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SINODO DEI VESCOVI

SECONDA ASSEMBLEA SPECIALE PER L'EUROPA


Gesù Cristo

vivente nella sua Chiesa

sorgente di speranza per l'Europa

I n s t r u m e n t u m l a b o r i s

Città del Vaticano

1999


© Copyright 1999 - Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi e Libreria Editrice Vaticana.

Questo testo può essere riprodotto dalle Conferenze episcopali, o con la loro autorizzazione, a condizione che il contenuto non fosse modificato e che due copie della pubblicazione siano mandate alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 00120 Città del Vaticano.


PREFAZIONE

La Seconda Assemblea Speciale per l'Europa, che si celebrerà nel periodo 1-23 ottobre 1999 alla chiusura del Secondo Millennio, è l'ultima della serie delle assemblee continentali, posta a conclusione del periodo di preparazione segnato da alcuni significativi momenti, come la consultazione per il tema seguita dall'approvazione della sua enunciazione da parte del Santo Padre e la pubblicazione dei Lineamenta (16 marzo 1998) con il Questionario, inviati a tutte le parti interessate e principalmente alle varie conferenze episcopali d'Europa. La pubblicazione del presente documento di lavoro, Instrumentum laboris, che elabora le risposte al documento iniziale, costituisce la fase finale nel processo preparatorio del sinodo.

L'annuncio della celebrazione della Seconda Assemblea Speciale per l'Europa ha provocato, sotto ogni punto di vista, un grande interesse nelle Chiese particolari del continente come nella Chiesa universale. Lo si può notare nelle varie risposte e osservazioni ai Lineamenta pervenute alla Segreteria Generale. Molte Chiese particolari hanno profittato pienamente del periodo preparatorio e dei Lineamenta per riservare tempo e preghiera ad una riflessione comune sui vari aspetti del tema sinodale, garantendo così il ricco contenuto dell'Instrumentum laboris.

Durante la quinta riunione del Consiglio Presinodale, svoltasi a Roma dal 16 al 18 marzo 1999, il Consiglio Presinodale, in possesso di tutto il materiale inviato alla Segreteria Generale nella fase preparatoria, propose, con la collaborazione di esperti europei, una bozza finale del documento di lavoro. In questa riunione, i membri hanno studiato il testo provvisorio iniziale, composto sulla base delle risposte e strutturato secondo i principali argomenti suggeriti dalle domande dei Lineamenta. Infine, le osservazioni dei membri del Consiglio Presinodale in quella riunione furono incorporate nelle varie parti del testo finale, che è stato sottoposto al Santo Padre per l'approvazione.

Affinché nella elaborazione del testo si riflettessero i contenuti delle risposte e delle osservazioni, furono considerati tre aspetti, raccolti tutti in qualche modo nella stesura definitiva: 1) pareri unanimi 2) aspetti controversi e 3) possibili sviste nelle risposte. Inoltre conviene ricordare che il documento contiene non solo i punti suddetti, ma anche quegli argomenti che, stando alle risposte, dovrebbero ricevere ulteriore trattazione e sviluppo. In questi casi, sebbene non si possa dare ad essi maggiore attenzione nel testo presente, se ne fa menzione perché possano entrare nel dibattito sinodale.

L'Instrumentum laboris, pubblicato in quattro lingue (francese, inglese, italiano, tedesco) è composto seguendo lo sviluppo logico delle idee sul tema sinodale: «Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa».

Secondo questo piano, il documento di lavoro si compone di una introduzione e tre parti principali i cui titoli sono tratti dagli elementi presenti nella formula del tema. Queste tre sezioni sono ulteriormente ripartite in tre suddivisioni che trattano le materie proprie. Il documento termina con una breve conclusione.

L'Introduzione si apre con la descrizione del contesto presente nel quale il Sinodo si svolge e lo paragona a quello in cui ebbe luogo la prima assemblea.

Nella prima parte — L'Europa verso il terzo millennio — si offre un abbondante materiale per il necessario discernimento dei «segni dei tempi», sia mettendo in risalto i cambiamenti intervenuti in Europa nell'ultimo decennio, con le opportunità e i motivi di speranza, ma anche le delusioni, i rischi e le preoccupazioni che accompagnano questi mutamenti, sia soffermandosi su alcune questioni particolari che emergono nell'attuale vicenda del continente europeo. Interrogandosi, poi, sulle radici culturali che stanno alla base delle novità e dei fenomeni descritti e analizzati, si conclude mostrando come siano centrali e determinanti la questione antropologica e, ancor più, la «questione della fede».

La seconda parte — Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa—descrive gli elementi essenziali che permettono e sostengono l'autenticità e la vitalità della fede. È la parte più fondativa, che intende mettere in risalto come sia possibile ridare e ritrovare la speranza solo se ci si basa sulla fede nel Risorto, se si riconosce il bisogno di Gesù che è presente in ogni uomo e donna, se si crede che lui è l'unico Salvatore e se, guardando alla Chiesa nella sua realtà profonda di «mistero» e di «comunione», si nutre la certezza che Gesù Cristo e la Chiesa sono un tutt'uno.

Nella terza parte — Gesù Cristo speranza per l'Europa—, dopo aver notato come è l'incontro stesso con Cristo a generare la missione della Chiesa e dei discepoli, vengono suggerite alcune condizioni preliminari che possono permettere alla Chiesa di ridare speranza all'Europa di oggi e, per ciascuna di esse, si sollecita una verifica sincera e coraggiosa. Si dice, in questo modo, la necessità che la Chiesa sappia riconoscere e accogliere la presenza e l'azione di Cristo e del suo Spirito, sia trasparenza reale di Cristo perché continuamente modellata sul suo volto, sia un vero luogo di comunione. Seguendo poi la triplice articolazione della missione della Chiesa — martyria,, leitourgia, diakonia — si mettono in risalto, perché siano discussi ed eventualmente rilanciati, i modi con cui la Chiesa può annunciare, celebrare e servire il «Vangelo della speranza» nell'Europa di oggi. In questo quadro, in ordine all'annuncio e alla testimonianza, si affrontano le tematiche della nuova evangelizzazione, dell'ecumenismo, del dialogo con l'ebraismo e con le altre religioni, delle sette. Parlando della celebrazione, si propone una verifica della coscienza della presenza del Signore nella liturgia e della concreta prassi liturgica oggi. Infine, in ordine al servizio, si pone l'accento sulla testimonianza della carità, sull'impegno per essere artefici di comunione e di solidarietà, su alcuni ambiti pastorali che sembrerebbero richiedere un particolare investimento nel contesto attuale, sulla responsabilità e l'azione per l'edificazione di una nuova Europa.

Dopo aver fatto memoria dei martiri europei di questo secolo e sull'importanza di questa memoria in ordine al fiorire di nuova speranza in Europa, il testo conclude mettendo in risalto il rapporto che intercorre tra il Sinodo e il Giubileo del Duemila.

Per aiutare lo svolgimento del Sinodo e, prima ancora, per offrire qualche contributo alla preparazione più immediata di quanti vi parteciperanno, il presente Instrumentum laboris intende individuare i punti nodali che interpellano oggi le Chiese in Europa. In questo modo, si propone di dare gli orientamenti ritenuti più opportuni per l'opera di discernimento che attende i Pastori nella loro responsabilità e nel loro carisma di vegliare sul tempo che scorre, per scrutarne i segni, cogliere ciò che lo Spirito dice alle Chiese e individuare i passi da fare nel cammino futuro. Sarà, così, anche di stimolo per un salutare «esame di coscienza». Ma, soprattutto, vuole suggerire, perché siano discusse e verificate, alcune linee essenziali per poter ridare speranza all'Europa di oggi. Esse vengono individuate sia nella riscoperta e nella riaffermazione della fede in Gesù, vivente nella sua Chiesa, come colui che solo può dare uno speranza solida a ogni uomo e donna e a ogni popolo e nazione, sia nella precisazione delle condizioni e delle modalità che permettono alla Chiesa di svolgere la sua missione annunciando, celebrando e servendo il «Vangelo della speranza».

Le informazioni contenute nell'Instrumentum laboris, provenienti dalle risposte inviate alla Segreteria Generale, ritornano ora ai vescovi d'Europa che parteciperanno all'assemblea speciale, per la loro preparazione immediata, che comprende la scelta di punti particolari per il loro intervento durante il sinodo. Il Santo Padre ha permesso la pubblicazione del documento, perché tutti i vescovi d'Europa vogliano usarlo per una ulteriore animazione delle loro Chiese particolari e la partecipazione di tutti i fedeli nel processo sinodale.

Per sua intima natura l'Instrumentum laboris è un documento di preparazione. Non deve essere considerato come un'anticipazione delle conclusioni dell'assemblea sinodale, anche se, per certi aspetti, il consenso risultante dalle risposte si rifletterà senza dubbio sui risultati del sinodo.

Ho viva speranza che la Madonna, presente con i discepoli nel cenacolo, guiderà la fase finale della preparazione e sarà vicina ai partecipanti durante i lavori sinodali, affinché questa assemblea possa portare molti a Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l'Europa, e guidare ad un vivo dinamismo nell'opera di evangelizzazione del continente europeo, mentre la Chiesa si avvicina alla soglia del terzo millennio

Jan P. Card. SCHOTTE, c.i.c.m.

Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi


INTRODUZIONE

Due Sinodi per l'Europa

1. Quando, nel 1991, si celebrò la prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, il nostro Continente si trovava in una situazione di unità ritrovata. Da poco, era iniziato un momento di grande liberazione — quasi un'uscita dalle catacombe e una sorta di «passaggio del Mar Rosso» — per tanti popoli europei.

Grande era la speranza. Come sottolineava Giovanni Paolo II, «un comune sentimento sembra dominare oggi la grande famiglia umana. Tutti si chiedono quale avvenire costruire nella pace e nella solidarietà. [...] Alcuni muri sono crollati. Alcune frontiere si sono aperte. [...] Un messianismo terreno è crollato e sorge nel mondo la sete di una nuova giustizia. È nata una grande speranza di libertà, di responsabilità, di solidarietà, di spiritualità. Tutti chiedono una nuova civiltà pienamente umana, in quest'ora privilegiata che stiamo vivendo. Quest'immensa speranza dell'umanità non deve essere disattesa».(1) Il momento era «propizio per raccogliere le pietre dei muri abbattuti e costruire insieme la casa comune».(2)

E, nello stesso tempo, diventava necessario e urgente interrogarsi sul senso della libertà ritrovata: la questione fondamentale quindi — come si vede anche dal tema del Sinodo «Ut testes simus Christi qui nos liberavit» — riguardava la vera concezione della libertà che la Chiesa, con tutte le Chiese cristiane, è chiamata a testimoniare, ad annunciare, a edificare, nella lucida consapevolezza che tale libertà non può essere se non quella che Cristo ci ha conquistato e che, di conseguenza, la risposta propria della Chiesa deve essere quella di una «nuova evangelizzazione».

Nato dalla consapevolezza che l'Europa si trovava in un momento storico particolare, apportatore di grazia e di novità e, insieme, di appelli da parte di Dio, il Sinodo, in quel contesto, si è rivelato come un momento singolare e privilegiato di incontro tra vescovi e di esperienza di cattolicità della Chiesa, per riflettere più attentamente sulla portata storica dell'ora che stava caratterizzando l'Europa e la Chiesa, così da scrutare i segni dei tempi e trarne le indicazioni opportune circa il cammino da compiere in vista dell'evangelizzazione nel terzo millennio, attraverso un reciproco scambio di doni.

La strada da percorrere emerse con indiscutibile lucidità: si trattava di «offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell'Europa il messaggio liberante del Vangelo».(3) Non c'era, appunto, altro compito da svolgere da parte della Chiesa che quello della «nuova evangelizzazione». Solo Gesù Cristo, infatti, è il vero liberatore dell'uomo; solo lui può imprimere la giusta direzione a quella situazione di libertà in cui si trovava l'Europa.

2. Oggi, invece, a otto anni di distanza, l'Europa si trova in una situazione che si potrebbe dire di unità minacciata. «Non sarà — dice il Papa — che dopo la caduta di un muro, quello visibile, se ne sia scoperto un altro, quello invisibile, che continua a dividere il nostro continente, il muro che passa attraverso i cuori degli uomini? È un muro fatto di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per gli uomini di diversa origine, di diverso colore della pelle, di diverse convinzioni religiose; è il muro dell'egoismo politico ed economico, dell'affievolimento della sensibilità riguardo al valore della vita umana e alla dignità di ogni uomo. Perfino gli indubbi successi dell'ultimo periodo nel campo economico, politico e sociale non nascondono l'esistenza di tale muro. La sua ombra si estende su tutta l'Europa. Il traguardo di un'autentica unità del continente europeo è ancora lontano».(4)

Da parte di molti si era creduto che gli avvenimenti straordinari del 1989 avrebbero cambiato radicalmente la storia e l'Europa non avrebbe più conosciuto quei drammi e quelle divisioni che, invece, in questi anni hanno ancora attraversato il suo territorio e le sue popolazioni. Ormai alla vigilia del terzo millennio, il nostro Continente, pur nel pieno possesso di immensi segni di fede e testimonianza e nel quadro di una convivenza indubbiamente più libera e più unita, sente tutto il logoramento che la storia antica e recente ha prodotto nelle fibre più profonde dei suoi popoli, generando spesso delusione. Grande è, quindi, il rischio che venga meno la speranza. L'interrogativo di oggi riguarda

la possibilità di ritrovare la speranza smarrita, non in modo superficiale e passeggero, bensì in modo profondo, solido e duraturo.

La sfida, ancora una volta, sta nel ritorno al Vangelo. Nella convinzione che «non ci sarà l'unità dell'Europa fino a quando essa non si fonderà nell'unità dello spirito. Questo fondamento profondissimo dell'unità fu portato all'Europa e fu consolidato lungo i secoli dal cristianesimo con il suo vangelo, con la sua comprensione dell'uomo e con il suo contributo allo sviluppo della storia dei popoli e delle nazioni».(5) Se questo è l'insegnamento del passato, anche per l'oggi la certezza è che «il muro, che si erge oggi nei cuori, il muro che divide l'Europa, non sarà abbattuto senza il ritorno al Vangelo».(6)

3. Si situa in questo contesto la seconda Assemblea speciale per l'Europa del Snodo dei Vescovi. Annunciata da Giovanni Paolo II a Berlino, essa rientra nella serie dei Sinodi a carattere continentale celebrati in questi anni in preparazione al grande Giubileo del Duemila.(7) Suoi scopi fondamentali — da raggiungere riprendendo e sviluppando quanto emerso nel Sinodo precedente, verificando quanto si è fatto in questi anni, realizzando una attenta opera di discernimento e continuando l'impegno prezioso per un reciproco scambio di doni — sono di analizzare la situazione della Chiesa in Europa in vista del Giubileo, offrire contributi e indicazioni perché le grandi forze spirituali del Continente possano dispiegarsi in tutte le direzioni, favorire e promuovere un nuovo annuncio del Vangelo, così da creare i presupposti per un'autentica rinascita religiosa, sociale ed economica.(8)

Il Sinodo vorrà, soprattutto, confessare che «Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa è sorgente di speranza per l'Europa». Esso vorrà proclamare questa «speranza contro ogni speranza». Lo vorrà fare attraverso una attenta e sapienziale lettura del tempo presente, per scoprire in esso i «segni» e i «semi» di speranza che, comunque, non mancano. Lo vorrà fare, soprattutto, rinnovando la speranza propria di una Chiesa che crede.

Essa è autentica «speranza teologale». Non consiste nell'ottimismo di chi prevede di farcela e di riuscire a realizzare ciò che si era proposto. Non è neppure la semplice confidenza nella bontà della causa europea, una bontà che pure esercita la sua capacità di influsso positivo e stimolante. È una speranza che sa fare i conti anche con il rischio dell'insuccesso e con le fatiche. Ma, più radicalmente, è una speranza fondata in Dio: è autentica virtù teologale, che riconosce la «supremazia» e la presenza amorevole e vittoriosa di Cristo; è la speranza di Abramo e di Paolo che non vengono meno di fronte alle città in degrado. È la speranza di chi, appunto, «spera contro ogni speranza», nella certezza che Dio è fedele e non viene meno alle sue promesse e, in Gesù e con la forza dello Spirito, non abbandona l'uomo, la società e il mondo, ma si fa compagno di viaggio, luce nel cammino, forza e sostegno nell'impegno.

4. Soggiacente a tutto il testo è il riferimento costante all'episodio dei due discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35), preso come «icona interpretativa» dell'odierna esperienza europea. Come quei due discepoli, infatti, molte persone in Europa, in contrasto con lo spirito euforico che caratterizzava gli anni della celebrazione della prima Assemblea speciale del Sinodo, ora sembrano avere i cuori affaticati e uno spirito abbattuto, poiché vedono le loro aspettative non realizzate e guardano al futuro con incertezza e poca speranza. Per queste persone, oggi come per i discepoli la sera di Pasqua, solo l'incontro con il Risorto vivente nella sua Chiesa può far «ardere il cuore nel petto» e permettere di «ripartire senza indugio» per tornare là dove si svolgono le diverse vicende della storia europea, per contribuire a trasformare l'intero Continente in una convivenza a misura di uomo, senza esclusioni e barriere, ma nell'accoglienza, nella solidarietà e nella pace.

Questo è il servizio che i cristiani e le Chiese possono rendere alla costruzione di una nuova Europa dello spirito, capace di guardare al di là dei propri confini e dei propri interessi, per offrire al mondo intero un nuovo contributo di civiltà, di saggezza e di pace.


Parte prima

L'Europa verso il terzo millennio

Per un discernimento dei «segni dei tempi»

5. I due discepoli «erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto» (Lc 24, 13-14). Totalmente immersi nelle vicende della storia, essi non rimangono indifferenti, ma guardano a ciò che capita attorno a loro e si lasciano interpellare da questi avvenimenti: essi, infatti, «discorrevano e discutevano insieme» (v. 15). Ma, nello stesso tempo, il loro cammino è segnato dalla tristezza — «si fermarono col volto triste» (v. 17) — e dalla perdita della speranza — «noi speravamo che fosse lui a liberare Israele» (v. 21) — ; ancora più radicalmente è segnato dallo smarrimento della fede: «Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» (vv. 15-16). Così commenta sant'Agostino: «Dicono noi speravamo che egli fosse redentore d'Israele. O discepoli, l'avevate sperato: Vuol dire che adesso non lo sperate più. Ecco, Cristo vive, ma in voi la speranza è morta. Sì, Cristo è veramente vivo; ma questo Cristo vivo trova morti i cuori dei discepoli... Avevano perso la fede e la speranza: pur camminando con uno che viveva, loro erano morti. Camminavano morti in compagnia della stessa Vita. Con loro camminava la Vita, ma nei loro cuori la vita non si era ancora rinnovata».(9)

I due discepoli sono così il simbolo di tanti uomini e donne del nostro tempo e della nostra Europa — un'Europa che, per altro, era stata segnata dalla speranza nel Signore e che il Signore non ha abbandonato — che appaiono smarriti, confusi, incerti, minacciati nella speranza e di non pochi cristiani che, oltre a condividere questi stati d'animo, sembrano aver perso la fede o si limitano a mantenere alcune pratiche o a vivere superficialmente qualche forma di religiosità.

Discernere i segni dei tempi

6. Ma, innanzitutto, i Vescovi riuniti in Sinodo, con tutte le loro Chiese, fedeli alla loro missione profetica, sentono il bisogno di «interrogarsi» per scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo.(10) Si tratta di «parlare di ciò che accade in Europa», ma di farlo — diversamente dai discepoli di Emmaus — lasciandosi interrogare e illuminare dalla presenza e dalla parola del Signore che sanno essersi accompagnato al cammino loro, delle loro Chiese e dell'intera Europa.

Già così era avvenuto in occasione della prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, convocata da Giovanni Paolo II per riflettere attentamente sulla portata dell'ora storica che, con gli avvenimenti del 1989, si era aperta per l'Europa e per la Chiesa e così scrutare i segni dei tempi e trarne le indicazioni circa il cammino da compiere, (11) cercando di capire sia ciò che lo Spirito di Cristo aveva da dire alla Chiesa mediante le esperienze del passato sia la via che Egli le stava mostrando per il futuro.(12)

Il compito del discernimento, tuttavia, non si è concluso con la celebrazione di quel Sinodo, anche perché si tratta di un compito che interpella in modo permanente i Pastori nella vita della Chiesa e che si pone con rinnovata urgenza di fronte al mutare e alla novità degli scenari che vanno presentandosi nella storia. Come ricorda Giovanni Paolo II, è, quindi, nuovamente «necessario che i cristiani sappiano cogliere le opportunità offerte dal kairòs del momento presente e mostrarsi all'altezza delle sfide pastorali emergenti dalla concreta situazione storica».(13)

Il Sinodo, quindi, si sente impegnato a rivolgere un'attenzione puntuale e costante alle concrete vicende storiche che hanno caratterizzato l'Europa negli ultimi anni e alle linee di tendenza che la stanno caratterizzando nel presente: è un'attenzione che si fa discernimento e giudizio critico, capace di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia quelli problematici o negativi e di indicare le vie da percorrere, affinché lo stesso continente europeo non abbia a tradire la sua identità o a venir meno alle responsabilità e si possa così ritrovare la speranza. Si tratta, perciò, di guardare all'Europa — come ci testimonia e ci insegna Giovanni Paolo II — con amore e simpatia: atteggiamenti propri di chi riconosce, apprezza e valorizza ogni elemento positivo e di progresso che incontra, ma insieme non chiude gli occhi su quanto v'è di incoerente con il Vangelo e lo denuncia con forza, mentre non si stanca di suggerire e indicare mete ulteriori da raggiungere.

Le «res novae» nell'Europa dell'ultimo decennio

7. Anche se sono ormai passati dieci anni dal 1989 e quegli eventi rischiano di essere percepiti da tanti come molto distanti, non è spento l'influsso che essi hanno esercitato nella vita dell'Europa e, in essa, delle Chiese.

Non c'è dubbio che, a seguito di quegli avvenimenti, si siano verificati significativi cambiamenti nella vita delle Chiese.

Come già si sottolineava nel Sinodo di otto anni fa, la Chiesa, all'Est come all'Ovest, «manifesta una nuova vitalità, specialmente nel rinnovamento biblico e liturgico, nell'attiva partecipazione dei fedeli alla vita parrocchiale, nelle nuove esperienze di vita comunitaria come nella riscoperta della preghiera e della vita contemplativa, e nel moltiplicarsi di generose forme di servizio ai più poveri e agli emarginati».(14) Significativa è pure la presenza di piccole comunità e di nuovi gruppi e movimenti ecclesiali, esperienze tutte che sollecitano e favoriscono la freschezza e la vitalità delle fede e possono ravvivare la comunione ecclesiale ed hanno spesso «recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente»:(15) diverse persone sono state afferrate e trascinate dai carismi suscitati dallo Spirito verso «nuovi cammini di impegno missionario al servizio radicale del Vangelo, proclamando senza pausa le verità della fede, accogliendo come dono il flusso vivo della tradizione e suscitando in ciascuno l'ardente desiderio della santità».(16)

In particolare, nei paesi dell'ex cortina di ferro il soffio della libertà e la proclamazione dei diritti umani ha consentito una ritrovata libertà d'azione alle Chiese che hanno vissuto «in cattività» per decenni. Nonostante le fatiche e le difficoltà che la ricostruzione di un mondo lacerato dalla dittatura e da un erroneo sistema di vita comporta anzitutto in ordine alla crescita interiore, significativa si è dimostrata la testimonianza di queste Chiese e pieni di promesse sono apparsi i progetti da esse elaborati per rispondere al grande bisogno di «recuperare», a tutti i livelli, il proprio patrimonio religioso e culturale lungamente oppresso ed emarginato e di arricchirlo con la recezione del magistero conciliare e postconciliare.

Nello stesso tempo, fenomeni negativi caratterizzanti soprattutto l'Europa occidentale — come il materialismo pratico, il consumismo, l'edonismo, il relativismo culturale e religioso — non hanno mancato di influenzare le popolazioni dell'oriente europeo rendendo più arduo il lavoro delle Chiese locali. Né sono mancate situazioni di sospetto, riscontrabili in alcune Chiese dell'Est nei confronti di quelle occidentali, per il timore di non poter sostenere un confronto e un dialogo «alla pari» e di perdere quell'influsso che era stato guadagnato con sacrifici spesso eroici. A volte non è stato agevole per religiosi e religiose provenienti dall'Europa occidentale e inviati alle Chiese dell'Est comprendere le situazioni locali e impostare rapporti di collaborazione con i vari soggetti ecclesiali operanti sul territorio. Il passaggio da un cristianesimo vissuto in situazione di oppressione a un cristianesimo da vivere in un clima di libertà ha messo a nudo la debolezza di alcune posizioni, con una ricaduta negativa anche a riguardo del flusso vocazionale, soprattutto in paesi prima ricchi di vocazioni.

8. Grandi e significativi sono pure i cambiamenti intervenuti a livello culturale, sociale e politico.

Si deve ricordare, anzitutto, che proprio in quest'ultimo decennio si sta assistendo a un processo che a volte può sembrare di rifondazione degli Stati e dell'intera convivenza e che, in ogni caso, fa parlare di transizione politico-istituzionale tuttora incompiuta e che purtroppo ha conosciuto e ancora conosce anche gravi forme di conflitto cruento. È una transizione che ha a che fare con la ricerca, in molti paesi, delle strade per un corretto esercizio della libertà e della democrazia dopo gli anni del dominio comunista. In altri paesi, tale transizione, con la crisi e il venir meno del blocco comunista, si manifesta nel mutamento dell'assetto politico, con la progressiva frantumazione del mondo cattolico a seguito di scelte partitiche differenti, che hanno richiesto e stanno chiedendo alle Chiese di ricercare nuove modalità di relazione e di presenza. La stessa transizione, poi, è caratterizzata anche dall'apparire di nuovi soggetti, popoli e nazionalità sulla scena continentale e mondiale, con tutto quello che ciò significa in ordine a una corretta interpretazione dei diritti dei popoli e delle nazioni.

La caduta della cortina di ferro, inoltre, ha prodotto, per la prima volta dopo decenni, la possibilità di contatti diretti con i paesi dell'Europa centrale ed orientale. Immediatamente si sono creati flussi migratori dall'Est europeo, ai quali vanno aggiunti quelli dal Sud e da diversi paesi dell'Africa e dell'Asia. Inoltre continua il flusso dei popoli dell'Est verso l'Ovest e del Sud verso il Nord. I poveri e i senza tetto di numerosi paesi dell'ex cortina di ferro, dell'Africa e dell'Asia emigrano nelle città dell'Europa occidentale e in non pochi casi si tratta di ingressi illegali. Questi flussi migratori stanno creando in Europa molteplici problemi sociali e culturali, che chiedono di essere affrontati con attento discernimento e con responsabilità. Si viene creando così, di anno in anno una situazione sempre più pluralistica quanto a condizioni etniche, culturali, religiose e sociali. E tutto ciò costituisce una sfida per le Chiese che cercano, non senza difficoltà, di farvi fronte con rinnovate iniziative di accoglienza, di solidarietà e avviando tentativi di dialogo interreligioso e interculturale.

Non si può neppure tacere il più generale fenomeno della globalizzazione, che sta interessando e coinvolgendo anche i popoli e gli stati europei.

Infine, negli anni più recenti, si è prodotta una accelerazione del processo di unificazione e di integrazione europea tra i paesi membri dell'Unione, fino all'avvio della moneta unica. La partecipazione a questo processo ha permesso, forse per la prima volta, a gran parte dei popoli del continente di misurare concretamente il crescente rilievo delle istituzioni europee nella vita nazionale, superando una visione retorica e distante dell'orizzonte europeo. In questo contesto si sono anche ulteriormente sviluppate forme stabili di relazione, dialogo e consultazione tra le istituzioni europee e la Chiesa cattolica (attraverso la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) e tra le Chiese cattoliche dell'intero continente (mediante il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa), forme che appaiono fondamentali per la partecipazione della Chiesa alla costruzione della nuova Europa.

Non è difficile vedere come, anche oggi, il momento storico che l'Europa sta vivendo mostri come essa si trovi ancora a un crocevia nel quale la costruzione, l'unione e l'evangelizzazione dello stesso continente si presentano come altrettante fondamentali sfide. E, nello stesso tempo, emerge con sufficiente evidenza che l'attuale fase della storia europea — come più volte ha ricordato il Santo Padre — è sì caratterizzata da forti cambiamenti e da non pochi problemi, ma racchiude in sé anche insperate possibilità sia in ordine all'evangelizzazione, sia a riguardo della convivenza e della collaborazione.(17) È, in altri termini, quella attuale una congiuntura gravida di speranza e di preoccupazione, che al Sinodo spetta discernere con responsabilità.

Opportunità e motivi di speranza

9. Non sono pochi i motivi di speranza che si possono rintracciare nell'attuale fase della storia europea, anche se più spesso sembrano emergere motivi di preoccupazione o di delusione, che pure non mancano. Si tratta, innanzitutto, di scoprire questi «semi e segni di speranza» e di saperli valorizzare.

In generale, non si può non notare che le nuove condizioni sociali e politiche rendono accessibile a un crescente numero di cittadini europei una migliore qualità di vita, facilitano la circolazione delle persone e una migliore conoscenza vicendevole tra popoli dell'Est e dell'Ovest, ne incentivano gli scambi culturali, favoriscono una frequente condivisione di esperienze religiose, specialmente a livello giovanile, aiutano la messa in comune di iniziative tendenti a costruire un'Europa come casa comune.

In ambito più propriamente ecclesiale, l'orizzonte appena richiamato offre, indubbiamente, nuove ed ampie possibilità di rapporti di comunione, solidarietà e condivisione tra tutte le Chiese d'Europa e a tutti i livelli di responsabilità, anche se non sempre la comunicazione sembra del tutto equilibrata e il tornare a «respirare a due polmoni», per usare un'espressione cara a Giovanni Paolo II, incontra ancora difficoltà e ritardi.

In qualche Chiesa dell'Est, in particolare, si assiste a significative riprese dell'attività catechistica, liturgica, caritativa e culturale; vanno rendendosi disponibili nuovi spazi per una presenza evangelizzatrice della Chiesa e sembra crescere la possibilità di utilizzare gli strumenti della comunicazione sociale al servizio della missione. In alcuni paesi, le nuove condizioni offrono l'opportunità per una nuova evangelizzazione soprattutto nel campo della formazione cristiana e in quello delle vocazioni sacerdotali e religiose, che spesso in precedenza erano state limitate anche con mezzi amministrativi. Con la ritrovata libertà, gli appartenenti agli istituti religiosi hanno potuto ritornare a vivere in comunità e a condividere progetti pastorali superando, non senza sofferenze e difficoltà, precedenti condizioni. Tra gli esiti positivi c'è stato, in alcune nazioni, un incremento di vocazioni che lascia ben sperare. In alcuni paesi dell'Est, dove la stessa vita liturgica era stata ostacolata, sono in ripresa la frequenza alla Santa Messa e, più in generale, la riscoperta e la pratica della liturgia nelle sue diverse manifestazioni. Non manca neppure una maggiore diffusione, non sempre esente da qualche problema, di movimenti di spiritualità; né si può dimenticare l'esigenza che va emergendo tra i giovani di una spiritualità autentica.

Nelle chiese occidentali, sono sorti centri di ascolto e spazi di confronto in cui si incontrano persone precedentemente schierate su opposte posizioni ideologiche e si sono moltiplicati luoghi di accoglienza per il crescente numero di immigrati. Anche in importanti paesi occidentali si registrano lo sviluppo del catecumenato e il ritorno alla fede di cristiani che avevano abbandonato la pratica religiosa da lungo tempo. Alcune Chiese occidentali, pur avendo vissuto il cambiamento come osservatori esterni, hanno visto crescere la realtà della «communio» con le altre Chiese; hanno conosciuto la vita e la cultura di popoli fino ad allora ritenuti estranei o addirittura nemici. Con la caduta degli steccati, infine, istituzioni ecclesiali accademiche dell'Europa occidentale hanno visto affluire un crescente numero di candidati al sacerdozio, preti, religiosi, religiose e laici provenienti dai paesi ex-comunisti e hanno agevolato l'invio di propri docenti ed esperti alle Chiese dell'Est per prestazioni di docenza e di consulenza.

10. Anche in ambito culturale e sociale non mancano opportunità e segni di speranza che chiedono di essere riconosciuti e valorizzati.

Dietro e dentro il processo di transizione politico-istituzionale in atto, non è difficile scorgere elementi e istanze di tipo etico che non vanno sottovalutate, anche se spesso necessitano di un'opera profonda di purificazione. Sono istanze che rimandano sia a un profondo anelito alla libertà politica e, ancora più radicalmente, alla possibilità di costruire una società pluralista dove i diritti di tutti, comprese le minoranze, siano di fatto tutelati, sia a un desiderio di libertà, anche economica, che pure domanda di essere guardato e assunto come possibile fattore positivo di sviluppo e di responsabilità.

La compresenza di diversi popoli, culture e religioni può rivelarsi come occasione propizia — e quasi obbligata, se non si vuole ricadere in forme di conflitto permanente e di esclusione dei più deboli — per tendere a una unità culturale che, oggi, non può più essere pensata in termini di «sola cristianità», ma in termini di «pluralismo dialogante e collaborativo», nel quale i cristiani hanno un compito al quale non possono abdicare e per realizzare quella «convivialità delle culture» che sa trasformare ogni tentazione di contrapporsi in una gara di mutuo servizio e di accoglienza, in una sintesi a misura di uomo e di cittadini, in una grande realtà dove possano trovare casa tante piccole nazioni e culture.

Anche il fenomeno della globalizzazione, pur con tutte le ambivalenze e i rischi che comporta, racchiude in sé elementi positivi e opportunità: essa può certamente significare aumento dell'efficienza e incremento della produzione e, nello stesso tempo, può rafforzare il processo di interdipendenza e di unità tra i popoli, offrendo un reale servizio all'intera famiglia umana.

Nella costruzione dell'Europa, infine, anche la stessa unione monetaria ha una sua importanza e un suo significato e pone di fronte a una grande opportunità: oltre a esigere un ripensamento del senso e degli ambiti della sovranità dei singoli stati, se realizzata in un'ottica globale di solidarietà, essa può dare maggiore stabilità all'Europa e al suo sviluppo economico, può essere un grande strumento di libertà permettendo e favorendo la moltiplicazione degli scambi, può costituire un salto di qualità nel modo di concepire la convivenza nel nostro Continente. Anche se nella logica dei piccoli passi, essa può portare a progressi concreti, necessari per il raggiungimento dei valori che si rivelano più urgenti e fondanti.

Delusioni, rischi e preoccupazioni

11. La lettura delle trasformazioni avvenute in Europa lungo l'ultimo decennio, tuttavia, non può scivolare verso forme di ingenuo ottimismo. Deve, piuttosto, rivestire le note del realismo, che non si nasconde il carattere di incertezza e di fragilità connesso con questa fase della storia europea. Non mancano, infatti, nuovi rischi di illusione e di delusione, come ammoniva da subito Giovanni Paolo II,(18) e non si può non riconoscere che esistono preoccupazioni e pericoli non indifferenti. Ed è proprio questo insieme di delusioni, preoccupazioni e rischi a delineare il volto di un'Europa che sembra avere smarrito la speranza.

Ad alimentare un clima di delusione sembra concorrere anzitutto la constatazione diffusa che, nonostante gli sforzi fatti e i passi compiuti, la costruzione di una casa comune europea fondata su valori evangelici si è rivelata come una meta molto più difficile da raggiungere di quanto le Chiese auspicavano all'inizio degli anni '90. Lo stesso progetto di un nuovo modo di organizzare le alleanze politiche, economiche e militari, prescindendo da riferimenti ai valori cristiani, ha dimostrato il suo vero volto di sola strategia di potere, ancorché parzialmente rivolta al bene delle popolazioni delle singole nazioni.

Ci si è resi conto, in generale, che il comunismo non è l'unico nemico. Al predominio culturale del marxismo, infatti, si è sostituito il predominio di un pluralismo indifferenziato e tendenzialmente scettico o nichilistico: esso ha radici capillari nel vissuto sociale odierno e produce una antropologia fortemente riduttiva, anzi non di rado la rinuncia ad offrire una qualsiasi prospettiva di senso.

Nei paesi dell'Est, in particolare, si sono dimostrate illusorie alcune attese: non si erano tenuti in seria considerazione gli effetti del comunismo, con il vuoto antropologico ed etico da esso prodotto, e si era caduti ingenuamente nell'illusione che, caduto il comunismo stesso, tutto sarebbe mutato in meglio quasi automaticamente; alcuni pensavano che la democrazia avrebbe portato automaticamente ricchezza e prosperità e che la libertà avrebbe fatto affluire i beni dell'occidente a tutti i consumatori e avrebbe garantito lavoro a tutti facendo crescere l'economia e, invece, la crisi ha gettato nella povertà migliaia di famiglie. A livello politico, contribuiscono ad aumentare la delusione sia il ritorno al potere, in non pochi casi, di persone appartenenti alle forze comuniste precedenti, sia il fatto che, a volte, invece di libertà e pace sono sorti nazionalismi violenti. Non mancano delusioni dovute anche a forme di chiusura e di disinteresse di fronte ai drammi di alcuni paesi del mondo ex-comunista da parte dell'Europa occidentale, rivelatasi anche meno pronta e disponibile a rispettare e a tutelare la diversità e i diritti di singoli popoli e di alcune minoranze, impegnati in un cammino di autodeterminazione

12. Evidenti e da più parte sottolineati sono anche i rischi che attraversano l'Europa di oggi.

A livello sociale, ad esempio, il fenomeno della globalizzazione, a cui si è già fatto cenno, essendo spesso governato solo o prevalentemente da logiche di stampo mercantilistico a beneficio e vantaggio dei potenti, può essere foriero di ulteriori disuguaglianze, ingiustizie, emarginazioni; può concorrere alla crescita della disoccupazione, costituire una minaccia allo «Stato sociale», favorire la tendenza alle disuguaglianze sia tra paesi diversi sia all'interno degli stessi paesi industrializzati, sollevare interrogativi anche circa la nozione di «sviluppo sostenibile», portare a nuove forme di esclusione sociale, di instabilità e di insicurezza, mettere in discussione l'armonico rapporto tra economia, società e politica, ridurre il potere delle autorità nazionali in materia economica, introdurre una sorta di «iper-concorrenza» selvaggia, e così via.

Anche l'introduzione della moneta unica europea può comportare dei rischi sia perché può favorire l'egemonia della finanza e il predominio degli aspetti economico-mercantilistici, sia perché può contribuire a innalzare nuovi muri in Europa, rivolti soprattutto all'Est, per proteggere le economie più forti e difendersi dalle immigrazioni. Non c'è dubbio, infatti, che è tuttora vivo il pericolo di una nuova divisione del Continente in due tronconi: da una parte i paesi con moneta forte, dall'altra quelli con moneta non convertibile; da una parte un sistema economico relativamente stabile, dall'altra un sistema economico precario, con tutto quello che ne deriva anche a livello di convivenza e di sicurezza.

13. A livello culturale, «si diffondono una mentalità e dei comportamenti che privilegiano in modo esclusivo la soddisfazione dei propri desideri immediati e degli interessi economici, con una falsa assolutizzazione della libertà del singolo e con la rinuncia a confrontarsi con una verità e con valori che vadano al di là del proprio orizzonte individuale o di gruppo. Benché il marxismo imposto con la forza sia crollato, l'ateismo pratico e il materialismo sono molto diffusi in tutta l'Europa: senza essere imposto con la forza, e per lo più nemmeno esplicitamente proposti, essi inducono a pensare e a vivere "come se Dio non esistesse"».(19)

A tale proposito, nei paesi occidentali, con la caduta delle ideologie e delle utopie, si registra una crescente indifferenza e sembra dominare una sorta di materialismo pragmatista. E, nello stesso tempo, il consumismo, con la rispettiva secolarizzazione, sembra aver raggiunto ormai anche i confini orientali del continente. C'è addirittura chi nota come, in alcuni paesi dell'Est, la diffusione selvaggia del capitalismo nelle sue forme più rigide si poggi su meccanismi mafiosi, che minacciano complessivamente la vita pubblica. Spesso, poi, di fronte alle opinioni e alla mentalità che vengono dall'occidente, in diversi paesi dell'Est, si assiste sia a posizioni di accettazione spesso acritica sia a un rifiuto altrettanto acritico, con il rischio di gravi contrapposizioni e polarizzazioni interne alle stesse società.

Non manca neppure la tendenza a mettere tutto in discussione, anche all'interno della Chiesa, quasi che anche in essa e sulle stesse questioni etiche e dottrinali debba valere il principio democratico della maggioranza.

In questo quadro complessivo, si avverte sempre più il pericolo che sia la stessa civiltà europea a essere messa a repentaglio, attraverso l'assolutizzazione e l'affermazione unilaterale di alcuni valori e principi validi a scapito di altri. Ad esempio, quando la libertà viene assolutizzata e sganciata dal riferimento ad altri valori come quello della solidarietà, rischia di condurre all'atomizzazione del nostro sistema di vita: una libertà rivendicata come valore assoluto corre il pericolo di distruggere quella società che aveva contribuito a costruire.

14. A livello più propriamente religioso ed ecclesiale continua la situazione già descritta nel precedente Sinodo per l'Europa. Oggi come allora, infatti, «persiste la ricerca dell'esperienza religiosa, sebbene in una molteplicità di forme non sempre coerenti tra loro e che spesso conducono lontano dall'autentica fede cristiana. Soprattutto i giovani cercano la propria felicità in molti simboli, immagini e anche in cose vane, e sono facilmente inclini verso nuove forme di religiosità e sette di diversa origine».(20) C'è chi, a tale riguardo, tra gli elementi di maggiore ambiguità segnala appunto lo stesso risveglio della domanda religiosa, in quanto accompagnato da fenomeni di fuga nello spiritualismo e soprattutto di sincretismo religioso ed esoterico, che porta al pullulare di sette e gruppi accomunati solo da un selvaggio riferimento al sacro. Queste nuove proposte trovano la loro forza non tanto in una sostanziale novità di vita, ma nella omologazione a un sistema di vita autoreferenziale, che maschera l'accentuato individualismo con la ricerca di gruppi protettivi e gratificanti.

Grande è poi il rischio di una progressiva e radicale scristianizzazione e paganizzazione del Continente: in alcuni paesi è ormai molto alto il numero dei non battezzati; spesso gli stessi elementi fondamentali del cristianesimo non sono più conosciuti; ci sono situazioni nelle quali si assiste a un autentico crollo della catechesi e della formazione cristiana. Tutto questo conduce, per altro, a una profonda messa in crisi dell'identità culturale europea, tanto da far ipotizzare — come si esprime qualcuno — una sorta di «apostasia dell'Europa».

Il grande calo numerico delle vocazioni sacerdotali e religiose, a cui si assiste in alcuni paesi, inoltre, porta con sé il rischio dell'affievolirsi o del venir meno di una visione adeguata di Chiesa: irrilevante e non indispensabile sarebbe, in essa, la presenza del ministero ordinato, a cui basterebbe sostituire la presenza di persone per le quali, in una concezione meramente funzionalistica della comunità ecclesiale, necessaria e determinante sarebbe solo la competenza acquisita mediante specifici curricoli formativi.

Non manca, infine, chi sottolinea il pericolo che le iniziative delle chiese dell'Europa occidentale a favore di quelle orientali tendano, inconsapevolmente e di fatto, a «occidentalizzarle» e non piuttosto a porsi in modo evangelico al loro servizio, cercando di valorizzarne le ricchezze culturali e religiose.

15. Tutto questo concorre a suscitare alcune preoccupazioni, registrate nelle diverse Chiese.

Una prima seria preoccupazione è legata al fatto che — a causa dei profondi e radicali cambiamenti intervenuti nella sua pur ricca tradizione culturale e religiosa e senza, per questo, misconoscere quanto la presenza delle diverse Chiese e comunità cristiane hanno fatto e continuano a fare nei singoli territori — l'Europa sta diventando sempre più luogo bisognoso di una rinnovata evangelizzazione e di un nuovo sforzo missionario. In alcuni casi, si tratta di dire il Vangelo di Cristo a chi ancora non lo conosce; in altri, di rifare il tessuto cristiano delle stesse comunità cristiane. Nei paesi dell'Est, dovendo far fronte alle negative conseguenze lasciate dall'ateismo comunista, si rende necessaria una sorta di «prima evangelizzazione» perché molti, pur vivendo in territori attraversarti dall'annuncio e dalla testimonianza anche eroica del Vangelo, vivono non conoscendo di fatto il Signore Gesù. In quelli dell'Ovest, attraversati da rapidi sviluppi e dalle sfide della secolarizzazione, globalizzazione e urbanizzazione, emerge l'urgenza di dare vita a una «evangelizzazione nuova», che sappia produrre una nuova inculturazione del Vangelo. Nell'uno e nell'altro caso — sia dentro le singole Chiese, sia tra le diverse Chiese e comunità cristiane mediante un'intensa e rispettosa collaborazione ecumenica — cresce l'esigenza di unire le forze disponibili e di concentrare gli sforzi su alcune priorità, avvalendosi delle strutture operative ed educative esistenti, rinnovate e nuove, e utilizzando i mezzi della comunicazione sociale per creare una corretta opinione pubblica. Nel fare ciò emerge sempre più anche l'importanza di un rapporto di sempre maggiore dialogo e collaborazione — che, per altro, sta già migliorando — tra i Vescovi e gli Istituti di vita consacrata.

Nella situazione religiosa e morale dell'Europa di oggi, emerge un'altra preoccupazione fondamentale, sulla quale sembrerebbe opportuno che il Sinodo avesse a soffermarsi con attenzione. Essa è presente soprattutto in Occidente e riguarda il fatto che è venuta meno la possibilità di una pastorale basata su uno «stato diffuso di cristianità condivisa», con la conseguente necessità di promuovere il passaggio a una fede più personale e adulta, attraverso una pastorale che tenga conto sia dell'evidente grado di instabilità, incertezza e differenziazione dell'appartenenza ecclesiale di molti battezzati, sia della diminuzione dei sacerdoti. In questa situazione c'è chi avverte il pericolo di continuare a impostare una pastorale che, pur non potendo più avere le caratteristiche di una pastorale tipica di una situazione di cristianità dominante, non è capace psicologicamente di accettare una diminuzione della stima o del riconoscimento sociale e cerca di salvare le strutture e l'influenza della Chiesa a ogni costo, fino anche a forme di compromesso che permettano a più persone di vivere una qualche generica forma di appartenenza ecclesiale, facilmente a scapito di scelte più nette e radicali. Diversa sembra essere, invece, la situazione nelle Chiese dell'Europa orientale, poiché queste ultime, a motivo della difficile storia attraversata negli scorsi decenni, sono più abituate a non essere stimate nella società e, quindi, a favorire una seria concentrazione sui valori importanti della fede.

Non manca chi sottolinea, tra i fattori di preoccupazione, anche il rapporto con i mass media, sia perché si constata che spesso la Chiesa non sa ancora usare bene questi mezzi moderni, sia perché da parte di questi strumenti si offre una immagine spesso peggiorativa della religione e specialmente della Chiesa, quando addirittura non si assiste a forme di aperta ostilità.

Per un discernimento critico di alcune questioni particolari

16. In questo contesto generale, alcuni aspetti particolari meritano una attenzione più puntuale e specifica.

Non si può non notare, anzitutto una crescente divaricazione tra progresso e valori dello spirito, che si manifesta in parte con modalità simili in tutti i paesi d'Europa e in parte con modalità differenti tra l'Europa occidentale e quella orientale.

È un fenomeno questo spesso connesso con fattori di ordine esperienziale, più che con motivazioni di ordine filosofico o ideale. Per moltissime persone, infatti, sono le condizioni di vita oltremodo difficili e complicate a far sì che le preoccupazioni quotidiane prendano il sopravvento e non lascino spazio all'accoglienza di altri valori. La disoccupazione, molteplici situazioni familiari critiche e fallimentari e condizioni sociali segnate da innumerevoli forme di emarginazione e di ingiustizia coinvolgono talmente moltissime persone da generare in esse disinteresse e apatia per i valori dello spirito.

E, d'altra parte, non tutto è sempre così scontato e lineare. Nelle società europee emergono, in maniera non omogenea, manifestazioni ambivalenti. Da una parte, si avverte la tendenza a chiudersi nel proprio piccolo mondo, a difendere la propria «privacy» e il proprio «status» sociale e culturale; dall'altra, si manifesta il desiderio di aprirsi all'altro, soprattutto ai poveri, agli emarginati. Da un lato, la più ampia disponibilità di tempo libero consente di coltivare valori offerti, ad esempio, dagli avvenimenti sportivi, dal turismo, dall'immersione nella natura; d'altro lato, queste positive possibilità si trasformano per un notevole numero di persone in altrettanti piccoli o grandi idoli e in una specie di ossessione collettiva in cui la singola individualità si vede come inghiottita.

All'Ovest, il distacco tra progresso e valori dello spirito si manifesta soprattutto in una certa mentalità caratterizzata dalla ricerca delle soluzioni più comode e pratiche e della soddisfazione immediata, con la conseguenza di perdere il senso del sacrificio e dell'ascesi, di banalizzare la storia e di dare importanza a ciò che è bello, vero, buono solo in quanto è fruibile immediatamente.

Il progresso sociale e culturale, inoltre, ha messo in nuova luce alcuni valori che toccano vari aspetti del vivere umano: le donne sono più consapevoli della propria vocazione e più decise nel difendere l'uguale dignità e le pari opportunità con gli uomini nei vari ambiti dell'esistenza; in numerose famiglie esiste una buona comunicazione tra genitori e figli; nelle giovani generazioni sembra crescere una maggiore comprensione dei valori della famiglia.

Si può forse concludere che, se a prima vista l'abbandono dei valori spirituali sembra andare di pari passo con la crescita del progresso, il solo progresso materiale non soddisfa le aspirazioni più profonde dell'uomo e così sta per crescere, anche se non in modo massiccio e con modalità diverse tra l'Occidente e l'Oriente, la richiesta di valori spirituali, talvolta vaghi e non ben identificati.

17. Il valore della solidarietà sembra spesso in crisi nell'Europa di oggi. Sono, infatti, sotto gli occhi di tutti e un po' in tutto il continente atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi, spesso ispirati e alimentati da sistemi di stampo capitalista e consumista, che dicono chiusura ed egoismo.

Tuttavia, anche se nella società la solidarietà sembra debole, non mancano tendenze e iniziative di segno opposto, promosse da uomini e donne consapevoli dei guasti di tali visioni ideologiche, e miranti a creare una nuova consapevolezza circa l'esigenza di elaborare e attuare progetti di vita, a livello personale, familiare e nazionale, caratterizzati da dignitosa austerità, al fine di destinare i prevedibili ingenti risparmi a popolazioni che vivono sotto i livelli di sussistenza o sono comunque bisognose di aiuto. È così che in molte Chiese, specialmente dell'Europa occidentale, la solidarietà sia verso i poveri del posto sia verso i popoli dell'Est e dell'emisfero Sud assume una rilevanza assai maggiore di quanto si immagini: campagne di solidarietà attuate periodicamente da innumerevoli soggetti ecclesiali e dirette a scopi precisi riscuotono un certo successo; le iniziative di gemellaggio tra comunità cristiane europee e paesi del cosiddetto «terzo mondo» si stanno moltiplicando; né va dimenticato quanto viene fatto da persone consacrate sia attraverso iniziative di solidarietà nelle Chiese e tra le popolazione in cui svolgono il loro specifico servizio evangelico, sia mediante l'opera di formazione delle nuove generazioni ai valori umani e cristiani di una solidarietà concreta e fattiva.

18. Variegate e complesse appaiono le riflessioni sulla libertà religiosa e sulla tolleranza. Se, per un verso, si deve dire chein molte parti del continente di può parlare di vera libertà religiosa e che essa non incontra particolari ostacoli, per altro verso, non si può non sottolineare il persistere o il prodursi di alcune forme di intolleranza.

Pur in un contesto di formale rispetto della libertà religiosa, in alcuni ambienti continua a persistere una sorta di intolleranza quando singoli o gruppi di cattolici cercano di esprimere pubblicamente le loro convinzioni e le loro posizioni: segno questo che, a volte, la Chiesa viene «tollerata» solo se rimane relegata nella sfera privata.

In qualche nazione, una certa intolleranza fondamentalista ha accompagnato, quando non ha rischiato di alimentare, decenni di conflitto; anche se, da qualche tempo e gradatamente, questa intolleranza va perdendo terreno e sta lasciando il posto a uno spirito di vicendevole accettazione delle differenti tradizioni e convinzioni.

Dopo molti anni di ateismo imposto, in alcune Chiese dell'Est emergono talvolta un clima e atteggiamenti di rigidità verso altre confessioni o altri modi di pensare: ne segue che certi gruppi di cattolici vogliono imporre a tutta la società il proprio modo di pensare e di vivere, dimostrando palesi difficoltà nel recepire i valori presenti nel movimento ecumenico, nel dialogo interreligioso e in un corretto sistema democratico.

Anche se oggi sembrano più rari, non sono ancora scomparsi atti di ostilità e di intolleranza nei confronti dei cattolici. Non mancano neppure alcuni segni di antisemitismo in alcune parti dell'Europa. Quanto poi al rapporto con i musulmani, si osserva che, mentre questi ultimi chiedono che si abbia a vivere la tolleranza religiosa nei loro confronti, la stessa tolleranza non viene garantita in certi paesi islamici a quanti si professano cattolici o di altra religione.

Non va neppure dimenticato che, in quasi tutte le società occidentali, il generale clima di tolleranza pone una grande sfida alla Chiesa. In una società nella quale la tolleranza viene vista come un valore essenziale, dominante e irrinunciabile, infatti, c'è chi ritiene che qualsiasi forma di monoteismo — e, quindi, anche il monoteismo cristiano — sia la causa più profonda di ogni intolleranza e che, di conseguenza, se si vuole salvaguardare la necessaria tolleranza, si debba ritornare a una sorta di indistinta convivenza di credenze religiose e, ultimamente, di possibili divinità. Ci si chiede, quindi, come la Chiesa possa continuare ad attuare la sua missione evangelizzatrice senza essere foriera di intolleranza e, più precisamente, come si possa e si debba annunciare il Vangelo, riconoscendo e accettando quanti professano una fede diversa ed evitando, nello stesso tempo, che la «tolleranza» si trasformi in «indifferenza» o in «relativismo».

19. Se si considera, infine, la realtà dello Stato nei confronti delle istituzioni intermedie e della Chiesa stessa, occorre tenere presente che, negli ultimi decenni, in molte nazioni il potere dello Stato è talvolta cresciuto a dismisura, con la conseguente diminuzione o soppressione di istituzioni intermedie: ciò ha reso gli individui e tante piccole istituzioni molto vulnerabili di fronte alle scelte dello Stato. Tale situazione sembra particolarmente attuale nei paesi dell'Europa orientale, dove decenni di comunismo hanno distrutto tali istituzioni e hanno minato il vivere civile e sociale; ma si deve anche notare che decenni di capitalismo hanno prodotto esiti analoghi anche in molti paesi dell'occidente. In situazioni di questo genere, la Chiesa è chiamata a sostenere le istituzioni intermedie e a favorirne la creazione.

In alcune nazioni dell'Europa occidentale, nelle quali la Chiesa ha goduto e gode di piena libertà religiosa e possiede molteplici istituzioni culturali, educative e assistenziali che non di rado colmano inadempienze dello Stato, sembra che la Chiesa stessa debba maggiormente riconoscere e rispettare la «laicità» dello Stato e, quindi, la sua autonomia. Ma, nello stesso tempo, si impone anche l'esigenza di rivendicare da parte della Chiesa i propri diritti, ad esempio in ordine alla parità scolastica e al finanziamento statale delle scuole non statali, alla difesa della vita, alla scelta preferenziale per gli «ultimi», alla effettiva libertà religiosa.

In certi paesi il legame tra religione e Stato è molto stretto. Questo fenomeno, in alcuni casi, genera atteggiamenti amministrativi sfavorevoli alla Chiesa cattolica o, perfino, una sua discriminazione legale nei confronti di altre confessioni religiose.

Non mancano neppure, soprattutto in alcuni paesi dell'Est europeo, forme di strumentalizzazione della religione e della Chiesa per scopi politici e nazionalistici.

Atteggiamenti delle Chiese e ricerca delle radici culturali

20. Se quelli fin qui richiamati sono i tratti fondamentali che si possono riscontrare nell'Europa di oggi, molteplici e diversificate appaiono le reazioni e gli atteggiamenti delle comunità cristiane.

Di fronte al sempre più diffuso pluralismo di fede e di cultura, c'è chi, formato in una sorta di monocultura cristiana occidentale, guarda ad esso con sospetto, si ritrova impreparato a leggerlo e a interpretarlo e a vivere, di conseguenza, atteggiamenti di apertura e di dialogo critici. Altri ambienti ecclesiali sono disponibili ad accettare tale pluralismo ma a livello più teorico che pratico, più fuori della Chiesa che dentro di essa: ne sono segno palese le difficoltà che si incontrano e l'incapacità che spesso ne deriva di creare spazi nei quali i cattolici provenienti da altre tradizioni o gli immigrati di altre religioni possano esprimere i loro valori culturali, spirituali e religiosi anche nelle Chiese di Europa. Ci sono, però, anche comunità ecclesiali, centri di vita consacrata, gruppi e movimenti che sembrano porsi positivamente di fronte a tale pluralismo: basti considerare, a tale riguardo, le iniziative culturali, caritative, associative ed ecumeniche promosse dalle diocesi o dalle Conferenze episcopali nazionali e regionali.

Di fronte alle diverse forme di indifferentismo, di relativismo e di agnosticismo, alcuni sottolineano l'importanza di riscoprire il vero volto di Dio rivelato da Gesù, di affermare con decisione la verità, di vivere con convinzione la propria identità, di far crescere la comunione anche in ambito ecumenico. Con particolare attenzione alle dimensioni etiche, considerato che spesso viene rinnegata o deturpata la dignità della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio, si insiste sulla necessità e sull'urgenza di proporre una corretta e integrale visione antropologica, fondamento imprescindibile per realizzare una convivenza rispettosa della vita e dei diritti di tutti e di ciascuno. Non mancano, infine, correnti di pensiero critiche nei confronti di questo relativismo etico e impegnate ad attivare atteggiamenti e comportamenti virtuosi, ispirati da valori ricavati dal Vangelo e dalla tradizione cristiana e condivisi da una cultura laica purificata dai suoi dogmi, messi in crisi dalle vicende tragiche che hanno segnato la storia dell'Europa in questo ventesimo secolo.

21. Non basta però descrivere più o meno ampiamente o con maggiore o minore apprensione i diversi tratti che caratterizzano l'Europa di oggi. Né basta reagire in vari modi a questo stato di cose. Occorre, piuttosto, lasciare spazio a quell'attenta opera di discernimento che sa, anzitutto, andare alle radici, interrogandosi sulle motivazioni profonde che stanno alla base dei più diversi fenomeni registrati. Ed è questo che il Sinodo e le Chiese devono fare se intendono vivere la loro responsabilità pastorale.

Per quanto concerne, in particolare, il diffuso fenomeno dell'indifferenza religiosa, vengono messe in risalto da molti innanzitutto diverse ragioni riscontrabili nel più vasto tessuto sociale. Il riferimento è, principalmente, ad aspetti quali: l'emergere del cosiddetto «pensiero debole» con il connesso affievolirsi o venir meno della «domanda di senso»; il sempre più diffuso «orientamento individualistico», che prospetta sistemi sociali destinati a promuovere l'interesse privato dei suoi membri e non già uno stesso ideale e un bene comune; il processo di «autonomizzazione», che si traduce in crescente volontà di autodeterminazione e di autorealizzazione soggettiva, cui è connesso, per qualche verso, anche un aumento di responsabilità e di coinvolgimento personale; il complesso fenomeno della «secolarizzazione» con alcune tendenze che vi sono connesse, come quelle alla «differenziazione» sociale e culturale (che consente la presenza di più religioni e credenze religiose sullo stesso territorio), alla «privatizzazione» della stessa religione, alla «desacralizzazione» di tanti luoghi nei quali in passato la religione esercitava un suo influsso a volte dominante, alla «razionalizzazione» intesa come processo volto a organizzare in maniera controllabile ed efficiente ogni scelta e ogni azione.

Se si guarda più direttamente alle ragioni che si presentano in ambito ecclesiale, oltre a quanto fin qui descritto, si sottolinea abbastanza generalmente che l'indifferenza religiosa sarebbe alimentata da alcuni fenomeni negativi e problematici, come: un uso scorretto dei beni e uno scarso interesse per le diverse povertà; una certa indifferenza degli ecclesiastici di fronte ai dubbi e ai drammi di tante persone in difficoltà; la poca credibilità di diversi «uomini di Chiesa»; il venir meno di diversi luoghi destinati alla formazione qualificata di laiche e laici cattolici; la carente organizzazione, a livello nazionale ed europeo, della stampa cattolica e di altre agenzie dirette a produrre e diffondere progetti culturali di ispirazione cristiana.

22. Più radicalmente, dietro e dentro i diversi fenomeni ricordati, tra i fattori che concorrono a determinare e a spiegare gli attuali scenari europei, non è difficile individuare una crescente frattura tra coscienza privata e valori pubblici: è bene sottolineare, però, che tale frattura rappresenta una logica conseguenza di precisi atteggiamenti e di determinate scelte culturali. Quando la vita democratica viene coniugata con la neutralità di fronte ai valori, ogni scelta non potrà che essere considerata come opzione privata di chi la opera a prescindere dall'esito sociale che vi è connesso. E se le scelte dei valori sono confinate entro una dimensione solo privata, la rilevanza pubblica di questi valori sarà nulla. In questa situazione, il divario tra valori privati e vita sociale, a causa di una pericolosa neutralità democratica, non può che accrescersi, con il risultato che la società è sempre meno capace di rispondere alle diverse sollecitazioni circa il «senso» dell'esistenza, che le provengono da più parti.

In questo clima culturale crescono e si diffondono fenomeni di ateismo, agnosticismo e indifferenza religiosa. Anche la scelta religiosa rischia di diventare sempre più una scelta di tipo privato: si diffonde un approccio consumistico all'esperienza religiosa; la scelta etico-religiosa non costituisce più l'orizzonte di riferimento fondamentale per tutte le altre scelte, si presenta come «una»scelta tra le tante che contribuiscono a definire l'identità privata dell'individuo.

Alla radice ancor più profonda di tutto ciò sta una malintesa nozione di libertà — intesa e vissuta come autodeterminazione dell'individuo, non regolata da riferimenti a valori trascendenti e non opinabili —, dalla quale nascono mentalità e atteggiamenti che, da più parti, sono qualificati come relativismo etico, soggettivismo individualista, edonismo nichilista. Diventa, allora, più acuto il problema dell'esercizio della libertà, nel rapporto tra verità, coscienza personale e leggi civili. La libertà, infatti, si fonda sulla costitutiva dignità della persona umana, a sua volta espressione del fatto che ogni uomo è figlio di Dio; l'esercizio della libertà implica la responsabilità dell'uomo; implica poi le questioni della verità, che ne rappresenta il fondamento ultimo, e del bene comune, che costituisce l'obiettivo dell'esercizio sociale della libertà.

Si può anche notare, in sintesi, come, al termine di questo secolo, si registrino profonde e radicali trasformazioni, che segnalano l'esaurirsi della spinta derivata dalla modernità. Non è chiaro, però, l'esito dei processi in atto; emergono tendenze contrastanti e ambivalenti, che richiedono una attenta e approfondita lettura. D'altra parte, il superamento della modernità non può che avvenire in un quadro di complessità e di incertezza. Se per certi versi la missione della Chiesa in questo contesto appare più difficile e meno ancorata a garanzie tradizionali, per altro verso i cambiamenti in atto nei paesi europei offrono alla Chiesa nuove opportunità per sviluppare una efficace e organica opera di evangelizzazione.

Centralità della «questione della fede»

23. Non c'è dubbio — come ha detto il Papa(21) — che con gli avvenimenti del 1989 è nata in Europa una grande speranza di libertà, di responsabilità, di solidarietà, di spiritualità. Ma questa grande speranza chiede oggi di essere rinnovata e resa più solida, perché in questi ultimi anni sono apparsi nuovi rischi che non concorrono certo a dare speranza agli europei del nostro tempo: «dopo il crollo della costruzione ideologica del Marxismo-Leninismo nei Paesi ex-comunisti non si osserva solo una perdita dell'orientamento, ma anche un attaccamento largamente diffuso all'individualismo e all'egoismo che caratterizzavano e caratterizzano tuttora l'Occidente. Questi atteggiamenti non possono comunicare all'uomo un senso della vita e dargli una speranza. Al massimo possono soddisfarlo temporaneamente con ciò che egli interpreta come una realizzazione individuale. In un mondo in cui non esiste più nulla che sia veramente importante, in cui si può fare ciò che si desidera, esiste il pericolo che principi, verità e valori faticosamente acquisiti nel corso dei secoli vengano vanificati da un liberalismo dilagante».(22)

Né è difficile notare — come si è già detto — che nel contesto ricordato e descritto, faccia continuamente capolino una questione fondamentale che riguarda la concezione della persona umana e della sua libertà: è, in qualche modo, quell'umanesimo personalista che ha caratterizzato la storia e l'esperienza dell'Europa ad essere messo in discussione.

Di qui l'importanza della «questione etica» nell'attuale momento storico del continente europeo.

Ma, nel medesimo tempo, quest'ultima affonda le sue radici nella «questione religiosa», come si può notare quando si considerano le due contrapposte concezioni di libertà presenti nell'Europa di oggi: l'una che si fonda sull'ubbidienza a Dio considerata come «sorgente della vera libertà, che non è mai libertà arbitraria e senza scopo, ma libertà per la verità e per il bene» e l'altra che, «avendo soppresso ogni subordinazione della creatura a Dio, o a un ordine trascendente della verità e del bene, considera l'uomo in se stesso come il principio e la fine di tutte le cose» e come l'unico insindacabile arbitro e riferimento delle sue scelte. (23)

24. Ne segue, in ultima analisi, la centralità e la decisività della «questione della fede» in Gesù. È questa, per altro, l'indicazione venuta da Giovanni Paolo II durante il suo primo viaggio in Slovenia. Dopo aver sottolineato che nel nostro Continente, «da una parte, emerge il vuoto, lasciato dalle ideologie e, dall'altra, si fa strada un significativo risveglio della memoria delle proprie radici e delle ricchezze d'un tempo», aggiungeva: «Questa è l'ora della verità per l'Europa. I muri sono crollati, le cortine di ferro non ci sono più, ma la sfida circa il senso della vita e il valore della libertà rimane più forte che mai nell'intimo delle intelligenze e delle coscienze. E come non vedere che l'interrogativo su Dio sta al cuore di questo problema? O l'uomo si considera creato da Dio, dal quale riceve la libertà che gli apre immense possibilità ma gli pone anche precisi doveri, oppure egli si autopromuove ad assoluto, dotato di una libertà che, essendo priva di legge, si abbandona a ogni sorta d'impulso, richiudendosi nell'edonismo e nel narcisismo». E concludeva: «Il clima attuale di angoscia e sfiducia riguardo al senso della vita e lo smarrimento manifesto della cultura europea ci sollecitano a guardare in modo nuovo ai rapporti tra cristianesimo e cultura, tra fede e ragione. Un rinnovato dialogo tra cultura e cristianesimo gioverà sia all'una che all'altro, e a trarne vantaggio sarà soprattutto l'uomo, desideroso di un'esistenza più vera e più piena».(24)

Né si deve dimenticare che, come sottolinea ancora il Papa, «l'incontro fra le culture e la fede è un'esigenza della ricerca della verità. Esso "ha dato vita di fatto a una realtà nuova. Le culture, quando sono profondamente radicate nell'umano, portano in sé la testimonianza dell'apertura tipica dell'uomo all'universale e alla trascendenza" (Enciclica Fides et ratio, 70). In tal modo gli uomini troveranno un aiuto e un sostegno per ricercare la verità e, con il dono della grazia, incontrare Colui che è il loro Creatore e Salvatore».(25)

Per concludere, pare di poter applicare in qualche modo a tutto il nostro Continente quanto Giovanni Paolo II diceva dell'Italia: l'Europa, «che ha un'insigne e in certo senso unica eredità di fede, è attraversata, da molto tempo e oggi con speciale forza, da correnti culturali che mettono in pericolo il fondamento stesso di questa eredità cristiana: la fede nell'Incarnazione e nella Redenzione, la specificità del cristianesimo, la certezza che Dio attraverso il Figlio suo Gesù Cristo è venuto per amore in cerca dell'uomo (cfr. Tertio millennio adveniente, 6-7). In luogo di tali certezze è subentrato in molti un sentimento religioso vago e poco impegnativo per la vita o anche varie forme di agnosticismo e di ateismo pratico che sfociano tutte in una vita personale e sociale condotta "etsi Deus non daretur", come se Dio non esistesse».(26)

Ne deriva, per il Sinodo e per le Chiese europee, la necessità e l'urgenza di interrogarsi sull'autenticità e sulla vitalità della fede cristiana dei credenti europei e di aiutarli a riscoprirla e a viverla. Tutto questo nella convinzione che l'autenticità della fede esige un incontro e una comunione personali con Gesù Cristo, il Figlio di Dio vivente, e un'accoglienza dell'intera verità del Vangelo e che la sua vitalità rimanda a una fede che si fa criterio di giudizio e di scelta, generando e sostenendo una mentalità e un costume coerenti con la parola e il comandamento di Dio.


Parte seconda

Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa

A sostegno dell'autenticità e della vitalità della fede

25. Dopo che i due discepoli di Emmaus avevano confidato a Gesù le ragioni della loro tristezza e del venir meno della loro speranza, Gesù «disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24, 25-27). È, quindi, Gesù stesso che annuncia la sua risurrezione e conduce i due discepoli alla fede. Rimandando ai profeti che l'hanno preceduto, spiega il disegno dell'amore luminoso e misterioso di Dio: la passione e la morte non contraddicono l'azione liberatrice del Messia, ma sono la via scelta da Dio per comunicare agli uomini la sua «gloria», ossia il suo amore che salva e redime. Ed è grazie a questo annuncio — che ripercorre tutta la storia della prima alleanza e che trova il suo sigillo definitivo e incontrovertibile nel riconoscimento del Signore allo spezzare del pane — che il loro cuore si scalda e i due riacquistano la speranza smarrita.

Il racconto di Emmaus ci si presenta così come una lunga catechesi tutta orientata a condurre i discepoli alla fede nella risurrezione di Gesù Cristo consegnato alla morte. Quale riflesso fedele dell'insegnamento della Chiesa primitiva, questo testo rimane paradigmatico anche per la Chiesa di oggi e per la sua azione pastorale, che si risolve in una paziente, continua, tenace e coraggiosa testimonianza e predicazione destinate a far nascere e crescere la fede in Gesù Cristo risorto da morte, fonte e sostegno della speranza ferma e duratura. Come scrive, infatti, san Paolo, «se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (1 Cor 15, 19).

La fede nel Risorto, rivelatore della gloria di Dio

26. Anche la Chiesa è chiamata nella storia ad annunciare Cristo risorto. Essa — ieri, come oggi e sempre, in qualunque angolo della terra come in Europa — non è mandata a dire se stessa, ma a dire Cristo crocifisso e risorto.

Così ha fatto fin dalle origini, come risulta dalla prima predica di Pietro nel giorno di Pentecoste: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret — uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete — dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2, 22-24.36). Con queste parole di Pietro, la Chiesa delle origini come quella di ogni epoca della storia proclama con certezza che Gesù Cristo è vivo, opera nel presente e cambia la vita.

Così fa in ogni tempo, perché «la Risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce: "Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita" (Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua)».(27)

Questa è stata l'intenzione più profonda anche del Concilio Vaticano II, che il Sinodo intende riprendere e fare propria: proclamare alla Chiesa stessa e annunciare al mondo «Cristo, nostro principio, Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine».(28)

Né si può dimenticare che nel Cristo morto e risorto si rivela in pienezza la gloria di Dio. Gesù è la speranza dell'uomo, dell'Europa e del mondo perché è la via unica e universale che conduce al Padre (cfr. Gv 14, 6-7), fondamento e termine ultimo della vita di ogni persona e di ogni realtà, perché tra lui e il Padre c'è una sublime, ineffabile e reciproca immanenza (cfr. Gv 14, 10), perché lui e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10, 30), perché è Dio lui stesso.

27. Ed è proprio in forza di questa fede e dell'incontro con il Risorto che, come per i discepoli di Emmaus, èpossibile anche alla Chiesa, alle donne e agli uomini di oggi tornare indietro nella storia, leggere le Scritture e scoprire già nelle pagine dell'antica alleanza i segni, le figure, le impronte della presenza di Cristo: realtà anticipatrici e prefigurative di ciò che nel Crocifisso Risorto si sarebbe realizzato in pienezza.

Così ha fatto Pietro nel giorno di Pentecoste, quando, rileggendo i fatti della vita di Cristo che conducevano a professarlo come Messia e Signore, portava la testimonianza delle Scritture vedendo in esse una precisa intenzionalità orientata a Gesù (cfr. At 2, 17-21.25-28.34-35). Così ha fatto Paolo quando — rileggendo la storia di Israele e, in particolare, il fatto dell'acqua scaturita dalla roccia a Massa e Meriba (cfr. Es 17, 1-7; Nm 20, 1-11) — afferma: «tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (1 Cor 10, 4).

Così anche noi possiamo e dobbiamo rileggere le pagine della Scrittura e ritrovare in esse segni, fatti e parole che sono «figura» di Cristo e della sua presenza. In tal modo, ci sarà dato di guardare anche ai momenti di difficoltà, di stanchezza e di prova senza perdere la speranza, certi che — come, nell'uscire dall'Egitto, il Signore non abbandonò gli israeliti nel deserto, ma «marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte» (Es 13, 21) — anche oggi lo stesso Signore è presente e guida il suo popolo in ogni vicenda della storia. Come pure potremo ripetere con il profeta Sofonia «Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! [...] Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura [...] Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa» (3, 14-18), perché sappiamo che queste affermazioni trovano in Cristo risorto il loro compimento definitivo.

Ed è sempre in forza della medesima fede nel Signore risorto e dell'incontro con lui, vivente e presente, che possiamo e dobbiamo guardare con occhi nuovi alla storia degli uomini e del mondo — e, quindi, alle vicende passate e presenti dell'Europa — scoprendo negli eventi e nelle persone un riferimento a Cristo e al suo essere il «Dio con noi».

Il bisogno di Gesù Cristo

28. Guidati e illuminati dagli occhi nuovi della fede, che ci fanno riconoscere in Cristo crocifisso e risorto il centro della storia e il cuore del mondo, non ci è difficile notare che, nella nostra Europa, i processi di secolarizzazione, o più propriamente di scristianizzazione, che talvolta portano drammaticamente a una sorta di diffuso neopaganesimo, non sono certo terminati anche se consistente e diffusa appare una nuova domanda di spiritualità e di religiosità. Quest'ultima, infatti, non può essere qualificata immediatamente come cristiana, se non altro per quel suo eclettismo o relativismo di fondo che le rende assai difficile riconoscere in Gesù Cristo l'unico salvatore; è una domanda che, per buona parte, rimane all'interno di quei processi sociali e culturali rispetto ai quali, per altro, costituisce una indubbia reazione.

Ma, nello stesso tempo, non possiamo non riconoscere che «persiste la ricerca dell'esperienza religiosa, sebbene in una molteplicità di forme non sempre coerenti tra loro e che spesso conducono lontano dall'autentica fede cristiana», per cui «tutta l'Europa si trova oggi di fronte alla sfida di una nuova scelta di Dio».(29)

Il nostro allora non è il tempo della semplice conservazione dell'esistente. È piuttosto il tempo di proporre di nuovo e prima di tutto Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa, unica vera e solida sorgente di speranza.

In questa stessa direzione, si muovevano le conclusioni della prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi. Ne emergeva, infatti, la nitida coscienza che la Chiesa non può ridursi ad essere una semplice e generica agente di civiltà, seppure di una civiltà più genuinamente umana. Essa, piuttosto, deve annunciare il Vangelo nella sua interezza e secondo la precisione dei suoi contenuti e deve aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a vivere secondo lo stile delle beatitudini in un rapporto di adesione personale al Signore Gesù. In questo senso, si affermava che «l'Europa non deve oggi semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana: occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell'incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo».(30) Si trattava e si tratta, dunque, di favorire l'incontro dell'uomo europeo con la persona vivente del Signore Gesù, un incontro che si apre all'esperienza del discepolato, la provoca e la sostiene. Di qui la necessità di ridire il centro del Vangelo e, quindi, di annunciare un Dio vivo e vicino, che si comunica a noi in una esperienza di comunione che è già iniziata e che apre alla certa speranza della vita eterna, nella convinzione che «se la Chiesa predica questo Dio, non parla di un Dio ignoto, ma del Dio che ci ha amati a tal punto che il Figlio suo si è fatto carne per noi. È il Dio che si avvicina a noi, che si comunica a noi, che si fa uno con noi, vero "Emmanuele" (cfr. Mt 1, 23)». (31) E, nello stesso tempo, ne derivava la necessità di ridire tutte le conseguenze del Vangelo, innanzitutto di ridire quelle che riguardano l'uomo, la sua esistenza, la sua verità, consapevoli che «la causa di Dio in nessun modo è in opposizione alla causa dell'uomo. Sono piuttosto le promesse puramente terrene che — come mostra la storia recente — in definitiva riducono in schiavitù, in maniera totalitaria, le persone umane».(32)

A otto anni di distanza, si tratta di verificare il cammino fatto e di continuarlo con sempre maggiore decisione e determinazione. Ci guida in questo l'indicazione di Giovanni Paolo II: «Se, in Europa, bisogna giungere ad un incontro nuovo con il Vangelo di Gesù Cristo, sono soprattutto necessarie un'apertura spirituale, una nuova determinazione e una gioia rinnovata della fede fra i cristiani. Solo così si può dare una "testimonianza della nostra speranza"; soltanto in questo modo la fede diventerà anche una forza creativa a livello spirituale e culturale».(33)

A tale scopo, il Sinodo intende, anzitutto, riproporre la vera fede nel Signore Gesù risorto e vivente, unico salvatore, presente nella sua Chiesa. Ormai nell'immediata vigilia del terzo millennio — nella scia del Concilio Vaticano II, che il Santo Padre ha indicato come «un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo»(34) del Duemila—, il Sinodo si propone di aiutare le Chiese in Europa ad avere rinnovata e piena avvertenza del «molteplice e unico, fisso e stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù benedetto, tra questa santa e viva Chiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per cui viviamo, e a cui andiamo».(35) Il Sinodo, quindi, come già il Concilio, intende confessare e celebrare il Signore Gesù Cristo come «il Verbo incarnato, il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo, Redentore del mondo, cioè la speranza dell'umanità e il suo sommo Maestro, lui il Pastore, lui il pane della vita, lui nostro Pontefice e nostra vittima, lui l'unico Mediatore fra Dio e gli uomini, lui il Salvatore della terra, lui il Re venturo del secolo eterno».(36)

Gesù risorto, unico Salvatore

29. Si tratta di riaffermare con forza e con convinzione che Cristo ci è necessario: ci è necessario per la nostra salvezza e, insieme, per la piena realizzazione dei valori umani.

Con Paolo VI, anche le Chiese d'Europa oggi, infatti, sono chiamate a ripetere con fede genuina e appassionata che «Cristo è necessario, senza di Lui non si può fare; senza di Lui non si può vivere»;(37) «Cristo è il nostro Salvatore. Cristo è il nostro supremo benefattore. Cristo è il nostro liberatore. Cristo ci è necessario, per essere uomini degni e veri nell'ordine temporale, e uomini salvati ed elevati nell'ordine soprannaturale».(38)

Come più volte ha sottolineato Giovanni Paolo II rivolgendosi alle donne e agli uomini del continente europeo, il Sinodo vuole proclamare che Gesù Cristo è il Signore della storia; il contenuto e il centro vitale del messaggio di salvezza; la via, la verità e la vita (cfr. Gv 14, 6) che si conferma come l'unica speranza valida per ogni generazione; il punto di partenza della nuova evangelizzazione. Egli è la nostra Pasqua; in lui, attraverso la sua croce e la sua risurrezione, Dio si è unito all'uomo per tutti i tempi in un'alleanza nuova ed eterna; lui è il segreto della forza dell'Europa. Gesù è, oggi e sempre, sorgente di speranza perché in lui le promesse di Dio si sono pienamente realizzate: egli ci rivela, senza timore di smentita, che il nostro Dio è un Dio fedele, che porta a compimento le sue promesse e le realizza.

In particolare, Gesù è colui che libera l'uomo da ogni schiavitù; è il solo che può appagare pienamente la sua insopprimibile aspirazione alla libertà; è l'unica soluzione definitiva alle questioni sul senso della vita e agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del continente europeo, che sono in ricerca, perché in lui soltanto le aspirazioni più profonde dell'uomo trovano la risposta pienamente adeguata. Come anche recentemente ha affermato Giovanni Paolo II, il Sinodo intende proclamare Cristo come colui che «rivela l'uomo all'uomo stesso nella sua pienezza di figlio di Dio, nella sua dignità inalienabile di persona, nella grandezza della sua intelligenza, capace di raggiungere la verità, e della sua volontà, capace di agire bene».(39) È questo, per altro, un dato pienamente coerente con l'umanesimo europeo, occidentale e orientale, anche se «col passare del tempo, soprattutto nei tempi cosiddetti moderni, Cristo quale artefice dello spirito europeo, quale artefice della libertà che in Lui affonda la sua radice salvifica, è stato messo tra parentesi e [...] si è andata formando un'altra mentalità europea, mentalità che sinteticamente possiamo esprimere in questa frase: "pensiamo e viviamo come se Dio non esistesse"». (40)

30. C'è, poi, un altro aspetto che il Sinodo intende confessare nel contesto dell'attuale pluralismo religioso che va sempre più caratterizzando l'Europa: l'unicità e l'universalità di Cristo Salvatore e, quindi, l'assoluta irriducibilità del cristianesimo alle altre religioni. Nella scia dell'insegnamento conciliare e del più recente magistero,(41) si tratta di rinnovare la propria fede e di proclamare che Gesù è il mediatore unico e costitutivo di salvezza per l'intera umanità: solo in lui l'umanità, la storia e il cosmo trovano il loro significato definitivamente positivo e si realizzano totalmente; egli ha in se stesso, nel suo evento e nella sua persona, le ragioni della definitività assoluta della salvezza; egli non è solo un mediatore di salvezza, ma è la fonte stessa della salvezza. «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12). Illuminati da questa cristallina affermazione di Pietro, alla vigilia del grande Giubileo del Duemila, sentiamo con Giovanni Paolo II l'urgente bisogno di illustrare e approfondire «la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo, ben distinguendolo dai fondatori di altre grandi religioni, nelle quali pur si trovano elementi di verità, che la Chiesa considera con sincero rispetto».(42)

Gesù è presente nella Chiesa

31. Anche nelle situazioni più difficili, quando viene meno la speranza e va in crisi la fede, Gesù è presente: egli non abbandona la sua Chiesa, ma si fa suo compagno di viaggio; è come il viandante che nel peregrinare storico della Chiesa mai abbandona la sua amata sposa, prevenendola e accompagnandola con una delicatezza che testimonia l'assoluta gratuità del suo amore.

È quanto ci insegna, ancora una volta, la vicenda dei due viandanti di Emmaus: «Camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» (Lc 24, 15-16). Anche se non riconosciuto, Gesù è presente, incrocia le loro strade, si fa premuroso compagno di viaggio e loro guida. Come scrive sant'Agostino: «Camminava per via come un compagno di viaggio, anzi era lui che li conduceva. Quindi lo vedevano, ma non erano in grado di riconoscerlo. I loro occhi — abbiamo così inteso — erano impediti dal riconoscerlo. Erano impediti non di vederlo ma di riconoscerlo».(43)

È quanto ha sempre professato e continua a professare la fede della Chiesa. Gesù, infatti, elevato al cielo e glorificato, continua a permanere sulla terra, nella sua Chiesa: «quando la sua presenza visibile è stata tolta ai discepoli, Gesù non li ha lasciati orfani (cfr. Gv 14, 18). Ha promesso di restare con loro sino alla fine dei tempi (cfr. Mt 28, 20), ha mandato loro il suo Spirito (cfr. Gv 20, 22; At 2, 23). In un certo senso, la comunione con Gesù è diventata più intensa: "Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo Corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti" (Lumen gentium, 7)».(44) Gesù continua ad agire mediante l'intervento potente dello Spirito Paraclito, che costituisce la continua e fedele «memoria» di ciò che Gesù ha detto e ha fatto (cfr. Gv 14, 26) e che, giorno dopo giorno, viene plasmando Gesù stesso nella Chiesa e nei discepoli, rendendoli così il corpo vivente di Cristo.

32. Diversi e molteplici — come insegna il Concilio — sono i modi della presenza del Signore Gesù: «Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro [...], sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtù nei sacramenti [...] È presente nella sua parola, perché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18, 20)».(45) Egli, ancora, «è presente alla sua Chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po' di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo (cfr. Mt 25, 40), ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua Chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini. È presente alla sua Chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede (cfr. Ef 3, 17), e in essi diffonde la carità con l'azione dello Spirito Santo, da lui donatoci»;(46) è presente «nei poveri, nei malati, nei prigionieri (cfr. Mt 25, 31-46), nei sacramenti di cui egli è l'autore».(47) Un'altra presenza speciale del Signore è ravvisata anche in singole persone che hanno particolari titoli di vicinanza con Lui. «Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. 2 Cor 3, 18) Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è Lui stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno».(48) Nella medesima linea, la presenza di Gesù si realizza nelle famiglie, nei gruppi, nei movimenti, nelle comunità parrocchiali, là dove c'è una persona che, amando, vive e incarna il comandamento nuovo dell'amore (cfr. Gv 15, 1-17). È una presenza, la sua, che si manifesta nella concretezza di una comunità cristiana che vive nell'amore, come un cuore solo e un'anima sola, facendo propri gli atteggiamenti della Chiesa degli apostoli (cfr At 2, 42-48; 4, 32-35).

Gesù è presente a tal punto nella Chiesa, suo Corpo, che l'attività della Chiesa stessa è una partecipazione alla missione di Gesù. Tutto ciò che la Chiesa «ha» ed «è» è frutto dell'amore di donazione di Cristo; essa non soltanto «nasce» dall'amore e dal dono di Cristo, che l'ha amata e ha dato se stesso per lei (cfr. Ef 5, 25), ma «è» questo stesso amore di donazione reso visibile e operante nella storia. Perciò, come Cristo è il «sacramento» dell'amore del Padre, così la Chiesa è il «sacramento» dell'amore di Cristo. Per questo essa esiste; per questo essa è mandata da Cristo nel mondo. Ne deriva che, sia pure secondo modalità diverse e nonostante le fragilità e le imperfezioni, la Chiesa rappresenta il Signore, prende parte alla sua missione di salvezza, è animata e sostenuta dalla forza del suo Spirito. Come scrive sant'Ambrogio, «la Chiesa brilla non di luce propria, ma dello splendore di Cristo»;(49) essa ne è il sacramento vivente.

«Certo, grande è la consapevolezza del nostro limite, ma altrettanto potente è la certezza della sua presenza e del suo costante intervento salvifico».(50) Questa è la professione di fede che il Sinodo intende proclamare senza alcuna reticenza. Ma è anche motivo fondamentale dell'esame di coscienza che il Sinodo vuole propiziare nelle nostre Chiese.

La Chiesa «mistero» e «comunione»

33. La proclamazione della presenza di Gesù nella sua Chiesa conduce a considerare la Chiesa stessa nelle sue dimensioni di «mistero» e di «comunione».

Parlare del «mistero» della Chiesa significa affermare la sua natura sacramentale, ossia sottolineare il suo radicamento nel mistero di Cristo che la costituisce: è il dono di Dio, manifestato in Gesù Cristo e comunicato attraverso lo Spirito, che la precede e la fa vivere; è il mistero pasquale di Cristo, annunciato dalla parola e reso attuale nei sacramenti, a costituire la fonte della sua esistenza e della sua missione. In questo senso, «la Chiesa è strumento di Cristo. Nelle sue mani essa è lo "strumento della Redenzione di tutti" (Lumen gentium, 1), il "sacramento universale della salvezza" (Ibid., 48), attraverso il quale Cristo "svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo" (Gaudium et spes, 45). Essa "è il progetto visibile dell'amore di Dio per l'umanità" (Paolo VI, Discorso del 22 giugno 1973), progetto che vuole "la costituzione di tutto il genere umano nell'unico Popolo di Dio, la sua riunione nell'unico Corpo di Cristo, la sua edificazione nell'unico tempio dello Spirito Santo" (Ad gentes, 7; cfr. Lumen gentium, 17)».(51)

Parlare della Chiesa come «comunione», vuol dire, anzitutto, affermare che la Chiesa non è soltanto radunata «attorno a Cristo», ma è unificata «in lui», nel suo Corpo.(52) «Cristo e la Chiesa formano, dunque, il "Cristo totale" [...] La Chiesa è questo Corpo, di cui Cristo è il Capo: essa vive di lui, in lui e per lui; egli vive con essa e in essa».(53) Con questa certezza, possiamo e dobbiamo ripetere — come un giorno ha fatto santa Giovanna d'Arco di fronte ai suoi giudici — «Gesù Cristo e la Chiesa sono un tutt'uno, e non bisogna sollevare difficoltà». Vuol dire, ancora e insieme, fare riferimento a quella «communio» basata sulla comunione con Dio nello Spirito Santo mediante Gesù Cristo, divenuta realtà nella comunione ecclesiale proiettata verso la comunione di tutta l'umanità.

34. Di fronte a queste prospettive, seppure con accentuazioni diverse tra l'Est e l'Ovest, la percezione che oggi in Europa si ha della Chiesa come «mistero» appare assai variegata e rispecchia la variopinta mappa del cristianesimo contemporaneo.

Anche se generalmente costituiscono un gruppo minoritario, quanti vivono un orientamento esplicito alla comunità e in vari modi portano il peso della vita ecclesiale in un'ottica di collaborazione e corresponsabilità concepiscono la Chiesa come mistero, comunione e missione, così come essa, a partire da alcuni elementi presenti nei documenti del Concilio Vaticano II, è stata più organicamente delineata nelle varie assemblee sinodali e nei diversi interventi pontifici. Tra costoro sono da annoverare numerose comunità di vita consacrata, l'area dei diversi operatori pastorali, gli appartenenti a diverse associazioni e movimenti ecclesiali.

Un più vasto settore di persone, anche tra i cristiani, condivide invece quella visione di Chiesa che caratterizza l'odierna opinione pubblica ecclesiale e non, secondo la quale la Chiesa è complessivamente vista come istituzione articolata gerarchicamente, che con i suoi pronunciamenti, soprattutto in campo morale, si contrappone alle aspirazioni di quanti rivendicano per sé e per gli altri ampi spazi di libertà e non accettano di sentirsi dire dall'alto cosa devono fare e come devono comportarsi. In molti casi, poi, la Chiesa è percepita come una istituzione e organizzazione umanitaria, assistenziale e culturale e, quindi, come una sorta di «offerta di servizi» di vario genere che, come tali, possono anche essere ricercati e apprezzati. Tra le cause che stanno alla base di tale mentalità, sembrerebbero da annoverare: la presentazione che della Chiesa viene fatta dai mass media; la pesante eredità della filosofia individualista degli ultimi secoli; una scarsa sottolineatura del carattere misterico della Chiesa nella predicazione e nell'insegnamento; una prassi ecclesiastica sovente non ispirata dalla comunione e non sufficientemente basata sul vicendevole rispetto e sul sincero ascolto delle posizioni altrui. In particolare, tale diffusa mentalità sembra dipendere dalla preoccupante perdita della visione della Chiesa come realtà sacramentale con conseguenze negative in molti ambiti: la stessa diminuzione delle ordinazioni sacerdotali in molti paesi europei è dovuta a questa mutata visione ecclesiale che non percepisce più il ministero sacerdotale come uno stato sacramentale di vita ma soltanto come un ruolo, possibilmente sostituibile, della struttura organizzativa ecclesiale. A tutto ciò è connessa una diminuita consapevolezza della presenza di Gesù Cristo con il suo Spirito nella vita della Chiesa. Di qui la necessità di sviluppare maggiormente il concetto di Chiesa mistero, comunione e missione nell'annuncio evangelico, nella catechesi e nel lavoro pastorale.

Non mancano, infine, minoranze di cattolici, nostalgiche del passato, che possono diventare a vari livelli causa di dinamiche conflittuali nelle comunità locali.

Se si guarda alla Chiesa come «comunione», tra i modi concreti per esprimere e realizzare questa sua dimensione, vengono normalmente annoverati: le celebrazioni liturgiche, la preghiera, la lettura sacra, la vita sacramentale, i pellegrinaggi. Va pure ribadito, in questo contesto, il ruolo crescente che vanno assumendo alcune comunità spirituali e alcuni gruppi di vita cristiana, ferma restando l'importanza della parrocchia quale genuino «spazio di comunione vissuta».


Parte terza

Gesù Cristo speranza per l'Europa

Per una Chiesa che annuncia, celebra e serve

il «Vangelo della speranza»

L'incontro con Gesù genera la missione

35. Con il riconoscimento di Cristo risorto e vivo, i due discepoli potevano pensare che il loro viaggio fosse terminato a Emmaus e che Gesù restasse con loro. Invece, proprio allora, quando «si aprirono i loro occhi e lo riconobbero», il Risorto «sparì dalla loro vista» (Lc 24, 31). Né la comprensione consolante della Scrittura, né l'esperienza gioiosa dell'Eucaristia erano il termine del loro viaggio. Esso aveva come meta Gerusalemme: la città di Dio, il luogo della vera convivenza umana, la città ideale, simbolo di ogni vicenda storico-civile e della città definitiva, risplendente della gloria di Dio (cfr. Ap 21, 10). A dire che il riconoscimento di Gesù come Risorto e vivente, presente nella sua Chiesa, conduce necessariamente alla «missione», vissuta nella concretezza della storia fino al compimento definitivo che si avrà con il ritorno del Signore.

Per questo, «i due partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro» (Lc 24, 33). Si allude qui a una dimensione essenziale della missione: essa non può che essere vissuta nella comunione non solo attorno alla Parola e all'Eucaristia, ma anche attorno agli Apostoli e ai loro successori. Possiamo, anzi dire che la missione è esigenza intrinseca della comunione, della comunione con Gesù dalla quale deriva la comunione dei cristiani tra di loro: «la comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione».(54)

Giunti a Gerusalemme, i due sentirono risuonare l'annuncio «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24, 34) e, per parte loro, «riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24, 35). Siamo rimandati così al contenuto fondamentale da annunciare, celebrare e servire attraverso l'intera missione della Chiesa: l'annuncio che Cristo risorto e vivo è l'unico Salvatore di tutti gli uomini deve continuare a risuonare oggi e sempre, nelle singole Chiese, tra le diverse Chiese e fino agli estremi confini del mondo. È quanto il Sinodo intende sollecitare e verificare, nella convinzione che quanto abbiamo gratuitamente ricevuto da Dio attraverso la tradizione vivente dei nostri Padri, lungo tutta la storia dell'evangelizzazione nel nostro Continente, e quanto abbiamo assimilato mediante l'ascolto della Parola e la celebrazione dei Sacramenti, dobbiamo a nostra volta offrirlo gratuitamente all'europeo di oggi e a tutti coloro ai quali il Signore ci manda. La gioia che il Risorto ci fa provare spiegandoci le Scritture e spezzando il pane per noi, spinge noi e tutte le nostre Chiese a «partire da Emmaus» per ridare a molti altri quel senso pieno della vita che ci è stato donato e di cui essi stessi hanno profonda nostalgia, anche quando sono indifferenti o sembrano rifiutarlo.

36. Questa è la sfida che interpella le Chiese d'Europa. Anche per esse, come per tutte le Chiese sparse del mondo, risuonano responsabilizzanti le parole di Giovanni Paolo II: «Ispirandosi alla pedagogia dell'Incarnazione, la Comunità cristiana è chiamata a camminare con Cristo accanto all'uomo di oggi, sostenendolo nella difficile ricerca della Verità e facendogli in qualche modo percepire la presenza del Redentore laddove egli conduce la sua quotidiana vicenda, segnata dall'incertezza per il domani, dall'ingiustizia, dal disorientamento e qualche volta dalla disperazione. Confidando nella presenza del Signore, attraverso l'ascolto, il dialogo, la celebrazione della Parola e dei Sacramenti, i cristiani sapranno così condurre i loro contemporanei dalla sfiducia alla testimonianza gioiosa del Cristo risorto».(55)

Di fronte a queste prospettive concernenti la dimensione missionaria del mistero della Chiesa sembra di dover riscontrare nelle nostre Chiese una certa debolezza: la missione è spesso ridotta all'ordinarietà della vita e della prassi ecclesiale, secondo una pastorale di «conservazione»; si riscontra una certa fatica a «uscire da sé» e a dare vita a una pastorale più propositiva e innovativa (fatica questa che talvolta, almeno in alcune comunità ecclesiali dei paesi ex-comunisti, sembra indotta anche da quel complesso clima di paura, sospetto, dipendenza e mancanza di creatività imposto per decenni dal regime allora dominante); la stessa «missione ad gentes», pur essendo ancora stimata anche per la presenza spesso eroica dei missionari originari delle proprie Chiese, conosce qualche difficoltà per il calo delle vocazioni dovuto anche a una sorta di chiusura delle Chiese nei loro bisogni.

Ma questo stato di cose, lungi dallo scoraggiare o dall'immobilizzare, diventa stimolo ulteriore a diventare capaci di una missione che ridoni speranza all'Europa di oggi.

Ridare speranza all'Europa

37. Il Sinodo intende proclamare che la speranza dell'Europa è nella croce di Cristo, «simbolo dell'amore di Dio verso gli uomini, un amore che riconcilia, che supera dolore e morte, e che è promessa di fraternità per tutti gli uomini ed i popoli, divina sorgente di forza, per l'inizio di un rinnovamento di tutta la Creazione»(56) e che la speranza ha solide fondamenta quando cerchiamo di conformarci alla volontà di Dio attraverso una personale disponibilità alla fede.(57)

Nel fare ciò ci sostiene e ci guida la certezza che «Cristo Signore è il cammino; egli guarisce le nostre ferite interne ed esterne, ricostituisce in noi l'immagine divina che abbiamo offuscato con il peccato»(58) e che le radici cristiane dell'Europa, se riscoperte e rivitalizzate, possono infondere in tutti una speranza viva e un dinamismo nuovo che portano a superare le difficoltà del momento presente e ad assicurare un avvenire di crescente progresso spirituale e umano.(59)

Nutrire queste convinzioni per offrire nuova speranza all'Europa è urgente oggi, alle soglie del nuovo millennio. Infatti, «la Porta Santa dell'Anno Duemila si aprirà su una società che ha bisogno di essere illuminata dalla luce di Cristo. La «vecchia Europa» ha ricevuto il dono del Vangelo, ma invoca ora un rinnovato annuncio cristiano, che aiuti le persone e le Nazioni a coniugare libertà e verità ed assicuri fondamenti spirituali ed etici all'unificazione economica e politica del continente».(60)

Non c'è dubbio, per altro, che il rinnovamento anche sociale dell'Europa può saldamente fondarsi solo su Cristo risorto e che le Chiese con i loro Pastori potranno contribuire a tale rinnovamento stringendosi a Cristo, ponendo in lui, presente e vivente tra noi fino alla fine dei tempi, la loro fiducia e fondando solo su di lui i loro progetti e la loro azione pastorale.(61) Né può venir meno la fiducia, nonostante tutti i problemi e le difficoltà, perché — come ha ripetuto il Papa con insistenza, nonostante le voci dei profeti del pessimismo — «in prossimità del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già si intravede l'inizio (Redemptoris missio, 86)».(62)

38. Se guardiamo, da questo punto di vista, alla realtà delle nostre Chiese e ascoltiamo la lettura che esse fanno di sé stesse, diffusa è la convinzione che Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, continua ad essere sorgente di speranza per l'Europa. Ma, nello stesso tempo, viene messo in rilievo che ciò avviene non certo automaticamente, ma nella misura in cui le Chiese di oggi, con tutte le loro molteplici articolazioni, si sforzano concretamente di rivivere e riattualizzare la prassi evangelizzatrice attuata da Gesù di Nazaret nella sua esistenza storica: la sua umanità e umiltà, il suo rapporto filiale col Padre della vita, il suo sentirsi consacrato dallo Spirito e inviato al mondo; la sua compassione fattiva per la povera gente, i suoi tanti gesti tesi a liberare da tante forme di oppressione, a ridare salute, vita e gioia; il suo amore per la verità, la sua testimonianza del regno di giustizia e di pace fino al sacrificio totale di sé.

Di qui, una larga convergenza nel sottolineare la necessità di ridare un senso alla vita per l'europeo di oggi e di creare alcune condizioni perché la Chiesa possa dare vita a questa presentazione di Gesù come speranza per l'Europa: il riconoscere nella fedeltà del Signore e nella sua risurrezione la fonte e il sostegno della propria speranza; la necessità di mostrare in maniera intelligibile ma anche stimolante la persona di Cristo e i valori cristiani; aprire le persone e le culture al soprannaturale; offrire l'esperienza della potenza risanatrice della misericordia divina; predicare la fede con le parole e con la vita e con un linguaggio intelligibile dalla gente di oggi e, in particolare, dai giovani; offrire, soprattutto in alcuni contesti, la testimonianza di una comunione nella diversità, anche a livello sociale.

In particolare, l'apporto della Chiesa alla crescita della speranza in Europa può essere così tratteggiato: la spiritualità può rappresentare una risposta alla vacuità e alla frustrazione della civiltà dei consumi; lo spirito comunitario può spezzare le barriere delle prevenzioni, i nazionalismi, l'atomizzazione della società; la testimonianza missionaria è espressione di sollecitudine per il bene di ogni individuo affinché scopra il senso della sua vita.

A livello fondativo, si tratta di credere e di annunciare, soprattutto in tempi di pluralismo come i nostri, che la Trinità è la fonte e la sorgente della vita di tutto l'uomo e per tutti gli uomini e che nella rivelazione della Trinità trova la sua radice la dignità di ogni uomo e donna quali figli del Padre, chiamati alla condivisione e a costruire con lo Spirito una comunità di amore.

Si tratta pure di essere una Chiesa che, nella fedeltà alle note teologiche del Credo — unità, santità, cattolicità, apostolicità — sia capace di offrire e di testimoniare: fede autentica; carità fraterna; una vita vissuta secondo le beatitudini di cui Gesù è il modello; una vita di umanità e umiltà; il perdono in una comunità di fratelli; la prontezza a collaborare e a lavorare con gli uomini di buona volontà per il bene di tutti e in particolare dei bisognosi.

In una Chiesa siffatta, i credenti — uniti al Padre e consacrati nello Spirito nella verità — sapranno comunicare speranza, rivivendo la vita di Gesù, camminando con lui come pellegrini alla casa del Padre, essendo trasparenza della sua umanità e umiltà, comunicando compassione e perdono oltre che liberazione e gioia, costruendo la giustizia e la pace, vivendo a livello personale e liturgico una vita di preghiera quale incontro personale con il Signore.

39. C'è, però, chi rileva che la relazione tra Gesù Cristo, la Chiesa e la speranza non è così evidente nel tessuto concreto di tante comunità. Si riconosce pure l'esistenza nelle diverse Chiese di atteggiamenti e comportamenti, variamente rilevabili, che offuscano la speranza. Tra questi vengono richiamati: la tentazione del potere temporale e di appoggiarsi sulla forza delle finanze e di una organizzazione ben funzionante; una forma, seppure latente, di nuovo clericalismo; il fascino subdolo di servirsi di maniere forti nelle proposte, col pericolo di manipolare le coscienze e di evitare un lavoro previo di evangelizzazione; il rischio di cedere a forme raffinate di paternalismo nella realizzazione di tanti servizi caritativi, assistenziali.

Ne seguono: il bisogno di fare un esame di coscienza; la necessità di dare spazio a un rinnovato impegno di «conversione» al fine di eliminare o, per lo meno, di ridurre il divario più o meno largo esistente tra Vangelo proclamato a parole e Vangelo vissuto nei fatti; l'urgenza di dare spazio a rapporti di solidarietà vera nelle singole Chiese, tra ricchi e poveri, ma anche con le Chiese al di fuori dell'Europa, in una reale apertura al mondo.

C'è anche chi sottolinea la necessità, per comunicare speranza, di: promuovere la formazione cristiana dei professionisti, dei politici e dei diversi funzionari pubblici; creare, attraverso i mass media, un'opinione pubblica animata dai valori cristiani; formare al senso dell'Europa e della mondialità come esigenza della fede.

Soprattutto, però, ci sono alcune condizioni preliminari perché le nostre Chiese possano essere apportatrici di speranza per l'Europa di oggi. Sono condizioni che attengono al volto della Chiesa stessa e al suo modo di essere e di vivere. Su di esse, il Sinodo intende attirare l'attenzione e sollecitare l'esame di coscienza.

Una Chiesa che riconosce e accoglie la presenza e l'azione di Cristo e del suo Spirito

40. La speranza si affievolisce o scompare quando si affievolisce o scompare la certezza che nelle vicende della vita personale, familiare, sociale ed ecclesiale continua a essere presente il Signore con il suo Spirito e si fa strada la convinzione che tutto sia lasciato al caso e sia in qualche modo votato al non senso.

Se questa, come parrebbe, è una delle dimensioni fondamentali della crisi nodale della nostra epoca, compito imprescindibile della Chiesa è quello di credere e testimoniare che, anche oggi, Gesù Cristo continua ad essere presente nella storia con il dono del suo Spirito. Si tratta, allora, di nutrire la convinzione che lo Spirito di Cristo c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi: egli, nell'invisibilità e spesso nella piccolezza e nella debolezza, sta realmente giocando la sua partita vittoriosa. È lui che prolunga nel tempo e nello spazio la missione di Cristo Signore e costituisce la Chiesa come flusso di vita nuova, che scorre entro la storia degli uomini quale segno di speranza per tutti.

Nella sua vita e nella sua missione, la Chiesa è quindi chiamata a muoversi credendo e testimoniando che lo Spirito è capace di superare le divisioni e le frammentazioni, sa dare pace ai cuori e saldarli nella gioia della comunione con il Padre e con il Figlio in lui, è l'anima dell'unità della Chiesa e rende la comunità cristiana stessa segno, strumento e profezia dell'unità del mondo. Si tratta di credere e, conseguentemente, di riconoscere che, nello Spirito Santo, Gesù prende possesso oggi dei cuori che si aprono a lui sia nell'ascolto della Parola e nella partecipazione ai sacramenti, sia più in generale nell'accettazione del mistero della vita e della morte e nell'esperienza della carità, della solidarietà e della giustizia. Si tratta di essere una Chiesa che crede e testimonia con il suo stile che lo Spirito Santo è il Signore che dà la vita perché rende presente qui e ora il Vivente, al di là di tutte le barriere sociali, razziali, culturali e religiose e che questo stesso Spirito è all'opera nel cuore di ogni uomo, nel cuore delle città e della storia dell'Europa e del mondo, per suscitare in esse, oggi come ieri, persone e gruppi che siano come Gesù, che come lui pensino, agiscano, soffrano da veri figli di Dio e come lui donino la vita per i fratelli. Segno di questo modo di essere e di vivere sono, tra l'altro, la capacità di discernimento realistico sulle condizioni positive e negative della fede nella nostra epoca, senza indulgere né a vuoti ottimismi né a sterili pessimismi, e di intravedere e favorire quella rete di relazioni di amore che lo Spirito stesso sta formando anche oggi in Europa e che sono riflesso di quella rete di relazioni di amore che è la Trinità santa.

Se così non fosse, anche le nostre comunità ecclesiali cadrebbero in una delle tentazioni più sottili e perfide che consiste, appunto, nel dimenticare la presenza dello Spirito. E questo condurrebbe inevitabilmente alla stanchezza, alla delusione, all'insignificanza e alla mera ripetitività pastorale. Sarebbe il segno del venire meno della fiducia, tipica di chi pensa che Dio ci abbia abbandonati in un mondo cattivo, contro il quale lottare ad armi impari, perché l'indifferenza, l'egoismo e la dimenticanza di Dio hanno a poco a poco e inesorabilmente il sopravvento. La Chiesa, in tal modo, invece che essere apportatrice di speranza, contribuirebbe ad accrescere quel senso di tristezza che pare già attraversare l'Europa.

Tra i segni e i doni della presenza e dell'azione dello Spirito nel nostro tempo, che sono al tempo stesso degli importanti indicatori per il nostro cammino, vanno annoverati, il Concilio Vaticano II, il Catechismo della Chiesa Cattolica, la celebrazione e le indicazioni del Sinodo per l'Europa del 1991.(63) Oggi è necessario avere costantemente davanti agli occhi questi tre grandi doni-indicatori di strada, che lo Spirito Santo ha posto sulla via della Chiesa, e interrogarci sia su quanto abbiamo fatto tesoro di questi doni e ci siamo lasciati guidare da questi indicatori lungo gli anni trascorsi, sia sulle prospettive che gli stessi doni-indicatori possono dischiudere per il futuro.

Una Chiesa trasparenza di Cristo e modellata sul suo volto

41. Se, come si è richiamato, la Chiesa è tutta relativa a Cristo, è frutto del suo amore di donazione piena (cf Ef 5, 25) ed è anzi questo stesso amore presente e operante nella storia, è necessario che la sua pastorale non si basi e non ponga la sua fiducia sulle forze umane, ma sulla grazia di Dio, sul suo amore provvidente e onnipotente, sulle forze che sono donate da Cristo e dal suo Spirito. La radice viva e vivificante dell'agire della Chiesa deve, quindi, risiedere nella sua comunione con Cristo, nell'amore crescente a lui, nella intimità di vita con lui.

Per essere specchio limpido di Cristo, la Chiesa deve contemplare Cristo suo sposo con amore instancabile. La preghiera rivolta a lui, l'ascolto della sua parola, la meditazione dei suoi gesti, l'assimilazione al suo mistero, la partecipazione della sua grazia sono gli elementi essenziali e le condizioni ineliminabili per essere reale trasparenza di Cristo, fonte di fiducia e di speranza.

Primo compito essenziale è, coerentemente, quello di verificare il volto delle nostre Chiese per renderlo sempre più conforme al volto di Cristo. Se, infatti, la Chiesa dipende totalmente dalla Parola del Signore, da cui è generata, parlando di lei dobbiamo avere la coscienza che parliamo di Gesù e descrivendo il suo volto dobbiamo fare riferimento a quello di Gesù, per far sì che la contemplazione del suo volto possa tradursi in azioni, strutture e regole nella gioia e nella pace dello Spirito Santo.

Se vogliono essere capaci di testimoniare e diffondere la speranza, le nostre Chiese devono voler essere il Corpo di Cristo crocifisso nella storia, la ripresentazione del Suo volto nel tempo, confidando nella grazia dello Spirito e nella misericordia di Colui che perdona le mancanze con cui sfiguriamo quotidianamente questo volto dolcissimo e santo. Oggi, in particolare, si tratta di capire, contemplando il volto dell'uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia, che il nostro volto non potrà essere diverso dal Suo; che la nostra debolezza sarà forza e vittoria se sarà la ripresentazione del mistero della debolezza, dell'umiltà e della mitezza del nostro Dio. È questa mistica ecclesiale della «imitatio Christi» quella che ha ispirato il Concilio e che ritorna all'inizio e in altri passi della costituzione sulla Chiesa: «la luce di Lui, splendente sul volto della Chiesa, deve illuminare tutti gli uomini»;(64) la Chiesa «dalla virtù del Signore risuscitato trova forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà e per svelare al mondo, anche se non perfettamente, il mistero di Lui».(65)

A questo, il Sinodo deve richiamare e spronare e su questo deve sollecitare un coraggioso e salutare esame di coscienza.

42. Nella medesima direzione, ci si deve chiedere se nell'azione pastorale, al di là di una programmazione e di un'organizzazione pure necessarie, non si corra il rischio di misurarne il successo a partire dal numero delle iniziative intraprese e delle persone che vi danno risposta, o dai mezzi e dalle forze che si hanno a disposizione. Contro ogni tentazione di cadere nell'attivismo, per potere contribuire a rinnovare la speranza, occorre salvare ad ogni costo, nella pastorale, il primato dello spirituale, innanzitutto mediante un incessante ricorso alla preghiera, certi che quest'ultima «significa sempre una specie di "confessione", di riconoscimento della presenza di Dio nella storia e della sua opera a favore degli uomini e dei popoli» e che, «al tempo stesso la preghiera promuove una più stretta unione con Lui e un reciproco avvicinamento tra gli uomini».(66) Con la convinzione, per altro, che non ci può essere vero rinnovamento anche sociale che non parta dalla contemplazione: «l'incontro con Dio nella preghiera immette nelle pieghe della storia una forza misteriosa che tocca i cuori, li induce alla conversione e al rinnovamento e proprio in questo diventa anche una potente forza storica di trasformazione delle strutture sociali».(67)

In questa prospettiva, il Sinodo dovrà vedere se le Chiese in Europa, prima di essere Chiese che «fanno» qualcosa, sono Chiese che lodano Dio, ne riconoscono il primato assoluto, stanno davanti a lui in silenziosa adorazione.

Per una verifica dell'esigenza e della domanda di spiritualità

43. In ordine a queste radicali condizioni che possono permettere alle Chiese europee di essere apportatrici di gioiosa speranza, viene notato da più parti che, pur nel complessivo processo di secolarizzazione che caratterizza il continente europeo, non mancano, soprattutto tra i giovani, segnali che dicono il bisogno e la ricerca di spiritualità, a volte generica e in qualche modo «selvaggia», che chiede di essere interpretata e guidata, richiamando e aiutando a vivere le dimensioni fondamentali di un'autentica spiritualità cristiana come conversione personale, esperienza di Chiesa, sequela del Signore e servizio ai fratelli. L'ideale dell'autorealizzazione di sé, accompagnato da un clima di individualismo, soggettivismo, pragmatismo ed edonismo, se per un verso continua a provocare una sorta di destrutturazione del mondo simbolico religioso e ad aggravare la crisi del linguaggio religioso tradizionale, per un altro verso stimola la ricerca di esperienze religiose di vario tipo che vorrebbero rispondere a domande di accoglienza, di calore nei rapporti interpersonali, di gratificazione personale, di sostegno, di sicurezza. In questa linea, e nell'ottica di una ricerca della propria identità per non soccombere nell'attuale atomizzazione della società, vanno visti il successo di nuove forme di espressività religiosa e l'emergere di nuovi movimenti religiosi extra-ecclesiali, di credenze parallele, di «sette», di nuove forme di integrismo, della corsa verso le religioni orientali, della «New Age» e, addirittura, del ricorso a varie forme di satanismo.

In sintesi, sembra di poter dire che la mappa del comportamento religioso degli europei e, in particolare, delle giovani generazioni presenta lineamenti caratterizzati, da un lato, da stemperamento del modello tradizionale di religiosità e depotenziamento di varie credenze religiose e, dall'altro, da un generale aumento del bisogno di riferimenti religiosi, di sicurezza e di spiritualità, che sovente però restano assai globali, vaghi e generici, senza ricadute immediate sui comportamenti etici e sulle scelte personali.

Più positivamente, in numerose comunità dell'Est come dell'Ovest, è in atto il passaggio da una religiosità sacrale e di tradizione a una religione di convinzione e di coinvolgimento personale. Frutto di libera scelta e di convinta appartenenza ecclesiale che si traducono in comportamenti virtuosi, in spiritualità autentica e in operoso impegno apostolico, tale traguardo, in molti paesi, appare condiviso solo da minoranze, più o meno consistenti, di cristiani e cristiane, tra le quali vanno annoverati le comunità di vita consacrata e le aggregazioni laicali ad esse collegate, gli appartenenti a gruppi e movimenti ecclesiali e anche singoli e famiglie delle diverse parrocchie.

44. Non mancano, tuttavia, neppure segnali preoccupanti che attraversano le comunità cristiane, come: l'affievolirsi o il venir meno della preghiera personale e in famiglia; un certo abbandono del sacramento della riconciliazione; la ricerca di eventi straordinari e miracolistici; la fuga verso esperienze religiose esoteriche e verso le sette.

Ne segue l'urgenza e la necessità di un approfondito discernimento, che aiuti a vigilare di fronte al rischio di una spiritualità selettiva sincretistica che sceglie tra le varie «offerte di senso alla vita» quegli elementi adatti alla persona, ma che non è pronta e capace di impegnarsi in una fede concretamente vissuta. In particolare, va messo in rilievo che, in una autentica spiritualità ecclesiale, i diversi elementi e le diverse strade, lungi dal trasformarsi in forme dannose di polarizzazione, devono integrarsi e completarsi a vicenda e che è necessario collegare tra loro dimensione personale e dimensione comunitaria, così da non ridurre mai la spiritualità a una generica sorta di «religiosità privata».

Per quanto concerne, infine, i mezzi per favorire e educare una corretta spiritualità cristiana, spesso si va dalla creazione di piccole comunità ferventi carismatiche e non, alla promozione e animazione spirituale di piccoli gruppi; dall'apertura di centri di spiritualità e dal costante aggiornamento di quelli esistenti, alla promozione di pellegrinaggi a santuari e a luoghi (specialmente comunità monastiche e religiose) dove vengono vissute esperienze significative di preghiera, di contemplazione, di silenzio, di deserto; dalla programmazione di tempi di ritiro spirituale offerti a coppie e a giovani, a nuovi tipi di catecumenato per adulti cristiani; dall'offerta di un'aggiornata letteratura che presenta e approfondisce argomenti di spiritualità, a proposte di una più viva animazione spirituale e di una più ricca vita di preghiera nelle comunità parrocchiali, soprattutto ponendo al centro la Parola di Dio e la sua meditazione, in particolare attraverso il metodo della «lectio divina». Senza tralasciare, anche per la rilevanza che essa riveste un po' in tutto il continente, una pratica cristianamente corretta del culto mariano e della stessa pietà popolare.

Una Chiesa vero luogo di comunione

45. Perché la Chiesa possa presentarsi davvero come corpo vivo di Cristo, segno credibile della presenza del Padre mediante Cristo Salvatore nella potenza dello Spirito, flusso apportatore di vita nuova dentro la storia degli uomini, è necessario che i discepoli di Cristo diventino una cosa sola nell'amore. Solo così essi sono riflesso splendente della Trinità: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). Se, infatti, l'Eucaristia è la presenza più grande del Signore risorto, l'amore reciproco vissuto con radicalità evangelica è la presenza più trasparente, che più interpella e induce a credere.

Ci si deve, quindi, interrogare su quale immagine di comunità cristiana occorre offrire per annunciare, celebrare e servire il «Vangelo della speranza».

La risposta non può che essere cercata in un modello di comunità fraterna e missionaria, da edificare con maggiore decisione e coerenza in ogni singola Chiesa.

Un clima di rapporti amichevoli, di comunicazione, di servizio, di corresponsabilità e partecipazione, di coscienza missionaria diffusa, di attenzione alle varie forme di povertà. Una cultura della reciprocità come emerge continuamente negli scritti di san Paolo: stimarsi, accogliersi, edificarsi, servirsi, sostenersi, correggersi, confrontarsi vicendevolmente (Cfr. ad esempio: Rm 12, 10; 15, 7.14; Gal 5, 13; 6,2; Col 3, 13; 1 Ts 5, 11). Una valorizzazione della varietà dei carismi, delle vocazioni e delle responsabilità, in modo da convergere verso l'unità e arricchirla (cfr. 1 Cor 12). Una cordiale collaborazione tra le diverse aggregazioni di fedeli. Una molteplicità di operatori pastorali qualificati sul piano spirituale, teologico e pastorale che, in comunione affettiva ed effettiva con il Vescovo e con i presbiteri, siano responsabili di specifici servizi ecclesiali. Un rilancio degli organismi di partecipazione, percepiti come segni e strumenti efficaci per la crescita della comunione e la promozione di una concorde azione missionaria. Una pastorale ecclesiale unitaria e differenziata. Una pastorale educativa e missionaria sul territorio, aperta alla missione universale «ad gentes». Sono queste le linee essenziali che concorrono a tratteggiare il volto di una comunità ecclesiale viva, capace di generare e di educare alla fede oggi.

Per una verifica della comunione nella Chiesa

46. In generale, si deve riconoscere che, pur avendo fatto notevoli passi in avanti nell'elaborare una teologia della «koinonia», continua a sussistere una prassi non adeguatamente comunicativa nella Chiesa. Di qui l'esigenza di approfondire, attraverso un vicendevole e franco dialogo, le conseguenze della teologia della comunione nel rapporto tra la Chiesa che presiede alla comunione universale e le Chiese particolari, nelle stesse Chiese particolari, nel vissuto quotidiano delle Chiese locali e, in particolare, nelle dinamiche decisionali ecclesiali.

Tra i segni più concreti ed evidenti nei quali si manifesta la comunione nelle Chiese d'Europa, vengono normalmente ricordati: la vita associativa nei gruppi e nei movimenti; il diffondersi del fenomeno del volontariato; le innumerevoli iniziative di solidarietà verso i più bisognosi sia del proprio paese che dei paesi più poveri specialmente dell'emisfero sud e dell'oriente.

Non manca chi, tra i fattori di comunione e di unità dentro la comunità cristiana, sottolinea: la imprescindibilità della comunità parrocchiale quale luogo fondamentale di comunione; la comunione nel presbiterio e tra le diverse comunità anche mediante nuove forme di articolazione delle medesime (come le cosiddette unità pastorali); la cooperazione tra le Chiese nella missione «ad gentes», sia in ordine all'annuncio evangelico, sia mediante forme di concreta solidarietà con le Chiese più povere, attuate con vari strumenti, tra i quali vanno ricordati i «gemellaggi» tra le comunità.

47. In particolare, viene sottolineato come, per una corretta visione ed esperienza di Chiesa come realtà di comunione, sia centrale il ruolo della parrocchia, come realtà nella quale, pur con tutte le sue fragilità, si può vivere in modo tangibile e senza esclusioni il valore della comunione e della corresponsabilità. Si tratta, però, di una parrocchia da interpretare e da vivere come luogo privilegiato della pastorale ordinaria (nel quale la fede può diventare accessibile a tutti entro le condizioni della vita quotidiana), della corresponsabilità pastorale e della dinamica missionaria. La parrocchia, infatti, resta il luogo «in cui fedeli dalle diverse sensibilità comunicano nella stessa liturgia, in cui i movimenti specializzati si incontrano, in cui le attività di catechesi, di formazione, di preparazione ai sacramenti, di apostolato o di reciproco aiuto si coordinano senza divisioni».(68) C'è chi, sottolinea, a tale riguardo, l'importanza di realizzare un corretto rapporto di coordinamento e di buona integrazione tra la comunità parrocchiale e i diversi movimenti ecclesiali: a queste condizioni, infatti, questi ultimi possono apportare un prezioso impulso alla missione, contribuire a far maturare la vita spirituale, a formare i giovani, a condividere la preoccupazione apostolica nei diversi ambiti della vita, a rendere efficaci e costanti l'accoglienza e il servizio ai più bisognosi. (69)

C'è pure chi — notando come i rapporti esistenti entro le concrete comunità cristiane sono tuttora contrassegnati, dove più dove meno, da atteggiamenti e comportamenti che vanno dall'accettazione sincera o dalla semplice tolleranza, alla mutua presa di distanza, alla contrapposizione polemica e perfino al rifiuto — mette in risalto la valenza comunionale di tutte quelle iniziative che, a livello parrocchiale o interparrocchiale, mirano a proporre itinerari attenti alle condizioni di vita e alle situazioni reali dei vari interlocutori.

48. Non mancano neppure sollecitazioni ad affrontare la questione della donna nella società e nella Chiesa, sia sottolineando che nelle varie comunità ecclesiali si sono fatti passi avanti — più rilevanti e coraggiosi in alcune, meno avanzati e più timorosi in altre — per eliminare visioni unilaterali di non pieno riconoscimento dell'uguale dignità e dei pari diritti e doveri degli uomini e delle donne nei vari settori della vita familiare e sociale, e dello specifico apporto delle cristiane nella vita e nell'azione evangelizzatrice della Chiesa, sia riconoscendo con franchezza che, specialmente in alcune Chiese, c'è ancora molta strada da fare al riguardo.

Un altro ambito nel quale — si fa notare — la credibilità della Chiesa come promotrice di comunione è messa a dura prova è il suo atteggiamento e comportamento verso le persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Qui la sfida consiste sostanzialmente nel proclamare i valori morali in fedeltà al vangelo e nell'essere, nello stesso tempo, una casa capace di accogliere e sostenere.

C'è, infine, chi sottolinea l'urgenza e l'importanza della comunione tra Chiese europee ed extraeuropee, da realizzare mediante contatti che devono diventare un autentico reciproco «scambio di doni».

49. Particolare rilievo è dato al tema del rapporto e della collaborazione tra presbiteri e laici. A tale riguardo, ci si trova di fronte a situazioni diversificate e, a volte, di segno contrario, anche se abbastanza unanime sembra l'auspicio che si abbia a realizzare una buona cooperazione. Essa — si nota — non deve solo far fronte alla situazione di emergenza dovuta alla mancanza di sacerdoti, ma deve fondarsi sempre di più sulla convinzione che il ministero ordinato e il sacerdozio comune, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, completandosi a vicenda.(70)

Tra quanti vivono una convinta e fattiva partecipazione nella vita della comunità ecclesiale, grazie anche all'esistenza dei vari consigli e organismi di partecipazione a livello parrocchiale e sovraparrocchiale, si assiste a un positivo sviluppo della collaborazione, e spesso della corresponsabilità, sul piano di una riconosciuta parità, pur nel rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno. Ciò, oltre che nella vita parrocchiale, appare anche nell'ambito dei nuovi movimenti e nelle comunità di vita consacrata.

Continuano, tuttavia, a sussistere numerose situazioni nelle quali i preti mantengono una mentalità piuttosto dominatrice e autoritaria, che non consente adeguatamente né il rispetto della maturità dei fedeli laici e della loro condizione di persone adulte e responsabili in tanti settori del vivere familiare e sociale, né di valorizzare il prezioso contributo che essi possono offrire alla comunità ecclesiale. Anche se tale situazione sta progressivamente cambiando, spesso una effettiva collaborazione nella comune missione resta distante dalla realtà.

Non mancano neppure Chiese nelle quali la collaborazione sacerdoti-laici non viene avvertiva come una priorità da perseguire.

Con riferimento all'Europa centrale e orientale, poi, si nota, per un verso, come il permanere di qualche fatica a vivere una collaborazione precisa e formalizzata tra sacerdoti e laici sia, a volte, dovuta anche al fatto che, durante i regimi comunisti, l'assunzione di responsabilità e di iniziativa, oltre a non essere né educata né favorita, era spesso vietata e repressa. Per altro verso, però, non si può tacere il fatto che, proprio durante gli anni della dittatura, da parte di non pochi laici, si è vissuta una reale, anche se nascosta ed esteriormente mortificata, corresponsabilità ecclesiale, giunta spesso a forme di eroica testimonianza di fede e di amore alla Chiesa, presupposti essenziali e preziosi per la realizzazione di modalità anche più puntuali e strutturali di collaborazione con i presbiteri.

In ogni caso e nelle più diverse situazioni laicali, ciò che è necessario è un profondo cambiamento di mentalità, che va realizzato e che richiede tempo, pazienza e formazione da parte di tutti gli interessati.

50. Un altro ambito particolare di comunione che interpella le Chiese è quello che riguarda l'attenzione e la sollecitudine per coloro che vivono ai margini della comunità cristiana e, in particolare, per i «lontani», senza dare a quest'ultima terminologia alcun tipo di valutazione morale.

Generalmente si sottolinea che tra i modi con cui si esprime anche a tale riguardo il volto comunionale della Chiesa vanno ricordate anzitutto quelle forme di rapporto che si riesce a realizzare in alcune occasioni particolari e di tipo spesso episodico, quali: la preparazione e la celebrazione dei sacramenti per i figli, il momento della celebrazione di un matrimonio o di un funerale; momenti di crisi esistenziale; certe feste liturgiche o popolari; occasioni di turismo religioso o di pellegrinaggio; l'annuale benedizione delle famiglie; le missioni popolari.

Non mancano neppure iniziative specifiche promosse da alcune Chiese come: cattedre di incontro di sostenitori di diversi umanesimi con testimoni qualificati in ambito cattolico; confronti culturali tramite servizi radiofonici e televisivi; inserimento del pensiero cattolico nella stampa di ispirazione «laica» e ospitalità del pensiero di autori laici nella stampa cattolica; luoghi di ascolto e di confronto a vari livelli.

Molto apprezzate sono anche le possibilità aperte da azioni pastorali di categoria, per esempio nella cura pastorale dei militari. Si mette pure in rilievo il ruolo che può essere svolto sia dalle scuole cattoliche, sovente ricercate anche da chi non è particolarmente vicino alla Chiesa sia dall'insegnamento della religione nello scuole dello Stato. Un altro spazio prezioso è offerto dal patrimonio artistico e culturale, che può diventare punto di incontro per quanti si sono «allontanati dalla Chiesa».

Né va sottovalutata, anche se è difficilmente rilevabile, la fitta rete di rapporti capillari che si creano in famiglia, nell'ambiente di lavoro, nei rapporti sociali, nel tempo libero, tra cristiani e cristiane cosiddetti praticanti e attivi o comunque sensibili alla religione e credenti che sono annoverati in quest'area di cristianesimo caratterizzato da un'appartenenza parziale e altalenante alla Chiesa: spazi vitali, tutti questi, nei quali viene comunicato in maniera spontanea e incisiva più un vangelo «vissuto» che un vangelo «proclamato».

Annunciare il «Vangelo della speranza»

Martyria

Un «supplemento d'anima» per l'Europa

51. In un'epoca, come la nostra, che sta attraversando una grande svolta storica, mentre si va trasformando il volto dell'Europa e del mondo, emerge, rinnovato e urgente, il bisogno di evangelizzare: «Oggi la Chiesa si sente sollecitata dal Maestro ad intensificare "ad intra" e "ad extra" lo sforzo dell'evangelizzazione. Si sente costantemente una Chiesa missionaria, una Chiesa inviata, per spargere il seme della parola di Dio nel terreno del mondo contemporaneo».(71)

Se questa è la sfida che attende la Chiesa di oggi, non può essere certamente sufficiente un appello nostalgico o romantico alla pur grandissima eredità europea, alle sue radici e alla sua anima cristiana.

A questo proposito, tra l'altro, risulta che pochi ritengono che si possa affermare che l'Europa ha un'anima cristiana. Tale affermazione, infatti, non può non suscitare seri interrogativi se si tiene conto della storia europea di questo secolo con i drammi, i conflitti, le oppressioni dell'uomo e le ideologie che l'hanno accompagnato e se si guarda ai diversi fenomeni culturali, per una parte negativi e per altra oltremodo problematici, che caratterizzano l'attuale contesto europeo. Forse sembrerebbe più accettabile dire che possono essere tuttora rintracciate delle profonde radici cristiane nella storia e nelle vicende dell'Europa e, soprattutto, che tali radici non sono irrimediabilmente intaccate dal processo di secolarizzazione e che sussiste un considerevole bisogno del sacro e un promettente ritorno a riferimenti di tipo religioso. Né si può dimenticare che l'Europa di oggi, e ancor più quella futura, appare come realtà profondamente multiculturale e multireligiosa, nella quale cresce la presenza dell'Islam oltre a una diffusa indifferenza religiosa.

Non si tratta, quindi, — come, per altro, già risultava dalla prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi — di postulare una coincidenza tra Europa e cristianesimo, mai esistita ed ora meno che meno proponibile. Non c'è dubbio, infatti, che l'Europa e la cultura europea siano cresciute da molte radici. E, tuttavia, nessuno può dubitare che la fede cristiana appartenga, in modo radicale e determinante, ai fondamenti dell'identità europea. Si può affermare, cioè, che il cristianesimo ha dato forma all'Europa, imprimendovi alcuni valori fondamentali, quali: la fede in un Dio trascendente, entrato per amore nella vita degli uomini; il concetto nuovo e centrale della persona umana e della sua dignità, tanto da poter dire che la centralità etica della persona umana costituisce il referente primario e il principio di individuazione dell'identità europea; la fraternità tra gli uomini, quale principio di convivenza solidale nella diversità degli uomini e dei popoli.(72)

Si tratta, piuttosto, riconoscendo e rivitalizzando questa preziosa eredità, di dare anche oggi un «supplemento d'anima» all'Europa che sta nascendo. È questa, per altro, una richiesta che va emergendo anche tra le persone più attente e responsabili del Continente.

Per fare questo, la Chiesa non ha altra forza e altra strada che quella del Vangelo. Ne viene, ancora una volta, l'urgenza e l'importanza di sviluppare quella «nuova evangelizzazione» di cui parla, instancabilmente e con particolare riferimento all'Europa, Giovanni Paolo II. Essa non parte certo da zero e, tuttavia, deve essere avvertita come compito primario, deve occuparsi di nuovo del fondamento, cioè di Gesù Cristo e del Dio di Gesù Cristo, e correlativamente della dimensione trascendente della persona umana, nella convinzione che la sua centralità etica non può resistere a lungo se viene privata del proprio substrato ontologico. Non basta, dunque, proporre quei valori che si possono qualificare come evangelici e insieme umanistici, come la giustizia, la pace, la libertà: non perché essi non siano essenziali, ma perché è in gioco qualcosa di più originario e fondante.(73)

La nuova evangelizzazione

52. Se oggi — come viene ampiamente riconosciuto — si riscontra una certa convergenza nel ritenere la nuova evangelizzazione come un impegno primario nella vita e nell'azione della Chiesa, non si può non notare che, a volte, tutto ciò rischia di limitarsi a una affermazione verbale ricorrente nel linguaggio e nei ragionamenti cui non fa riscontro la realtà. Di qui il bisogno di un cammino ancora lungo perché davvero la prospettiva della nuova evangelizzazione risulti prioritaria in tutta l'azione pastorale della Chiesa.

Non manca, tuttavia, chi sottolinea che la nuova evangelizzazione non è vista come impegno primario o che, addirittura, ci si imbatte in qualche resistenza di fronte a questa prospettiva o per il permanere di una certa mentalità conservatrice o per una certa incomprensione della realtà della nuova evangelizzazione e del suo significato.

A tale proposito, c'è chi suggerisce di interrogarsi sulla stessa formulazione verbale per vedere se non si debba parlare di «evangelizzazione nuova» più che di «nuova evangelizzazione», così da mettere in luce che non si tratta di predicare un nuovo vangelo, ma di proporre alle diverse generazioni, in un contesto nuovo, con una forza nuova e con metodi e mezzi nuovi il permanente Vangelo di Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa, nella convinzione che «Cristo che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (Eb 13, 8).

53. Come si è già detto, l'obiettivo principale della nuova evangelizzazione e il suo contenuto essenziale sta nel proporre la figura di Gesù Cristo come unica fonte di salvezza per tutti gli uomini. Diversi sono i modi con cui ciò può avvenire: «proclamando» Gesù e la fede in lui in occasioni pubbliche e nel dialogo amichevole e fraterno; attuando modi concreti di vita personale, familiare e comunitaria che rispecchino il Vangelo e sappiano così «attrarre» altri alla fede nel Signore; come lampada sul candeliere o città sul monte, «irradiando» intorno a sé gioia, amore e speranza, perché molti vedano le nostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli (cfr. Mt 5, 16), siano «contagiati» e vengano conquistati considerando la condotta irreprensibile e animata dall'amore di singoli, gruppi e comunità (cfr. 1 Pt 3, 1-2); facendo da «lievito» che trasforma, vivifica e anima dal di dentro ogni concreta espressione culturale. Sono tutti modi che non sempre si distinguono adeguatamente e che, spesso, si integrano a vicenda. In ogni caso, tutti concorrono a sollecitare una «nuova» evangelizzazione.

Ne segue che nuovo deve essere l'impegno per l'evangelizzazione, perché nuove sono le chiusure e le resistenze alla forza e alla verità del Vangelo. In modo particolare l'uomo moderno tende a riporre la sua fiducia nella scienza e nella ragione, facendole diventare gli unici elementi da cui derivare senso e criteri per il vivere umano. Su questa base viene attribuito alla libertà un valore assoluto e indiscriminato. La fede viene percepita come un limite al potere scientifico e tecnologico e un vincolo inaccettabile per la libertà. Evitando ogni fuga nello spiritualismo, si tratta quindi di mostrare, con la parola e la testimonianza, la ragionevolezza della fede e nello stesso tempo di far capire che la ragione e la libertà senza la luce della fede non solo non raggiungono gli esiti sperati, ma si trasformano in un pericolo per l'uomo e la società.

Gli eventi tragici di questo secolo devono costituire un monito permanente di fronte alle ricorrenti assolutizzazioni dei diritti individuali o etnici. L'annuncio e la testimonianza del Vangelo costituiscono la più grande risorsa per dare all'Europa quell'anima, indispensabile e tanto invocata, capace di fare dell'economia un servizio al bene comune, della politica il luogo di decisioni responsabili e lungimiranti, della vita sociale lo spazio per la promozione dei soggetti intermedi, dalla famiglia alle associazioni, che rappresentano il tessuto vivo della nuova comunità europea.

54. In molti casi, la nuova evangelizzazione è certamente incentrata, di fatto, sull'annuncio della persona di Gesù. Tutto ciò è andato crescendo, in particolare, nella predicazione e nella catechesi. È questa, per altro, un'esigenza che deriva dall'attuale contesto socioculturale, nel quale la figura di Gesù esercita una significativa forza di attrazione per i nostri contemporanei e, in particolare, per i giovani e il rapporto personale con lui viene avvertito come molto importante e significativo. Si tratta, però, di vigilare perché lo stesso Signore Gesù non sia presentato solo come modello etico o come uomo esemplare, ma anche e innanzitutto come il Figlio di Dio vivo e l'unico e necessario Salvatore. Di qui la necessità di una catechesi sistematica, di un continuo e corretto riferimento alla Parola di Dio, di una adeguata ripresa del mistero pasquale.

Più difficile, invece, appare in molti casi il percepire che il Signore Gesù è «vivente nella sua Chiesa»: non sono pochi, infatti, i cristiani, che pur avvertendo l'importanza del rapporto con Gesù non vedono né ritengono altrettanto importante il rapporto con la Chiesa. Ciò può dipendere dal fatto che la concreta esperienza di Chiesa che alcuni incontrano non sempre appare come adeguata trasparenza del Signore. Spesso va di pari passo con il fatto che — anche per l'influsso esercitato dai mass media — la Chiesa appare come realtà marginale alla società o, per altro canto, il suo ruolo viene spesso ridotto a quello di servizio sociale e di carità, mentre viene sottaciuto o addirittura negato o deriso il suo compito di guida.

Di qui — come si è già visto — la necessità e l'urgenza, per la Chiesa, di rinnovare il suo volto nella fedeltà al suo Signore, di essere e presentarsi autenticamente come comunità di fede e di amore, di favorire e sostenere l'incontro degli uomini e delle donne di oggi con il Risorto, di essere autentico luogo di testimonianza evangelica non solo da parte dei suoi singoli membri ma anche come comunità vivente.

55. Una attenzione particolare deve essere, poi, riservata al rapporto tra libertà ed evangelizzazione. A tale proposito, si converge nel ritenere che il nuovo clima di libertà che si respira in tutti i paesi d'Europa costituisce certamente un valore evangelico, ma non manca chi ricorda che esso non sempre viene sperimentato e vissuto come tale. Senza dubbio esso consente di realizzare una fitta rete di relazioni, di comunicazione e solidarietà tra popoli, culture, sistemi sociali e politici e fedi religiose differenti. E questo è parte significativa e rilevante di un'evangelizzazione nuova dell'Europa, che in un recente passato è stata teatro di tante profonde divisioni, dolorosi conflitti e tragiche guerre.

Da parte di alcuni si chiede di chiarire in che cosa consiste veramente la libertà, dato che spesso la concezione di libertà diffusa nell'Europa di oggi è debitrice di una visione neoliberale individualista e utilitaristica della realtà e, come tale, non solo non favorisce, ma ostacola l'opera evangelizzatrice.

Va pure ricordato che spesso il cristianesimo, e in esso particolarmente la Chiesa, sono visti come ostacoli e nemici della libertà e che si tenta di persuadere l'uomo e le società intere che Dio è di ostacolo sulla via verso la libertà. A tale proposito, è necessario presentare il vero volto del Dio di Gesù Cristo, che non è di ostacolo alla libertà ma il garante della vera libertà. Nello stesso tempo, è importante che la Chiesa stessa sappia presentarsi come pronta ad ascoltare le domande e i problemi degli uomini e delle donne, offrendo loro la risposta del Vangelo, nella verità e nella carità, in un clima — come da qualcuno viene sottolineato — di autentica fraternità e «sinodalità» dentro la stessa Chiesa, nelle singole conferenze episcopali, tra le diverse Chiese locali e le istanze ecclesiali regionali o universali.

56. Diversi sono anche gli ostacoli e le difficoltà che la nuova evangelizzazione incontra nell'Europa di oggi.

In molti paesi sono riconducibili ad alcuni fenomeni sociali e culturali, quali: le tante forme di indifferenza religiosa; una sorta di pluralismo indifferenziato e tendenzialmente scettico o agnostico; il relativismo etico; il peso di un liberalismo sfrenato in occidente e il suo influsso crescente nell'est europeo; un diffuso appiattimento sugli interessi materiali con il conseguente clima di materialismo pratico e di edonismo individualista; una certa superficialità nei rapporti interpersonali; l'individualismo e il disinteresse di fronte a urgenze e interpellanze emergenti in molte aree del vivere civile e sociale; il ruolo sempre più decisivo e persuasivo dei mezzi di comunicazione sociale; un certo fondamentalismo e fanatismo settario, che si riscontra soprattutto in alcuni paesi; il senso di assuefazione che a volte si insinua in chi crede di conoscere già abbastanza il Vangelo.

Ci sono poi alcune situazioni ecclesiali che costituiscono altrettante difficoltà nell'impegno di evangelizzazione. Tra questi, da più parti vengono sottolineati: l'invecchiamento del personale attivo nell'evangelizzazione, l'inefficacia di tanto linguaggio religioso e la mancanza di autorevolezza nell'esercizio dell'autorità.

Specialmente nelle Chiese e comunità dell'Europa occidentale, l'invecchiamento del clero, degli appartenenti agli istituti di vita consacrata, delle laiche e dei laici impegnati attivamente nella vita delle parrocchie offre un'immagine piuttosto vecchia e poco dinamica della Chiesa e ostacola il flusso vocazionale, rendendo così piuttosto difficoltoso l'impegnarsi in modo creativo nell'opera evangelizzatrice.

Alcuni parlano anche dell'inefficacia e dell'incomprensione del linguaggio e dei messaggi del magistero. Sovente, infatti, il linguaggio della fede impiegato in testi ufficiali della Chiesa, nella predicazione, nella catechesi appare come molto distante dall'ordinaria esperienza umana. Di qui il bisogno di trovare un nuovo linguaggio con cui parlare in maniera penetrante e convincente del mistero santo e insondabile di Dio: un linguaggio che nasce da un silenzioso ascolto delle Scritture e delle persone, lasciandosi mettere in questione dai loro problemi e dai loro punti di vista. Né va dimenticato che la crisi di autorevolezza nei pronunciamenti della Chiesa è dovuta anche al fatto che spesso gli interventi magisteriali vengono percepiti come un ribadire alcuni asserti riguardanti il campo della fede e della morale, senza riuscire a esibire in modo convincente le motivazioni e a confrontarsi seriamente con posizioni e ragioni differenti.

57. Ai fini dell'evangelizzazione nell'attuale contesto culturale europeo, determinante appare, in ogni caso, la presenza di segni vivi e trasparenti, capaci di manifestare la presenza del Signore, in modo da destare meraviglia e da interpellare le coscienze. Non c'è dubbio, infatti, che «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni» e che, di conseguenza, per poter evangelizzare, i singoli e la Chiesa intera devono offrire una testimonianza vissuta di fedeltà al Signore, di povertà, di distacco, in una parola, di santità.(74)

Decisiva è, quindi, la presenza e la testimonianza di santi: la santità è prerequisito essenziale per un'autentica evangelizzazione, capace di ridare speranza. Occorrono testimonianze forti, personali e comunitarie, di vita nuova in Cristo. Non basta che la verità e la grazia siano offerte mediante la proclamazione della Parola e la celebrazione dell'Eucaristia e dei Sacramenti; è necessario che siano accolte, vissute e testimoniate in tutte le relazioni e attività che costituiscono il vissuto concreto, nel modo di essere dei cristiani e delle comunità ecclesiali. Non bastano discorsi e riti, per quanto belli, occorrono forme di vita belle e piene di significato e di fascino. Nella misura in cui accolgono, vivono e manifestano l'amore di Dio, i cristiani e le comunità ecclesiali accolgono, vivono e manifestano Cristo presente in loro, gli consentono di incontrare gli indifferenti e i non credenti e di interpellare efficacemente le loro coscienze.

58. Diversi e molteplici sono, infine, gli ambiti e i percorsi della nuova evangelizzazione. Tra questi, possono essere ricordati e meritano particolare attenzione: i giovani, i poveri, l'impegno sociale e politico, la comunicazione sociale.

I giovani rappresentano il futuro dell'Europa, sulla quale, del resto, incombe una grave ipoteca per l'insufficiente ricambio generazionale. Verso di essi occorre indirizzare ogni sforzo, per offrire loro occasioni di crescita nella fede e per aiutarli sia a trovare nel Vangelo la risposta alla loro ricerca di felicità, di verità e di giustizia, sia ad essere evangelizzatori essi stessi.

In un'Europa che misura tutto con parametri economici, la Chiesa resta uno dei baluardi più solidi per l'attenzione agli ultimi e per la salvaguardia della dignità umana. Questi valori fondamentali esigono l'individuazione di percorsi culturali e sociali adeguati, perché non manchi il contributo della Chiesa, che non si esaurisce nella sfera religiosa, nel momento decisivo in cui si pongono le basi per il futuro dell'Europa.

Le «res novae» createsi in Europa — se non si vuole ricadere in nuove forme di non-riconoscimento e di rinnegamento dei valori dello spirito — richiedono nei cristiani un sovrappiù di coscienza morale e di ispirazione evangelica. Di qui la necessità e l'urgenza di una adeguata formazione di laici impegnati in ambito sociale e politico.

Una Chiesa che non comunica, non evangelizza né fa cultura. Di qui la necessità e l'urgenza, per la Chiesa, di essere presente nel panorama del nuovo contesto comunicativo, sia mediante una attenzione per i media e al loro sapiente utilizzo, sia tramite una pastorale organica della comunicazione sociale.

59. In questo quadro, v'è chi mette in luce come le iniziative più significative di nuova evangelizzazione rilevabili in varie chiese d'Europa sono proprio quelle che intendono rispondere a esigenze e interpellanze particolarmente sentite oggi.

Così, a titolo esemplificativo, possono essere ricordate: esperienze di impegno educativo, catechesi e incontri culturali che vanno al cuore della fede, in risposta all'esigenza di autenticità; forme personali o associative di presenza evangelizzatrice dirette a stabilire rapporti di riconciliazione, di vicendevole accoglienza e di generosa compagnia e di dialogo, in risposta all'esigenza di relazione e di vicinanza che va affiorando in non pochi tessuti umani e sociali; iniziative evangelizzatrici dirette a far riscoprire la dignità inviolabile di ogni persona umana e il senso della vita, in risposta alla diffusa interpellanza antropologica; uno stile di vita alternativo nelle comunità parrocchiali e in singole aggregazioni, scuole di formazione all'impegno sociale e politico e ricerca di partecipazione alla vita civile, in risposta all'interpellanza etica e civile; esperienze di pastorale giovanile orientate a una reale e gioiosa riscoperta del Signore e adesione a lui maturando scelte forti di vita nella Chiesa e nella società, in risposta alle diverse interpellanze avanzate oggi dai giovani stessi.

Evangelizzazione ed ecumenismo

60. Tra i requisiti importanti per una reale opera evangelizzatrice, va certamente annoverato il cammino ecumenico. Non c'è dubbio, infatti, che, specialmente in Europa, l'unità dei credenti in Cristo sarebbe una opportunità fondamentale per dare nuovo slancio alla fede e alla sua incidenza nel tessuto culturale e sociale. Per questo — anche verificando il cammino fatto negli ultimi anni alla luce delle indicazioni della prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi —(75) la questione ecumenica non potrà non essere oggetto di attenta analisi da parte del Sinodo.

Nonostante il perdurare, or qui or là, di qualche atteggiamento di chiusura al dialogo ecumenico, abbastanza unanime sembra l'accordo circa la convinzione che la mancante unità dei cristiani indebolisce la comune testimonianza della fede e, conseguentemente, sulla necessità e sull'urgenza di una stretta collaborazione con le altre Chiese. In tale direzione si sono compiuti considerevoli progressi: sono coinvolte attivamente le comunità locali, le comunità di vita consacrata e soggetti ecclesiali impegnati in incontri e dialoghi a raggio diocesano, regionale e di Chiesa locale. Se tutto questo si manifesta con qualche fatica maggiore dove la presenza di altre Chiese è minoritaria, si deve però notare come anche in questi paesi va man mano crescendo la consapevolezza dell'imprescindibilità della dimensione ecumenica nella vita e nella missione della Chiesa.

Tra i fattori che contribuiscono a far crescere questa più diffusa sensibilità ecumenica c'è chi annovera sia le esperienze felici di incontri come quelli di Graz e quelli che si sono svolti nello «spirito di Assisi», sia l'esistenza di un «ecumenismo pratico» nella vita quotidiana di tanti fedeli e, in particolare, in ambito caritativo e sociale. Non sarebbero neppure da trascurare, nel dialogo ecumenico, la rilevanza della vita monastica nell'Europa orientale come in quella occidentale e il ruolo dell'arte e della cultura.

Quanto all'aspetto dottrinale — mentre si nota la disponibilità a cercare vie di confronto e avvicinamento teologico, che hanno già sortito effetti positivi, di cui si ha traccia evidente in alcune dichiarazioni comuni —(76) si sottolinea che lo sforzo per raggiungere l'unitànon deve essere fatto a spese della verità e che un «ecumenismo di superficie» sarebbe in contrasto con una unità veramente stabile nella fede e nella «diversità riconciliata».

61. Nel contempo, però, si rileva un po' generalmente che ci si trova di fronte a momenti di difficoltà, o addirittura di crisi.

In particolare, con la caduta del muro di Berlino e l'ampliamento dell'Europa, le relazioni con le Chiese ortodosse è diventata una grossa sfida, soprattutto per il crescere di una sorta di sfiducia reciproca e per i problemi concernenti la restituzione degli edifici di culto e di altri beni ecclesiastici, il riconoscimento giuridico delle varie istituzioni cattoliche, la possibilità, i limiti e i metodi dell'azione evangelizzatrice, i problemi connessi con la possibilità e la pratica della «intercomunione».

Forti tensioni sono sorte specialmente con le Chiese cattoliche orientali e i vicendevoli rapporti a volte sono difficili e conflittuali. Non mancano, tuttavia, segnali di abbassamento della tensione e di superamento di alcune difficoltà; si cerca di intessere legami di amicizia per una maggiore conoscenza vicendevole e per far crescere il confronto tra i responsabili; si dà spazio a momenti di incontro culturale, a scambio di professori in alcune istituzioni, a partecipazione alle rispettive feste liturgiche.

In paesi a maggioranza protestante della popolazione non di rado emergono problemi a causa di differenti valutazioni di alcune questioni etiche.

In dialogo con l'ebraismo e con le altre religioni

62. Già nella prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, nella considerazione di quanto è connesso con la nuova evangelizzazione e da essa è richiesto, si poneva l'accento sull'importanza di instaurare e vivere uno speciale rapporto con i nostri «fratelli maggiori» ebrei, nella convinzione che «la comune collaborazione a molteplici livelli tra cristiani ed ebrei, nel rispetto della diversità e dei contenuti specifici delle rispettive religioni, può assumere un grandissimo significato per il futuro religioso e civile dell'Europa e per il compito che essa ha nei confronti del resto del mondo»(77). E questo non solo perché la fede e la cultura ebraiche rappresentano un elemento costitutivo dello sviluppo della civiltà europea, ma anche e soprattutto in forza delle comuni radici che ci sono tra il cristianesimo e il popolo ebraico. La Chiesa, infatti, in virtù delle sue origini, ha un rapporto intrinseco, permanente e peculiare con il popolo ebraico. Di conseguenza il dialogo con l'ebraismo è di fondamentale importanza per l'autocoscienza cristiana e, dunque, per lo stesso cammino ecumenico.

Si tratta, allora, di verificare quanto si è fatto in questi anni e di continuare nel cammino intrapreso. In particolare, non si tratta solo di condannare e rigettare, a ogni livello, tutte le forme di antisemitismo. Più positivamente e radicalmente, occorre «operare perché fiorisca una nuova primavera nelle relazioni reciproche tra le due religioni».(78) Ciò può comportare, tra l'altro, di educarsi a riconoscere il ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza, di leggere il Nuovo Testamento non giustapponendolo o contrapponendolo all'Antico ma in continuità con esso, di venerare il mistero del popolo ebraico, conoscerne la storia e le tradizioni religiose, la cultura e le ricchezze spirituali, come pure di instaurare rapporti di vera e fraterna amicizia e di collaborazione con gli appartenenti alle comunità ebraiche, fino a sviluppare una comune responsabilità di fronte ai problemi della società in Europa e nei singoli paesi.

63. La crescita dei flussi migratori, intensificando il contatto con persone di altre tradizioni religiose, fa crescere l'esigenza di comprendere più profondamente che cosa, in questo contesto multiculturale e multireligioso, comporta per la Chiesa e per i cristiani la responsabilità dell'annuncio del Vangelo: è questo un compito al quale il Sinodo e le Chiese in Europa non possono sottrarsi.

Come già si affermava otto anni fa, al termine della prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, è necessario che «le altre religioni siano meglio conosciute, per poter instaurare un fraterno colloquio con le persone che a esse aderiscono e vivono in mezzo a noi»(79). Non basta, però, risolvere l'attenzione pastorale alle diverse tradizioni religiose in azioni caritative e assistenzialistiche; né è sufficiente un impegno comune tra i cristiani e gli appartenenti alle altre religioni in ordine alla giustizia, alla pace, alla libertà, alla salvaguardia della creazione. È urgente e necessario, piuttosto, un confronto che stimoli provvidenzialmente il recupero e l'approfondimento di valori fondamentali della tradizione cristiana. E questo perché «il rispetto della libertà e la giusta consapevolezza dei valori che si trovano nelle altre tradizioni religiose non devono indurre al relativismo, né indebolire la coscienza della necessità e dell'urgenza del comandamento di annunciare Cristo»(80) e perché un sincero e prudente dialogo, lungi dall'indebolire la fede, la deve rendere più solida e profonda.(81)

64. In particolare, data la rilevanza che la presenza dell'Islam va sempre più assumendo in Europa, quanto mai necessario si rivela il dialogo con i musulmani; ma esso «deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli. Affinché la solidarietà reciproca sia sincera, è necessaria la reciprocità nei rapporti, soprattutto nell'ambito della libertà religiosa, che costituisce un diritto fondato nella stessa dignità della persona umana e che pertanto deve essere valido in ogni luogo della terra».(82) Occorre, quindi, affrontare con serietà e lungimiranza le sfide poste da questa situazione. Per questo — sia promuovendo una precisa analisi e un adeguato discernimento delle diverse correnti presenti nell'Islam, sia continuando in tutta chiarezza il dialogo con i musulmani — «si tratta di conoscere meglio i loro valori spirituali e morali e, al tempo stesso, di consentire ad essi di avere una comprensione giusta della fede e della vita della Chiesa cui si accostano. A questo riguardo, è utile che sacerdoti e laici siano preparati a condurre questi dialoghi o a consigliare le comunità più coinvolte».(83)

Il problema delle sette

65. L'annuncio del «Vangelo della speranza», infine, deve oggi tener presente anche il complesso e variegato fenomeno delle sette. Esse sono diversificate tra di loro già in rapporto all'origine: è, quindi, necessario distinguere le sette di origine cristiana da quelle derivanti da altre religioni o da un certo umanesimo; quand'anche, poi, fossero di origine cristiana, esse vanno adeguatamente distinte dalle Chiese, dalle comunità ecclesiali o dai movimenti legittimi all'interno delle Chiese. Le sette, inoltre, sono diverse anche in rapporto alla grandezza, alle credenze, agli atteggiamenti e ai comportamenti verso altri gruppi religiosi e verso la società. In genere, si qualificano come gruppi religiosi relativamente piccoli che promuovono una identità forte negli adepti, fino a giungere talora a forme di completa dipendenza; si pongono spesso in netta contrapposizione al contesto religioso e sociale circostante, usando anche metodi di propaganda molto aggressivi; e favoriscono un intenso clima di accoglienza tra persone superando situazioni di isolamento; propugnano messaggi apocalittici, di credenza nell'aldilà e nell'avvento di un «mondo nuovo».

Diverse, anche se non divergenti, sono pure le interpretazioni che vengono date di questo fenomeno. Per alcuni sarebbero una conferma dell'attuale secolarizzazione; per altri sarebbero l'effetto della crisi del razionalismo tecnico-scientifico, con il richiamo a qualcosa di «altro» e di gratificante; per altri, ancora, una reazione alla burocratizzazione e all'anonimato di alcune esperienze religiose, con la ricerca di spazi comunitari aventi funzioni integrative e terapeutiche. C'è, infine, chi ritiene che esse rivelerebbero l'emergere del bisogno religioso e, quindi, sarebbero un segno inconfondibile, in positivo e in negativo, della vitalità religiosa della fine di questo secolo.

66. In ogni caso, si tratta di un fenomeno che interpella le Chiese e che le responsabilizza.

Spesso, tanto dell'Est quanto dell'Ovest, esse cercano di affrontare questo fenomeno con iniziative tese a far sì che le loro comunità locali siano luoghi più amorevoli e calorosi, dove le persone possono soddisfare le attese a cui le sette danno risposte parziali e non di rado disumanizzanti. Nello stesso tempo e generalmente, si cerca di prevenire la diffusione di questo fenomeno mediante una più solida formazione dei fedeli. In molti paesi esistono anche, a livello diocesano o interdiocesano, qualificate istituzioni che si impegnano ad affrontare il fenomeno sia con un'azione formativa, sia con attività di consulenza.

Più radicalmente, la Chiesa si vede sollecitata a un serio esame di coscienza su se stessa e a un profondo rinnovamento di fronte non soltanto a eventuali lentezze, vuoti o distorsioni della propria azione pastorale, ma anche e soprattutto al dovere supremo di annunciare a tutti i popoli Gesù Cristo, unico salvatore dell'uomo. La risposta della Chiesa — attraverso il tessuto ordinario della vita dei singoli fedeli (laici, consacrati, ordinati), delle famiglie, delle parrocchie, delle associazioni e dei diversi gruppi e movimenti ecclesiali — deve essere «globale»: deve ridare agli stessi cristiani, con una fede matura e convinta, la gioia, l'entusiasmo, la fierezza della loro identità di seguaci di Gesù nella Chiesa; deve sostenere e incoraggiare il primato della spiritualità. Come ha detto il Papa: «Al preoccupante fenomeno delle sette, bisogna reagire con un'azione pastorale che ponga al centro di tutto la persona, la sua dimensione comunitaria e il suo anelito a un rapporto personale con Dio. È un fatto che là dove la presenza della Chiesa è dinamica, come nel caso delle parrocchie in cui si impartisce un'assidua catechesi sulla parola di Dio, là dove esiste una liturgia attiva e partecipata, una solida pietà mariana, una effettiva solidarietà nel campo sociale, una forte sollecitudine pastorale per la famiglia, per i giovani, per i malati, vediamo che le sette o i movimenti para-religiosi non riescono ad attecchire o a svilupparsi».(84)

Celebrare il «Vangelo della speranza»

Leitourgia

La presenza del Risorto nei santi misteri

67. Per la Chiesa, celebrare il «Vangelo della speranza» significa, oggi più che mai, sia riconoscere la presenza viva e operante del Signore risorto nei «santi misteri», sia cercare e trovare in essi la forza e il nutrimento per la propria azione pastorale, testimoniando anche così la propria identità di comunità di discepoli riuniti intorno a Cristo che pongono in lui fiducia e speranza.

Era questa, per altro, l'intenzione profonda della riforma liturgica propiziata dal Concilio Vaticano II. Tale riforma, infatti, non dice soltanto «l'ansia di cambiamento che sembra caratterizzare la nostra epoca o il legittimo desiderio di adattare la celebrazione dei sacri misteri alla sensibilità e alla cultura dei nostri giorni. Dietro questo fenomeno si nasconde, in realtà, l'aspirazione dei credenti a vivere ed esprimere la loro più profonda e autentica identità di discepoli riuniti intorno a Cristo presente in mezzo a loro in modo incomparabile attraverso la sua Parola e i sacramenti, in particolare l'Eucaristia (cfr. Sacrosanctum Concilium, 7)».(85) Nella certezza — come afferma ancora il Papa — che «in questo modo, non soltanto si costruisce su una base solida e duratura l'edificio della fede (cfr. Lc 6, 48), ma l'intera comunità cristiana si rende consapevole del dovere di celebrare il mistero di Cristo, Salvatore del genere umano, e di annunciarlo e farlo conoscere apertamente agli uomini di oggi, vincendo la tentazione, sentita talvolta al proprio esterno e anche al proprio interno, di attribuire alla Chiesa altre identità e altri interessi. Infatti, la Chiesa vive più di quello che riceve dal suo Signore che di quanto può fare soltanto con le proprie forze».(86)

Per una verifica della vita liturgica

68. Considerando la concreta realtà delle nostre Chiese, si vede come l'incontro con il mistero grande e santo del Dio Trinità rivelato da Gesù nella liturgia e in altre forme di culto presenti uno spettro ampio di situazioni e di esperienze.

Nelle comunità nelle quali un'adeguata catechesi e formazione liturgica consentono di preparare convenientemente le celebrazioni liturgiche, queste ultime costituiscono momenti forti di convinto e profondo incontro con il mistero divino e di sincera comunione tra fratelli e sorelle che condividono la stessa fede nella lode, nell'invocazione e in gesti di vicendevole gioiosa accoglienza. Oltre che nelle comunità parrocchiali dell'Est e dell'Ovest, queste esperienze sono molto diffuse nelle comunità religiose rinnovate, nelle nuove fondazioni di vita consacrata e nei nuovi movimenti ecclesiali.

Esistono anche comunità che vantano una lunga tradizione di frequenza alla messa festiva e a quella quotidiana, di adorazione al Santissimo Sacramento e di devozione mariana. Né si può dimenticare che molti incontrano di preferenza il mistero del Dio vivente in espressioni cultuali profondamente radicate nelle proprie tradizioni religiose popolari: di qui la valenza della cosiddetta religiosità e pietà popolare, da interpretare e guidare.

In genere, si deve comunque riconoscere che si è di fronte a una reale attuazione della riforma liturgica, anche se essa non sempre ha dato origine a un reale e profondo rinnovamento liturgico e rimane ancora molto da fare per intensificare quella «participatio actuosa» di tutti i fedeli auspicata e sollecitata dal Concilio. In ogni caso, la liturgia rimane elemento focale in ordine alla crescita della fede.

69. Vanno pure ricordate, però, alcune situazioni contrassegnate da fenomeni per lo meno problematici.

In molti paesi dell'Occidente, le celebrazioni liturgiche sono frequentate quasi esclusivamente da anziani, specialmente donne, e da bambini, mentre sono disertate da persone giovani e di mezza età: ne segue, tra l'altro, l'immagine di una Chiesa vecchia, femminile e infantile.

Sia all'Est che all'Ovest, ci sono esperienze nelle quali la preoccupazione di essere attraenti mette in ombra la dimensione del mistero, dell'adorazione e della lode, ed esalta la ritualità, la condivisione e certo protagonismo del celebrante e/o di membri attivi dell'assemblea: ne segue, tra l'altro, un'immagine indubbiamente viva e vivace di Chiesa, ma più attenta all'esteriorità e all'emotività che alla profondità dell'incontro con il mistero santo di Dio.

Non mancano neppure esperienze di celebrazioni liturgiche e di pratiche devozionali molto preoccupate del rubricismo: il che contribuisce a renderle di fatto aride e scoraggianti per tante persone. Al contrario, sono rilevabili esperienze nelle quali, per raggiungere il mondo di una religiosità diffusa, si creano e si improvvisano celebrazioni liturgiche e incontri di preghiera che disattendono la normativa vigente e danno origine a una sorta di inaccettabile creatività liturgica selvaggia.

Un fenomeno da non dimenticare è, infine, quello costituito da taluni gruppi tradizionalisti che, accentuando alcune forme liturgiche esteriori, le fanno assurgere a criterio di ortodossia. È necessario riflettere su questa mentalità e sulle difficoltà conseguenti nella comunità.

Non c'è dubbio che questi modi diversi, e a volte contrapposti, di intendere e di vivere le celebrazioni liturgiche conducano spesso al crearsi di polarizzazioni nelle quali si coagulano anche altri aspetti, che concorrono a delineare un quadro nel quale sono in realtà due diversi modi di concepire e di vivere la Chiesa a confrontarsi e, purtroppo, a contrapporsi.

In varie parti, due problemi sembrano farsi particolarmente evidenti: il primo interno alla vita della Chiesa, il secondo provocato dal contesto culturale. Da una parte, nella concreta prassi celebrativa si sperimenta stanchezza, ripetitività, noia, uno stile ripetitivo e abitudinario che provoca rassegnazione; dall'altra, la cultura della modernità conduce a rimuovere il rito dal fondamento della fede.

70. Si avverte, perciò, l'urgenza di una adeguata formazione che abbia il carattere dell'iniziazione all'arte del celebrare. Di qui la necessità di proporre nell'annuncio e nella catechesi una «mistagogia liturgica» più intensa. Per questo, pare utile: strutturare itinerari di fede in cui catechesi, liturgia e carità siano sempre collegate e rapportate; curare una puntuale educazione liturgica dei futuri presbiteri e dei diversi operatori pastorali, in particolare degli animatori della liturgia e di quanti in essa svolgono qualche ministero; considerare la celebrazione eucaristica come «culmine e fonte» di tutta 1'azione liturgica, senza tuttavia tralasciare di valorizzare la Liturgia delle Ore celebrata comunitariamente e di promuovere una corretta integrazione tra vita liturgica e religiosità popolare; adattare i riti alle diverse e nuove situazioni in cui i fedeli si trovano a vivere. Tutto questo nella convinzione che, quando si celebra in spirito e verità, quando la celebrazione è azione partecipata da un'assemblea, quando testi e gesti sanno coinvolgere, la liturgia viene vissuta come reale esperienza del mistero, perché partecipazione dell'evento della Pasqua e, perciò, fonte ed espressione di autentica vita spirituale.

Va pure sottolineata l'opportunità di una scambio virtuoso da realizzare tra la tradizione orientale, che nell'azione liturgica accentua e valorizza maggiormente la dimensione del mistero e quella latino-occidentale, più portata a valorizzare le dimensioni della comunione e della missione.

Servire il «Vangelo della speranza»

Diakonia

71. Per servire davvero il «Vangelo della speranza» la strada maestra non può che essere quella di sempre. Essa consiste nell'amore, che si fa testimonianza autentica di carità, costruzione di comunione dentro e fuori la Chiesa, rinnovamento e rilancio di alcune attenzioni e priorità pastorali, impegno per l'edificazione di una nuova Europa. In una parola, si tratta di stare dentro la storia dell'Europa, con amore.

Testimonianza della carità

72. Si tratta, anzitutto, di fare incontrare gli uomini con l'amore di Dio e di Cristo, nello Spirito Santo. In questo modo, si può ridare speranza a chi la vede minacciata o l'ha smarrita, perché solo quando ci si sa e ci si sente amati si può vivere con senso la propria esistenza e continuare ad avere speranza, pur in mezzo a ogni difficoltà e fatica.

Per realizzare tutto ciò è indispensabile la testimonianza vissuta della carità.

Ciò comporta che i cristiani e le Chiese in Europa non si accontentino semplicemente di compiere gesti, pure importanti e necessari, di carità, ma «siano carità», attingendone il dono e la forza nella inesauribile sorgente che è Dio stesso. In questo senso, la testimonianza della carità non può certo ridursi a un pragmatismo senza radici, ma deve dire e annunciare la carità di Dio, anzi Dio che è carità. Si tratta di comunicare all'uomo europeo di oggi, come a ogni uomo e donna di tutti i tempi, la beatificante notizia che Dio ci ha amati per primo, Gesù ci ha amati fino alla fine andando in croce e rivelandoci il volto del Padre, che si rende pienamente solidale con gli uomini e viene loro incontro comunicando lo Spirito Santo.

Il Sinodo vuole, perciò, rinnovare nella coscienza dei cristiani e della Chiesa la certezza che la carità del Padre, che si rivolge a noi in Cristo, ci viene comunicata mediante l'effusione dello Spirito. Venuta nella storia una volta per sempre in Gesù Cristo e continuamente veniente con il dono sempre nuovo dello Spirito, questa stessa carità del Padre può essere accolta e conosciuta pienamente solo nell'esperienza vissuta di carità, specialmente nell'amore reciproco. Si tratta, allora, proprio attraverso il segno credibile, anche se sempre inadeguato, dell'amore vissuto, di far incontrare gli uomini e le donne con l'amore di Dio e di Cristo, che viene a cercarli. Questa è la sfida che interpella le nostre Chiese, se vogliono essere ancora apportatrici di speranza.

Si tratta, in questa prospettiva, di far sì che nelle nostre Chiese, dentro il tessuto quotidiano della vita e della storia dei nostri paesi, si abbiano a trovare singoli, famiglie, comunità che sappiano vivere intensamente il Vangelo della carità.

C'è bisogno, quindi, di persone e di comunità che vivano un dialogo con le Persone divine che comincia con l'ascolto della Parola, la preghiera e i sacramenti e si prolunga nel dialogo con gli altri uomini in tutte le relazioni e attività e in ogni ambiente; si lascino plasmare dall'energia e dalla sapienza della carità e accolgano ogni persona e ogni evento come un dono e una possibilità di bene; facciano di se stessi un dono agli altri nell'attenzione, nel servizio, nella condivisione, nell'impegno etico e civile, nel perdono dei torti ricevuti. Capiterà, in tal modo, che la loro testimonianza di carità saprà essere un rimedio efficace contro le malattie del nostro tempo e sapranno aprire ancora il cuore di molti alla gioia e alla speranza.

Artefici di comunione e di solidarietà

73. Non c'è dubbio che il primo modo per vivere la testimonianza della carità sia quello di essere artefici di comunione nella comunità cristiana: come si è già visto, è questa, per altro, una delle condizioni preliminari perché le Chiese possano essere apportatrici di speranza per l'Europa di oggi. (87)

Ma la testimonianza della carità si estende anche oltre i confini della comunità ecclesiale. Qui, nell'intera società civile, l'amore reciproco, che edifica la Chiesa come comunità fraterna e missionaria, diventa fattore di solidarietà. Essere, quindi, artefici di comunione vuol dire anche promuovere la costruzione di una società solidale, ordinata secondo il principio di sussidiarietà. La Chiesa è chiamata, in questo senso, a essere fattore primario di stabilità e di comunione anche dal punto di vista sociale. E questo a partire da quel «mistero di comunione» profonda e teologica che la costituisce: la comunione nella Chiesa ha il suo centro nell'Eucaristia, luogo primario dell'incontro con Cristo e con i fratelli, ed è dall'incontro attorno alla mensa del Signore che scaturisce quella tipica fraternità della comunità cristiana che estende il suo benefico influsso alla società civile. In questa prospettiva e secondo questa logica, allora, i valori della solidarietà, della riconciliazione, del perdono, della dedizione agli ultimi, del disinteresse evangelico nel servizio all'uomo espresso anche mediante la presenza e l'azione del volontariato — valori che appartengono all'essenza dell'esperienza cristiana — non rimangono patrimonio esclusivo dei credenti, ma diventano risorsa per tutta la società. Si tratta, senza dubbio, di riproporre queste convinzioni e di verificarne l'attuazione.

74. In particolare, in un contesto che ha accentuato i valori della libertà e dell'uguaglianza dimenticando quello della fraternità, occorre integrare la cultura della libertà e dell'uguaglianza con quella della solidarietà: non una solidarietà intesa semplicemente come assistenza, ma come valorizzazione dei diversi soggetti sociali.

In questo senso, con il crescere dei flussi migratori, la solidarietà deve trovare espressione in forme di convivenza che diano uno spazio adeguato alle diverse presenze nella società. Con il crescere della globalizzazione, le rivendicazioni da parte dei gruppi e delle minoranze del diritto alla cittadinanza e al pieno riconoscimento della loro identità e diversità chiedono di essere riconosciute e tutelate entro un quadro di valori e di norme comuni; senza dimenticare, sempre in questo contesto segnato dalla globalizzazione, la responsabilità propria dell'Europa e delle sue Chiese verso i popoli bisognosi di tutto e il conseguente bisogno di un esame di coscienza circa le relazioni tra le Chiese più ricche e quelle più povere sia in Europa sia in riferimento al mondo intero. Di fronte alle gravi carenze del mercato liberista e alla inefficienza e ai costi dello Stato burocratico e assistenzialista, va riconosciuto sempre di più il ruolo dell'economia civile e, più generalmente, della società civile, capace di coniugare insieme solidarietà e responsabilità.

Sono tutti esempi che dicono l'urgenza e la necessità di superare ogni forma di etica privatizzata, come quella spesso diffusa nel Continente, che non può costituire un fondamento adeguato per la convivenza, perché la perdita e lo svuotamento dei valori rendono difficile la costruzione di una società solidale. Nella solidarietà, invece, intesa come valorizzazione delle soggettività sociali, si può cercare la chiave per un approccio diverso e più fecondo alla soluzione delle tensioni sociali che caratterizzano la società europea, ma che percorrono tutte le società mondiali: in questo l'Europa può dare un messaggio di convivenza pacifica di grande importanza. Questa impostazione di matrice cristiana va diffusa a livello europeo. In Europa c'è bisogno di unità che valorizzi il pluralismo, non solo il pluralismo degli Stati, ma anche delle comunità culturali e religiose, dei soggetti sociali e delle famiglie. La politica deve garantire a tutte queste realtà il diritto di cittadinanza; in un quadro unitario di valori condivisi e di norme comuni, la varietà deve diventare ricchezza umana e anche economica.

In tutto questo grande può e deve essere il contributo delle Chiese e dei cristiani. Il cristianesimo, infatti, con la fede in Dio Padre di tutti ha immesso nella storia la coscienza della dignità della persona e della fraternità. Vivendo e testimoniando l'amore reciproco anche nella società civile come artefici e promotori di solidarietà, i cristiani manifestano la presenza di Cristo Salvatore di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, dal quale solo può venire una speranza che non delude.

Per la promozione di alcune attenzioni e priorità pastorali

75. Nell'Europa di oggi, travagliata da nuovi e antichi problemi e segnata da speranze ed opportunità inedite, vivere la testimonianza della carità per servire il «Vangelo della speranza» significa dare spazio a un'azione pastorale animata e vivificata da una profonda dinamica missionaria, intesa non solo come annuncio coraggioso del Vangelo, ma anche come disponibilità ad uscire dai ristretti ambiti ecclesiali. Lo stile missionario cristiano è caratterizzato dalla «simpatia» verso gli uomini, dall'ascolto delle loro domande, dalla compagnia nelle loro sofferenze e dalla proposta serena e liberante del messaggio di Cristo. Questo stile richiede, oggi più che mai, di inventare forme nuove di ricerca dell'uomo attraverso una presenza missionaria della Chiesa e dei cristiani in mezzo ai giovani, agli uomini di cultura, ai lavoratori, ai sofferenti, a chi è in ricerca. L'azione missionaria deve tradursi, quindi, in una presenza nel mondo con una logica che sia alternativa a quella del mondo, senza però diventare incomprensibile agli uomini del nostro tempo. Può, allora, risuonare così nei lavori del Sinodo l'interrogativo decisivo per le nostre Chiese: come continuare ad essere segno, in Europa, di un Dio che continua a cercare l'uomo, disposti anche a perdere posizioni di rendita che possono farci illudere che i nostri paesi sono ancora cristiani, ma fermamente determinati a rendere conto della grande speranza che è in noi?

Si tratta, in questa linea, di proporre quella equazione fondamentale della nostra fede, per la quale i diritti di Dio sono i diritti dell'uomo e i diritti dell'uomo sono i diritti di Dio. Ciò comporta di riconoscere la centralità, nell'azione pastorale, della difesa dell'uomo, soprattutto dei più deboli e dei più poveri, in un'ottica non meramente assistenzialistica, ma di promozione e di crescita della persona. È questo certamente un altro segno di speranza che i cristiani possono portare in Europa, come fermento di una società che rimette al centro l'uomo con i suoi problemi e le sue aspirazioni.

Si comprende, allora, come ci sia nelle nostre Chiese una larga convergenza nell'identificare le seguenti attenzioni e priorità per rendere efficace la testimonianza della carità: la proposta di una vita individuale, familiare e sociale vissuta in sintonia con la fede professata; la difesa della persona umana e della vita, attuata con pronunciamenti pubblici e con molteplici iniziative di solidarietà, prestando particolare attenzione alle crescenti fasce di persone in necessità, più esposte alla miseria materiale e morale e agli abusi; la promozione di una adeguata attenzione pastorale e sociale al complesso mondo della sanità con tutti i problemi che oggi lo attraversano; l'attenzione e l'aiuto ai più bisognosi; la difesa dei deboli; la creazione di un clima di rispetto e di accoglienza verso gli immigrati, così da avviare positivi processi di integrazione culturale e di proficuo dialogo interreligioso; l'offerta di speranza negli ambienti fortemente toccati dalla sfiducia.

In questo trova spazio una particolare accentuazione di alcuni ambiti di presenza e di intervento pastorale, che sembrano richiedere una più puntuale attenzione nelle Chiese di oggi perché il «Vangelo della speranza» possa essere servito più adeguatamente e realisticamente.

76. Da più parti si sottolinea l'importanza fondamentale di una adeguata e organica pastorale familiare, da svolgere con le famiglie e per le famiglie. È un'esigenza questa che si presenta con tutta la sua urgenza alla responsabilità delle nostre Chiese, in un contesto nel quale non sono pochi i fattori di ordine culturale, sociale e politico che concorrono, in modi differenti ma un po' in tutti i paesi, a provocare la crisi sempre più evidente della famiglia.

Ed è proprio questa crisi del matrimonio e della famiglia che induce le Chiese europee «a proclamare, con fermezza pastorale, come un autentico servizio alla famiglia e alla società, la verità sul matrimonio e sulla famiglia così come Dio li ha stabiliti. Non farlo sarebbe una grave omissione pastorale che indurrebbe in errore i credenti e anche coloro che hanno l'importante responsabilità di prendere le decisioni sul bene comune della Nazione. Questa verità è valida non solo per i cattolici, ma per tutti gli uomini e le donne senza distinzione, poiché il matrimonio e la famiglia costituiscono un bene insostituibile della società, che non può rimanere indifferente dinanzi alla loro degradazione e perdita».(88)

Nella convinzione che servire la famiglia può tradursi, in ultima analisi, in un autentico servizio all'uomo e all'intera società, si tratta di dare spazio a una appropriata azione educativa, di preparazione, di accompagnamento e di sostegno, come pure di adoperarsi sia perché vengano promosse autentiche e adeguate politiche familiari, sia perché le famiglie stesse si facciano protagoniste di queste politiche e si assumano la responsabilità di trasformare la società.

77. A proposito della vita umana, si sottolinea da più parti che spesso ci si imbatte in una cultura profondamente incoerente che, da un lato, afferma la dignità della vita umana e, dall'altro, accetta o addirittura favorisce atteggiamenti di minaccia o di rifiuto della vita stessa. In particolare, circa il problema dell'aborto, si nota una chiara differenza tra quei paesi nei quali gli aborti sono molto numerosi e quelli nei quali il loro numero è più ridotto.

In questo contesto diventa sempre più urgente e necessaria una complessiva e generale azione culturale, pastorale e sociale a servizio della vita umana e per la promozione di una autentica cultura della vita. Significativa è, a tale riguardo, la convergenza che si incontra in ordine alle proposte e alle iniziative individuate e, in parte, già attuate. Il riferimento è alla presenza di strutture (case di accoglienza per madri sole; case per ammalati e per anziani; centri di aiuto e di consulenza); alla promozione di associazioni e movimenti che operano a favore della vita; all'importanza del volontariato; alla necessità di un maggiore impegno in ambito educativo e nella predicazione dell'insegnamento della Chiesa anche combattendo la propaganda dei mezzi di comunicazione sociale; all'importanza di trovare modi — anche attraverso l'impegno diretto e responsabile dei cristiani in questi ambiti — per influire in campo culturale, economico e politico.

78. «I giovani sono la speranza della Chiesa che entra nel terzo millennio. Non si possono lasciare senza un aiuto e senza una guida sui crocevia della vita e davanti a scelte difficili. Occorre un grande sforzo affinché la Chiesa sia presente tra i giovani».(89) Queste parole di Giovanni Paolo II indicano con precisione e senza ombra di dubbio un'altra priorità pastorale per le Chiese europee oggi. Si tratta di rinnovare e rilanciare la pastorale giovanile, conferendole organicità e coerenza, in un progetto globale che sappia esaltare la genialità dei giovani, purificare e assecondare le loro attese, renderli protagonisti dell'evangelizzazione e dell'edificazione della società.

I raduni che vedono la partecipazione di molti giovani — dalle Giornate mondiali della gioventù, agli incontri promossi dalla comunità di Taizé, alle riunioni e ai pellegrinaggi locali e nazionali — rendono manifesta la loro sete di assoluto, la loro fede segreta, che non chiede altro che di purificarsi e di espandersi, e il loro desiderio di vivere un tempo comunitario che li porti fuori dall'isolamento; sono anche un primo passo nella volontà di seguire Cristo.(90) Tutto questo chiede di essere riconosciuto, accolto, accompagnato, sostenuto, indirizzato. Occorre, quindi, sentirsi impegnati a offrire alle nuove generazioni la possibilità di un incontro personale con Cristo, nell'ambito di una comunità fraterna, dove ciascuno sia aiutato a sviluppare la propria identità, a scoprire e a seguire la propria vocazione. Per questo è necessario non solo formare educatori intelligenti, appassionati e davvero capaci di incontrare i giovani e proporre a questi ultimi itinerari differenziati, esigenti e graduali, di crescita umana e cristiana, ma anche far sì che le comunità ecclesiali siano veramente accoglienti nei loro confronti. In esse, i giovani devono poter trovare, innanzitutto negli adulti, dei testimoni e persone con le quali dialogare e devono essere valorizzati come soggetti attivi, protagonisti della loro stessa formazione e dell'azione missionaria.

79. Data la rilevanza che oggi vanno sempre più assumendo gli strumenti della comunicazione sociale, le Chiese in Europa, se vogliono ridare speranza evangelizzando e promuovendo cultura, non possono non riservare particolare attenzione al variegato e complesso mondo dei mass media.

Si tratta, anzitutto di inserirsi nei processi della comunicazione sociale, per renderla più autentica, rispettosa della verità dell'informazione e della dignità della persona umana. E, però, non è sufficiente la semplice gestione di tali mezzi, anche i più avanzati; è anche indispensabile, piuttosto, cogliere la sfida culturale in cui il nuovo orizzonte comunicativo pone i suoi protagonisti. La cosiddetta «cultura dei media» chiede, perciò, alla Chiesa di ripensare e riesprimere la sua fede, il suo messaggio e la sua vita.

Tutto ciò sembra sollecitare la comunità dei credenti a strutturarsi con maggiore attenzione anche a livello europeo: per rispondere coerentemente alle sollecitazioni odierne, infatti, non sono sufficienti estemporanee e pionieristiche iniziative, ma si è nell'urgenza di delineare un'azione organica e adeguata alla situazione. Sembra, quindi, importante e necessario tendere a una più precisa strategia a livello di tutte le Chiese d'Europa, perché, in dialogo con la cultura dei media, si sappia tratteggiare un percorso di evangelizzazione e di servizio all'uomo che tenga conto dei nuovi linguaggi e delle nuove tecnologie.

80. In un contesto come quello attuale bisognoso di un profondo cambiamento culturale, prima ancora che economico, sociale e politico, se si vuole ridare speranza all'Europa, appare importante attuare una rinnovata pastorale della cultura.

Attraverso la scuola come mediante la promozione e lo sviluppo della vita intellettuale e accademica, essa deve mirare a unificare gli aspetti attualmente sparsi della cultura europea in una sintesi virtuosa, indirizzata a una educazione veramente umana perché aperta ai valori dello spirito e rispettosa della dignità della persona.

E tutto ciò nella linea di quella tradizione culturale europea che affonda le sue radici nell'opera di evangelizzazione della Chiesa e nell'incontro con Cristo di tanti uomini e donne di ogni ceto e cultura. I valori fondamentali che l'Europa ha elaborato e trasmesso all'umanità sono, infatti, il segno tangibile di un impegno di inculturazione della fede che ha saputo elaborare una sintesi di presenza e di testimonianza che hanno contribuito allo sviluppo di tutto il genere umano. Dall'incontro dei greci, dei latini, dei barbari, degli slavi con il Cristo è scaturito «un modo di essere e di pensare europeo e cristiano» che costituisce uno dei modelli più significativi di inculturazione della fede e una delle sintesi più ricche tra fede e ragione, tra l'adesione a Cristo e l'appartenenza a un popolo e a una tradizione.

La sfida che l'Europa si trova a dover affrontare, giocando il significato della sua identità e della sua originalità nel complesso dell'umanità, risiede ancora nella capacità dei cristiani di tornare alle radici della loro fede nel Risorto, per riscoprire una nuova stagione caratterizzata da un'inculturazione che sappia affrontare i problemi inediti che l'Europa incontra.

81. Di fronte a un progetto antropologico oggi diffuso che fa riferimento a una concezione di persona «senza vocazione», e visto il problema, che emerge in modo chiaro e preoccupante in quasi tutte le Chiese d'Europa, della quantità e della qualità delle vocazioni, appare a tutti chiara l'urgenza e l'importanza di una cura adeguata per le vocazioni. È questa, per altro, una condizione imprescindibile per lo svolgimento nella Chiesa della sua complessiva azione pastorale. La cura delle vocazioni è un problema vitale per il futuro della fede cristiana nel continente e, di riflesso, per il progresso spirituale degli stessi popoli europei; essa, perciò, è passaggio obbligato per una Chiesa che voglia ridare speranza all'Europa di oggi.

A questo proposito, nella certezza che lo Spirito è all'opera anche oggi e sta chiamando e che i segnali di questa presenza non mancano, si tratta anzitutto di portare l'annuncio vocazionale nei solchi della pastorale ordinaria e di dare alla pastorale vocazionale le caratteristiche della coralità, della popolarità e della continuità. Come ha sottolineato Giovanni Paolo II, è necessario «ravvivare, soprattutto nei giovani, una profonda nostalgia di Dio, creando così il contesto adatto allo scaturire di generose risposte vocazionali»; è urgente che «un grande movimento di preghiera attraversi le Comunità ecclesiali del continente europeo, contrastando il vento del secolarismo che sospinge a privilegiare i mezzi umani, l'efficientismo e l'impostazione pragmatica della vita»; occorre «promuovere un salto di qualità nella pastorale vocazionale delle Chiese europee» poiché «le mutate condizioni storiche e culturali esigono che la pastorale delle vocazioni sia percepita come uno degli obiettivi primari dell'intera Comunità cristiana»; si tratta di promuovere «una nuova cultura vocazionale nei giovani e nelle famiglie».(91)

Né si deve tralasciare, in questo ambito, di sostenere e incoraggiare quanti già sono inseriti nel ministero ordinato o nella vita consacrata. Di fronte alla diminuzione numerica che si verifica in diverse parti d'Europa, alla conseguente crescita del carico pastorale con la stanchezza che può comportare, si tratta di promuovere una fraterna e attenta opera di consolazione, che li aiuti a riconoscere la preziosità del loro servizio, a ripensare le modalità e gli spazi del loro impegno, a ritrovare e a manifestare la gioia di un'esistenza completamente donata al Signore, quale concreta testimonianza di senso, che si fa stimolante e contagiosa proposta per altri di sequela radicale del Signore.

82. Di capitale importanza risulta pure la formazione di un laicato cristiano impegnato nei vari ambiti di responsabilità. Sono il contesto sociale e l'atmosfera morale, culturale e spirituale dell'Europa di oggi a rendere particolarmente acuta l'esigenza di tale formazione. La richiedono non solo i ritmi incalzanti e le spinte dispersive della vita quotidiana, e nemmeno soltanto la pressione esercitata dalla corsa al successo, dal consumismo e, in particolare, da un erotismo massicciamente ostentato. La richiedono anche quell'incertezza e quello scetticismo che pervadono gran parte della cultura e che penetrano segretamente anche dentro la ricerca di spiritualità e di religiosità, rispuntata in questi ultimi anni secondo forme bisognose di attento discernimento.

Questa formazione richiede una spiritualità comune, quale punto di partenza per una presenza da cristiani in Europa che sappia riproporre in termini nuovi il personalismo cristiano che costituisce una delle eredità culturali più belle della nostra storia. Profondamente unitaria e maturata attraverso severi tirocini di vita ecclesiale, tale educazione deve mirare a far sì che i laici riscoprano la vita quotidiana come il luogo privilegiato per testimoniare e annunciare la fede in Cristo risorto e che essi, consapevoli che il campo proprio della loro azione evangelizzatrice è il mondo nella sua concretezza e complessità, siano sempre più soggetti attivi e responsabili di una storia da fare alla luce del Vangelo. Forti di questa formazione, «i cristiani avranno maggiormente a cuore di manifestare e difendere i valori evangelici autentici in tutti i campi della loro esistenza, e, in modo particolare, nella vita politica, economica e sociale, di cui sono i principali evangelizzatori. Ciò assume un'importanza ancora maggiore in questi anni di fine secolo, in cui ci incamminiamo verso una nuova organizzazione dell'Europa, dove si stringono nuovi legami fra gli Stati che la compongono, ma anche con gli altri Continenti; organizzazione che necessita della promozione della dimensione morale delle relazioni umane»(92).

In questo quadro vasto e articolato, sembra particolarmente urgente e necessario suscitare e sostenere precise vocazioni a servizio del bene comune: persone che, sull'esempio e con lo stile di quanti sono stati chiamati «padri dell'Europa», sappiano essere artefici della società europea del domani, fondandola sulle basi solide dello spirito.

L'impegno per l'edificazione della nuova Europa

83. Come già si notava nella prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, «il processo di unificazione in Europa e in modo particolare le istituzioni europee e la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa implicano una grande responsabilità per le Chiese. La casa comune europea si può costruire su fondamenta sicure, se nasce non soltanto per motivi economici. Anzi, la nuova Europa presuppone sempre nella sua edificazione il consenso e il riconoscimento dei valori fondamentali e richiede una genuina ispirazione ideale. Sotto questo profilo, il contributo della Chiesa per la nuova Europa non rappresenta certo un elemento secondario e deve accompagnare l'impegno dei fedeli laici operanti in campo sociale e politico».(93)

È questa una convinzione che il Sinodo vuole riproporre anche oggi, in un momento nel quale lo sviluppo europeo solleva nuovi interrogativi e offre la possibilità di un ripensamento della presenza ecclesiale nel continente. L'unificazione europea segue per ora un binario prevalentemente economico, in cui l'elemento politico soggiace alle ferree regole monetarie; resta ancora incerto il cammino dal punto di vista sociale e culturale. Quale ruolo riusciranno ad avere le Chiese non è ancora chiaro e il rischio che siano ridotte a sottogruppi del sistema sociale è molto alto. La situazione si aggraverebbe se, oltre al confinamento della Chiesa in una posizione marginale, si privilegiasse una interpretazione sociologica del ruolo dei credenti nella nuova situazione europea.

Ne viene una responsabilità storica che le Chiese e i cristiani non possono non vivere con maggiore vigilanza e impegno.

In questo senso, determinante appare la presenza e l'azione di cristiani, uomini e donne, che sappiano immettere nella vita del continente e negli sforzi per la sua unificazione il rispetto di ogni persona e delle diverse comunità umane, riconoscendo la loro dimensione spirituale, culturale e sociale, così da ridare speranza a quanti l'hanno persa e da favorire l'integrazione sociale di quanti vivono nel continente o vi si insediano.(94)

84. Tra i contributi che la Chiesa è chiamata a dare alla costruzione dell'Europa certamente si deve inserire anche quello derivante dalla dottrina sociale della Chiesa. L'insegnamento sociale sviluppato in questo ultimo secolo ha raggiunto una sua compiutezza nel magistero di Giovanni Paolo II, che nella Centesimus annus ha scelto di legare un insegnamento universale ai particolari eventi europei del 1989. È questa una delle vie principali da cui dedurre il compito che attende le Chiese nella costruzione della unità europea.

Si tratta, infatti, di servire la dignità dell'uomo europeo di oggi e di domani difendendola e promuovendola lasciandosi orientare e guidare dalla dottrina sociale della Chiesa interrogata e aggiornata a partire dalla considerazione dei problemi che oggi sembrano maggiormente caratterizzare il nostro continente. Tra questi si possono ricordare, a titolo esemplificativo: la questione e il senso del lavoro in un contesto di globalizzazione; il fenomeno dell'immigrazione come problema con cui confrontarsi, vedendone non solo i rischi, ma anche le potenzialità che racchiude; i rapporti tra gli stati e le nazioni e il modo di «fare politica» in un quadro di graduale ripensamento della assoluta sovranità nazionale; la responsabilità nei confronti dei paesi più poveri del mondo, con il gravissimo problema del debito internazionale; l'azione per la pace, da costruire nella verità, nella giustizia e nella solidarietà, nella convinzione che, di fronte alle tragedie e alle guerre che continuano ad attraversare popoli e nazioni, l'Europa non può rimanere assente, inerme, divisa o in perenne ritardo, ma deve mostrare la sua capacità effettiva di assicurare a tutti i popoli del Continente, e anche al di fuori di esso, le condizioni per un libero sviluppo e un'autentica democrazia.

85. Ai cristiani, illuminati dalla dottrina sociale della Chiesa, è chiesto, in particolare, di affrontare le problematiche connesse con le risorgenti forme di nazionalismo che attraversano l'Europa. Esse, talvolta, nascono da una indebita e inaccettabile sopravvalutazione e assolutizzazione dell'appartenenza nazionale e del valore della nazione. Riprendendo e sviluppando quanto già detto nel Sinodo precedente e rifiutando ogni sovrapposizione tra «identità nazionale» e «identità religiosa», è necessario adoperarsi perché ci si possa aprire a una convivenza più accogliente e solidale, che una adeguata comprensione della «cattolicità» della Chiesa non può che fondare e promuovere.

A tale proposito, anche dal Sinodo potrebbe venire una forte sollecitazione a ripensare l'idea stessa di nazione, nella convinzione, da una parte, che le differenze nazionali devono essere mantenute e coltivate come fondamento della solidarietà europea e, dall'altra, che la stessa identità nazionale non si realizza se non nell'apertura verso gli altri popoli e attraverso la solidarietà con essi. Ne segue la necessità e l'urgenza di lasciarsi ispirare e guidare dal concetto di «famiglia delle nazioni», che deve guidare, prima ancora del semplice diritto, le relazioni fra i popoli(95). In tutto questo le religioni e, tra esse, innanzitutto la Chiesa cattolica — lungi dall'assecondare scorrette tendenze nazionalistiche nelle quali a volte sono state implicate — possono svolgere un ruolo determinante proprio a partire dal fondamentale riconoscimento del primato divino e della connessa fraternità universale.

In questa linea, si tratta di distinguere adeguatamente tra nazionalismo e patriottismo; di discernere tra sentimenti nazionali positivi e negativi; di riconoscere e difendere i diritti delle minoranze contro la tendenza all'uniformità; di rispettare e promuovere il diritto di ogni nazione di preservare la propria sovranità nazionale; di ricercare formule che, superando l'immediata identificazione tra «Stato» e «nazione», consentano a popoli diversi di vivere in un'unica entità statale vedendo ampiamente salvaguardati i propri diritti e la propria identità.

L'ottica per realizzare questo necessario e urgente ripensamento dovrebbe essere quella della «cultura della nazione», vista come luogo nel quale si manifesta la sovranità fondamentale della società, mantenendo e interpretando la nozione e la realtà della nazione entro la tensione vitale tra universalità e particolarità che caratterizza la condizione umana, una tensione inevitabile, ma singolarmente feconda se vissuta con sereno equilibrio.

Tutto ciò, come è ovvio, richiede l'intelligenza e la lungimiranza di adeguate formulazioni giuridiche, ma è anche un esito al quale i cristiani possono dare un contributo non insignificante.

Declinare particolarità e universalità in una prospettiva positiva, che riconosca le ricchezze delle singolarità e la necessità della sintesi unitaria, è, infatti, un segno di speranza che la Chiesa, proprio per la sua natura, può porre in Europa, accompagnando e incrementando lo sviluppo delle società nazionali, particolari, etniche, inculturando nei nuovi contesti la fede in Cristo, tramite l'impegno dei credenti nei vari ambiti della vita, ma al contempo favorendo il sorgere di una società transnazionale, segnata dalla cattolicità della fede cristiana.

Nello stesso tempo, per essere davvero promotori di speranza, in uno scenario caratterizzato da contrapposizioni nazionalistiche — e, ancora più generalmente, dall'esperienza storica del fascismo, del nazismo e del comunismo, con i mali da essi prodotti e con le pesanti eredità che hanno lasciato nell'animo delle persone, nella cultura e nella convivenza —, è necessario dare spazio al perdono e alla riconciliazione. Dal Sinodo potrebbe venire una parola autorevole e un invito pressante a tale riguardo, nella convinzione che «perdonare e riconciliarsi vuol dire purificare la memoria dall'odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; vuol dire riconoscere come fratello anche colui che ci ha fatto del male; vuol dire non farsi vincere dal male, ma vincere col bene il male (cfr. Rm 12, 21)». (96)

86. Non si deve neppure dimenticare che l'apporto che le Chiese possono dare all'edificazione dell'unità in una nuova Europa dello spirito si realizza anche attraverso il vissuto quotidiano delle Chiese stesse. In questa linea, si tratta, ad esempio, di: continuare un reale e fecondo «scambio di doni» tra tutte le Chiese e le comunità ecclesiali del continente, premessa e contributo per il superamento delle distanze tra Europa orientale e occidentale; valorizzare la presenza e l'azione della vita consacrata, facendo tesoro della testimonianza di comunione che da essa promana; favorire momenti di incontro e di scambio anche tra i laici, magari anche attraverso qualche gesto straordinario e particolare che possa coinvolgerli ampiamente; dare spazio a quelle forme di «ecumenismo di popolo» che ha già conosciuto esperienze significative nelle assemblee di Basilea e di Graz.

Un ruolo particolare, a tale proposito, possono e devono rivestire le strutture e gli organismi continentali di comunione ecclesiale, a iniziare dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, chiamato a «provvedere alla promozione di una sempre più intensa comunione fra le diocesi e fra le Conferenze Episcopali Nazionali, all'incremento della collaborazione ecumenica tra i cristiani e al superamento degli ostacoli che minacciano il futuro della pace e del progresso dei popoli, al rafforzamento della collegialità affettiva ed effettiva e della "communio" gerarchica».(97) Ispirando la propria azione alla comunione e alla solidarietà, lo stesso Consiglio potrà favorire lo studio e la realizzazione di strategie pastorali più unitarie e condivise tra tutte le Chiese del continente e, anche grazie alla sua azione, «la Chiesa cercherà di infondere alla comunità continentale un "supplemento d'anima", ravvivando in essa quella che potrebbe dirsi "l'anima dell'Europa"».(98) Né va dimenticata l'importanza di rafforzare e di congiungere più strettamente tra di loro le attività di questo Consiglio e quelle della Commissione degli Episcopati della Comunità europea, considerata la necessità della presenza della Chiesa nelle istituzioni civili europee. (99)

87. Se poi, come deve essere, la nuova Europa da edificare è un'Europa aperta alla solidarietà universale, le Chiese europee possono e devono offrire il loro contributo sia formando a una vera e universalistica «cultura della solidarietà», sia ridando vigore e slancio alla missione «ad gentes», sia allargando i propri orizzonti e avviando contatti e intese anche con le Chiese degli altri continenti. Si tratta, infatti, anche così, di «mettere in luce la stretta solidarietà che esiste fra l'Europa e i Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America, nei confronti dei quali il continente europeo, e le Chiese in esso operanti, hanno meriti ma anche debiti da assolvere. Crescere in questa coscienza e far maturare nella solidale consapevolezza di essere gli uni responsabili degli altri, soprattutto dei più poveri e dei meno fortunati»,(100) oltre a costituire l'ansia costante dei cristiani e delle Chiese per vivere la testimonianza della carità, sarà un ulteriore modo per servire il «Vangelo della speranza».


Conclusione

La memoria dei martiri

88. Incarnazione suprema del «Vangelo della speranza» è il martirio. I martiri, infatti, annunciano questo Vangelo e lo testimoniano con la loro vita fino all'effusione del sangue, perché sono certi di non poter vivere senza Cristo e sono pronti a morire per lui nella convinzione che Gesù è il Signore e il Salvatore dell'uomo e che, quindi, solo in lui l'uomo trova la pienezza vera della vita. In tal modo, secondo l'ammonimento dell'apostolo Pietro, si mostrano pronti a rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3, 15). I martiri, inoltre, celebrano il «Vangelo della speranza», perché l'offerta della loro vita è la manifestazione più radicale e più grande di quel sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, che costituisce il vero culto spirituale (cfr. Rm 12, 1), origine, anima e culmine di ogni celebrazione cristiana. Essi, infine, servono il «Vangelo della speranza», perché con il loro martirio esprimono in grado sommo l'amore e il servizio all'uomo, in quanto dimostrano che l'obbedienza alla legge evangelica genera una vita morale e una convivenza sociale che onora e promuove la dignità e la libertà di ogni persona.

Animato da queste certezze, il Sinodo sa di poter offrire all'Europa di oggi un grande segno di speranza, facendo memoria della «grande esperienza di martirio, in cui ortodossi e cattolici, nei Paesi dell'Est europeo, sono stati accomunati in questo nostro secolo».(101) Questa particolare messe di martiri del ventesimo secolo, forse la più grande dopo i primi secoli del cristianesimo,(102) rifulge come segno di speranza perché dice, per l'oggi e per il domani, la vitalità della Chiesa, che nasce dalla mietitura di questa messe evangelica, in quanto — come diceva Tertulliano — «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».(103) Questi veri martiri del ventesimo secolo «sono una luce per la Chiesa e per l'umanità: "I cristiani d'Europa e del mondo, chini in preghiera sul limitare dei campi di concentramento e delle prigioni, devono essere riconoscenti per quella loro luce: era la luce di Cristo, che essi hanno fatto risplendere nelle tenebre" (Lettera apostolica per il quarto centenario dell'unione di Brest [12 novembre 1995], 4)».(104) Proprio perché appartenenti a diverse confessioni cristiane, questi nuovi martiri risplendono anche come segno di speranza per il cammino ecumenico, nella certezza che il loro sangue è anche linfa di unità per la Chiesa. Se, infatti, al termine del secondo millennio, «essa "è diventata nuovamente Chiesa di martiri (Tertio millennio adveniente, 37), possiamo sperare che la loro testimonianza, raccolta con cura nei nuovi martirologi, e soprattutto la loro intercessione, affrettino il tempo della piena comunione tra i cristiani di tutte le confessioni».(105)

La presenza di Maria, madre della speranza

89. Ma c'è un altro «segno di speranza» che le Chiese possono offrire all'Europa. È la presenza di Maria, madre della speranza, una presenza viva e vera, alla quale i popoli cristiani d'Europa hanno sempre creduto, come testimoniano gli innumerevoli santuari a lei dedicati, disseminati in ogni parte del Continente, quali segni eloquenti della profonda venerazione nutrita verso di lei in ogni nazione e in ogni paese.

La Vergine santissima, «donna di speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio "sperando contro ogni speranza" (Rm 4, 18)»,(106) si è più volte mostrata come madre capace di ridare speranza nei momenti difficili della storia del Continente: con la sua protezione costante ha evitato sciagure e distruzioni irreparabili, ha favorito il progresso e le moderne conquiste sociali, ha sostenuto la rinascita di popoli a lungo oppressi e umiliati.(107) Ella, oggi come ieri, cammina con gli uomini e le donne di ogni età e condizione, con i popoli orientati verso un traguardo di solidarietà e di amore, con i giovani, protagonisti di futuri giorni di pace, con quanti, all'Ovest come all'Est, sono alla ricerca della loro vera identità, con coloro che ancora sono minacciati da tanti e violenti conflitti.

Per ridare speranza all'Europa, perciò, le Chiese non possono non guardare a lei e invocarla, perché continui a mostrarsi come madre della speranza e conduca l'Europa intera, attraverso i cammini della misericordia, all'incontro rinnovatore con «Gesù Cristo, nostra speranza» (1 Tm 1, 1). Maria, infatti, insegna a essere aperti agli impulsi di Dio, ad accogliere la parola di Dio e a metterla in pratica. Come al mattino di Pentecoste ha presieduto con la sua preghiera all'inizio dell'evangelizzazione sotto l'azione dello Spirito Santo, così anche oggi, alla vigilia del terzo millennio, Maria continua a essere «stella dell'evangelizzazione» e a proteggere e sostenere la Chiesa nel suo impegno per annunciare, celebrare e servire il «Vangelo della speranza».(108)

Dal Sinodo al Giubileo

90. Accompagnate e protette da questa schiera di martiri e certe della presenza materna di Maria, le Chiese europee si orienteranno al grande Giubileo del Duemila. Il Sinodo - ultimo della serie dei Sinodi a carattere continentale celebrati in questi anni di vigilia - si presenta come una porta aperta sul Giubileo.

Proprio perché giunge al termine delle altre Assemblee speciali del Sinodo dei Vescovi - che si sono interrogate sulla missione della Chiesa oggi in Africa, in America, in Asia e in Oceania, mettendo in risalto specificità storiche, culturali e religiose proprie di ciascuna di queste parti della terra - potrà essere un'occasione propizia per far memoria del vincolo che unisce l'Europa agli altri continenti in virtù del Vangelo e del suo annuncio, ma anche per riscoprire l'originalità dell'esperienza europea e della sua cultura, unitaria pur nella diversità dei filoni che hanno concorso a costituirla, e per riappropriarsi delle responsabilità che l'Europa e le sue Chiese hanno verso il mondo.

Potrà essere anche un momento per accogliere, nella logica di uno scambio di doni, quanto le altre Chiese hanno da dire alle Chiese europee e crescere insieme, nel segno della comunione universale, verso il riconoscimento, l'incontro e l'annuncio di Cristo, a servizio dell'umanità.

91. Proprio perché celebrato nell'immediata vigilia del Giubileo, il Sinodo può e deve essere visto in stretta relazione di circolarità con questo straordinario evento della Chiesa universale. In questo senso, il Giubileo, con i suoi contenuti e le sue molteplici sfaccettature, getta una benefica luce interpretativa sul Sinodo e sui suoi lavori e il Sinodo, per parte sua, offre provocazioni e indicazioni concrete alle Chiese europee perché possano vivere in pienezza il dono dell'Anno Santo.

Giubileo e Sinodo rimandano, quindi, l'uno all'altro e ciò che il Giubileo richiama è provocazione per i lavori del Sinodo e, ancora più radicalmente, «icona» dell'Europa di oggi e del suo bisogno di rinnovamento.

Il Giubileo, fin dalle sue origini (cfr. Lv 25), era un tempo dedicato in modo particolare a Dio, occasione per riscoprire e riconoscere il vero volto di Dio e per tornare a lui.(109) Così facendo, si dischiudeva la possibilità di una vita nuova nella giustizia per tutto il popolo. È questo anche il compito che attende l'Europa di oggi: essa deve ritornare a Dio e poggiare su di lui le solide fondamenta della sua casa; solo così potrà ritrovare la speranza e vedrà fiorire un'era nuova di libertà, di unità, di pace. La Chiesa in Sinodo, professando e riproponendo la fede nel Signore Gesù, rilevazione perfetta del volto di Dio, offre il suo insostituibile contributo al dischiudersi di una nuova era per il continente europeo.

Il riconoscimento del vero volto di Dio portava con sé l'impegno per il ristabilimento della giustizia:(110) chi, infatti, riconosce che il Dio biblico, rivelatoci da Gesù, è un Dio che sta dalla parte di coloro che cercano giustizia e si trovano in una condizione di bisogno, è il Dio che fa uscire dall'Egitto ed è il padrone della terra, non può non impegnarsi per realizzare la giustizia. È questa una sfida che attende l'Europa di oggi, chiamata sia a realizzare entro i suoi confini una convivenza capace di superare le barriere, i conflitti, le divisioni e di far crescere l'unità, l'accoglienza, la solidarietà, la pace, sia a rispondere con scelte concrete e responsabili al grido di sofferenza che le viene da quanti nel mondo vivono nell'ingiustizia, nella guerra e nella miseria. La Chiesa in Sinodo si fa promotrice di una tale Europa, individuando le strade per servire il «Vangelo della speranza» nella testimonianza della carità e nella promozione della solidarietà.

L'avvicinarsi della fine del secondo millennio sollecita tutti a un esame di coscienza e la Chiesa, introducendosi al Giubileo e vivendolo, non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi.(111) Come le vicende storiche di questo secolo e dei secoli scorsi chiedono all'Europa il coraggio e la lungimiranza di un serio esame di coscienza, nel riconoscimento di colpe e errori storicamente commessi, in campo economico e politico,(112) così il clima spirituale, culturale e sociale che caratterizza gli europei di oggi esige di interrogarsi sulle sue cause profonde e di riconoscere di avere spesso abbandonato quella ispirazione e quelle radici che avevano sostenuto e reso significativo il cammino del Continente. La Chiesa in Sinodo intende favorire e sollecitare questo esame di coscienza, individuando nella questione antropologico-etica e in quella della fede le motivazioni radicali di uno stato di cose e di un sistema di vita bisognosi di ritrovare una ispirazione in grado di orientare e di dare senso.

Il Giubileo «vuol essere una grande preghiera di lode e di ringraziamento soprattutto per il dono dell'Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da Lui operata»,(113) come pure per la presenza viva e salvifica di Cristo nella Chiesa e nel mondo. Riconoscendo e celebrando la presenza del Risorto sarà, quindi, un anno intensamente eucaristico.(114) Anche l'Europa è chiamata a rendere grazie per la sua storia da duemila anni segnata e animata dall'incontro con il Vangelo e per il tempo che oggi le è dato da vivere, come tempo carico di responsabilità e di grazia. La Chiesa in Sinodo si pone in questa prospettiva e, favorendo e sollecitando un rinnovato incontro con Cristo, aiuta i suoi membri e tutti gli europei a ritrovare e a rinnovare - come era accaduto ai discepoli di Emmaus, dopo che lo avevano riconosciuto nello spezzare del pane (cfr. Lc 24, 30-31) - quella gioia che si apre all'impegno di chi percorre con responsabilità le strade del mondo contagiando altri e coinvolgendoli nella stessa gioia.

Grazie a tutto questo e a ciò che il Sinodo saprà seminare nella vita delle Chiese e dell'intera Europa, rifiorirà la speranza e le donne e gli uomini europei, con la passione per la costruzione di un'Europa nuova, saranno nella gioia.

Si tratta di avere occhi penetranti per scorgere i segni di questa speranza che sono già presenti, di saperli riconoscere e valorizzare. Allora il Giubileo, anche per l'Europa, sarà un invito alla festa e sarà fonte di gioia.


INDICE

Prefazione

Introduzione

Due Sinodi per l'Europa

Iª parte

L'Europa verso il terzo millennio:

Per un discernimento dei «segni dei tempi »

Discernere i segni dei tempi

Le «res novae» nell'Europa dell'ultimo decennio

Opportunità e motivi di speranza

Delusioni, rischi e preoccupazioni

Per un discernimento critico di alcune questioni particolari

Atteggiamenti delle Chiese e ricerca delle radici culturali

Centralità della «questione della fede»

IIª parte

Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa,

A sostegno dell'autenticità e della vitalità della fede

La fede nel Risorto, rivelatore della gloria di Dio

Il bisogno di Gesù Cristo

Gesù risorto, unico Salvatore

Gesù è presente nella Chiesa

La Chiesa «mistero» e «comunione»

IIIª parte

Gesù Cristo speranza per l'Europa:

Per una Chiesa che annuncia, celebra e serve

il «Vangelo della speranza»

L'incontro con Gesù genera la missione

Ridare speranza all'Europa

Una Chiesa che riconosce e accoglie la presenza e l'azione di Cristo e del suo Spirito

Una Chiesa trasparenza di Cristo e modellata sul suo volto

Per una verifica dell'esigenza e della domanda di spiritualità

Una Chiesa vero luogo di comunione

Per una verifica della comunione nella Chiesa

Annunciare il «Vangelo della speranza»

Martyria

Un «supplemento d'anima» per l'Europa

La nuova evangelizzazione

Evangelizzazione ed ecumenismo

In dialogo con l'ebraismo e con le altre religioni

Il problema delle sette

Celebrare il «Vangelo della speranza»

leitourgia

La presenza del Risorto nei santi misteri

Per una verifica della vita liturgica

Servire il «Vangelo della speranza»

Diakonia

Testimonianza della carità

Artefici di comunione e di solidarietà

Per la promozione di alcune attenzioni e priorità pastorali

L'impegno per l'edificazione della nuova Europa

Conclusione

La memoria dei martiri

La presenza di Maria, madre della speranza

Dal Sinodo al Giubileo

Indice


NOTE

(1) Giovanni Paolo II, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura (12 gennaio 1990), 1-2, in «L'Osservatore Romano», 13 gennaio 1990, p. 5.

(2) Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la S. Sede in udienza per gli auguri di inizio anno (13 gennaio 1990), 9, in «L'Osservatore Romano», 14 gennaio 1990, p. 6.

(3) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 3.

(4) Giovanni Paolo II, Omelia nella piazza Sant'Adalberto a Gniezno [Polonia] (3 giugno 1997), 4, in «L'Osservatore Romano», 4 giugno 1997, pp. 6-7.

(5) Ivi, 5.

(6) Ivi.

(7) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 38: AAS 87 (1995) 30.

(8) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Angelus a Berlino (23 giugno 1996), 2, in «L'Osservatore Romano», 24-25 giugno 1996, p. 8.

(9) Sant'Agostino, Discorso 235, 2-3: PL 38, 1118.

(10) Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 4.11.

(11) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al «Regina caeli» a Velehrad [Repubblica Ceca] (22 aprile 1990), 2, in «L'Osservatore Romano», 23-24 aprile 1990, p. 8.

(12) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla riunione di consultazione dell'Assemblea Speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi (5 giugno 1990), 9, in «L'Osservatore Romano», 6 giugno 1990, p. 5.

(13) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale dei Paesi Bassi in visita «ad limina» (11 gennaio 1993), 2, in «L'Osservatore Romano», 11-12 gennaio 1993, p. 15.

(14) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 1.

(15) Giovanni Paolo II, Discorso all'incontro mondiale con i movimenti e le nuove comunità (30 maggio 1998), 5-6, in «L'Osservatore Romano» 1-2 giugno1998, p. 6.

(16) Ivi.

(17) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio pre-sinodale su «Cristianesimo e cultura in Europa: Memoria, Coscienza, Progetto» (31 ottobre 1991), 1, in «L'Osservatore Romano», 1 novembre 1991, p. 5; Per la presentazione delle Lettere Credenziali del nuovo Ambasciatore di Gran Bretagna, S.E. Sig. Andrew Eustace Palmer (26 settembre 1991), in «L'Osservatore Romano», 27 settembre 1991, p. 6; Lettera ai Vescovi dell'Europa in vista dell'Assemblea Speciale del Sinodo (9 ottobre 1991), in «L'Osservatore Romano», 12 ottobre 1991, p. 1; Messaggio natalizio «Urbi et Orbi» (25 dicembre 1991), 7, in «L'Osservatore Romano», 27-28 dicembre 1991, p. 5.

(18) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura (12 gennaio 1990), 2, in «L'Osservatore Romano», 13 gennaio 1990, p. 5.

(19) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 1.

(20) Ivi.

(21) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura (12 gennaio 1990), 2, in «L'Osservatore Romano», 13 gennaio 1990, p. 5.

(22) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi tedeschi delle province ecclesiastiche bavaresi in visita «ad limina» (4 dicembre 1992), 3, in «L'Osservatore Romano», 6 dicembre 1992, p. 7.

(23) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Parlamento Europeo, durante la visita nel Palazzo dell'Europa a Strasburgo (11 ottobre 1988), 7-8, in «L'Osservatore Romano», 12 ottobre 1988.

(24) Giovanni Paolo II, Ai rappresentanti del mondo della scienza e della cultura, nella cattedrale di Maribor [Slovenia] (19 maggio 1996), 3, in «L'Osservatore Romano», 20-21 maggio 1996, p. 8.

(25) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio pre-sinodale sull'Europa promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura su «Cristo, sorgente di una nuova cultura per l'Europa alle soglie del Terzo Millennio» (14 gennaio 1999), 3, in «L'Osservatore Romano», 15 gennaio 1999, p. 5.

(26) Giovanni Paolo II, Discorso al IIIº Convegno della Chiesa italiana a Palermo (23 novembre 1995), 2, in «L'Osservatore Romano», 24 novembre 1995, p. 5.

(27) Catechismo della Chiesa Cattolica, 638.

(28) Paolo VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio (29 settembre 1963), 12: AAS 55 (1963) 846.

(29) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 1.

(30) Ivi, 2.

(31) Ivi, 3.

(32) Ivi.

(33) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi dell'Austria in visita «ad limina» (25 aprile 1992), 3, in «L'Osservatore Romano», 27-28 aprile 1992, p. 8.

(34) Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 18: AAS 87 (1995) 16.

(35) Paolo VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio (29 settembre 1963) 13: AAS 55 (1963) 846.

(36) Ivi.

(37) Paolo VI, Discorso all'udienza generale (3 febbraio 1963), in Insegnamenti di Paolo VI III (1965) 849.

(38) Paolo VI, Omelia durante la Santa Messa al «Quezon Circle» di Manila [Filippine] (29 novembre 1970), in Insegnamenti di Paolo VI VIII (1970) 1242.

(39) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio pre-sinodale sull'Europa promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura su «Cristo, sorgente di una nuova cultura per l'Europa alle soglie del Terzo Millennio» (14 gennaio 1999), 3, in «L'Osservatore Romano», 15 gennaio 1999, p. 5.

(40) Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa per la beatificazione di padre Rafal Chylinski, a Varsavia [Polonia] (9 giugno 1991), 6, in «L'Osservatore Romano», 10-11 giugno 1991, p. 9.

(41) Cfr. Giovanni Paolo II, Let. Enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990): AAS 83 (1991) 249-340; Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso - Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istr. Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (19 maggio 1991): AAS 84 (1992) 414-446.

(42) Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), 38: AAS 87(1995)30.

(43) Sant'Agostino, Discorso 235,2: PL 38, 1118

(44) Catechismo della Chiesa Cattolica, 788.

(45) Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.

(46) Paolo VI, Let. Enc. Mysterium fidei (3 settembre 1965) 422: AAS 57 (1965) 762-763: cfr. anche S. Congregazione per i riti, Istr. Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967), 9: AAS 59 (1967) 547.

(47) Catechismo della Chiesa Cattolica, 1373; cfr. anche 1374.

(48) Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 50.

(49) Sant'Ambrogio, Exameron, dies IV, ser. VI, c. 8,32: CSEL 32 / I,1 / 138.

(50) Giovanni Paolo II, Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (16 aprile 1993), 9, in «L'Osservatore Romano», 17 aprile 1993, p. 5.

(51) Catechismo della Chiesa Cattolica, 776.

(52) Cfr. ivi, 789.

(53) Ivi, 795. 807.

(54) Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30.XII.1989), 32: AAS 81 (1989) 451-452.

(55) Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Comitato centrale del Grande Giubileo dell'anno 2000 (5 giugno 1996), 5, in «L'Osservatore Romano», p. 5.

(56) Giovanni Paolo II, Discorso alla celebrazione dei "Vespri d'Europa" nella Heldenplatz a Vienna [Austria] (10 settembre 1983), 1, in «L'Osservatore Romano», 12-13 settembre 1983.

(57) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al 90· Katholikentag di Berlino (23 maggio 1990), in «L'Osservatore Romano», 25-26 maggio 1990, p. 5.

(58) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Bulgaria in visita «ad limina» (7 novembre 1998), 3, in «L'Osservatore Romano», 8 novembre 1998, p. 5.

(59) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi spagnoli delle Province ecclesiastiche di Grenada, di Sevilla e di Valencia in visita «ad limina» (7 luglio 1998), 8, in «L'Osservatore Romano», 9 luglio 1998, p. 7.

(60) Giovanni Paolo II, Discorso all'Angelus (14 febbraio 1999), 1, in «L'Osservatore Romano», 15-16 febbraio 1999, p. 7.

(61) Cfr. Giovanni Paolo II, Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (16 aprile 1993), 1, in «L'Osservatore Romano», 17 aprile 1993, p. 5.

(62) Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Conferenza Episcopale della Polonia in visita «ad limina» (12 gennaio 1993), 2, in «L'Osservatore Romano», 13 gennaio 1993, p. 6.

(63) Cfr. ivi.

(64) Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1.

(65) Ivi, 8.

(66) Giovanni Paolo II, La responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell'attuale momento storico. Appello ad una grande preghiera del popolo italiano (6 gennaio 1994), 8, in «L'Osservatore Romano», 10-11 gennaio 1994, p. 5.

(67) Giovanni Paolo II, Discorso al IIIº Convegno della Chiesa italiana a Palermo (23 novembre 1995), 11, in «L'Osservatore Romano», 24 novembre 1995, p. 5.

(68) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale della regione apostolica Nord della Francia in visita «ad limina» (18 gennaio 1992), 5, in «L'Osservatore Romano», 20-21 gennaio 1992, p.6. Cfr. Discorso ai Vescovi della regione apostolica Sud-Ovest della Francia, in visita «ad limina» (25 gennaio 1997), 3, in «L'Osservatore Romano», 29 gennaio 1997, p. 5.

(69) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della regione apostolica Sud-Ovest della Francia, in visita «ad limina» (25 gennaio 1997), 5, in «L'Osservatore Romano», 29 gennaio 1997, p. 5.

(70) Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10.

(71) Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Conferenza episcopale della Polonia in visita «ad limina» (12 gennaio 1993), 2, in «L'Osservatore Romano», 13 gennaio 1993, p. 6.

(72) Cfr. Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 2.

(73) Cfr. ivi, 3.

(74) Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8.XII.1975), 41: AAS 68 (1976) 31.

(75) Cfr. Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 7.

(76) Tra le altre, cfr. Joint International Commission for the Theological Dialogue between the Roman Catholic Church and the Orthodox Church, Uniatism, Method of Union of the Past, and the Present Search for Full Communion (Balamand, 23 giugno 1993), in: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Information Service, 83 (1993/II) 96-99; Anglican-Roman Catholic International Commission, Clarifications of Certain Aspects of the Agreed Statements on Eucharist and Ministry (settembre 1993), in: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Information Service 87 (1994/IV) 239-242; Lutheran-Catholic International Dialogue, Church and Justification: Understanding the Church in the Light of the Doctrine of Justification (11 settembre 1993), in: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Information Service 86 (1994/II-III) 128-181; Pontifical Council for Promoting Christian Unity - World Lutheran Federation, The Joint Declaration on the Doctrine of Justification (1997), in: Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Information Service 98 (1998/III) 81-86.

(77) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 8.

(78) Ivi.

(79) Ivi, 9.

(80) Ivi.

(81) Cfr. Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso - Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (19.V.1991), 50: AAS 84 (1992) 431.

(82) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 9.

(83) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale della regione apostolica Nord della Francia in visita «ad limina» (18 gennaio 1992), 4, in «L'Osservatore Romano», 20-21 gennaio 1992, p. 6.

(84) Giovanni Paolo II, Discorso alla IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano [Santo Domingo] (12 ottobre 1992), 12, in «L'Osservatore Romano», 14 ottobre 1992, p. 7.

(85) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi spagnoli delle Province ecclesiastiche di Grenada, di Sevilla e di Valencia in visita «ad limina» (7 luglio 1998), 4, in «L'Osservatore Romano», 9 luglio 1998, p. 7.

(86) Ivi.

(87) Cfr. sopra § 45-50.

(88) Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi spagnoli (19 febbraio 1998), 4, in «L'Osservatore Romano», 21 febbraio 1998, p. 4.

(89) Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Polonia in visita «ad limina» (2 febbraio 1998), 5, in «L'Osservatore Romano», 2-3 febbraio 1998, p. 8.

(90) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale della regione apostolica francese «Île-de-France» in visita «ad limina» (7 marzo 1992), 3, in «L'Osservatore Romano», 7 marzo 1992, p. 4.

(91) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso sul tema «Nuove vocazioni per una nuova Europa» (9 maggio 1997), in «L'Osservatore Romano», 11 maggio 1997, p. 4.

(92) Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi del Belgio in visita «ad limina» (3 luglio 1992), 4, in «L'Osservatore Romano», 5 luglio 1992, p. 5.

(93) Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 10.

(94) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso a deputati del Partito popolare europeo nel 40· dei Trattati di Roma (7 marzo 1997), in «L'Osservatore Romano», 8 marzo 1997, p. 5.

(95) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'O.N.U. per il 50· di fondazione (5 ottobre 1995), 14, in «L'Osservatore Romano», 6 ottobre 1995, p. 7; Discorso al Presidente della Repubblica Francese, sig. Jacques Chirac, in visita ufficiale (20 gennaio 1996), 4, in «L'Osservatore Romano», 21 gennaio 1996, p. 4.

(96) Giovanni Paolo II, Omelia presso il santuario di Marija Bistrica per la beatificazione del card. Alojzije Stepinac [Croazia] (3 ottobre 1998), 5, in «L'Osservatore Romano», 4 ottobre 1998, p. 7.

(97) Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (16 aprile 1993), 5, in «L'Osservatore Romano», 17 aprile 1993, p. 5.

(98) Ivi, 6.

(99) Cfr. Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 6.

(100) Giovanni Paolo II, Discorso al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (16 aprile 1993), 8, in «L'Osservatore Romano», 17 aprile 1993, p. 5.

(101) Giovanni Paolo II, Discorso all'Angelus (25 agosto 1996), 2, in «L'Osservatore Romano», 26-27 agosto 1996, p. 1.

(102) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa (1 dicembre 1992), 2, in «L'Osservatore Romano», 3 dicembre 1992, p. 4.

(103) Tertulliano, Apologeticum, 50, 13: CCL I, 171.

(104) Giovanni Paolo II, Discorso all'Angelus (25 agosto 1996), 2, in «L'Osservatore Romano», 26-27 agosto 1996, p. 1.

(105) Ivi.

(106) Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 48: AAS 87 (1995) 35.

(107) Cfr. Giovanni Paolo II, Atto di affidamento a Maria nel santuario di Fatima [Portogallo] (13 maggio 1991), 2, in «L'Osservatore Romano», 13-14 maggio 1991, p. 1.

(108) Cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8.XII.1975), 82: AAS 68 (1976) 75-76; Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, conclusione.

(109) Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente (10.XI.1994), 12: AAS 87 (1995) 12-13.

(110) Cfr. ivi, 13. 51: AAS 87 (1995) 13-14, 36.

(111) Cfr. ivi, 33: AAS 87 (1995) 25-26.

(112) Cfr. ivi, 27: AAS 87 (1995) 22.

(113) Ivi, 32: AAS 87 (1995) 24-25.

(114) Cfr. ivi, 55: AAS 87 (1995) 37-38.

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