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RITO DI BEATIFICAZIONE DI MARIANO DE LA MATA APARICIO

OMELIA DEL CARDINALE JOSÉ SARAIVA MARTINS 

Cattedrale di San Paolo, Brasile
Domenica, 5 novembre 2006
 

 

Apocalisse 7, 2-4.9-14
Salmo 23, 1-2.3-4ab.5-6
1ª Giovanni 3, 1-3.
Matteo 5, 1-12a.

1. Celebriamo in questa domenica la solennità di "Tutti i Santi". Proprio in questa solennità, oggi, qui a San Paolo rendiamo grazie a Dio anche per il Padre agostiniano Mariano de la Mata Aparicio, poiché è stato iscritto nel "Catalogo dei Beati".

Prima della fine dell'anno liturgico, la Chiesa universale commemora tutti i Santi in un unico giorno, rendendo gloria e lode a Dio "unico Santo tra tutti i suoi Santi". La sua grazia può trasformare la vita fragile e debole di quanti si sono proposti di seguire più da vicino Gesù Cristo, nel riflesso e alla luce della sua santità.

"I Santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. È chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro", leggiamo in san Bernardo, nella Liturgia delle ore di questa solennità (Opera Omnia, Discorso 2). 

In questa festa in cui commemoriamo, quindi, tutti i santi, molti conosciuti e iscritti nel Catalogo dei Santi e dei Beati e altri sconosciuti a noi ma noti a Dio, celebriamo anche il mistero della nostra comunione con loro. Crediamo "alla comunione dei Santi": questo professiamo nel Credo apostolico, ovvero alla comunione di coloro che sono già stati santificati dalla grazia di Dio e di tutti noi chiamati a essere come loro. Il Concilio Vaticano II ha proclamato la vocazione universale alla santità: "tutti i fedeli cristiani d'ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, alla perfezione della santità" (LG 11).

Nella comunione dei santi beneficiamo sin da adesso di coloro che seguono fedelmente Gesù Cristo e ci proponiamo la grandezza di una comune vocazione alla santità che, in essi, ha già dato frutto, ma che può darlo anche in noi se restiamo fedeli al Signore, perseverando fino all'ultimo giorno.

2. Il libro dell'Apocalisse contempla la moltitudine immensa che è passata attraverso la grande tribolazione e si trova già "in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello" (Ap 7, 9), rallegrandosi poiché "la salvezza appartiene al nostro Dio" (Ap 7, 10), per merito di Cristo che donò se stesso, fino alla morte, per tutti noi.

Il numero dei segnati, 144.000, indica l'universalità della salvezza alla quale siamo tutti chiamati, la totalità del nuovo popolo di Israele aperto a tutte le nazioni. Una comunità di santi senza frontiere, nonostante le difficoltà esterne e interne vissute in tutte le epoche, poiché è nella tribolazione che si tesse il vestito della "sposa", la Chiesa. Coloro i quali abitano nella Gerusalemme celeste "hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello" (Ap 7, 14) e "portano palme nelle mani" (Ap 7, 9), le palme della loro lode, della loro testimonianza e della loro gloria. Hanno partecipato alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, nel culto eterno che trascorre alla presenza di Dio, che ha voluto fare una tenda in mezzo ai suoi.

Noi che siamo ancora pellegrini su questa terra ci associamo al loro trionfo, in attesa di seguire i loro passi nel cammino verso la santità, sapendo che il Signore ci precede, va innanzi alla sua Chiesa e ci accompagna per la strada come "pellegrini in terra straniera" (Atti 7, 6), guidandoci fino a Lui, fonte di vita e nostro ultimo, felice destino.

3. Per questo anche oggi, per mezzo di questa "moltitudine di intercessori" che sono ora "simili a Dio" e lo vedono "come egli è" (cfr 1ª Giovanni 3, 2) chiediamo l'abbondanza della sua misericordia e del suo perdono e osiamo persino supplicare:  "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l'amore" (Cantico dei Cantici 8, 6), poiché l'amore è più forte della morte stessa.

Siamo nati da Dio e dal suo amore, Lui ci ha chiamati e siamo suoi figli. In Cristo per mezzo dello Spirito si realizza in noi la santità; chiamandoci ed essendo suoi figli, ci ha convocati a "essere perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48). Siamo già figli di Dio, ma ciò che saremo non si è ancora manifestato. Questa è la nostra speranza e in questa speranza potremo purificarci in Lui. Vediamo che i santi di tutte le epoche e anche del nostro tempo ebbero difetti e furono fragili e peccatori, sebbene si siano purificati nel seguire il Signore e nel suo sangue redentore, ma furono forti e santi in Lui. La fragilità dei santi viene in nostro aiuto anche perché ci mostra il cammino attraverso cui possiamo uscire dal peccato e iniziare a vivere sin da adesso, e dopo senza fine, una vita di intimità con il Padre come unica e autentica alternativa a una vita ingiusta e malvagia. I santi sperimentarono le nostre stesse difficoltà, certamente anche di più, ma seppero vincere le tentazioni del maligno e, con la grazia di Dio, vissero le beatitudini.

4. Nel "discorso della montagna" il Signore proclama le beatitudini, annunciando la vita nello Spirito come una gioia escatologica che, al tempo stesso, è esigenza per quanti si siedono alla mensa della sua parola. Benedetti e beati coloro che si spingono a viverle fino a giungere alla beatitudine eterna. Le beatitudini, vissute innanzitutto da Gesù Cristo, sono il compimento della promessa messianica e quando noi cerchiamo di viverle, con la grazia di Dio, diventano espressione della nostra risposta  di amore all'alleanza sigillata da Dio.

Siamo beati quando siamo poveri in spirito (cfr Mt 5, 3) e, di fronte alle sofferenze di tanta povertà, conserviamo un cuore povero, bisognoso di Dio.

Possiamo essere beati nonostante la sofferenza se la offriamo con mitezza (cfr Mt 5, 4), come sacrificio di lode mentre ci incamminiamo su questa terra verso la terra promessa.

Quando piangiamo, per ciò per cui vale la pena piangere, Dio ci offre la sua consolazione fino a quando erediteremo il suo regno (cfr Mt 5, 5).

Avere sempre fame e sete della giustizia (cfr Mt 5, 6), una grazia sempre aperta al perdono da parte di Dio, ci avvicina alla mensa per la festa del suo Corpo e del suo Sangue, nella quale il Signore sazia la fame di felicità e di vita che il nostro essere anela e brama.

Queste prime quattro beatitudini esprimono la nostra dipendenza dalla grazia di Dio, poiché Dio è colui che regna. Le ultime quattro beatitudini manifestano la nostra dipendenza dai nostri fratelli, come una risposta di amore data a Dio stesso per mezzo loro.

Accogliere nel cuore la stessa misericordia di Dio (cfr Mt 5, 7) ci fa uscire da noi stessi - nonostante le nostre miserie - verso i nostri fratelli - nonostante le loro miserie - poiché in entrambe Dio ha riposto il suo cuore. Raggiungiamo la misericordia di Dio quando siamo misericordiosi con gli altri.

Rimanere con le braccia aperte di fronte a quanti hanno bisogno di noi e con il cuore sempre trasparente e privo di ambiguità, puro con la chiarezza di Dio (cfr Mt 5, 8), rende possibile vederlo in ogni evento e in ogni persona, con gli occhi del cuore illuminati dalla luce di Cristo, che è la luce della Chiesa e di tutte le genti.

Siamo figli di Dio, beati, quando viviamo con la sua grazia in pace, senza oppressioni né ingiustizie, in un mondo con tante violenze e sofferenze (cfr Mt 5, 9).

E, quando siamo perseguitati perché desideriamo vivere sempre la giustizia di Dio, diventiamo degni del regno dei cieli (cfr Mt 5, 10). La perfetta gioia, come la vissero i santi, consiste nell'imitare e nell'identificarsi in Gesù Cristo, anche nell'amore verso quanti si dicono nostri nemici.

Nella celebrazione di oggi noi, la Chiesa sulla terra, ci rallegriamo per tutti i santi, la Chiesa del cielo. E in questa stessa gioia, come beatitudine, riceviamo la forza per continuare il nostro pellegrinaggio dalla città secolare, in questo XXI secolo, verso la città celeste, per tutti i secoli senza fine.

5. Padre Mariano de la Mata Aparicio, dell'Ordine di sant'Agostino, nacque cento anni fa e rispose alla sua vocazione alla vita consacrata e al sacerdozio ministeriale con prontezza e fedeltà. Lasciò la sua famiglia e la sua cittadina - Puebla de Valdavia (Palencia) - e, in seguito, nel 1931, obbedendo ai suoi superiori, lasciò il suo Paese, la Spagna, per andare in Brasile e trovare qui una nuova patria, nella quale visse per cinquantadue anni una vita di santità nella quotidianità e normalità di tutti i giorni.

Gli incarichi ministeriali che ricevette dal suo Ordine e i ministeri pastorali affidatigli dai suoi rispettivi Vescovi diocesani, portati a termine con fedeltà diligente e con generosità immensa, lo hanno portato a essere proposto come esempio e cammino di santità, sia per gli agostiniani e la famiglia agostiniana sia per le diocesi in cui nacque, visse, lavorò e morì per il Regno dei cieli.

I fedeli cristiani e i cittadini di Taquaritinga, Engenheiro Schmidt, Rio Preto e San Paolo ricorderanno questo nuovo beato, elevato oggi, per decisione del Santo Padre Benedetto XVI, all'onore degli altari, come modello da imitare per seguire Gesù Cristo. Molti di quelli che partecipano a questa celebrazione lo hanno conosciuto e frequentato di persona, potendo constatare le virtù cristiane, sacerdotali e religiose di questo agostiniano che tanto glorificò Dio nell'amore e nel servizio alla Chiesa e a tutte le genti.

Padre Mariano fu povero con i poveri, umile con i bambini e sensibile con i malati e gli anziani, lavoratore con gli alunni, i fedeli e l'associazione delle Officine di Santa Rita, misericordioso con i penitenti, puro di cuore, pacifico nella comunità dei religiosi agostiniani e nella sua famiglia, superando le difficoltà con la preghiera e il sacrificio, rivolgendosi alla Vergine Maria, attraverso l'invocazione a Nostra Signora della Consolazione, costantemente, fino al momento in cui lasciò questa vita. Sia in Brasile sia in Spagna il suo ricordo ci aiuterà a rendere gloria e lode a Dio e a seguire il suo esempio. Come consiglia la Lettera agli Ebrei: "Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (Heb 13, 7-8).

6. Poniamo davanti al nostro sguardo il beato Mariano de la Mata e quanti ci hanno preceduto nella fede, i santi conosciuti e quelli sconosciuti, ma iscritti tutti dalla mano del Signore nel "libro della vita", affinché ci consegnino il dono che essi stessi hanno ricevuto e ci custodiscano un posto accanto a Dio. Così la nostra testimonianza si unirà alla loro nel nostro tempo, insieme alla testimonianza di Cristo, "il testimone fedele" (Ap 1, 5) per la lode della sua gloria.

Nell'Eucaristia risiede la fonte della nostra santificazione e l'apice di una esistenza autenticamente cristiana. Accorriamo al Signore in questa celebrazione con "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi" (GS 1) per ricevere il cibo, lo stesso Signore, che è nostra forza e nostra speranza. Nella morte e resurrezione di Cristo viviamo già per Lui e speriamo di vivere sempre con Lui.

Sant'Agostino, nella sua opera "La città di Dio", ci incoraggia a sperare nella città eterna: "Quanto sarà grande la serenità dove non vi sarà alcun male, non mancherà alcun bene, si attenderà alle lodi di Dio che sarà tutto in tutti!" (De civ. Dei, XXII, 30, 1).

Che Maria Santissima, tutti i santi e il beato Mariano de la Mata, per il sacrificio di Gesù Cristo, che presentiamo adesso a Dio Padre nell'unità con lo Spirito Santo, intercedano per noi affinché i nostri passi possano seguire le loro orme nel cammino verso la santità, "fino a quando Egli ritornerà".

Amen.

   

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