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  CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

RIFLESSIONE DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS
SUL SERVO DI DIO DON GIACOMO ALBERIONE  

 


Servire l'uomo, tutto intero, perché in tutto sia salvato dal Vangelo di Cristo, è la lungimirante visione profetica che caratterizza il mistero del singolare carisma di don Giacomo Alberione, per il quale, la diffusione di buoni giornali, riviste, libri e poi di film e di programmi radio televisivi era la vera sfida di una efficace evangelizzazione, alla pari con l'evolversi dei tempi. L'intraprendente iniziativa del venerabile fondatore della famiglia paolina cominciò così a passare attraverso il rombo delle grandi rotative, delle grandi tirature, delle grandi reti di distribuzione dei prodotti della comunicazione, i quali sarebbero divenuti sempre più patrimonio della gente.

La sua non fu soltanto un'intuizione, ben di più, un'impresa inarrestabile... Cominciata con quel "pulpito di carta", che era ben più di una immagine indovinata e che fece breccia, man mano, nel mondo dell'apostolato cattolico, richiamando il dinamismo di un vangelo che deve essere predicato in tutti i modi. Allora era certo la carta stampata ad avere un ruolo centrale, anche nelle preoccupazioni apostoliche di don Alberione. Paolo VI lo chiamava: "Il nostro don Alberione, sempre intento a scrutare i segni dei tempi, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime, che ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e della possibilità della sua missione nel mondo moderno e con i mezzi moderni" (Cfr L'Osservatore Romano del 29 giugno 1969, pag.2).

Una missione che continua con un pulpito che naviga per le autostrade telematiche, attraverso Internet e i nuovi media, in un universo di comunicazione che è, in questi trent'anni che sono trascorsi dalla sua morte, radicalmente cambiato. Ormai i media sono sempre più "multimedia" o "ipermedia", prodotti ibridi, strumenti nati dall'incrocio del computer, del telefono e della televisione:  mezzi che sfruttano linguaggi nuovi e impongono nuove abitudini. Il pulpito di carta di don Alberione è un pulpito che ora "naviga" nel vasto mare di Internet e delle reti telematiche, è questa la barca degli apostoli che oggi devono prendere il largo, secondo l'insegnamento di Giovanni Paolo II ed il suo Duc in altum. Sì, perché dobbiamo certamente a don Alberione l'aver introdotto esplicitamente i mezzi della comunicazione sociale nella pastorale della Chiesa. A lui va riconosciuto il merito di essere stato pioniere nel capire che l'evangelizzazione passa attraverso gli strumenti di comunicazione sociale.

Don Giacomo Alberione (1884-1971), che con la sua testimonianza e il suo slancio apostolico si è mostrato sempre come un dono di Dio per la Chiesa e per il suo servizio nel mondo contemporaneo, con la sua Beatificazione (27 aprile 2003), in modo più ufficiale e solenne viene riconosciuto tale: dono di Dio e patrimonio della Chiesa. La sua lunga vita, intensamente vissuta, percorse un periodo storico pieno di eventi e circostanze che incisero profondamente nella società; alle più urgenti necessità rispose facendo "la carità della verità" attraverso le sue molteplici iniziative di apostolato e fondazioni.

 

I - I dieci rami del grande albero

Una delle caratteristiche più evidenti ed importanti della figura e dell'azione di Don Alberione, dal punto di vista storico, è la sua fondazione di ben cinque Congregazioni (una maschile e quattro femminili), che, insieme con quattro Istituti aggregati e una Associazione laicale, costituiscono i dieci rami del grande albero (o "alberone") che è la Famiglia Paolina.

Le prime due Congregazioni, la Società San Paolo e le Figlie di San Paolo, sono nate quasi contemporaneamente, nel 1914 e nel 1915. Per la Società San Paolo ebbe un ruolo significativo il Vescovo di Alba, Mons. Francesco Giuseppe Re:  Don Alberione annota:  "Il Vescovo, quando si trattò di cominciare, fece suonare l'ora di Dio (aspettava il tocco di campana) incaricandolo di dedicarsi alla stampa diocesana, la quale aprì la via all'apostolato; e così quando si trattò dello sviluppo, poiché quando vide il cammino delle cose, assentì alla sua domanda di lasciare gli uffici a servizio della diocesi:  "Ti lasciamo libero, provvederemo altrimenti; dedica tutto all'opera incominciata"" (AD 30).

L'episodio al quale allude Don Alberione avvenne l'8 settembre 1913, quando Mons. Re gli affidò la direzione di Gazzetta d'Alba. Era allora direttore spirituale del Seminario e, peraltro, si era già messo in luce come scrittore:  nel 1912 aveva pubblicato il suo primo libro: La Beata vergine delle Grazie in Cherasco. La Madonnina: memorie, ossequi, e soprattutto la prima edizione dattilografata degli Appunti di Teologia Pastorale.

Quanto alle Figlie di San Paolo, iniziate il 15 giugno 1915 sotto forma di "Laboratorio Femminile di Sartoria", potevano essere considerate il tentativo di tradurre in pratica un altro libro programmatico di Don Alberione: La Donna associata allo zelo sacerdotale, pubblicato appunto nel giugno 1915 con i tipi della Scuola Tipografica Piccolo Operaio (poi Società San Paolo, che era stata avviata il 20 agosto 1914). Già nel 1916, per iniziativa del Venerabile can. Francesco Chiesa, direttore spirituale di Don Alberione, si annunciava che era stato allestito "un piccolo banchetto di buoni libri e giornali nell'atrio della chiesa" dei Santi Cosma e Damiano di Alba.

Nell'autunno del 1918 il Vescovo di Susa (Torino) invitò i Paolini, e in particolare le Paoline, ad aprire una filiale a Susa per aprirvi una tipografia e farvi uscire il settimanale diocesano La Valsusa sospeso da tempo:  l'iniziativa non ebbe il successo sperato, ma fu un altro passo significativo per l'attuazione del "sogno" di Don Alberione di "instaurare tutto in Cristo" soprattutto mediante l'uso apostolico della stampa.

Un altro passo significativo fu l'istituzione dei Cooperatori Paolini nel 1917; già l'anno successivo, il 29 settembre 1918, Mons. Re approvò lo Statuto dell'Associazione Cooperatori della Buona Stampa.

Mentre a Roma procedeva ancora con qualche difficoltà la pratica per l'approvazione diocesana della Società San Paolo, il 21 novembre 1923 Don Alberione dava il via alla terza Congregazione, le Pie Discepole del Divin Maestro, considerate dapprima un ramo delle Figlie di San Paolo, alle quali continuarono ad essere giuridicamente unite fino al 3 aprile 1947, ma dal Fondatore subito dotate di una loro identità peculiare che fu chiara soprattutto dopo l'inizio ufficiale del 10 febbraio 1924 e che faceva riferimento diretto al servizio sacerdotale, alla devozione-adorazione eucaristica e alla cura della liturgia, configurandole come l'anima contemplativa della Famiglia Paolina che si andava costituendo.

Laboriosa fu anche la nascita della quarta Congregazione, le Suore di Gesù Buon Pastore o Pastorelle:  già "sognate" fin dal 1908, durante un breve periodo di pastorale parrocchiale, come disse loro ripetutamente il Fondatore, e "progettate" con la citata opera La Donna associata allo zelo sacerdotale, esse ebbero inizio ufficiale a Genzano di Roma il 7 ottobre 1938, espressione peculiare e duratura di una grande stagione "pastorale" (che si manifestò anche nell'avvio della Parrocchia Gesù Buon Pastore alla Montagnola, Roma, e di un mensile in latino Bonus Pastor).

Decisamente più semplice e matura fu la fondazione della quinta Congregazione, le Suore Apostoline (o Istituto Regina degli Apostoli per le Vocazioni), avvenuta ufficialmente l'8 settembre 1959 a Castel Gandolfo, anche se la loro approvazione (diocesana) avvenne solo il 26 novembre 1993.

Poco dopo, all'8 aprile 1960, nella piena maturità di Don Alberione, viene fissata la data di fondazione di quattro Istituti "aggregati alla Società San Paolo come opera propria":  "Gesù Sacerdote" per i sacerdoti secolari, "Maria SS. Annunziata" per le donne, "San Gabriele Arcangelo" per gli uomini e "Santa Famiglia" per le coppie (quest'ultimo nacque, di fatto, dopo la morte del Fondatore); i quattro istituti, insieme con l'Associazione dei Cooperatori Paolini, rappresentano la concretizzazione "secolare" dell'ideale spirituale e apostolico di Don Alberione.

 

II - I Papi di Don Alberione

Attento sempre ai "segni dei tempi" e dotato di una profonda sensibilità come figlio della Chiesa, Don Alberione ebbe una particolare percezione di quanto stava avvenendo nella società e si mise al servizio della Chiesa con nuove forme e nuovi mezzi di apostolato, con fedeltà creativa al Papa e al suo Magistero.

Questi furono i Papi che "accompagnarono" la vita di Don Alberione: 

Leone XIII, Gioacchino Pecci, Papa per 25 anni, dal 1878 al 1903:  tutti lo conoscono come il papa della Rerum Novarum, e Don Alberione, fin dalla sua giovinezza, ebbe grande stima dei suoi insegnamenti, in particolare quelli "riguardanti le questioni sociali e la libertà della Chiesa". Ma è doveroso ricordare che la prima e determinante illuminazione che ebbe il futuro fondatore della Famiglia Paolina, si avverò durante l'Adorazione eucaristica istituita proprio da Leone XIII nella notte tra i due secoli (XIX e XX), e l'importanza fondamentale dell'enciclica Tametsi futura per la spiritualità paolina, con al centro Gesù Cristo Via, Verità e Vita.

San Pio X, Giuseppe Sarto, Papa di origini contadine, è giunto al soglio di San Pietro dopo una intensa pastorale diretta; fu quindi particolarmente sensibile e attento alla vita spirituale della gente, soprattutto dei piccoli; il suo motto (ricavato da san Paolo):  "Instaurare omnia in Christo", instaurare tutto in Cristo, e la sua preoccupazione per la fedeltà alla dottrina sicura della Chiesa, segnarono direttamente e indirettamente la mentalità pastorale di Don Alberione, come attesta da un lato l'importanza attribuita alle pubblicazioni destinate alla catechesi, e dall'altro il quarto voto, che egli volle per i Paolini, di fedeltà al Papa quanto all'apostolato.

Benedetto XV, Papa dal 1914 al 1922, fu testimone dolente della "grande guerra" (da lui definita una "inutile strage"); da lui Don Alberione ricevette un forte incoraggiamento a riservare il primo posto alla diffusione capillare della Parola di Dio:  forse non tutti sanno che da Cardinale Giacomo Dalla Chiesa era stato presidente di una associazione laicale chiamata proprio Pia Società di San Girolamo per la Diffusione della Buona Stampa.

Pio XI, Achille Ratti, il Papa alpinista e bibliotecario, e soprattutto il Papa dell'Azione Cattolica, fu determinante per l'approvazione ecclesiastica della Società San Paolo (e quindi poi della Famiglia Paolina), perché fu proprio lui a superare d'autorità tutte le perplessità e le resistenze che serpeggiavano.

Pio XII, Papa dal 1939 al 1958. Don Alberione come tutti i suoi contemporanei non esitò a qualificarlo col titolo di "grande", è nota l'universalità e la profondità del suo magistero:  nei documenti del Concilio Vaticano II è proprio Pio XII il Papa costantemente e ripetutamente citato.

E i Paolini, e soprattutto le Figlie di San Paolo, furono in prima linea nel raccogliere, pubblicare in varie forme e diffondere capillarmente questo ampio magistero. Le approvazioni pontificie della Società San Paolo (nel 1949) e quella delle Figlie di San Paolo (nel 1953) furono date da Pio XII.
Giovanni XXIII, Pontefice dal 1958 al 1963, è stato il Papa del Concilio Vaticano II. In questi giorni lo ricordiamo anche come il Papa della Pacem in terris, contributo davvero profetico per costringere alla pace i potenti della terra. Il "Papa buono" diede l'approvazione definitiva alle Pie Discepole, e approvò gli istituti paolini di vita secolare consacrata e diverse associazioni costituite da Don Alberione. Tre mesi prima della sua morte Papa Giovanni si recò a visitare la parrocchia del Buon Pastore alla Montagnola (Roma) affidata ai Paolini, e fu l'ultima sua "uscita" prima di affrontare il Calvario della sua dolorosa agonia.

Paolo VI:  ultimo Papa incontrato da Don Alberione in ordine di tempo, ma non certo ultimo in ordine di importanza, per la vita e per l'opera del fondatore della Famiglia Paolina. Papa dal 1963 al 1978, ebbe una stima grandissima per la persona e l'opera di Don Alberione. Particolarmente celebre è l'udienza del 28 giugno 1969, quando conferì a lui la croce "Pro Ecclesia et Pontifice", e fece l'elogio più bello e più completo della sua persona, riportato in apertura dell'articolo.

 

III - La tecnologia al servizio dell'evangelizzazione

La Famiglia Paolina conta un organico ricco e vario, ma le istituzioni che la compongono hanno un denominatore comune nel messaggio di Betlemme ("Gloria a Dio, pace agli uomini"), da diffondere attraverso gli strumenti della comunicazione sociale. Se l'apostolato mediatico diretto compete anzitutto, ma non esclusivamente, alla Società S. Paolo e alle Figlie di S. Paolo, quello globale si applica a tutti gli altri gruppi i quali, in armonia con il rispettivo carisma specifico, condividono l'impegno della predicazione mediatica da creare o da interpretare e dilatare, armonizzandosi con la realtà creatasi nel mondo circostante.

Un episodio particolarmente significativo si avverò nell'inaugurazione dello stabilimento cinematografico di Via Portuense a Roma. Nel ritiro spirituale predicato in quella occasione (1960), Don Alberione collegò intimamente cinema ed Eucaristia, chiamando in causa la congregazione terzogenita, cioè le Pie Discepole del Divino Maestro, la cui casa generalizia era sulla collina dirimpettaia, e che hanno il triplice apostolato dell'adorazione eucaristica, la liturgia e il servizio sacerdotale:  "Il Signore - disse Don Alberione - ci ha chiamati all'apostolato del cinema affinché compiamo questa missione non solo con dedizione, ma con avvedutezza e prudenza. Soprattutto però il Signore chiede che ci sia un gruppo di santi, e che non si facciamo mai peccati. Sono contento che qui, nella prossimità dello Stabilimento, ci sia l'adorazione continua delle Pie Discepole. Queste loro preghiere devono contribuire in modo speciale alla santificazione di chi si dedica al cinema. Redimere il cinema: che grande cosa! La Redenzione si applica anche in questo campo. Che il cinema sia veramente cristiano!"

In un articolo del bollettino interno San Paolo, Don Alberione teorizzò la dimensione teologica e pastorale della settima arte:  "Quello del cinema non è un altro apostolato, ma il medesimo:  far conoscere Gesù Cristo Maestro Divino"; è diverso il mezzo non lo scopo, perciò bisogna dedicarvisi "col medesimo zelo, il medesimo senso di responsabilità, le medesime sante industrie" (G. Alberione, Carissimi in S. Paolo, Roma, 1972, p. 954).

Le Suore Pastorelle solo apparentemente sono limitate all'attività parrocchiale tradizionale. In realtà sono impegnate a tenere in gran conto le condizioni generali della società che è in continua evoluzione ed è condizionata dalla presenza dei flussi comunicativi. Nel breve annuncio della loro fondazione, pubblicato nell'Unione Cooperatori apostolato stampa di aprile del 1937, il Fondatore elencava le vie della collaborazione parrocchiale interdisciplinare, cioè non limitata ad un solo settore, ma estesa a tutti quelli che si sarebbero rivelati utili (infanzia, scuola, sanità, visita alle famiglie, pastoralità) aggiungendo specificamente quello della stampa, attraverso la promozione delle biblioteche parrocchiali, la diffusione dei periodici, la cura dei bollettini parrocchiali.

La promozione vocazionale, carisma specifico delle Suore Apostoline si estende a tutte le vocazioni, e comprende anche l'attività redazionale ogni qualvolta le condizioni concrete lo esigono. Attualmente lo fanno con la pubblicazione della rivista Se vuoi, con mostre itineranti, conferenze e dibattiti.

Don Alberione postulò con fermezza la pari dignità della predicazione mediatica e di quella orale-tradizionale, che in seguito è stata consacrata dal Concilio nell'Inter mirifica (n. 1, 3), nell'istruzione pastorale Communio et progressio (n. 126-129), nella Evangelii nuntiandi (n. 46), e nei messaggi pontifici per la giornata mondiale della comunicazione sociale. Nell'Apostolato dell'edizione, Don Alberione teorizza in questi termini la dimensione kerigmatica e soteriologica dell'apostolato strumentale:  "Per apostolato dell'edizione non s'intende semplicemente quel complesso di iniziative che rigettano quanto offende la morale e la fede, ma s'intende la vera missione, che propriamente si può definire:  predicazione della divina Parola, ossia annuncio, evangelizzazione della Buona Novella, della verità che salva, secondo il precetto divino: andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura; ad ogni uomo, perché tutti possiedono un'intelligenza per comprendere ed elevarsi a Dio ed un'anima da salvare. Predicazione tuttavia originalmente fatta attraverso l'edizione". L'equipollenza viene ribadita esplicitamente: "L'apostolato stampa è missione nella sua sostanza, origine, oggetto, fine; è una stessa cosa con l'apostolato-parola". E chiarisce:  "Come la predicazione orale, quella scritta o stampata, divulga la Parola di Dio, moltiplicandola per farla giungere, precisa, ovunque, anche là dove non può pervenire la parola. Ciò sull'esempio di Dio stesso, che ci diede la sua Parola divina nei 72 libri della S. Scrittura, e sull'esempio della Chiesa, che in ogni tempo unì alla predicazione orale quella impressa". Ai profeti ed agli apostoli Iddio non ordinò soltanto di parlare, ma anche di scrivere.

 

IV - Alla base di tutto, una forte spiritualità

Quando Paolo VI descrisse Don Alberione: "Eccolo:  umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all'azione...", ci rivelò il segreto della sua grandezza e della sua fecondità apostolica:  non lo definisce l'essere stato un imprenditore geniale e un grande organizzatore, ma l'essere stato un uomo di intensa vita interiore, un apostolo. Nella sua spiritualità, vissuta con fervore e costanza, troviamo la spiegazione di quella energia interiore che si traduceva subito in azione apostolica. È vero, quindi, che neanche possiamo considerare Don Alberione un teorico della spiritualità e che non ha inteso dar vita ad una scuola di spiritualità.

Egli è stato piuttosto, va ribadito, un uomo che ha vissuto personalmente una intensa vita spirituale, in un fortissimo rapporto con Dio in Cristo sotto la mozione dello Spirito Santo. E quanto ha esperimentato per primo, egli ha consegnato ai numerosi figli e figlie:  un ricco patrimonio di vita spirituale, espresso in una sintesi organica di contenuti e modalità che consentono di percorrere, con frutto e rapidità, i sentieri della santificazione.

Don Alberione invariabilmente sottolineava che la Famiglia Paolina ha una sola spiritualità:  "vivere il Vangelo", "vivere integralmente il Vangelo", "vivere il Vangelo come lo ha interpretato san Paolo". E precisava che vivere il vangelo significa vivere il Cristo Gesù, il Cristo completo come egli stesso si è rivelato, Via e Verità e Vita; o vivere in Cristo, nel Divino Maestro integrale.

Per compendiare le linee portanti della spiritualità di don Alberione possiamo ricorrere alla sintesi che lui stesso ha lasciato nell'opera Abundantes divitiae gratiae suae (AD), in cui si condensa e si raccoglie il carisma e la spiritualità del prossimo Beato: 

"La Famiglia Paolina aspira a vivere integralmente il Vangelo di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, nello spirito di san Paolo, sotto lo sguardo della Regina Apostolorum.

In essa non vi sono molte particolarità, né devozioni singolari, né soverchie formalità; ma si cerca la vita in Cristo-Maestro e nella Chiesa. Lo spirito di san Paolo si rileva dalla sua vita, dalle sue lettere, dal suo apostolato. Egli è sempre vivo nella dogmatica, nella morale, nel culto, nell'organizzazione della Chiesa.

Segreto di grandezza è modellarsi su Dio, vivendo in Cristo. Perciò sempre chiaro il pensiero di vivere ed operare nella Chiesa e per la Chiesa; di inserirsi come olivi selvatici nella vitale oliva, Cristo-Eucaristia; di pensare e nutrirsi di ogni frase del Vangelo, secondo lo spirito di San Paolo. (...).

Tutto l'uomo in Gesù Cristo, per un totale amore a Dio:  intelligenza, volontà, cuore, forze fisiche. Tutto:  natura, grazia, vocazione per l'apostolato. Carro che corre poggiato sulle quattro ruote:  santità, studio, apostolato, povertà" (AD 93-100).

Giustamente c'è stato chi ha sottolineato che nel prossimo beato Giacomo Alberione "vive una scuola di santità, che ha connotati ben precisi, legati alla terra d'origine. Assieme a don Orione è forse uno degli ultimi frutti della straordinaria stagione subalpina di uomini (e di donne) di Dio, iniziata nella prima metà dell'ottocento" (cfr Jesus, anno XXV, n. 4, p. 44).

Certamente accanto al Cottolengo, al Cafasso, a don Bosco e a tutti gli altri, don Alberiore non solo non sfigura, ma condivide una santità vissuta con la testardaggine di chi ha giocato il tutto di una vita scegliendo Cristo e i suoi interessi. Come suggeriva lui stesso:  "Tutto:  ecco la grande parola! La santità vostra dipende da quel tutto". Davvero ha messo in pratica quella massima di autentico sapore piemontese che ripeteva, magari non senza sorridere, mentre guardava con quei suoi occhi essenziali, penetranti e lucenti: "La santità è la testardaggine nel fare la volontà di Dio". Come è stato ricordato, sinteticamente il segreto dell'Alberione lo spiegava lui stesso, quando, celebrando il 50° di fondazione, diceva ai suoi figli:  "Ricordo per tutti:  le opere di Dio si fanno con gli uomini di Dio" (cfr Jesus, anno XXV, n. 4, pag. 65).

 

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