nell'umanità.


Capitolo III

IL MINISTERO PASTORALE DEL VESCOVO NELLA DIOCESI

50. Il Signore Gesù, quando chiamò i suoi Apostoli, li inviò, come ricorda il Concilio riassumendo i dati evangelici, prima ai figli d'Israele e poi a tutte le genti perché "partecipi della sua potestà, rendessero tutti i popoli discepoli di Lui, li santificassero e governassero".(79) Anche ai fedeli che Egli chiama perché siano nella Chiesa i Successori degli Apostoli, cioè ai Vescovi, Cristo conferisce il triplice ministero (triplex munus) d'insegnare, santificare e governare.

Queste tre funzioni, ricevute nell'ordinazione episcopale, i vescovi le esercitano in persona e in nome di Cristo, sostenendo in forma eminente e visibile le parti dello stesso Cristo Maestro, Pontefice e Pastore.(80) Per mezzo del loro eccelso ministero, dunque, Cristo stesso si rende presente in mezzo ai credenti e attraverso i vescovi Egli stesso predica la Parola di Dio, amministra i sacramenti della fede, dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nel suo cammino verso l'eterna beatitudine.(81)

51. Queste tre funzioni, che danno forma alla missione del vescovo e che costituiscono la trama della sua vita quotidiana, come in Cristo non sono che tre distinti aspetti della sua unica funzione di Mediatore e tre aspetti di un'unica attività salvifica, così anche nel ministero del vescovo devono essere considerati unitariamente, sicché mentre insegna, egli pure santifica e guida la porzione del popolo di Dio affidata alle sue cure pastorali; ancora, mentre santifica, il vescovo insegna e guida e quando esplica il suo governo pastorale insegna e santifica. Il fondamento, poi, di questa triplice funzione di insegnare, santificare e governare e "di tutto questo altissimo lavoro, nel quale egli spende tutto se stesso e quanto ha (cf. 2 Cor 12, 15) è l'animo di pastore mentre regola suprema ne sono l'esempio e l'insegnamento del buon Pastore Gesù," (82) che è Via al Padre perché egli stesso è Verità e Vita

Per quanto, però, li si debba considerare in unità è necessario anche cogliere l'intenzione del Concilio il quale, quando nel suo magistero enuncia questi tria munera riguardo al vescovo e ai presbiteri, preferisce preporre agli altri due quello dell'insegnamento. In ciò il Vaticano II riprende idealmente la successione presente nelle parole che il Risorto rivolse ai suoi discepoli : "Mi è stata data ogni potestà in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 19-20). In questa priorità data al compito episcopale dell'annuncio del Vangelo, che è una caratteristica della ecclesiologia conciliare, ogni vescovo può ritrovare il senso di quella paternità spirituale, che faceva scrivere all'apostolo san Paolo: "Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo" (1 Cor 4, 15).

Il vescovo inviato per insegnare

52. La funzione che più di tutte identifica il vescovo e che, in certo modo, riassume tutto il suo ministero è, come insegna il Concilio, quella di vicario e ambasciatore di Cristo nella Chiesa particolare che gli è affidata.(83) Ora, il vescovo esercita la sua funzione sacramentale in quanto espressione vivente di Cristo, proprio esercitando il ministero della Parola. Come ministro della Parola di Dio, che agisce nella forza dello Spirito e mediante il carisma del servizio episcopale, egli manifesta Cristo al mondo, rende Cristo presente nella comunità e lo comunica efficacemente a coloro che gli fanno spazio nella propria vita.

La predicazione del Vangelo, dunque, eccelle tra i principali doveri dei vescovi, che sono "gli annunciatori della fede... i dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare alla vita morale".(84) Da ciò deriva che tutte le attività del vescovo devono essere finalizzate alla proclamazione del Vangelo, "forza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rom 1, 16), orientate ad aiutare il popolo di Dio a rendere l'obbedienza della fede (cf. Rom 1, 5) alla Parola di Dio e abbracciare integralmente l'insegnamento di Cristo.

Che il vescovo, poi, sia magister fidei e doctor veritatis non vuol dire che egli sia il padrone della verità. Come si evince dal segno dell'Evangeliario aperto sul suo capo durante la preghiera di ordinazione, il vescovo è servo della verità. Per questo, lungi dal manipolarla e annunciarla a suo piacimento, la comunica con rigorosa fedeltà e la propone a tutti, a tempo e fuori tempo, senza prepotenza ma con umiltà, coraggio e perseveranza, sempre sperando nella Parola del Signore (cf. Sal 119, 114).

53. Quale sia l'oggetto del magistero del vescovo è felicemente espresso dal Concilio Vaticano II quando unitariamente lo indica nella fede da credere e da praticare nella vita.(85) Poiché il centro vivo dell'annuncio è Cristo, proprio Cristo, crocifisso e risorto, è Colui che il vescovo deve annunciare: Cristo, unico salvatore dell'uomo, lo stesso ieri oggi e sempre (cf. Ebr 13, 8), centro della storia e di tutta la vita dei fedeli.

Da questo centro, che è il mistero di Cristo Figlio eterno del Padre, il quale per opera dello Spirito si è fatto uomo nel grembo verginale di Maria e che è morto e risorto per la nostra salvezza, s'irradiano tutte le altre verità della fede e s'irradia pure la speranza per ogni uomo. Cristo è la luce che illumina ogni uomo e chiunque in lui è rigenerato riceve le primizie dello Spirito che lo abilitano ad adempiere la legge nuova dell'amore.(86)

54. Il compito della predicazione vitale, della custodia fedele del deposito della fede, esercitato dal vescovo in comunione col Papa e con tutti gli altri fratelli vescovi, implica il dovere di difendere, usando i mezzi più adatti, la Parola di Dio da tutto ciò che potrebbe comprometterne la purezza e l'integrità, pure riconoscendo la giusta libertà nell'ulteriore approfondimento della fede.(87)

A tale dovere nessun vescovo può venire meno, anche se ciò potrà costargli sacrificio o incomprensione. Come l'apostolo S. Paolo, il vescovo è consapevole di essere stato mandato a proclamare il Vangelo "non con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1 Cor 1, 17); come lui, anche il vescovo annuncia la "parola della Croce" (1 Cor 1, 18), non per un consenso umano ma come una rivelazione divina. Al vescovo devono premere sia l'unità nella carità sia l'unità nella verità. Il Vangelo di cui è divenuto ministro, infatti, è parola di verità.

Questo dovere di difendere la Parola di Dio dev'essere esercitato con sereno senso di realismo, senza esagerare o minimizzare l'esistenza dell'errore e della falsità che la responsabilità pastorale del vescovo obbliga a identificare, senza sorprendersi di trovare nella presente generazione della Chiesa, come nel passato, non soltanto peccato, ma, in qualche misura, anche errore e falsità. Rimane sempre vero che sia lo studio e l'ascolto assiduo della Parola di Dio, sia il ministero di custodia del deposito rivelato e di vigilanza dell'integrità e purezza della fede sono sinonimi di carità pastorale.(88)

55. Maestro della fede, il vescovo è pure educatore della fede, alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa. L'impegno di educare alla fede è strettamente legato a quello di nutrire la fede del popolo di Dio con una vera catechesi. Si tratta di un momento fondamentale dell'intera opera di evangelizzazione, che merita la piena attenzione dei vescovi in quanto pastori e maestri, in quanto "catechisti per eccellenza". Perché tali i vescovi cooperano con lo Spirito Santo alla formazione di un popolo evangelizzatore e catechizzante, dotato dell'entusiasmo e del dinamismo che derivano dalla fede fedelmente proclamata e gioiosamente vissuta.

Varie e molteplici sono le forme attraverso le quali il vescovo esercita il suo servizio alla Parola di Dio. Il Direttorio Ecclesiae imago ricordava, in proposito, quella particolare forma di predicazione alla comunità già evangelizzata che è l'Omelia, che eccelle tra tutte le altre per il suo contesto liturgico e per il suo legame con la proclamazione della Parola mediante le letture della Sacra Scrittura. Un'altra forma di annuncio è quella che un vescovo esercita mediante le sue Lettere Pastorali.(89) Ogni vescovo deve interrogarsi sugli atti nei quali traduce il suo dovere d'insegnamento.

56 Nella sua predicazione il vescovo deve sentirsi e mostrarsi impegnato in prima persona nel grande cammino del dialogo ecumenico intrapreso dal Concilio Vaticano II, perché progredisca ulteriormente in vista del raggiungimento della ricomposizione dell'unità visibile fra i cristiani.

Per primo egli predica il Vangelo preoccupandosi di mostrare il mistero dell'unità della Chiesa, conformemente ai princìpi cattolici dell'ecumenismo indicati nel decreto conciliare Unitatis redintegratio e confermati da Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint.

57. Il carisma magisteriale dei vescovi è unico nella sua responsabilità e non può essere in alcun modo delegato. Tuttavia esso non è isolato nella Chiesa. Ciascun vescovo compie il proprio servizio pastorale in una Chiesa particolare dove, intimamente uniti al suo ministero e sotto la sua autorità, i presbiteri sono i suoi primi collaboratori, cui si aggiungono i diaconi. Un validissimo aiuto deriva pure dalle religiose e dai religiosi e da un crescente numero di fedeli laici che collaborano, secondo la costituzione della Chiesa, nel proclamare e nel vivere la Parola di Dio.

Grazie ai vescovi l'autentica fede cattolica è trasmessa ai genitori perché a loro volta la trasmettano ai figli ; come pure gli insegnanti e gli educatori, a tutti i livelli, possono ricevere la garanzia della loro fede. Tutto il laicato rende testimonianza a quella purezza di fede che i vescovi si adoperano strenuamente di mantenere ed è importante che ciascun vescovo non manchi di sostenerlo e di procurargli, con apposite scuole, i mezzi per una conveniente formazione di base e permanente.

58. Particolarmente utile, per gli scopi dell'annuncio, è anche la collaborazione coi teologi, i quali si applicano ad approfondire con il loro proprio metodo l'insondabile ricchezza del mistero di Cristo. Il magistero dei pastori e il lavoro teologico, pur avendo funzioni differenti, dipendono entrambi dall'unica Parola di Dio e hanno il medesimo fine di conservare il popolo di Dio nella verità che libera. Anche da qui nasce la relazione tra il magistero e la teologia e, per i vescovi, il compito di dare ai teologi l'incoraggiamento e il sostegno che li aiutino a condurre il loro lavoro nella fedeltà alla Tradizione e nell'attenzione alle emergenze della storia.(90)

In dialogo con tutti i suoi fedeli, il vescovo saprà riconoscere e apprezzare la loro fede, accoglierne le intuizioni, rinforzarla, liberarla da aggiunte superflue e darle un appropriato contenuto dottrinale. Per questo, allo scopo anche di elaborare catechismi locali che tengano conto delle diverse situazioni e culture, il Catechismo della Chiesa Cattolica sarà punto di riferimento perché sia custodita con cura l'unità della fede e la fedeltà alla dottrina cattolica.(91)

59. Chiamato a proclamare la salvezza in Cristo Gesù, con la sua predicazione il vescovo dev'essere in mezzo al popolo di Dio il segno della certezza della fede. Se pure, come la Chiesa, egli non ha soluzioni già preordinate per la soluzione dei problemi dell'uomo, tuttavia egli è ministro dello splendore di una verità capace d'illuminarne i cammini.(92) Pur non possedendo cognizioni specifiche in ordine alla promozione dell'ordine temporale, il vescovo, esercitando il suo magistero ed educando alla fede le persone e le comunità a lui affidate, prepara tuttavia fedeli laici che, interiormente mutati, trasformeranno a loro volta il mondo attraverso quelle soluzioni che a loro spetta di offrire in conformità alle rispettive competenze.

Rendere presente nel mondo la potenza della Parola che salva è il grande atto di carità pastorale che un vescovo offre agli uomini. Memore della figura del Buon Pastore, del quale deve riprodurre l'immagine, egli si preoccupa che la Parola di Dio giunga a tutti i fedeli, anche a coloro che, in teoria o in pratica, hanno abbandonato la fede cristiana. E' questa la prima ragione per la quale egli è stato chiamato all'episcopato ed è stato inviato ad una porzione del popolo di Dio, essendo la potenza della Parola capace di dischiudere loro la più grande ragione di speranza.

Il vescovo inviato per santificare

60. La proclamazione della Parola di Dio è all'origine della riunione del popolo di Dio in Ekklesia, ossia in convocazione santa. Essa, però, raggiunge e trova la sua pienezza nel Sacramento. Parola e sacramento, infatti, formano come un tutt'uno, sono inseparabili tra loro e devono essere considerati come due aspetti o momenti di un'unica opera salvifica. Entrambi rendono attuale e operante, in tutta la sua efficacia la salvezza operata da Cristo. Egli stesso, Verbo eterno incarnato, è la radice dell'intimo legame che congiunge Parola e Sacramento il quale, peraltro, è in singolare consonanza con la complementarità che, nella vita umana, esiste tra il parlare e l'agire. Ciò è vero per tutti i sacramenti ma lo è in modo particolare ed eccellente per la santa Eucaristia, che di tutta l'evangelizzazione è fonte e culmine.(93)

Per questa unità della Parola e del Sacramento, così come gli Apostoli furono mandati dal Risorto per ammaestrare e battezzare tutte le nazioni (cf. Mt 28, 19), anche ogni vescovo, successore degli Apostoli, in virtù della pienezza del Sacramento dell'Ordine di cui è stato insignito, riceve, insieme con la missione di araldo del Vangelo, quella di "economo della grazia del supremo sacerdozio".(94) Il servizio dell'annuncio del Vangelo, infatti, "è ordinato al servizio della grazia dei sacramenti della Chiesa. Come ministro della grazia, il vescovo attua il munus sanctificandi a cui mira il munus docendi che svolge in mezzo al popolo di Dio a lui affidato".(95)

61. Questa funzione di santificare è inerente alla missione del vescovo. Proprio in relazione ai Sacramenti, i quali sono ordinati alcuni alla perfezione dell'individuo e altri alla perfezione della collettività, san Tommaso d'Aquino chiamava il vescovo perfector.(96) Egli, infatti, nella sua Chiesa particolare è il principale dispensatore dei misteri di Dio : dell'Eucaristia, anzitutto, che è al centro del servizio sacramentale del vescovo e nella cui presidenza egli appare agli occhi del suo popolo soprattutto come l'uomo del nuovo ed eterno culto a Dio, istituito da Gesù Cristo col sacrificio della Croce. Egli regola pure l'amministrazione del Battesimo, in forza del quale i fedeli partecipano al regale sacerdozio di Cristo ; è ministro originario della Confermazione, dispensatore degli Ordini sacri e moderatore della disciplina penitenziale.(97)

Il Concilio Vaticano II ripete anch'esso che i vescovi sono perfectores, ma non limita questa funzione al ministero sacramentale ; la allarga a tutto l'esercizio della loro missione poiché, per mezzo della loro carità pastorale, divengono personalmente segno vivo di santità, che predispone all'accoglienza del Vangelo. Per questo li esorta a fare avanzare tutti i fedeli, secondo la particolare vocazione di ciascuno, nella via della santità, dando loro per primi l'esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità della vita e a condurre "le Chiese loro affidate a tal punto di santità che in esse risplenda pienamente il senso della Chiesa universale di Cristo".(98)

62. Il vescovo è liturgo della Chiesa particolare principalmente nella presidenza della Sinassi Eucaristica.(99) Qui, dove si realizza il momento più alto della vita della Chiesa, si realizza pure il momento più alto del munus sanctificandi, che il vescovo esercita nella persona di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote. Per questo il vescovo, avendo l'Eucaristia al centro del suo servizio sacramentale e mostrandosi proprio nella presidenza della celebrazione Eucaristica quale ministro primo del culto nuovo ed eterno, ama celebrare i divini misteri il più spesso possibile insieme coi suoi fedeli e, se pure non omette di farlo frequentemente negli altri luoghi della sua Diocesi, tuttavia predilige celebrare nella Chiesa Cattedrale.

Essa, infatti, dov'è collocata la Cattedra donde il vescovo educa il suo popolo con l'autentico insegnamento della Parola di Dio, è la Chiesa madre e il centro della Diocesi. Nella Chiesa Cattedrale, con la presidenza del vescovo, le Chiese particolari hanno un segno della loro unità, della loro soprannaturale vitalità e, specialmente nella celebrazione della Eucaristia, della loro partecipazione all'unica Chiesa cattolica.

63. Uno dei compiti preminenti del vescovo è quello di provvedere affinché nelle comunità della Chiesa particolare i fedeli abbiano la possibilità di accedere alla mensa del Signore, soprattutto nella Domenica che è il giorno in cui la Chiesa celebra il mistero pasquale e i fedeli, nella gioia e nel riposo, rendono grazie a Dio "che li ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della Risurrezione del Signore dai morti" (1 Pt 1, 3).(100)

In molte parti, non soltanto delle nuove e più giovani Chiese ma pure nei territori di più antica tradizione cristiana, per la scarsità dei presbiteri o per altre gravi ragioni, è sempre più difficile provvedere alla celebrazione eucaristica. Ciò accresce il dovere del vescovo di essere l'economo della grazia, sempre attento a discernere la presenza di effettivi bisogni e la gravità delle situazioni, procedendo ad una sapiente distribuzione dei membri del suo presbiterio e a fare in modo che, pure in simili emergenze, le comunità dei fedeli non siano a lungo prive della Eucaristia. Ciò anche in riferimento a quei fedeli che per malattia o anzianità o per altri ragionevoli motivi possono ricevere l'Eucaristia solo nella loro casa o nel luogo ove sono ospitati.

64. La Liturgia è la forma più alta della lode alla Trinità Santa. In essa, soprattutto con la celebrazione dei Sacramenti, il popolo di Dio, localmente radunato, esprime e attua la sua indole sacra e organica di comunità sacerdotale.(101) Esercitando il munus sanctificandi il vescovo opera onde l'intera Chiesa particolare divenga una comunità di oranti, comunità di fedeli tutti perseveranti e concordi nella preghiera (cf. At 1, 14).

Penetrato egli per primo, insieme col suo presbiterio, dello spirito e della forza della Liturgia, il vescovo ha cura di favorire e di sviluppare nella propria Diocesi un'educazione intensiva onde siano scoperte le ricchezze contenute nella Liturgia, celebrata secondo i testi approvati e vissuta prima di tutto come un fatto di ordine spirituale. Come responsabile del culto divino nella Chiesa particolare egli, mentre dirige e protegge la vita liturgica della Diocesi, agendo insieme coi vescovi della medesima Conferenza Episcopale e nella fedeltà alla fede comune, ne sostiene pure lo sforzo perché, in corrispondenza alle esigenze dei tempi e dei luoghi, sia radicata nelle culture, tenendo conto di ciò che in essa è immutabile, perché d'istituzione divina, e di ciò che, invece, è suscettibile di cambiamento.(102)

65. In tale contesto il vescovo rivolge la sua attenzione anche alle varie forme della pietà popolare cristiana e al loro rapporto con la vita liturgica. In quanto esprime l'atteggiamento religioso dell'uomo, questa pietà popolare non può essere né ignorata né trattata con indifferenza o disprezzo, perché, come scriveva Paolo VI, è ricca di valori.(103) Essa, però, ha bisogno di essere sempre evangelizzata affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo. Un'autentica pastorale liturgica, biblicamente formata, saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli.(104)

66. La stessa preghiera, in tutte le sue varie forme, è luogo in cui si esprime la speranza della Chiesa. Ogni preghiera della Sposa di Cristo, anelante alla perfetta unione con lo Sposo, è riassunta in quell'invocazione che lo Spirito le suggerisce : "Vieni !" (Ap 22, 17).(105) Lo Spirito pronuncia questa preghiera con la Chiesa e nella Chiesa. E' la speranza escatologica, la speranza del definitivo compimento in Dio, la speranza del Regno eterno, che si attua nella partecipazione alla vita trinitaria. Lo Spirito Santo, dato agli apostoli come consolatore, è il custode e l'animatore di questa speranza nel cuore della Chiesa. Nella prospettiva del terzo Millennio dopo Cristo, mentre «lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni !"», questa loro preghiera è carica, come sempre, di una portata escatologica, destinata a dare pienezza di significato anche alla celebrazione del grande Giubileo. E' una preghiera rivolta in direzione dei destini salvifici, verso i quali lo Spirito Santo apre i cuori con la sua azione attraverso tutta la storia dell'uomo sulla terra".(106)

Consapevole di ciò, il vescovo è quotidianamente impegnato a comunicare ai fedeli, con la testimonianza personale, con la parola, la preghiera e i sacramenti, la pienezza della vita in Cristo.

Il vescovo inviato per reggere e guidare il popolo di Dio

67. La funzione ministeriale del vescovo si completa nell'ufficio di essere guida della porzione del popolo di Dio che gli è stata affidata. La Tradizione della Chiesa ha sempre assimilato questo compito a due figure che, nella testimonianza dei Vangeli, Gesù applica a se stesso, ossia quella del Pastore e quella del Servo. Il Concilio descrive così l'ufficio proprio dei vescovi di governare i fedeli : "reggono le Chiese particolari a loro affidate , come vicari e legati di Cristo, col consiglio e la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come il servo (cf. Lc 22, 26-27)".(107)

Giovanni Paolo II spiega che "si deve insistere sul concetto di servizio, che vale per ogni ministero ecclesiastico, a cominciare da quello dei vescovi. Sì, l'episcopato è più un servizio che un onore. E se anche è un onore, lo è quando il vescovo, successore degli Apostoli, serve in spirito di umiltà evangelica, sull'esempio del Figlio dell'uomo... In questa luce del servizio come buoni pastori va intesa l'autorità, che il vescovo possiede in proprio, anche se è sempre sottoposta a quella del Sommo Pontefice".(108) Per questo, con buona ragione, il Codice di Diritto Canonico indica quest'ufficio come munus pastoris e gli unisce la caratteristica della sollicitudo.(109)

68. Questa, poi, altro non è che la caritas pastoralis. Si tratta di quella virtù con la quale si imita Cristo che è "buon" Pastore per il dono della propria vita. Essa, dunque, si realizza non soltanto con l'esercizio delle azioni ministeriali ma più ancora con il dono di sé, che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge.

Una delle forme con le quali si esprime la carità pastorale, allora, è la compassione, a imitazione di Cristo, Sommo Sacerdote, che è capace di compatire la debolezza umana essendo stato Egli stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato (cf. Ebr 4, 15). Tale compassione, che il vescovo indica e vive come segno della compassione di Cristo, non può, tuttavia, essere disgiunta dal segno della verità di Cristo. Un'altra espressione della carità pastorale, infatti, è la responsabilità di fronte a Dio e di fronte alla Chiesa.

Nel governo della Diocesi il vescovo ha pure cura che sia riconosciuto il valore della legge canonica della Chiesa, il cui obiettivo è il bene delle persone e della comunità ecclesiale.(110)

69. La carità pastorale rende il vescovo ansioso di servire il bene comune della propria Diocesi che, subordinato a quello di tutta la Chiesa, è ciò verso cui converge il bene delle comunità particolari della Diocesi. Il Direttorio Ecclesiae imago indicava al riguardo i princìpi fondamentali dell'unità, della responsabile collaborazione e del coordinamento.(111)

Grazie alla carità pastorale, che è principio interiore unificante di tutta l'attività ministeriale, "può trovare risposta l'essenziale e permanente esigenza dell'unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità del ministero, esigenza quanto mai urgente in un contesto socio-culturale ed ecclesiale fortemente segnato dalla complessità, dalla frammentarietà e dalla dispersività".(112) Essa, perciò, deve determinare i modi di pensare e di agire del vescovo e del suo rapportarsi con quanti incontra.

La carità pastorale esige, di conseguenza, stili e forme di vita che, realizzati come imitazione di Cristo, povero e umile, consentono di essere vicini a tutti i membri del gregge, dal più grande al più piccolo, pronti a dividere le loro gioie e i loro dolori, non soltanto nei pensieri e nelle preghiere, ma anche insieme con loro, affinché attraverso la presenza e il ministero del vescovo, che tutti accosta senza né arrossire né fare arrossire, tutti possano sperimentare l'amore di Dio per l'uomo.(113)

70. La tradizione ecclesiastica indica alcune forme specifiche attraverso le quali il vescovo esplica nella sua Chiesa particolare il ministero del pastore. Se ne ricordano due in particolare, la prima delle quali ha la forma, per così dire, dell'impegno personale. La seconda, invece, ha una forma sinodale.

La visita pastorale non è un semplice istituto giuridico, prescritto al vescovo dalla disciplina ecclesiastica e neppure una sorta di strumento d'inchiesta.(114) Mediante la visita pastorale il vescovo si presenta concretamente come visibile principio e fondamento dell'unità nella Chiesa particolare e essa "riflette in qualche modo l'immagine di quella singolarissima e del tutto meravigliosa visita, per mezzo della quale il 'pastore sommo' (1 Pt 5, 4), il vescovo delle anime nostre (cf. 1 Pt 2, 25) Gesù Cristo ha visitato e redento il suo popolo (cf. Lc 1, 68)".(115) Poiché, inoltre, la Diocesi, prima che essere un territorio, è una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo, opportunamente il Direttorio Ecclesiae imago scrive che il primo posto nella visita pastorale l'hanno le persone. Per meglio dedicarsi a loro è, dunque, opportuno che il vescovo deleghi ad altri l'esame delle questioni di carattere più amministrativo.

La celebrazione del Sinodo Diocesano, di cui il Codice di Diritto Canonico delinea il profilo giuridico,(116) ha un indubbio posto di preminenza tra i doveri pastorali del vescovo. Il Sinodo, infatti, è il primo che la disciplina ecclesiastica indica tra gli organismi attraverso i quali si svolge e si sviluppa la vita di una Chiesa particolare. La sua struttura, come quella di altri organismi detti "di partecipazione", risponde a fondamentali esigenze ecclesiologiche ed è espressione istituzionale di realtà teologiche quali sono, ad esempio, la necessaria cooperazione del presbiterio al ministero del vescovo, la partecipazione di tutti i battezzati all'ufficio profetico di Cristo, il dovere dei pastori nel riconoscere e promuovere la dignità dei fedeli laici servendosi volentieri del loro prudente consiglio.(117) Nella sua realtà il Sinodo diocesano s'inserisce nel contesto della corresponsabilità di tutti i diocesani attorno al proprio vescovo in ordine al bene della Diocesi e nella sua composizione, qual è voluta dalla vigente disciplina canonica, è espressione privilegiata della comunione nella Chiesa particolare. In definitiva nel Sinodo si tratta di ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa particolare, rimanendo saldi nella fede, fedeli nella comunione, aperti alla missionarietà, disponibili ai bisogni spirituali del mondo e pieni di speranza davanti alle sue sfide.

71. Per il suo ufficio pastorale il vescovo è il presidente e il ministro della carità nella sua Chiesa particolare. Edificandola mediante la Parola e l'Eucaristia egli le apre pure le vie privilegiate e assolutamente irrinunciabili per vivere e testimoniare il Vangelo della carità. Già nella Chiesa apostolica i Dodici provvidero all'istituzione di "sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza" ai quali affidarono il "servizio delle mense" (cf. At 6, 2-3). Lo stesso san Paolo aveva come punto fermo del suo apostolato il ricordarsi dei poveri, lasciandoci l'indicazione di un fondamentale segno della comunione tra i cristiani. Così il vescovo, anche oggi, è chiamato a svolgere personalmente e a organizzare la carità nella propria Diocesi, mediante appropriate strutture.

In tal modo egli testimonia che le tristezze e le angosce degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le ansie dei discepoli di Cristo.(118) Diverse, indubbiamente, sono le povertà e a quelle antiche se ne sono aggiunte di nuove. In tali situazioni il vescovo è in prima linea nel sollecitare verso nuove forme di apostolato e di carità laddove l'indigenza si presenta sotto nuovi aspetti. Servire, incoraggiare, educare a questi impegni di solidarietà e di vicinanza a favore dell'uomo, rinnovando ogni giorno l'antica storia del Samaritano è, anche questo, già di per sé un segno di speranza per il mondo.


Capitolo IV

IL VESCOVO MINISTRO DEL VANGELO PER TUTTI GLI UOMINI

72. La vita e il ministero pastorale del vescovo devono sempre essere penetrati dalla speranza che è contenuta nell'annuncio della Buona Novella, del quale egli è il primo responsabile nella Chiesa particolare. Nel suo servizio, tuttavia, non sono inclusi unicamente i fedeli della sua Chiesa particolare né solamente tutta la Chiesa è destinataria della sua sollecitudine pastorale. La stessa collocazione del vescovo nella Chiesa, invece, e la missione che vi è chiamato a svolgere fanno di lui il primo responsabile della sua permanente missione di portare il Vangelo a quanti ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo.

In questo capitolo si considera la missione del vescovo posta in relazione profetica con la realtà in cui la comunità che egli presiede in nome di Cristo Pastore procede nel suo pellegrinaggio terreno verso la Città celeste. L'attenzione è rivolta, dunque, al mandato missionario che il Signore ha dato alla sua Chiesa e ad alcuni altri ambiti della evangelizzazione, quali sono il dialogo con le religioni non cristiane, la responsabilità del vescovo nei riguardi del mondo sui temi della vita politica, sociale ed economica e della pace. Anche in questi spazi, infatti, egli è chiamato a suscitare la speranza delle realtà trascendenti e delle realtà escatologiche.

Il dovere missionario del vescovo

73. Il mandato affidato dal Signore Risorto ai suoi Apostoli riguarda tutte le genti. Negli Apostoli stessi, anzi, "la Chiesa ricevette una missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza che Cristo è venuto a portare (cf. Gv 10, 10)".(119)

Anche per i successori degli Apostoli, il compito di annunciare il Vangelo non è ristretto all'ambito ecclesiale. Il Vangelo è sempre per tutti gli uomini. La Chiesa stessa è sacramento di salvezza per tutti gli uomini e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa, piuttosto, è "forza dinamica nel cammino dell'umanità verso il Regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici fra gli uomini".(120) Sempre, perciò, incombe ai successori degli Apostoli la responsabilità di diffonderlo su tutta la terra.

I vescovi, dunque, che nelle loro Chiese particolari sono segni personali di Cristo, sono pure chiamati ad essere, nel mondo, segni della Chiesa presente nella storia di tutti gli uomini. Consacrati non soltanto per una Diocesi ma per la salvezza del mondo intero,(121) i vescovi, sia come membri del collegio episcopale sia come singoli pastori delle Chiese particolari, sono, insieme con il vescovo di Roma, direttamente responsabili dell'evangelizzazione di quanti ancora non riconoscono in Cristo l'unico salvatore e ancora non ripongono in lui la propria speranza.

In tale contesto non possono essere dimenticati i tanti vescovi missionari, che come ieri ancora oggi illustrano la vita della Chiesa con la generosità e con la santità. Alcuni di loro sono pure stati fondatori di Istituti missionari.

74. Quale pastore di una Chiesa particolare, spetta al vescovo orientarne i cammini missionari, dirigerli e coordinarli. Egli adempie al suo dovere d'impegnare a fondo lo slancio evangelizzatore della propria Chiesa particolare quando suscita, promuove e guida l'opera missionaria nella sua Diocesi. Così facendo, "rende presente e, per così dire, visibile lo spirito e l'ardore missionario del Popolo di Dio, sicché la diocesi tutta si fa missionaria".(122)

Nel suo zelo per l'attività missionaria il vescovo si mostra, anche qui, servo e testimone della speranza. La missione, infatti, è senz'altro motivata dalla fede ed è "l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi".(123) Ma poiché la buona novella per l'uomo di tutti i tempi è la novità della vita, cui ogni uomo è chiamato e destinato, la missione è pure animata dalla speranza ed è, essa stessa, frutto della speranza cristiana.

Annunciando Cristo Risorto, i cristiani annunciano Colui che inaugura una nuova èra della storia e proclamano al mondo la buona notizia di una salvezza integrale e universale, che contiene in sé la caparra di un mondo nuovo, in cui il dolore e l'ingiustizia faranno posto alla gioia e alla bellezza. Perciò pregano come Gesù ha loro insegnato : "Venga il tuo Regno" (Mt 6, 10). L'attività missionaria, infine, nel suo scopo ultimo di mettere a disposizione di ogni uomo la salvezza donata da Cristo una volta per sempre, tende di per sé alla pienezza escatologica. Grazie ad essa si accresce il Popolo di Dio, si dilata il Corpo di Cristo e si amplia il Tempio dello Spirito fino alla consumazione dei secoli.(124)

Il dialogo interreligioso

75. Come maestri della fede i vescovi devono anche avere una giusta attenzione verso il dialogo interreligioso. E' a tutti evidente, infatti, che nelle attuali circostanze storiche esso ha assunto una nuova e immediata urgenza. Per molte comunità cristiane, infatti, come ad esempio nell'Africa e nell'Asia, il dialogo interreligioso fa quasi parte integrante della vita quotidiana delle famiglie, delle comunità locali, dell'ambiente di lavoro e dei servizi pubblici. In altre, invece, come ad esempio nell'Europa occidentale e, ad ogni modo, nei paesi di più antica cristianità, si tratta di un fenomeno nuovo. Anche qui accade sempre più frequentemente che credenti di diverse religioni e culti si incontrino facilmente e spesso vivano insieme, a motivo delle migrazioni dei popoli, dei viaggi, delle comunicazioni sociali e delle scelte personali.

E', quindi, necessario porre in atto una pastorale che promuova l'accoglienza e la testimonianza nel richiamo ai princìpi esposti dal Concilio con il decreto Nostra aetate circa il rispetto per le credenze non cristiane e, per quanto esse comportano di positivo, circa la possibilità di difendere con i loro fedeli alcuni valori essenziali dell'esistenza come pure circa l'impegno di incontrare questi uomini e queste donne per una comune ricerca della verità.

76. Il dialogo interreligioso, come ha ricordato Giovanni Paolo II, è parte della missione evangelizzatrice della Chiesa e rientra fra le prospettive del Giubileo del 2000. (125) Tra la principali ragioni il decreto Nostra aetate inserisce quelle suggerite dalla professione della speranza cristiana. Tutti gli uomini, infatti, hanno una comune origine da Dio, in quanto creature amate e volute da Lui, e hanno un comune destino nel suo amore eterno. Il fine ultimo di ogni uomo è in Dio.

In questo dialogo i cristiani devono sempre testimoniare la propria speranza in Cristo, unico Salvatore dell'uomo, ma hanno pure non poche cose da apprendere. Ciò, tuttavia, non può e non deve diminuire il dovere e la determinazione dei cristiani nel proclamare, senza esitazioni, l'unicità e l'assolutezza di Cristo redentore. In nessun altro, infatti, il cristiano ripone la sua speranza ed è Cristo il compimento di tutte le speranze. Egli è "l'attesa di quanti, in ogni popolo, aspettano la manifestazione della bontà divina".(126) Ugualmente il dialogo deve pure essere condotto e attuato dai fedeli cattolici con la convinzione che l'unica vera religione sussiste "nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini".(127)

77. Tutti i fedeli e tutte le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo interreligioso, per quanto non sempre con la stessa intensità e allo stesso livello. Laddove, però, le situazioni lo richiedono o lo permettono è dovere di ogni vescovo nella sua Chiesa particolare aiutare, con il suo insegnamento e con l'azione pastorale, tutti i fedeli a rispettare e stimare i valori, le tradizioni, le convinzioni degli altri credenti, come pure promuovere una solida e adatta formazione religiosa dei cristiani stessi, perché sappiano dare una convinta testimonianza del grande dono della fede cristiana.

Il vescovo deve pure vegliare sulla dimensione teologica del dialogo interreligioso, qualora sia attuato nella propria Chiesa particolare, in modo che mai rimanga sottaciuta o non affermata l'universalità e l'unicità della Redenzione operata da Cristo, unico Salvatore dell'uomo e rivelatore del mistero di Dio.(128) Solo nella coerenza con la propria fede, infatti, è possibile anche condividere, confrontare, arricchire le esperienze spirituali e le forme di preghiera, come vie di incontro con Dio.

Il dialogo interreligioso, tuttavia, non riguarda solamente il campo dottrinale, ma si estende ad una pluralità di rapporti quotidiani tra i credenti, che sono chiamati al rispetto reciproco e alla conoscenza comune. Si tratta del cosiddetto "dialogo di vita" laddove i credenti delle diverse religioni testimoniano reciprocamente i propri valori umani e spirituali al fine di favorire la coesistenza pacifica e la collaborazione per una società più giusta e fraterna. Nel favorire e nel seguire attentamente tale dialogo, il vescovo ricorderà sempre ai fedeli che questo impegno nasce dalle virtù teologali della fede, carità e speranza e con esse cresce.

Responsabilità verso il mondo

78. I cristiani adempiono alla missione profetica ricevuta da Cristo realizzando nel mondo una presenza portatrice di speranza. Per questo il Concilio ricorda che la Chiesa "cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio".(129)

L'assunzione di responsabilità nei riguardi del mondo intero e dei suoi problemi, delle sue domande e delle sue attese appartiene anch'essa all'impegno di evangelizzazione, cui la Chiesa è chiamata dal Signore. Esso coinvolge in prima persona ogni vescovo rendendolo attento alla lettura dei "segni dei tempi" così da ridestare negli uomini una nuova speranza. In questo egli opera come ministro dello Spirito che, anche oggi, alle soglie del Terzo Millennio, non cessa di operare grandi cose perché sia rinnovata la faccia della terra. Sull'esempio del Buon Pastore egli indica all'uomo la via da seguire e, come il Samaritano, si china su di lui per curarne le ferite.

79. L'uomo è essenzialmente anche un "essere di speranza". E' pur vero che non sono pochi, nelle varie parti della terra, gli eventi che indurrebbero allo scetticismo e alla sfiducia : tali e tante sono le sfide che oggi sono rivolte alla speranza. La Chiesa, però, trova nel mistero della croce e della risurrezione del suo Signore il fondamento della "beata speranza". Da qui attinge la forza per mettersi e rimanere al servizio dell'uomo e di ogni uomo.

Il Vangelo, di cui la Chiesa è serva, è un messaggio di libertà e una forza di liberazione che, mentre mette a nudo e giudica le speranze illusorie e fallaci, porta però a compimento le aspirazioni più autentiche dell'uomo. Il nucleo centrale di questa buona novella è, poi, che mediante la sua croce e la sua risurrezione e mediante il dono dello Spirito Santo, Cristo ha aperto vie nuove di libertà e di liberazione per l'umanità.

Tra gli ambiti, nei quali il vescovo è chiamato a guidare la propria comunità, delineando impegni e attuando comportamenti che siano luoghi ove giunge la forza rinnovatrice del Vangelo ed effettivi segnali di speranza, si indicano alcuni di particolare rilevanza, che riguardano la dottrina sociale della Chiesa. Questa infatti, non soltanto non è estranea, ma è parte essenziale del messaggio cristiano, perché propone le dirette conseguenze del Vangelo nella vita della società. Su di essa, peraltro, si è più volte soffermato il Magistero, illustrandola alla luce del mistero pasquale, donde la Chiesa sempre attinge la verità sulla storia e sull'uomo, ricordando pure che spetta poi alle Chiese particolari, in comunione con la Sede di Pietro e fra loro, portarla a concrete attuazioni.

80. Un primo ambito riguarda il rapporto con la società civile e politica. E' evidente, al riguardo, che la missione della Chiesa è una missione religiosa e che il fine privilegiato della sua azione è l'annuncio a tutti gli uomini di Gesù Cristo, l'unico Nome "dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (At 4, 12). Ne deriva, fra l'altro, la distinzione, ribadita dal Concilio, fra la comunità politica e la Chiesa. Indipendenti e autonome nel proprio campo, esse hanno in comune, però, il servizio alla vocazione personale e sociale delle stesse persone umane.(130)

Perciò la Chiesa, per mandato del Signore aperta a tutti gli uomini di buona volontà, non è, né mai può essere, concorrente della vita politica ma neppure estranea ai problemi della vita sociale. Per questo, rimanendo all'interno della propria competenza di promozione integrale dell'uomo, la Chiesa può cercare soluzioni anche per problemi di ordine temporale, soprattutto laddove è compromessa la dignità dell'uomo e sono calpestati i suoi più elementari diritti.

81. In tale quadro si colloca pure l'azione del vescovo, il quale riconosce l'autonomia dello Stato ed evita, per questo, la confusione tra fede e politica servendo, invece, la libertà di tutti. Alieno da forme che inducano a identificare la fede con una determinata forma politica, egli cerca anzitutto il Regno di Dio ed è così che, assumendo più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le opere della giustizia, egli si presenta come custode del carattere trascendente della persona umana e come segno di speranza. (131) Il contributo specifico che un vescovo offre in questo ambito è quello stesso della Chiesa, cioè "quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato".(132)

L'autonomia della comunità politica non include, infatti, la sua indipendenza dai princìpi morali ; anzi, una politica priva di riferimenti morali porta inevitabilmente al degrado della vita sociale, alla violazione della dignità e dei diritti della persona umana. Per questo alla Chiesa sta a cuore che alla politica sia conservata, o restituita, l'immagine del servizio da rendere all'uomo e alla società. Poiché, poi, è compito proprio dei fedeli laici impegnarsi direttamente nella politica, la preoccupazione del vescovo è quella di aiutare i suoi fedeli a dibattere le loro questioni e assumere le proprie decisioni alla luce della Parola di Verità ; di favorire e curare la loro formazione in modo che nelle scelte siano motivati da una sincera sollecitudine per il bene comune della società in cui vivono, cioè il bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo ; di insistere perché vi sia coerenza fra la morale pubblica e quella privata.

82. Un posto particolare nel processo di evangelizzazione e un luogo privilegiato dove annunciare la speranza è la sollecitudine per i poveri. Si apre così l'ambito relativo alla vita economica e sociale della quale, come ha ricordato il Concilio, l'uomo è l'autore, il centro e il fine.(133) Da qui la preoccupazione della Chiesa perché anche lo sviluppo non sia inteso in senso esclusivamente economico, ma piuttosto in senso integralmente umano.

L'orientamento della speranza cristiana è certamente verso il Regno dei cieli e verso la vita eterna. Questa destinazione escatologica, tuttavia, non attenua l'impegno per il progresso della città terrena. Al contrario, gli dà senso e forza . Anzi, "lo slancio della speranza preserva dall'egoismo e conduce alla gioia della carità".(134) La distinzione tra progresso terrestre e crescita del Regno, infatti, non è una separazione poiché la vocazione dell'uomo alla vita eterna, più che abolire, conforta il compito dell'uomo di mettere in atto le energie ricevute dal Creatore per lo sviluppo della sua vita temporale.

83. Non è compito specifico della Chiesa offrire soluzioni alle questioni economiche e sociali, ma la sua dottrina sociale contiene un insieme di princìpi indispensabili per la costruzione di un giusto sistema sociale ed economico. Anche su questo la Chiesa ha un "vangelo" da annunciare, del quale ogni vescovo, nella sua Chiesa particolare, deve farsi portatore, indicandone il cuore nelle Beatitudini evangeliche.(135)

Poiché, infine, il comandamento dell'amore del prossimo è molto concreto, occorre che il vescovo promuova nella sua Diocesi iniziative appropriate ed esorti al superamento di eventuali atteggiamenti di apatia, passività ed egoismo individuale e di gruppo. Ugualmente è importante che con la sua predicazione il vescovo risvegli la coscienza cristiana di ogni cittadino, esortandolo ad operare, con una solidarietà attiva e con i mezzi a sua disposizione, in difesa del suo fratello contro qualsiasi abuso che attenti alla dignità umana. Deve, al riguardo, sempre ricordare ai fedeli che in ogni povero e in ogni bisognoso è presente Cristo (cf. Mt 25, 31-46). La stessa figura del Signore come giudice escatologico è la promessa di una giustizia finalmente perfetta per i vivi e per i morti, per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.(136)

84. I temi della giustizia e dell'amore per il prossimo richiamano spontaneamente quello della pace : "un frutto di giustizia è seminato nella pace per coloro che operano la pace" (Gc 3, 18). Quella che la Chiesa annuncia è la pace di Cristo, il "principe della pace" che ha proclamato la beatitudine degli "operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9). Tali sono non soltanto coloro che rinunciano all'uso della violenza come metodo abituale ma anche tutti quelli che hanno il coraggio di operare perché sia cancellato ciò che impedisce la pace. Questi operatori della pace sanno bene che essa comincia nel cuore dell'uomo. Perciò agiscono contro l'egoismo, che impedisce di vedere gli altri come fratelli e sorelle in un'unica famiglia umana, sostenuti in questo dalla speranza in Gesù Cristo, il Redentore Innocente la cui sofferenza è un indefettibile segno di speranza per l'umanità. Cristo è la pace (cf. Ef 2, 14) e l'uomo non troverà la pace se non incontrerà Cristo.

La pace è una responsabilità universale, che passa attraverso i mille piccoli atti della vita di ogni giorno. Secondo il loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace. La pace attende i suoi profeti e i suoi artefici.(137) Questi architetti della pace devono esserci anzitutto nelle comunità ecclesiali, di cui il vescovo è pastore.

Occorre, perciò, che egli non lasci cadere occasione alcuna per promuovere nelle coscienze l'aspirazione alla concordia e per favorire l'intesa tra le persone nella dedizione alla causa della giustizia e della pace. Si tratta di un compito arduo, che richiede dedizione, sforzi rinnovati e un'insistente azione educativa soprattutto verso le nuove generazioni perché s'impegnino, con rinnovata gioia e speranza cristiana, nella costruzione di un mondo più pacifico e fraterno. L'operare per la pace è anch'esso incluso nel compito prioritario della evangelizzazione. Per questo la promozione di un'autentica cultura del dialogo e della pace è anch'essa un impegno fondamentale dell'azione pastorale di un vescovo.

85. Voce della Chiesa che, evangelizzando, chiama e convoca tutti gli uomini, il vescovo non omette di concretamente operare e di fare udire la sua parola saggia ed equilibrata affinché i responsabili della vita politica, sociale ed economica cerchino le più giuste soluzioni possibili per risolvere i problemi del convivere civile.

Le condizioni in cui i pastori sono chiamati a svolgere la loro missione in questi ambiti sono spesso molto difficili, sia per l'evangelizzazione sia per la promozione umana ed è soprattutto qui che si mostra quanto e come, nel ministero episcopale, debba essere inclusa la disponibilità alla sofferenza. Ma senza di essa non è possibile che si dedichino alla loro missione. Grande, perciò, dev'essere la loro fiducia nello Spirito del Signore risorto e il loro cuore deve sempre essere ricolmo della "speranza che non delude" (Rom 5, 5).


Capitolo V

IL CAMMINO SPIRITUALE DEL VESCOVO

86. I capitoli precedenti hanno descritto i tratti generali del contesto nel quale un vescovo oggi è chiamato a svolgere, nella Chiesa, la sua missione di maestro autentico della fede, che, senza cedimenti né compromessi, annuncia, insegna e difende la verità ; di santificatore e amministratore fedele dei doni divini ; di padre vicino a quanti la misericordia del Padre celeste ha affidato alle sue cure, in tutte le loro necessità e soprattutto nel bisogno di Dio. In mezzo al suo popolo il vescovo è l'immagine viva di Gesù Buon Pastore, che cammina insieme con il suo gregge.

E' stato pure ricordato che il vescovo vive la sua missione di pastore quando, nei vincoli del Collegio episcopale, è unito con il vescovo di Roma e con gli altri fratelli vescovi, ricorrendo a tutte le istanze ecclesiastiche che lo aiutano nel servizio affidatogli dal Signore e dalla Chiesa. E' stato, infine, posto in rilievo che la missione del vescovo è ampia quanto la stessa missione della Chiesa nel mondo.

Esigenza di santità nella vita del vescovo

87. Si tratta, dunque, di un ministero altissimo ed esigente, di un ideale dinanzi al quale ciascun chiamato, sentendo vive la debolezza e l'inadeguatezza delle proprie forze, è preso da comprensibile timore. Per questo il vescovo dev'essere animato da quella stessa speranza, della quale è costituito servitore nella Chiesa e nel mondo. Come l'apostolo S. Paolo egli ripete : "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Fil 4, 13) e, come lui, è certo che "la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rom 5, 5).

Per non essere, poi, impari ad un ministero di tanta responsabilità egli deve individuare nella carità pastorale il vincolo della perfezione episcopale e come il frutto della grazia e del carattere del sacramento ricevuto. Per questo deve sempre conformarsi, in maniera tutta speciale, a Cristo Buon Pastore sia nella sua vita personale sia nell'esercizio del ministero apostolico, così che il pensiero di Cristo (cf. 1 Cor 2, 16) lo pervada in tutto e per tutto nelle idee, nei sentimenti, nelle scelte e nell'operare.(138)

A vent'anni dalla chiusura del Concilio, l'Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1985 costatava che "i santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento, nelle più difficili circostanze della vita della Chiesa".(139) Non c'è dubbio che la Chiesa ha sempre bisogno anche di pastori luminosi, oltre che per le loro qualità umane, anche per la loro santità. Sono questi i pastori che riescono a risvegliare un progetto di vita sacerdotale presso i giovani di oggi.

In questo capitolo, dunque, si vorrebbero indicare alcune linee per il cammino spirituale del vescovo, come cammino di evangelizzazione e santificazione del popolo di Dio, mettendo in luce lo stretto legame che esiste tra la santità personale del vescovo e l'esercizio del suo ministero. Il ministero stesso, d'altra parte, adempiuto con fedeltà e fortezza e nella docilità allo Spirito Santo, è fonte di santità per il vescovo e di santificazione per i fedeli affidati alla sua cura di pastore, nella valorizzazione delle diverse vie di santità secondo i distinti carismi.

Dimensioni della spiritualità del vescovo

88. Questo cammino spirituale del vescovo ha, certamente, la sua radice nella grazia del sacramento del Battesimo e della Confermazione, dove, come ogni fedele, è stato reso capace di credere in Dio, di sperare in lui e di amarlo per mezzo delle virtù teologali, di vivere e agire sotto la mozione dello Spirito Santo per mezzo dei suoi santi doni. Da questo punto di vista egli ha da vivere una spiritualità non differentemente da tutti gli altri discepoli del Signore, che sono stati incorporati a lui e sono divenuti tempio dello Spirito. Anche il vescovo, dunque, vive una spiritualità come battezzato e cresimato, nutrito dalla santa Eucaristia e bisognoso del perdono del Padre, a motivo dell'umana fragilità. Come pure, insieme con i sacerdoti del suo presbiterio, egli ha da percorrere dei cammini specifici di spiritualità in quanto chiamato alla santità per il nuovo titolo derivante dall'Ordine sacro.(140)

Tuttavia il vescovo deve vivere una sua "specifica" spiritualità, a motivo dello specifico dono della pienezza dello Spirito di santità, che ha ricevuto quale padre e pastore nella Chiesa.

89. Si tratta di una spiritualità "propria", orientata a far vivere nella fede, nella speranza e nella carità conformemente al ministero di evangelizzatore, di liturgo e di guida nella comunità ; di una spiritualità che vede il vescovo in relazione con il Padre, di cui è immagine, con il Figlio, alla cui missione di Pastore è configurato, e con lo Spirito Santo, che dirige la Chiesa con diversi doni gerarchici e carismatici.

Si tratta, ancora, di una spiritualità ecclesiale perché ogni vescovo è conformato a Cristo Pastore per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo, per servirla e per essere, nella Chiesa, maestro, santificatore e guida. Così egli diventa modello e promotore di una spiritualità di comunione nella Chiesa a tutti i livelli.

Non è possibile amare Cristo e vivere nell'intimità con lui senza amare la Chiesa, che Cristo ama : tanto, infatti, si possiede lo Spirito di Dio quanto si ama la Chiesa "una in tutti e tutta in ciascuno ; semplice nella pluralità per l'unità della fede, molteplice in ciascuno per il cemento della carità e la varietà dei carismi".(141) Solo dall'amore per la Chiesa, amata da Cristo sino a dare se stesso per lei (cf. Ef 5, 25) e sacramento universale di salvezza, nascono una spiritualità e uno zelo missionari e la testimonianza della misura totale con cui il Signore Gesù ha amato gli uomini, cioè sino alla croce.

Ministro del vangelo della speranza

90. Con questi titoli il vescovo si presenta alla Chiesa, ripetendo le parole dell'Apostolo : Cristo "vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto : purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo... di cui io sono diventato ministro" (Col 1, 22-23 ; cf. 1, 5).

Già il Direttorio pastorale Ecclesiae imago aveva dedicato un intero e dettagliato capitolo alle virtù necessarie ad un vescovo.(142) In quel contesto, oltre ai rimandi alle virtù soprannaturali dell'obbedienza, della perfetta continenza per amore del Regno, della povertà, della prudenza pastorale e della fortezza, si trova pure un richiamo alla virtù teologale della speranza, appoggiandosi alla quale il vescovo con ferma certezza aspetta da Dio ogni bene e ripone nella divina Provvidenza la massima fiducia, "memore dei santi apostoli e degli antichi vescovi i quali, pure sperimentando grandi difficoltà e ostacoli di ogni genere, tuttavia predicavano il vangelo di Dio con tutta franchezza".(143)

Nella prospettiva, però, della X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, è opportuno soffermarsi ulteriormente sulla speranza inerente al ministero episcopale, stimolatrice di creatività e apportatrice di quel sano ottimismo che il vescovo deve vivere personalmente e gioiosamente comunicare agli altri.

91. La speranza cristiana inizia con Cristo e si nutre di Cristo, è partecipazione al mistero della sua Pasqua e caparra per una sorte analoga a quella di Cristo, giacché il Padre con Lui "ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli" (Ef 2, 6).

Di questa speranza il vescovo è fatto segno e ministro. Ogni vescovo può raccogliere per sé queste parole di Giovanni Paolo II : "Senza la speranza noi saremmo non solo uomini infelici e degni di compassione, ma tutta la nostra azione pastorale diverrebbe infruttuosa ; noi non oseremmo intraprendere più nulla. Nell'inflessibilità della nostra speranza risiede il segreto della nostra missione. Essa è più forte delle ripetute delusioni e dei dubbi faticosi perché attinge la sua forza ad una fonte che né la nostra disattenzione né la nostra negligenza possono portare all'esaurimento. La sorgente della nostra speranza è Dio stesso, che mediante Cristo una volta per tutte ha vinto il mondo ed oggi continua attraverso di noi la sua missione salvifica tra gli uomini".(144)

La speranza nel cammino spirituale del vescovo

92. Il vescovo è ministro della Verità che salva non soltanto per ammaestrare e istruire ma anche per condurre gli uomini alla speranza e, quindi, all'avanzamento nel cammino della speranza. Se, dunque, un vescovo vuole davvero mostrarsi al suo popolo come segno, testimone e ministro della speranza non può che alimentarsi, in totale adesione e piena disponibilità, alla Parola di Verità, sul modello della santa Madre di Dio Maria, che "ha creduto all'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1, 45).

Poiché, poi, questa divina Parola è contenuta ed espressa nella Sacra Scrittura, ad essa un vescovo deve costantemente fare ricorso con lettura assidua e studio accurato. Ciò non soltanto perché egli sarebbe vano predicatore della Parola di Dio all'esterno se non l'ascoltasse di dentro,(145) ma anche perché svuoterebbe e renderebbe impossibile il suo ministero per la speranza.

Dalla Scrittura il vescovo attinge alimento per la sua spiritualità di speranza, in modo da svolgere veracemente il suo ministero di evangelizzatore. Solo così, come S. Paolo, egli potrà rivolgersi ai suoi fedeli dicendo : "In virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza" (Rom 15, 4).

93. Momento privilegiato dell'ascolto della Parola di Dio è la preghiera. Consapevole che egli sarà maestro di preghiera per i suoi fedeli solo attraverso la sua stessa preghiera personale, il vescovo si rivolgerà a Dio per ripetergli, insieme con il salmista : "Io spero sulla tua parola" (Sl 119, 114). La preghiera, infatti, è il privilegiato luogo espressivo della speranza o, come si trova in S. Tommaso, essa è la "interprete della speranza".(146)

Se, però, nessuno può pregare soltanto per se stesso, ancora di meno può farlo un vescovo il quale, anche nella sua preghiera, deve portare con sé tutta la Chiesa pregando in maniera speciale per il popolo che gli è stato affidato. Imitando Gesù nella scelta dei suoi Apostoli (cf. Lc 6, 12-13), anch'egli sottometterà al Padre tutte le sue iniziative pastorali e gli presenterà, mediante Cristo nello Spirito, le sue speranze per il presbiterio diocesano, le sue ansie per le vocazioni al sacerdozio, alla vita consacrata, all'impegno missionario e ai diversi ministeri, le sue premure per i consacrati e le consacrate che operano apostolicamente nella Chiesa particolare e le sue attese per i fedeli laici : perché, tutti e ciascuno, corrispondendo alla propria vocazione ed esercitando i rispettivi ministeri e carismi, convergano, sotto la sua guida, nell'edificazione del Corpo di Cristo. E il Dio della speranza lo riempirà di ogni gioia e pace, perché abbondi nella speranza per la virtù dello Spirito Santo (cf. Rom 15, 13).

94. Un vescovo deve pure ricercare le occasioni in cui possa vivere il suo ascolto della Parola di Dio e la sua preghiera insieme con il presbiterio, con i diaconi permanenti laddove vi sono, con i seminaristi e con i consacrati e le consacrate presenti nella Chiesa particolare e, dove e quando è possibile, anche con i laici, in particolare quelli che vivono in forma associata il loro apostolato.

In tal modo favorisce lo spirito di comunione e sostiene la loro vita spirituale mostrandosi come "maestro di perfezione" nella sua Chiesa particolare, impegnato a "fare avanzare nella via della santità i suoi sacerdoti, i religiosi e i laici, secondo la particolare vocazione di ciascuno".(147) Al tempo stesso rafforza pure in sé i vincoli delle relazioni ecclesiali, nelle quali è stato immesso come visibile centro d'unità.

Neppure trascurerà le occasioni per vivere insieme con i fratelli vescovi, soprattutto se più vicini perché della medesima provincia e regione ecclesiastica, analoghi momenti d'incontro spirituale. In tali incontri si può sperimentare la gioia che deriva del vivere insieme tra fratelli (cf. Sal 133, 1), si manifesta e s'incrementa l'affetto collegiale.

95. Anche dalla celebrazione della santa Liturgia il vescovo, insieme con tutto il popolo di Dio, trae alimento per la speranza. La Chiesa, infatti, quando celebra la sua Liturgia sulla terra, pregusta, nella speranza, la Liturgia della celeste Gerusalemme, verso cui tende come pellegrina e dove Cristo è assiso alla destra del Padre "quale ministro del santuario e della vera tenda, che ha costruito il Signore e non un uomo" (Ebr 8, 2).(148)

Tutti i Sacramenti della Chiesa, primo fra tutti l'Eucaristia, sono memoriale degli acta et passa del Signore, ripresentazione della salvezza operata da Cristo una volta per sempre e anticipazione del pieno possesso, che sarà il dono del tempo finale.(149) Sino allora la Chiesa li celebra come segni efficaci della sua attesa, dell'invocazione e della speranza.

96. Fra le azioni liturgiche ve ne sono alcune nelle quali la presenza del vescovo ha un significato particolare. Anzitutto la Messa crismale, durante la quale sono benedetti l'Olio dei Catecumeni e quello degli Infermi ed è consacrato il santo Crisma: è il momento della più alta manifestazione della Chiesa locale, che celebra il Signore Gesù, Sacerdote sommo ed eterno del suo stesso Sacrificio. Per un vescovo è un momento di grande speranza, poiché egli trova il presbiterio diocesano raccolto attorno a lui per guardare insieme, nell'orizzonte gioioso della Pasqua, al Grande Sacerdote e per ravvivare, così, la grazia sacramentale dell'Ordine mediante il rinnovo delle promesse che, dal giorno dell'Ordinazione, fondano lo speciale carattere del loro ministero nella Chiesa. In questa circostanza, così unica nell'anno liturgico, i rinsaldati vincoli della comunione ecclesiale sono per il popolo di Dio, pure assillato da innumerevoli ansietà, un vibrante grido di speranza.

Ad essa si aggiungerà la solenne liturgia dell'ordinazione di nuovi presbiteri e di nuovi diaconi. Qui, ricevendo da Dio i nuovi cooperatori dell'ordine episcopale e i nuovi collaboratori nel suo ministero, il vescovo vede esaudite dallo Spirito, Donum Dei e dator munerum, la sua preghiera per l'abbondanza delle vocazioni e le sue speranze per una Chiesa ancora più splendente per il suo volto ministeriale.

Analogamente si può dire per il conferimento del sacramento della Confermazione, del quale il vescovo è ministro originario e, nel rito latino, ministro ordinario. Qui, "il fatto che questo sacramento venga amministrato da loro evidenzia che esso ha come effetto di unire più strettamente alla Chiesa, alle sue origini apostoliche e alla sua missione di testimoniare Cristo coloro che lo ricevono".(150)

97. L'efficacia della guida pastorale di un vescovo e della sua testimonianza di Cristo, speranza del mondo, dipende in gran parte dall'autenticità della sequela del Signore e dal vivere in amicitia Iesu Christi. Solo la santità è annuncio profetico del rinnovamento e un vescovo non può sottrarsi al ruolo profetico della santità mediante il quale anticipa nella propria vita l'avvicinamento a quella meta cui conduce i suoi fedeli.

Tuttavia, nel suo cammino spirituale, come ogni cristiano anch'egli sperimenta la necessità della conversione a motivo della consapevolezza delle proprie debolezze, dei propri scoraggiamenti e del proprio peccato. Ma poiché, come predicava S. Agostino, non può precludersi la speranza del perdono colui al quale non è stato precluso il peccato,(151) il vescovo, ricorre al sacramento della penitenza e della riconciliazione nel quale grida con tutta sincerità : "Signore, mio Dio, in te ho sperato : salvami !" (cf. Sal 7, 2 ; 31, 2 ; 38, 16). Chiunque ha la speranza di essere figlio di Dio e di poterlo vedere così come egli è, purifica se stesso come è puro il Padre celeste (cf. 1 Gv 3, 3).

98. E' indubbiamente segno di speranza per il popolo di Dio vedere il proprio vescovo accostarsi a questo sacramento della guarigione, ad esempio quando esso, in particolari circostanze è celebrato in forma comunitaria con la sua presidenza ; come pure vedere che a lui, quando gravemente malato, è amministrato il sacramento dell'Unzione degli infermi e gli è recato il conforto del santo viatico con solennità e accompagnamento di clero e di popolo.(152)

In quest'ultima testimonianza della sua vita terrena egli ha l'occasione di insegnare ai suoi fedeli che mai bisogna tradire la propria speranza e che ogni dolore del momento presente è alleviato con la speranza delle realtà future.(153) Nell'ultimo atto del suo esodo da questo mondo al Padre, egli può riassumere e riproporre lo scopo del suo stesso ministero nella Chiesa : quello di additare, come Mosè la terra promessa ai figli d'Israele, il traguardo escatologico ai figli della Chiesa.

Lieti nella speranza, come la Vergine Maria

99. Così il vescovo si vanta "nella speranza della gloria di Dio", come scrive l'Apostolo, il quale prosegue : "E non soltanto questo : noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza" (Rom 5, 2-4). Dalla speranza deriva pure la gioia. La gioia cristiana, infatti, che è gioia nella speranza (cf. Rom 12, 12), è pure oggetto della speranza. Il cristiano deve non solo parlare della gioia, ma deve pure "sperare la gioia".(154)

Di questa spirituale unione tra la gioia e la speranza Maria è la prima testimone e il modello per tutta la Chiesa. Nel suo canto del Magnificat c'è la gioia di tutti i poveri del Signore, che sperano sulla sua Parola. Le sofferenze non le furono risparmiate ma, come fu associata in modo eminente al sacrificio del suo Figlio, divenendo sotto la Croce la "madre dei dolori", così fu aperta senza alcun limite alla gioia della Risurrezione.

Ora, vicina al suo Figlio che siede glorioso alla destra del Padre, assunta in cielo nell'integrità della sua persona, in corpo e anima, ricapitola in sé tutte le gioie e vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa. A lei, che per quanti sono ancora pellegrini sulla terra, brilla "quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore"(155) la Chiesa rivolge la sua preghiera invocandola mater spei, mater plena sanctae laetitiae e causa nostrae laetitiae.

100. Ogni vescovo, come ogni cristiano si affida filialmente a Maria, imitando il discepolo amato che, accogliendo sul Calvario la Madre del Signore, la introdusse in tutto lo spazio della propria vita interiore.(156)

La Chiesa invoca spesso Maria come Regina Apostolorum. "Voglia la Vergine Santissima intercedere per tutti i pastori della Chiesa, perché nel loro non facile ministero siano sempre più conformi all'immagine del Buon Pastore".(157)


QUESTIONARIO

Domande circa il capitolo primo

1. Quale importanza è data dal vescovo al suo impegno di annunciatore del Vangelo ? Tale impegno è visto come prioritario ? Gli altri impegni distolgono da esso ? Quali aspetti della vita diocesana creano difficoltà alla missione evangelizzatrice del vescovo ? Quali, invece, sono ad essa di aiuto ?

2. Che immagine prevalente ha la gente della missione del vescovo ? L'immagine che ha la gente della missione del vescovo coincide con l'immagine che il vescovo ne ha?

3. Come reagisce la gente all'insegnamento del vescovo riguardo a questioni di fede o di morale ? Viene fatta distinzione tra l'insegnamento del vescovo e quello del Papa ?

4. Quali sono i rapporti tra il vescovo e i teologi : di stima reciproca ? di collaborazione nell'annuncio del vangelo ? di sfiducia ? di contestazione ? In quali campi?

5. Quali sfide socio-culturali si pongono al ministero del vescovo, in particolare a proposito dell'annuncio del vangelo ? Come risponde il Vescovo a queste sfide ? Quali circostanze favoriscono questo annuncio ? Quali circostanze sono di ostacolo ?

Domande circa il capitolo secondo

6. Come vive il vescovo il suo rapporto col presbiterio e con i singoli sacerdoti specialmente nella proclamazione della fede ? Quali dovrebbero essere le attenzioni primarie in questo campo ?

7. Come vive il vescovo la sua relazione con gli istituti di vita consacrata, particolarmente nella proclamazione della fede : catechesi, dottrina del Magistero, ecc.?

8. Il vescovo sostiene i laici nel loro annuncio del Vangelo nell'ambito temporale ? Come intende il vescovo il contributo all'evangelizzazione prestato dai laici, dalle associazioni di fedeli, dai movimenti ecclesiali ?

9. Come esprime il vescovo la sua comunione con il Romano Pontefice ? Il vescovo si sente sostenuto dalla Santa Sede ? Come aderisce il vescovo al ministero del Successore di Pietro nel sostenere la vera fede, la disciplina della Chiesa e la nuova evangelizzazione ?

10. Come vive il vescovo la sua relazione con gli altri vescovi : nella Chiesa universale ? nella conferenza episcopale ? con i vescovi vicini ? Il vescovo si sente sostenuto dai fratelli nell'episcopato?

Domande circa i capitoli terzo e quarto

11. Con quale attenzione, spirito di fede e amore il vescovo annuncia la Parola di Dio nel contesto delle situazioni socio-culturali odierne?

12. In che modo il vescovo fa ricorso e adopera i mezzi di comunicazione sociale, affinché siano veramente strumenti della diffusione della Parola di Dio?

13. Come la funzione sacramentale del vescovo è considerata un annuncio del Vangelo della speranza ? con quali priorità ?

14. Come la funzione di governo del vescovo è considerata un annuncio del Vangelo della speranza ? Quali sono le difficoltà concrete ?

15. Il vescovo si sente responsabile della missio ad gentes in tutto il mondo ? E come coinvolge in questo la sua diocesi?

16. Come il vescovo si impegna concretamente nel dialogo ecumenico, interreligioso e con la società civile, in ordine all'annuncio del Vangelo ?

17. La promozione dell'uomo nella sua dignità e nei suoi diritti è sentita dal vescovo come un annuncio della speranza evangelica ? Come ?

18. L'annuncio della persona di Cristo è messo dal vescovo al centro di tutto il ministero ?

Domande circa il capitolo quinto

19. Qual è il centro unificatore della spiritualità del vescovo, come suo modo concreto di essere in rapporto con Dio e con la realtà che lo circonda ?

20. Quali iniziative concrete favoriscono l'unione spirituale del vescovo innanzi tutto con i presbiteri e i diaconi, quindi con i consacrati e le consacrate e con i laici, specialmente se riuniti in associazioni e fondazioni ecclesiali?

21. Quali suggerimenti si possono dare per aiutare il vescovo a crescere nel suo cammino spirituale? all'inizio del suo mandato ? nel corso degli anni ?

22. Quali santi vescovi sono presi o possono essere presi come modello dal vescovo per alimentare una spiritualità propria ?

In generale

23. Quali altri punti importanti, riguardanti il tema stabilito, meritano di essere proposti alla riflessione del Sinodo ?


I N D I C E

Presentazione

Introduzione

Capitolo I: Contesto odierno della missione del Vescovo

Una nuova valorizzazione della figura del Vescovo

Nuove istanze e difficoltà per il ministero Episcopale

Emergenze nella comunità cristiana

Diminuzione del fervore e soggettivizzazione della fede

La vita matrimoniale e famigliare

Le vocazioni al ministero presbiterale e alla vita consacrata

La sfida delle sette e dei nuovi movimenti religiosi

Il contesto della società degli uomini

Il diverso scenario mondiale

Alcune direzioni delle speranze umane

Vescovi testimoni e servitori della speranza

Capitolo II: Tratti d'identificazione del ministero del Vescovo

Il ministero del Vescovo in relazione alla Santa Trinità

Il ministero episcopale in relazione a Cristo e agli Apostoli

Il ministero episcopale in relazione alla Chiesa

Il Vescovo in relazione al suo presbiterio

Il ministero del Vescovo in rapporto ai consacrati

Il ministero del Vescovo in rapporto ai fedeli laici

Il Vescovo in relazione al Collegio Episcopale e al suo Capo

Servi della comunione per la speranza

Capitolo III: Il ministero pastorale del Vescovo nella Diocesi

Il Vescovo inviato per insegnare

Il Vescovo inviato per santificare

Il Vescovo inviato per reggere e guidare il Popolo di Dio

Capitolo IV: Il Vescovo Ministro del Vangelo per tutti gli Uomini

Il dovere missionario del Vescovo

Il dialogo interreligioso

Responsabilità verso il mondo

Capitolo V: Il cammino spirituale del Vescovo

Esigenza di santità nella vita del Vescovo

Dimensioni della spiritualità del Vescovo

Ministro del Vangelo della speranza

La speranza nel cammino spirituale del Vescovo

Lieti nella speranza, come la Vergine Maria

Questionario

Indice


NOTE

(1) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Christifideles laici (30.XII.1988), 55: AAS 81 (1989) 503; Adhort. Ap. postsynod. Vita consecrata (25.III.1996), 31: AAS 88 (1996) 404-405.

(2) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Vita consecrata (25.III.1996), 4: AAS 88 (1996) 380.

(3) Cf. Ibidem , 29: AAS 88 (1996) 402.

(4) Cf. Concilium Oecumenicum Vaticanum II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 12.

(5) Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis, 7.

(6) Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 2.

(7) Cf. Ibidem, 45.

(8) S. Augustinus, Serm. 340 / A, 9: PLS 2, 644.

(9) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 18.

(10) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 27

(11) Ibidem, 1.

(12) Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 39.

(13) Conc. Oecum. Vat. II., Decretum de activ. mission. Ecclesiae Ad gentes, 38.

(14) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 23.

(15) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago de pastorali ministerio episcoporum (22.II.1973), Typis Polyglottis Vaticanis 1973.

(16) Ioannes Paulus II, Allocutio ad Patres Cardinales, Familiam domni Papae Romanamque Curiam, imminente Nativitate Domini Iesu Christi habita(20.XII.1990), 6: AAS 83 (1991) 744.

(17) Ioannes Paulus II, Discorso alla Conferenza Episcopale Colombiana (2.VII.1986), n. 8: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 2, p. 62-63.

(18) Ioannes Paulus II, Epist. Apost. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 46: AAS 87 (1995) 34.

(19) Ioannes Paulus II, Discorso ai vescovi dell'Austria in occasione della visita "ad Limina" (6.VII.1982), 2: AAS 74 (1982) 1123.

(20) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 4 ; Decretum de oecumenismo Unitatis redintegratio, 2.

(21) Cf. Ioannes Paulus II, Epist. Apost. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 33 : AAS 87 (1995) 25-26.

(22) Cf. S. Cyprianus, Epist. 69, 8: PL 4, 419.

(23) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 11.

(24) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 23.

(25) Cf. Ibidem, 28 ; Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 7.

(26) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 95-98.

(27) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Christifideles laici (30.XII.1988), 29: AAS 81 (1989) 443-445.

(28) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992), 7: AAS 84 (1992) 666-668.

(29) Paulus VI, Adhort. Ap. postsynod. Evangelii nuntiandi (8.XII.1975), 80: AAS 68 (1976) 73.

(30) Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 37.

(31) S. Irenaeus, Adv. Haer. IV, 20, 7: SCh 100/2, p. 648, lin. 180-181.

(32) Cf. Synodi Episcoporum II Coetus Generalis Extraordinarius 1985, Relat. finalis Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi (7.XII.1985), II, A. 1.

(33) Cf. Secretariatus ad Christianorum unitatem fovendam - Secretariatus pro non Christianis - Secretariatus pro non credentibus - Pontificium Consilium pro Cultura, Rapp. provv. Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi (7.V.1986).

(34) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 9.

(35) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 1.

(36) Cf. Ioannes Paulus II, Litt. encycl. Centesimus annus (1.V.1991), 38: AAS 83 (1991) 841.

(37) Cf. Ioannes Paulus II, Discorso all'ONU, n. 2-10: "L'Osservatore Romano" 6.X.1995, p. 6.

(38) Ioannes Paulus II, Litt. encycl. Centesimus annus (1.V.1991), 57: AAS 83 (1991) 862 .

(39) Ioannes Paulus II, Epist. Apost. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 37 : AAS 87 (1995) 29.

(40) Cf. Syn. Extr. Episc. 1985, Relat. finalis Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, III.C.1.

(41) Cf. S. Cyprianus, De orat. Dom. 23 : PL 4, 553 ; Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 4.

(42) Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 1.

(43) Ioannes Paulus II, Discorso alla Conferenza Episcopale Colombiana (2.VII.1986), 2 : Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/2, p. 58.

(44) Tertullianus, Praescr. Haeret. 32 :PL 2, 53; cf. Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 20.

(45) Ioannes Paulus II, Discorso ai vescovi del Brasile regione Nord: "L'Osservatore Romano" 29.X.1995, p. 7.

(46) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 27.

(47) Cf. Ibidem, 10.

(48) Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago,14.

(49) Cf. S. Augustinus, In Io. tr. 123, 5 : PL 35, 1967.

(50) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago n. 107-117.

(51) Cf. Conc. Oecum. Vat. II, Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 28; Decret. de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis, 8 ; Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992) n. 17 : AAS 84 (1992) 683.

(52) Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992), 16 : AAS 84 (1992) 682.

(53) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 28.

(54) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 28.

(55) Idem.

(56) Cf. Ibidem, 29. 41.

(57) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992), 65 : AAS 84 (1992) 771.

(58) Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Vita consecrata (25.III.1996), 3: AAS 88 (1996) 379.

(59) Cf. ibidem, 29: AAS 88 (1996) 402; Conc. Oecum. Vat. II, , Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 44.

(60) Sacra Congregatio pro religiosis et institutis Saecularibus et sacra Congregatio pro Episcopis, Notae directivae Mutuae relationes (14.V.1978), 9c : AAS 70 (1978) 479.

(61) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 23.

(62) Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Vita consecrata (25.III.1996), 84.88: AAS 88 (1996) 461. 464.

(63) Cf. ibidem, 48: AAS 88 (1996) 421-422; Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 207.

(64) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, cap. IV ; Decretum de apostol. laicor. Apostolicam actuositatem ; Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Christifideles laici (30.XII.1988); Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 153-161.208

(65) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 39.

(66) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Christifideles laici (30.XII.1988), 30: AAS 81 (1989) 446-448.

(67) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 23; CIC can. 381§1.

(68) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 22; NEP 1-2 ; CIC can. 336.

(69) Cf. S. Cyprianus, De cath. eccl. unit. 5: PL 4, 516; cf. Conc. Oecum. Vat. I., Const. dogm. I Pastor aeternus de Ecclesia Christi, Prologus: DS 3051; Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 18.

(70) Cf. Paulus VI, Allocutio tertia Concilii periodo ineunte (14.IX.1964): AAS 56 (1964), 813.

(71) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Litterae Communionis notio (28.V.1992), 9. 11-14.

(72) Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 6; cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 23; Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 3. 5.

(73) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. de sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, 26.

(74) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 6.

(75) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 36 ; CIC 439-446 ; Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 213.

(76) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 38 ; CIC can. 447 ; Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 210-212.

(77) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 53.

(78) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 5 ; CIC can. 403-411.

(79) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 19.

(80) Cf. ibidem, 23.

(81) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 21.

(82) Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, concl.

(83) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 27.

(84) Cf. ibidem, 25. Cf. Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 12-14; Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 55-65.

(85) Cf. CIC can. 386.

(86) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 22.

(87) Cf. CIC can. 386 §2.

(88) Cf. Ioannes Paulus II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti d'America in visita "ad Limina" (22.X.1983), 4.-5 : AAS 76 (1984) 380.

(89) Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago,59-60.

(90) Cf. Congregatio de Doctrina Fidei, Instructio Donum veritatis de ecclesiali theologi vocatione (24.V.1990), 21 : AAS 82 (1990) 1559.

(91) Cf. Ioannes Paulus II, Const. apost. Fidei depositum (11.X.1992), 4 : AAS 86 (1994) 113-118.

(92) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 33.

(93) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis, 5.

(94) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 26.

(95) Ioannes Paulus II, Catechesi del mercoledì 11 novembre 1992, 1. "L'Osservatore Romano" 12.XI.1992, p. 4.

(96) Cf. S.Th. III, q. 65, a. 2 ; II-II, q. 185, a. 1.

(97) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 26

(98) Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 15; cf. CIC can. 387.

(99) Cf. S. Ignatius Antioch. Ad Magn. 7 : Funk F., Opera Patrum apostolicorum, vol. I, Tubingae 1897, p. 194-196; Conc. Oecum. Vat. II, Const. de sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, 41 ; Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 26 ; Decretum de oecumenismo Unitatis redintegratio, 15.

(100) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. de sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, 106.

(101) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 11.

(102) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. de sacra Liturgica Sacrosanctum concilium, 21.

(103) Cf. Paulus VI, Adhort. Ap. postynod. Evangelii nuntiandi (8.XII.1975), 48 : AAS 58 (1976) 37-38.

(104) Cf. Ioannes Paulus II, Discorso ai vescovi della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana in visita "ad Limina" (24.IV.1986), 3 - 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX / 1 (1986) p. 1123 ss.

(105) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 4.

(106) Ioannes Paulus II, Litt. encycl. Dominum et vivificantem (18.V.1986), 66 : AAS 78 (1986) 897.

(107) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium,27 ; cf. Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 16.

(108) Ioannes Paulus II, Catechesi del mercoledì 18 novembre 1992, 2.4. "L'Osservatore Romano" 19.XI.1992, p. 4.

(109) Cf. CIC can. 383 §1 ; 384.

(110) Cf. Ioannes Paulus II, Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile della Regione Nord in visita "ad Limina" (28.X.1995), 5: "L'Osservatore Romano" (4.XI.1995), p.4.

(111) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 93-98.

(112) Cf. Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992), 23 : AAS 84 (1992) 694.

(113) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis, 17.

(114) Cf. CIC can. 396 §1 ; cf. can. 398.

(115) Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 166 ; cf. ibidem 166-170.

(116) Cf. CIC can. 460-468. Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 163-165.

(117) Cf. CIC can 212 §2 e 3.

(118) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 1.

(119) Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris missio (7.XII.1990), 31 : AAS 83 (1991) 276.

(120) Ibidem, 20 : AAS 83 (1991) 267.

(121) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decretum de activ. mission. Ecclesiae Ad gentes, 38.

(122) Conc. Oecum. Vat. II., Decretum de activ. mission. Ecclesiae Ad gentes, 38; cf. Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris missio, 63 (7.XII.1990): AAS 83 (1991), 311.

(123) Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris missio, 11 : AAS 83 (1991) 259.

(124) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Decretum de activ. mission. Ecclesiae Ad gentes, 9.

(125) Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris missio, 55 : AAS 83 (1991) 302; cf. Epist. Apost. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 53 : AAS 87 (1995) 37.

(126) S. Iustinus, Dialogus cum Tryphone 11: PG 6, 499.

(127) Conc. Oecum. Vat. II., Declar. de libert. religiosa Dignitatis humanae, 1.

(128) Cf. Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris missio, 5 : AAS 83 (1991) 254.

(129) Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 40.

(130) Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 76.

(131) Cf. ibidem, 72. 76.

(132) Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Centesimus annus (1.V.1991), 47: AAS 83 (1991) 852.

(133) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. past. de Ecclesia in mundo huius temporis Gaudium et spes, 63.

(134) Catechismus Catholicae Ecclesiae, 1818.

(135) Cf. Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio de libertate christiana et liberatione, (22.III.1986) 62 : AAS 79 (1987) 580-581.

(136) Cf. ibidem, 60 : AAS 79 (1987) 579.

(137) Cf. Ioannes Paulus II, Discorso nella Giornata mondiale di preghiera per la pace in Assisi (27.X.1986), 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX / 2, p. 1263..

(138) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago (22.II.1973), 21.

(139) Syn. Extr. Episc. 1985, Relat. finalis Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, II, A, 4.

(140) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Presbyterorum ordinis, cap. III ; Ioannes Paulus II, Adhort. Ap. postsynod. Pastores dabo vobis (25.III.1992)cap. III.

(141) S. Petrus Damianus, Opusc. XI (Liber qui appellatur Dominus vobiscum) 5 : PL 145, 235 ; cf. S. Augustinus, In Jo. tr. 32, 8 : 35, 1645.

(142) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, pars I, cap.IV (n. 21-31).

(143) Cf. ibidem, 25.

(144) Ioannes Paulus II, Discorso ai Vescovi dell'Austria in occasione della visita "ad Limina" (6.VII.1982), 2: AAS 74 (1982) 1123.

(145) Cf. S. Augustinus, Serm. 179, 1 : PL 38, 966.

(146) Cf. S. Thoma Aq., S. Th. II-II, q. 17, a. 2.

(147) Conc. Oecum. Vat. II., Decret. de past. Episc. mun. in Ecclesia Christus Dominus, 15.

(148) Cf. Conc. Oecum. Vat. II., Const. de sacra Liturgica Sacrosanctum concilium, 8.

(149) Cf. S. Thoma Aq., S. Th. III, q. 60, a. 3.

(150) Catechismus Catholicae Ecclesiae, 1313.

(151) Cf. S. Augustinus, En. In Ps. 50, 5 : PL 36, 588.

(152) Cf. Sacra Congregatio pro Episcopis, Directorium Ecclesiae imago, 89.

(153) Cf. S. Basilius, Homilia de gratiarum actione, 7: PG 31, 236.

(154) Paulus VI, Adhort. Ap. Gaudete in Domino (9.V.1975), p. I: AAS 67 (1975) 293.

(155) Conc. Oecum. Vat. II., Const. dogm. de Ecclesia Lumen gentium, 68.

(156) Cf. Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. Redemptoris Mater (25.III.1987), 45 : AAS 79 (1987) 423.

(157) Ioannes Paulus II, Angelus del 19 novembre 1995, 3, "L'Osservatore Romano" 20-21.XI.1995, pp. 1.5.

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