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La croce: mistero di amore e di dolore

“La contemplazione del volto di Cristo ci conduce così ad accostare l'aspetto più paradossale del suo mistero, quale emerge nell'ora estrema, l'ora della Croce […] Passa davanti al nostro sguardo l'intensità della scena dell'agonia nell'orto degli Ulivi. Gesù, oppresso dalla previsione della prova che lo attende, solo davanti a Dio, lo invoca con la sua abituale e tenera espressione di confidenza “Abbà, Padre”. Gli chiede di allontanare da lui, se possibile, il calice della sofferenza (cfr. Mc 14,36). Ma il Padre sembra non voler ascoltare la voce del Figlio. Per riportare all'uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del “volto” del peccato. “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).

Non finiremo mai di indagare l'abisso di questo mistero. E’ tutta l'asprezza di questo paradosso che emerge nel grido di dolore, apparentemente disperato, che Gesù leva sulla croce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34) […] Il grido di Gesù sulla croce, carissimi Fratelli e Sorelle, non tradisce l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti. Mentre si identifica col nostro peccato, “abbandonato” dal Padre, egli si “abbandona” nelle mani del Padre. I suoi occhi restano fissi sul Padre. Proprio per la conoscenza e l'esperienza che solo lui ha di Dio, anche in questo momento di oscurità egli vede limpidamente la gravità del peccato e soffre per esso. Solo lui, che vede il Padre e ne gioisce pienamente, misura fino in fondo che cosa significhi resistere col peccato al suo amore. Prima ancora, e ben più che nel corpo, la sua passione è sofferenza atroce dell'anima."

(Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, nn. 25-27)

 

Preghiera:

“E acciò che l’affetto dell’anima fosse tratto alle cose alte, e l’occhio dell’intelletto speculare nel fuoco, Tu, Verbo eterno hai voluto essere levato in alto unde ne hai mostrato nel tuo sangue l’amore […] In questo sangue hai mostrato quanto ti grava e pesa la colpa dell’uomo”

(S. Caterina da Siena, Oratio XII, Virtù della passione in Le orazioni, a c. di G. Cavallini, Ed. Cateriniane, Roma 1978, p.140)

A cura della Pontificia Università Lateranense

 

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