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Il fine della creazione dell’uomo

"Si edifica una casa, non solo perché semplicemente vi sia una casa, ma perché essa accolga e protegga chi la abita. Si costruisce una nave, non con l’intenzione che si possa vedere una nave, ma perché gli uomini su di essa attraversino il mare. Così non si producono vasi perché semplicemente vi siano dei vasi, ma per riporre in essi il necessario ai nostri usi. Anche Dio ha creato il mondo per qualche scopo. Gli stoici affermano che il mondo è stato fatto per l’uomo, e con ragione, perché gli uomini godono di tutti i beni che esso racchiude in sé. Ma perché l’uomo stesso sia stato creato e quale utilità abbia da lui quella artista costruttrice che è la provvidenza, gli stoici non lo hanno spiegato. Che le anime sono immortali, ce ne rassicura il filosofo Platone; ma, per quale motivo e in che modo, quando e come raggiungono l’immortalità, oppure - ciò che soprattutto è un mistero stupendo - che esse sono state create mortali ma in vista dell’immortalità, e poi trascorso il tempo della loro vita mortale e deposto il manto del corpo corruttibile, vengono trapiantate nella beatitudine eterna... tutto ciò Platone non l’ha compreso. Così non si è pronunciato neppure sul problema del giudizio divino e della diversa retribuzione ai giusti e agli ingiusti. Solo riguardo alle anime immerse nel fango del vizio, egli pensò che siano condannate a nascere nuovamente nei corpi di vari animali, espiando così i loro peccati, finché sia loro concesso di ritornare in figura umana; e che ciò si ripeta di continuo e la loro trasmigrazione non abbia fine. È proprio come se Platone ci volesse porre dinanzi agli occhi un gioco onirico della fantasia, non sostenuto né dalla ragione, né dalla guida divina, né da un qualche pensiero.

Voglio dunque esporre quell’importantissima verità che mai i filosofi, che pur hanno detto il vero, hanno potuto scoprire, perché non seppero dedurre fino in fondo le conseguenze. Il mondo è stato creato da Dio, perché nascesse l’uomo. Gli uomini sono stati creati, perché riconoscessero Dio come padre: in ciò consiste la sapienza. Essi riconoscono Dio per onorarlo: in ciò consiste la giustizia. Essi lo onorano, per riceverne il premio dell’immortalità. Ricevono poi il premio dell’immortalità, per servire Dio in eterno. Vedi dunque come tutto è concatenato: il principio con il mezzo, e il mezzo con la fine? Consideriamo dunque le singole asserzioni, e vediamo se le prove reggono.

Dio ha creato il mondo per l’uomo. Chi non vede ciò, non si distingue molto dagli animali. Chi guarda su in cielo, fuori che l’uomo? Chi ammira il sole, le stelle e tutte le altre opere di Dio, fuori che l’uomo? Chi coltiva la terra? Chi ne raccoglie i frutti? Chi naviga sul mare? Chi ha in suo potere i pesci, gli uccelli e i quadrupedi, se non l’uomo? Dunque Dio ha fatto tutto in vista dell’uomo, perché tutto è stato lasciato in uso all’uomo. Ciò hanno riconosciuto rettamente anche i filosofi pagani; ma la conseguenza che ne risulta, non l’hanno vista: che cioè Dio ha creato l’uomo stesso per Dio. Eppure questa sarebbe stata la conclusione ovvia, doverosa e necessaria.

Dopo che Dio ha fatto così grandi opere per l’uomo, dopo che gli ha concesso tanto onore e potenza da dominare il mondo, l’uomo deve ravvisare in lui l’autore di tanti benefici, deve riconoscerlo come creatore, che ha fatto il mondo per l’uomo, e deve degnamente adorarlo e onorarlo. Qui Platone è uscito di strada, qui ha abbandonato la verità che inizialmente aveva pur afferrato, non parlando cioè dell’adorazione di quel Dio che aveva pur riconosciuto come fondatore e padre di tutto, non comprendendo che l’uomo è a lui legato con i vincoli dell’amore filiale e che questo solo è il motivo per cui le anime diventano immortali... È necessario dunque adorare Dio, perché così l’uomo - per la religiosità che è insieme giustizia - riceva da lui l’immortalità. E non vi è anche nessun’altra ricompensa possibile per lo spirito religioso: esso è invisibile, perciò solo da Dio invisibile può essere ricompensato, e solo con un premio invisibile. 

Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni, 36-37

 

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