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CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

SANTA MESSA NELLA BASILICA ROMANA DI SANT'ANTONIO
IN RINGRAZIAMENTO DELLA BEATIFICAZIONE
DI SIGISMONDO FELICE FELINSKI

OMELIA DELL'ARCIVESCOVO EDWARD NOWAK

Giovedì, 17 ottobre 2002

 

1. L'annuncio del Vangelo

L'Evangelista Matteo presenta Gesù in cammino (cfr Mt 16, 13-19). Anzi, lo presenta quasi in corsa:  "percorreva..." dice Matteo. Il suo scopo è l'annuncio del Vangelo del Regno. Ma Gesù si china anche sulla miseria umana. Cura malati ed infermi. Vede le folle. Sono stanche. Sono sfinite. Sono senza guida. Sono senza pastore. E conclude:  "La messe è molta". I discepoli devono chiedere, pregare il padrone della messe per l'invio degli operai (cfr Mt 9, 35).

E lungo i secoli si fece la preghiera. Molti seguirono l'invito di Gesù:  "Pregate il Padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe". E la preghiera portò frutti. Portò frutti preziosi nelle persone, che il Signore mandò a lavorare nella messe, nei pastori che guidarono il gregge del Signore. Pastori veri, che predicavano non sé stessi, "ma Cristo Gesù Signore". Pastori che si chinavano sulla miseria del gregge, come cristo. Erano i "servitori (del gregge) per amore di Gesù" (cfr 2 Cor 4, 5).

2. Gratitudine

Questa sera, nella Basilica di sant'Antonio, ricordiamo in maniera particolare il beato Sigismondo Felice Felinski. Due mesi fa, il 18 agosto, lo ha beatificato Giovanni Paolo II a Cracovia, durante il Viaggio Apostolico in Polonia. Lo vogliamo ricordare qui, all'"Antonianum". Qui svolgono il loro servizio le Suore Francescane della Famiglia di Maria.

Insieme a loro ringraziamo Dio, Padre di ogni bene, che ha voluto innalzare agli onori degli altari il suo servo fedele Sigismondo Felice Felinski. Ringraziamo il Signore per il dono del nuovo beato.
Ringraziamo la Santa Chiesa, nostra Madre, che ha posto questo suo grande Figlio, Vescovo, come esempio da imitare; e esorta a seguire le sue indicazioni e i suoi insegnamenti nel nostro cammino terreno verso la casa del Padre.

Ringraziamo il Santo Padre Giovanni Paolo II, che ha voluto indicare il messaggio del nuovo beato come il programma da realizzare, come la strada da percorrere nel nuovo Terzo Millennio cristiano.

Questo è il motivo della nostra gratitudine. Questo è il motivo della nostra presenza qui a sant'Antonio. Questo è il motivo della nostra gioia e del nostro ringraziamento. Per questo cantiamo con tutto il nostro cuore:  "Te Deum laudamus", "Ciebie Boze wychwalamy!".

Contemplando ora il nostro Felinski nell'aureola dei beati, vogliamo fare alcune riflessioni, per conoscerlo meglio e per avvicinarci a lui e al suo messaggio.

3. Le sue vicende

Il nostro beato è una figura di eccezionale personalità. Anzi, esercita un particolare fascino. La sua vicenda umana colpisce per la sua intensità, addirittura per la sua drammaticità. Anzitutto colpisce la presenza della croce, la presenza della sofferenza nella sua vita e ciò fin dall'inizio.

Ancora ragazzo fu segnato dal dolore a causa della morte del suo padre (1833). Cinque anni dopo la madre fu arrestata e deportata in Siberia per la sua attività patriottica (1838). La casa e il patrimonio familiari sequestrati. Gli amici di famiglia lo presero con loro. Grazie a loro studiò matematica all'Università di Mosca (1839-1844), le scienze umanistiche alla Sorbona di Parigi e al Collége de France (1847-1850). Nell'anno 1848 partecipò all'insurrezione di Poznan.

L'insurrezione fallì ed egli tornò a Parigi. L'anno dopo, all'età di 36 anni, morì tra le sue braccia Juliusz Slowacki, suo intimo amico e grande poeta polacco.

A questo punto la svolta radicale:  decise di consacrarsi a Dio. Tornò in patria ed entrò nel seminario di Zytomierz, diocesi d'origine. Continuò poi gli studi all'Accademia Ecclesiastica a Pietroburgo. Ordinato sacerdote (l'8 settembre 1855) fu educatore e professore degli studenti.

Nella capitale russa incontrò bambini e giovani abbandonati, persone affamate e senza tetto, anziani soli e malati senza assistenza e aiuto. Sensibile a tale miseria umana, che sperimentò già di persona, organizzò gli aiuti ai bisognosi. A tale scopo fondò il "Ricovero per i poveri" (1856) e la congregazione religiosa "Famiglia di Maria" (1857).

A questo punto: una nuova svolta. Pio IX lo nominò Arcivescovo di Varsavia (1862). Il periodo era estremamente difficile. A Varsavia la situazione fu esplosiva. Contro la dominazione russa, si preparava l'insurrezione del gennaio 1863. Egli, conoscendo di persona il fallimento di Poznan, cercò di calmare gli animi accesi. Attirò, perciò, su di sé antipatie ed accuse. Intanto, dopo il suo arrivo a Varsavia sviluppò un'ampia attività pastorale diretta alla rinascita religiosa, morale e spirituale della popolazione. Cercò di eliminare l'ingerenza governativa russa nella vita della Chiesa.

Fu attento anzitutto ai giovani. Fondò a Varsavia un centro di assistenza ai bambini bisognosi e una scuola per i giovani, raccomandando di fare altrettanto nelle parrocchie e nei centri popolati.

Solo sedici mesi esercitò il suo ministero di Vescovo. Arrivò la tragedia. Scoppiò l'insurrezione del gennaio 1863. Il suo fallimento fu seguito da una repressione crudele. Si creò una situazione drammatica. Migliaia di morti nei disperati combattimenti, tribunali speciali, esecuzioni capitali, condanne a duro carcere e ai lavori forzati, deportazioni in Siberia. Cercò di aiutare la gente e i perseguitati, fece alcuni passi e proteste presso lo zar. In risposta Alessandro II lo catturò e lo mandò in esilio nel cuore della Russia. Per vent'anni sarà Jaroslav sul Volga la sua dimora. In quanto gli era permesso, esercitò, con l'ammirazione dei russi la sua azione di sacerdote e di Vescovo. Fu chiamato da loro "il santo Vescovo polacco". Dopo vent'anni fu liberato senza poter tornare in diocesi (1883). Si stabili a Dziwiniaczka in Galizia. Per 12 anni aiutò i sacerdoti esiliati, la povera gente locale. Morì a Cracovia nel 1895. È venerato da tutti come Vescovo martire e santo.

Il Vescovo esule fu sempre operaio nella messe del Signore. Predicava "Gesù Cristo Signore" e si chinava con amore "sulla miseria umana".

4. La sua spiritualità

Il nuovo beato fu ammirato per la sua eccezionale statura umana. Era dotato di particolari capacità naturali, colto, sublime, sensibile, aperto, impegnato nelle vicende del tempo, scrittore, fondatore. Questo non è tutto. Egli sviluppò una profonda spiritualità che gli permise di portare le pesanti croci che il Signore gli aveva destinato e gli permise di svolgere la sua attività segnata dall'amore e dalla cura delle miserie.

Il principale tratto della sua spiritualità fu l'assoluto primato di Dio in tutte le cose e nella sua intera attività. È la dimensione teologica della sua vita. Questa dimensione si esprimeva nella fede in Dio, di carattere forte e maschile, nella fiducia nella divina Provvidenza, nella convinzione che Dio governa tutto e a Lui sottometteva tutto. Ancora giovane studente a Mosca scrisse: "Il mio punto di partenza è la fede. Vorrei, che tutto quello che mi affascina e incanta, trovasse in essa il suo principio" (1843).

Nel 1870 scrisse:  "La volontà di Dio è per me più preziosa di tutto". Tale fede, forte e profonda, gli permise di affrontare i tanti e tragici avvenimenti e croci della sua vita.

L'altro tratto della sua spiritualità è la dimensione mariana. La portò dalla casa paterna. Ecco alcuni segni particolari:  A tredici anni, nella chiesa parrocchiale di Klecie, davanti all'immagine dell'Annunciazione di Maria, fece il voto di castità. Con questo voto unì il suo "sì" dato a Dio al "fiat" di Maria. Prima di prendere possesso della diocesi di Varsavia, si recò a Czestochowa. Alla Madonna Nera affidò il suo ministero episcopale e il servizio pastorale. È proprio in onore di Maria che alla congregazione religiosa da lui fondata dette il nome di "Famiglia di Maria".

Promosse la venerazione di Maria e in particolare il mese mariano. Ecco le sue parole:  "Onorate Maria, addobbate i Suoi altari nei vostri cuori con i fiori della castità, dell'innocenza, delle virtù o perlomeno con le lacrime del pentimento, della conversione, del sincero ravvedimento... Sforzatevi di onorarLa anche nella liturgia del mese di maggio".

Occorre sottolineare poi la sua sensibilità ecumenica. Fu uomo dell'Oriente e dell'Occidente. Educato a Mosca e Pietroburgo, conoscitore di Parigi e di Varsavia. Visitò Vienna, Praga, Dresda, Berlino, Bruxelles. Esiliato nel cuore della Russia conobbe la Chiesa ortodossa e i suoi fedeli. Sospirava l'unità dei cristiani. Predicava pace e concordia, organizzando un'ampia azione caritativa, primo per i perseguitati e poi per la popolazione locale ortodossa.

Occorre sottolineare infine la dimensione francescana della sua spiritualità. In san Francesco vide lo spirito fraterno. Egli gli fu connaturale, possiamo dire. Nel 1862, da Arcivescovo di Varsavia, aderì all'Ordine francescano secolare, assumendo il nome di Fra Antonio, per onorare un altro grande francescano:  sant'Antonio. Il suo vivere era tipicamente francescano:  l'amore per la Chiesa, l'amore per la Madonna, l'accettazione gioiosa della volontà di Dio, la serenità nella sofferenza, la semplicità e soprattutto l'amore per la povertà e per i poveri. Avrebbe potuto avere una vita comoda e agiata. Preferì, però, la povertà. Si accontentava del necessario e il resto cercava di destinare ai poveri. La sua "reale eredità fu un abito talare, un breviario e tanto, tanto amore tra la popolazione" - come san Francesco d'Assisi.

5. Il suo messaggio

Domandiamoci:  Qual è il messaggio del nostro nuovo beato per noi, che viviamo oggi? Ci risponde il Santo Padre Giovanni Paolo II. Nell'omelia di beatificazione disse: "Il beato Sigismondo Felice Felinski, Arcivescovo di Varsavia, in un difficile periodo segnato dalla mancanza di libertà nazionale, ha invitato a perseverare nel servire generosamente i poveri, ad aprire istituzioni educative e strutture caritative.... Guidato da sentimenti di misericordia verso i fratelli, difese apertamente i perseguitati... Anche (nell'esilio in Russia) continuò a ricordarsi delle persone povere e smarrite, mostrando loro grande amore, pazienza e comprensione" ("L'Osservatore Romano", 19-20 agosto 2002, p. 8).

Egli consacrò la sua vita per annunciare il vangelo dell'amore e della carità, seguendo Gesù Cristo. Infatti, l'unica cosa che desiderava per sé e per gli altri fu crescere nell'amore di Dio. Chiedeva il Signore:  "O Dio, moltiplica il tuo amore nei nostri cuori".

Nella vita concreta, di ogni giorno, cercò di tradurre questo desiderio nell'impegno per il prossimo. Nel 1895, ultimo anno della sua vita, scrisse:  "Bisogna fare ciò che è possibile, perché il tempo del lavoro è ormai poco". Andò incontro, come fratello, verso chiunque vivesse in necessità. E quando arrivò la croce, la sofferenza, egli insisteva:  "Ricordatevi, che la passione e la morte durano tre giorni, ma la risurrezione dura per secoli".

6. La nostra prospettiva

Attraverso l'atto ecclesiale di beatificazione, la Chiesa l'ha riconosciuto come eroico Pastore, come eroe della carità cristiana, la sua fu carità eroica. Perciò, oggi, egli diventa per noi un pressante invito a praticare l'amore e la misericordia. E sono tanti, quelli che lo aspettano. Lo possiamo vedere ogni giorno attorno a noi. Pensiamo ai bambini abbandonati e non curati, ai giovani senza casa, senza educazione o senza lavoro. Pensiamo alle persone sole ed abbandonate, con tante necessità a cui far fronte. Pensiamo alla moltitudine degli emarginati nelle città, agli emigrati, alle vittime del crimine, agli infermi senza assistenza, agli anziani che vivono soli. Si fa già tanto. ma ancora rimane un mare di necessità, un mare di sofferenza, anche se ci sembra di vivere bene, nel tempo della prosperità. È quasi come ai tempi di Felinski, anzi la miseria si moltiplica per il numero della gente. "Pregate il Padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe".

7. L'invito

Questo messaggio il beato Sigismondo lo lascia a noi cristiani del Terzo Millennio. Lo lascia soprattutto alla Congregazione religiosa da lui fondata. La carità anzitutto! Cerchiamo di fare qualche cosa, quanto siamo in grado di farlo. Anche porre il bicchiere d'acqua (cfr Mt 10, 42).

Non per i motivi filantropici, sociali, di superiorità, ma nel nome di Gesù Cristo, come san Francesco, come sant'Antonio, come il beato Felinski e come tanti altri grandi eroi cristiani:  beati e santi. E con loro seguiamo san Paolo:  "Noi infatti, non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù" (2 Cor 4, 5).

   

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