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VISITA PASTORALE IN GRAN BRETAGNA

INCONTRO CON I VESCOVI DELLA GRAN BRETAGNA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 28 maggio 1982

 

Miei cari fratelli nell’Episcopato.

1. Nell’incontrarci questa sera, i nostri pensieri si rivolgono immediatamente a nostro Signore Gesù Cristo. Nel Vangelo, Cristo ci dice che non è solo. Egli è in comunione con suo Padre: “Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo . . .” (Gv 8, 29). In un’altra occasione egli dice: “. . . io non sono solo perché il Padre è con me” (Gv 16, 32). La consapevolezza di Cristo di essere uno con il Padre pervade la sua vita e la sua missione. È fonte di forza per lui. Perfino al culmine della sua passione, egli sa di non essere abbandonato, anche se, nella sua natura umana, soffre le pene della solitudine.

2. Cristo sa anche che i suoi discepoli hanno la sua medesima necessità: non debbono affrontare la propria missione da soli. Perciò ha fatto loro la promessa, una promessa che pervade la vita di tutta la Chiesa, per sempre: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Questa promessa era la replica della promessa che Dio aveva fatto in passato. Mosè aveva udito Dio dire: “Io sarò con te” (Es 3, 12). Era una promessa fatta in termini precisi, così egli potè condurre il Popolo di Dio alla libertà. Geremia, che stava per lasciarsi prendere dal panico di fronte alla grandiosità della propria missione profetica, venne rassicurato da Dio: “Io sono con te per proteggerti” (Ger 1, 8). Anche l’apostolo Paolo ha udito parole rassicuranti: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te . . .” (At 18, 9).

3. Ed oggi, nel contesto della collegialità che stiamo celebrando, desidero offrirvi come spunto di meditazione la promessa di Cristo di rimanere con la sua Chiesa, l’assicurazione di Cristo che voi non siete soli.

Il principio di collegialità ci mostra come la convinzione che Cristo applica a se stesso - “Io non sono solo” - si applica anche a noi. Attraverso l’opera dello Spirito Santo, Cristo è con voi ed in voi, quando voi reggete, come suoi vicari (cf. Lumen Gentium, 27), le Chiese affidate alla vostra cura pastorale. Egli è vicino a voi attraverso il ministero di colui al quale la Chiesa attribuisce in modo particolare il titolo di Vicario di Cristo e di Servo dei Servi di Dio.

4. Tutti voi insieme, come Conferenza - gli Ordinari di Rito Latino, come pure il Vescovo Hornyak, amato pastore dei fedeli ucraini - conoscete la solidarietà del Vescovo di Roma nei vostri confronti, nella preghiera e nell’amore fraterno. E come membri del Collegio Episcopale mondiale, sapete di avere il sostegno del successore dell’apostolo Pietro, che è stato reso “il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione”, precisamente “affinché lo stesso Episcopato fosse uno e indiviso” (Lumen Gentium, 18). Nelle settimane passate il Papa è stato vicino a voi, come è stato vicino ai vostri fratelli nell’Episcopato dell’Argentina, nel grande bisogno pastorale che entrambi i vostri popoli stanno sperimentando, in conseguenza del conflitto armato nell’Atlantico del Sud.

Allo stesso tempo, voi, ed i Vescovi dell’Argentina, avete avuto l’assicurazione delle preghiere e del fraterno sostegno dei vostri fratelli Vescovi in tutto il mondo. La Messa che è stata concelebrata nella Basilica di san Pietro il 22 maggio è stata, fra gli altri aspetti, un esempio del potere della collegialità che trascende i naturali confini, le culture, le lingue e perfino le generazioni. L’appello per la pace che è stato fatto allora è stato un atto di collegialità in favore di tutta la Chiesa e di tutta l’umanità. Il Collegio Episcopale sostiene i propri singoli membri. I problemi dei singoli Vescovi e delle Conferenze, come avete potuto sperimentare, sono i problemi di tutto il Collegio. Voi non siete soli.

5. Voi, a vostra volta, siete chiamati a collaborare per il bene della Chiesa universale. Alcuni di voi hanno avuto il privilegio, così come l’ho avuto io, di prender parte al Concilio Vaticano II. Tutti voi avete contribuito, in un modo o nell’altro ai lavori del Sinodo dei Vescovi o a quelli delle vostre Conferenze Episcopali. Alcuni di voi hanno partecipato alle attività collegiali coordinate nella Curia Romana.

6. Allo stesso tempo l’Episcopato universale, con il quale avete lavorato per il bene di tutta la Chiesa, collabora con il Pontefice di Roma per importanti problemi che riguardano le vostre Chiese locali. Anche questo aspetto è una parte vitale della collegialità: voi non soltanto collaborate per il bene degli altri, ma accettate la collaborazione del Collegio nei vostri singoli ministeri. Tale collaborazione è offerta in vari modi, spesso in espressioni non giuridiche, ed è un grande aiuto per voi. In questo aspetto della collegialità voi stessi ricevete un aiuto per leggere con attenzione i “segni dei tempi”, per discernere chiaramente “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 7). È in questo contesto di collegialità che noi vediamo come le Chiese locali ed i loro Pastori danno il proprio contributo alla Chiesa universale, ed anche come esse ricevono l’intuito combinato dell’Episcopato universale. Questo intuito assiste i singoli Vescovi, rendendoli sempre più solleciti per il bene della Chiesa tutta; allo stesso tempo aiuta i Vescovi a salvaguardare, nelle proprie Chiese locali, quell’unità della fede e della disciplina che è comune a tutta la Chiesa (Lumen Gentium, 23), e che deve essere autenticata dalla sua autorità universale. Nel principio di collegialità, i Vescovi trovano, allo stesso tempo, il sostegno fraterno ed un criterio di responsabilità per la loro sacra missione. Le parole di Gesù sono certamente piene di significato per noi, suoi servi: Io non sono solo.

7. Nel vostro ministero di Vescovi, voi sapete quanto i vostri sacerdoti dipendano da voi, e quanto voi dipendiate dai vostri sacerdoti. Insieme - e non da soli - siete stati incaricati di proclamare il Vangelo e di formare il Corpo di Cristo. I sacerdoti sono vostri fratelli ed i collaboratori del vostro Ordine episcopale. La fratellanza con loro garantisce l’efficacia del vostro ministero, e la loro unione con voi garantisce la loro unione con Cristo.

8. Ed ora una parola sui religiosi. Il Concilio Vaticano II ed i suoi documenti applicativi hanno molto contribuito ad illustrare il compito genuino dei religiosi nell’apostolato delle Chiese locali. Anche qui il vostro ruolo riveste una grande importanza, non soltanto per il coordinamento dell’attività pastorale, ma anche per garantire che lo splendido contributo dei religiosi e delle religiose sia utilizzato adeguatamente nello spirito della condivisa responsabilità per il Vangelo, “perché la parola del Signore si diffonda e sia glorificata” (2 Ts 3, 1). Nel vostro impegno pastorale, l’ordinata e fruttuosa collaborazione fra i Vescovi ed i religiosi, sarà una conferma della vostra gioiosa esperienza di non essere soli nell’opera di evangelizzazione e di catechesi.

9. E che dire dei laici? Io sono profondamente convinto che le aumentate possibilità dell’apostolato dei laici siano una fonte particolare di forza per voi, Pastori del Popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II è stato chiaro nell’affermare quanto i laici contribuiscano al benessere di tutta la Chiesa. Nel medesimo contesto afferma che “i pastori, infatti, sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza della Chiesa” (Lumen Gentium, 30). Nel piano di Dio, nell’adempimento del loro proprio ruolo, i laici si propongono di offrire un grande servizio di amorevole sostegno ai loro Pastori in Cristo.

In tutto ciò, il compito dei Vescovi rimane straordinario. È un ministero di pesante responsabilità, ma la presenza di Cristo, e la giusta misura di corresponsabilità assunta dalla comunità, sono più che sufficienti a convincere noi tutti, Vescovi, che non siamo soli.

10. Sono moltissimi i modi nei quali siamo chiamati a servire come Vescovi - tanti sono i campi della nostra missione pastorale: come maestri, che conducono il Popolo di Dio “per il giusto cammino per amore del suo nome” (Sal 23, 3); come guide della liturgia, che offrono “lodi nella grande assemblea” (Sal 35, 18); come Pastori amorevoli e partecipi, che conoscono le loro pecore e che sono conosciuti ed amati da loro. In tutti questi diversi campi il principio di collegialità trova la sua giusta applicazione, e la vita e il ministero del Vescovo sono segnati dall’esperienza di Cristo, il Pastore Supremo, che proclama incessantemente al mondo: io non sono solo.

11. Ed oggi, cari fratelli, il Vescovo di Roma desidera accentuare con forza questo punto: che, come Cristo, voi non siete soli. Con voi il Vescovo di Roma è Pastore del Popolo di Dio, e per voi egli è il servo pastore universale. Come vi conferma nella fede, così egli sostiene voi ed il vostro popolo - come pure i vostri confratelli argentini ed il loro popolo - in tutti gli sforzi che possano portare alla riconciliazione totale e alla pace. Con l’apostolo Pietro, io dico ancora: “Pace a voi tutti che siete in Cristo” (1 Pt 5, 14).

Ed insieme, miei fratelli Vescovi - e non da soli - noi dobbiamo proclamare che la pace è possibile, che è un dovere umano e cristiano, che la riconciliazione è la strada per la pace, e che Cristo stesso è la nostra giustizia e la nostra pace. Nelle gioie e nelle ansietà, nella speranza e nella sofferenza, l’Episcopato Cattolico è congiuntamente responsabile nei confronti di Gesù Cristo per il modo in cui proclama, nel suo nome e per suo mandato, il suo Vangelo di pace, ed esercita il suo “ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18).

Con il nostro clero, i religiosi ed i laici, ed uniti l’uno all’altro, proclamiamo il messaggio salvifico e di riconciliazione del Vangelo, con la profonda convinzione che - come Gesù e con Gesù - noi non siamo soli. Nella collegialità dell’Episcopato cattolico troviamo rinnovata forza e vigore per guidare il Popolo di Dio. E che in Cristo Gesù possiamo sempre essere consci che non siamo soli.

                                        



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