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COMITATO PER LA GIORNATA GIUBILARE 
DELLA COMUNITÀ 
CON LE PERSONE CON DISABILITÀ 

SCHEDE DI PREPARAZIONE 
ALLA GIORNATA GIUBILARE 
DEL 3 DICEMBRE 2000

QUINTA SCHEDA

LA PERSONA CON DISABILITÀ:
COMPITI 
DELLA COMUNITÀ CIVILE ED ECCLESIALE  

La ricchezza della persona con disabilità sfida continuamente la Chiesa e la società e le chiama ad aprirsi al mistero che essa presenta.

La persona con disabilità, come ogni altra persona, è partecipe di diritti e di doveri .

La disabilità non è un castigo, ma luogo in cui vengono sfidati la normalità e gli stereotipi, spingendo la Chiesa e la società a ricercare il punto cruciale in cui l’essere umano è pienamente tale.

Questa scheda è un aiuto per la scoperta della persona con disabilità quale interlocutore privilegiato della società e della Chiesa.

È con tale spirito che la affidiamo a tutti voi per integrare e inserire a pieno titolo le persone con disabilità nella vita della Chiesa e della società, per valorizzare i doni di cui sono portatrici e per riconciliarsi con loro per le lacune nei loro confronti nello spirito del Grande Giubileo e per creare una mentalità di accettazione, di promozione e di solidarietà.

  Il Comitato preparatorio    

  Roma, 17 Giugno, 2000. 


I. LA DISABILITÀ NEI DOCUMENTI INTERNAZIONALI – CENNI

  

Per iniziativa dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 3 dicembre è stato stabilito come “Giornata internazionale delle persone con disabilità”, (risoluzione n. 47/3 del 14 dicembre 1992). 

Nel 1998, la Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite ha riaffermato, con la risoluzione 1998/31 del mese di aprile, che: 

·       Ogni persona con disabilità ha il diritto alla protezione dalla discriminazione e ad un pieno ed eguale godimento dei propri diritti umani, così come stabilito, tra altro, nelle disposizioni 

  • Della Dichiarazione universale dei diritti umani, 
  • Del Patto internazionale sui diritti civili e politici, 
  • Del Patto internazionale sui diritti ecomonici, sociali e culturali, 
  • Dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, 
  • Dalla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, 
  • Dalla Convenzione su “riabilitazione professionale e lavoro (persone disabili)” numero 159 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. 

Muovendo dal corpus internazionale dei diritti dell’uomo, applicabile – come già detto – a tutte le persone con disabilità, le Nazioni Unite hanno adottato, nel 1993, le ‘Regole Standard delle Nazioni Unite per il raggiungimento delle pari opportunità per le persone con disabilità (risoluzione, n. 48/96 dell’Assemblea Generale, 20 dicembre 1993). 

Pertanto, ogni violazione del principio fondamentale di eguaglianza, ogni discriminazione, o altro trattamento differenziato negativo verso le persone con disabilità .... è una violazione dei diritti umani di queste persone. 

Gli orientamenti statuali indicano – attraverso le leggi – principi e mezzi per rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la loro piena realizzazione personale. 

La comunità di appartenenza della singola persona con disabilità può e deve impegnarsi per il raggiungimento di queste finalità: 

a) affermare che rendere ogni ambito della società accessibile a tutti è un obiettivo fondamentale dello sviluppo socioeconomico; 

b) individuare gli aspetti essenziali delle politiche sociali nel campo della disabilità; 

c) fornire modelli per l’adozione delle politiche necessarie per raggiungere le pari opportunità nei diversi contesti culturali, valorizzando il ruolo essenziale delle persone con disabilità; 

d) proporre meccanismi di collaborazione stretta tra i governi, gli organi del sistema delle Nazioni Unite, gli altri organi intergovernativi e gli organismi associativi delle persone con disabilità, attraverso i quali gli Stati siano in grado di raggiungere effettivamente la parità di opportunità per le persone con disabilità. 
 

II. L’IMPEGNO DEGLI INDIVIDUI E DELLA COLLETTIVITÀ 

È comunemente accettato da tutti i paesi con ordinamento giuridico evoluto che la persona con disabilità faccia parte, in modo paritario, delle comunità sociali nelle loro espressioni statuali, associative, ecclesiali e spontanee, in quanto essa è pienamente titolare dei diritti inviolabili riconosciuti ad ogni persona umana. 

Gli ordinamenti statuali indicano – attraverso le leggi – principi e mezzi per rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alla persona con disabilità la sua piena realizzazione personale. 

Tuttavia è necessario che le comunità diventino l’attore principale della concretizzazione effettiva di queste parità. 

Intendiamo indicare i mezzi attraverso i quali la comunità di appartenenza della singola persona con disabilità può e deve impegnarsi per il raggiungimento di queste finalità. 

Individualmente o come comunità, l’impegno dovrebbe svilupparsi su queste direttrici. 

 

L’accettazione cosciente  

Il riconoscimento della persona con disabilità come portatrice del messaggio cristiano del rapporto con Dio è l’essenziale punto di partenza per il rapporto di parità fra le persone. 

La disabilità sfida la normalità e i suoi stereotipi, spingendo a ricercare il punto cruciale in cui l’essere umano è pienamente tale. 

In tale prospettiva vengono ridimensionati i vari egoismi e le sicurezze materiali (razzismi, culto delle perfezioni estetiche, della ricchezza) per porre in risalto il senso stesso della vita umana, i suoi perchè, i suoi limiti. 

  

A livello privato, la famiglia si fa carico del problema nei suoi vari aspetti: affettivi, economici, educativi, mentre la cerchia di amici, parenti e vicini sorregge, direttamente o indirettamente, la famiglia in difficoltà. 

  

A livello pubblico, la sensibilizzazione generale porta la società ad esprimere una volontà di compensazione delle “ingiuste” difficoltà provocate dalla situazione di Menomazione-Disabilità, riconoscendo alla persona con disabilità il diritto di partecipare a tutti i momenti e a tutte le forme della vita collettiva, compresi i tempi del divertimento, della vacanza e della cultura. 

  

La solidarietà personale

La condivisione nasce da un piano di parità fraterna, non cala dall’alto come una beneficienza, ma suggerisce un vivere tra fratelli. Riconoscendo le difficoltà dei più deboli, si cerca di raggiungere un sistema sociale più generoso verso i suoi componenti.   

Ogni forma di impegno fattivo di aiuto nei confronti della persona con disabilità e del suo contesto familiare ne favorisce la migliore qualità di vita. 

Modalità privilegiata di tale impegno appare, oggi, l’adesione individuale alla varie forme di associazionismo, di volontariato o di solidarietà organizzata che sono in perfetta sintonia con il messaggio evangelico del Buon Samaritano. 
   

La promozione dei servizi di aiuto  

Le Regole Standard delle Nazioni Unite indicano i vari campi in cui gli Stati possono intervenire con leggi e provvedimenti attuativi: Cure sanitarie, riabilitazione, servizi di sostegno, accessibilità, educazione, lavoro, mantenimento dei redditi e sicurezza sociale, cultura, tempo libero, formazione del personale di assistenza. 

La linea che collega le scelte politiche degli enti governativi e la loro accettazione da parte dei cittadini deve suscitare la diretta assunzione di responsabilità dei singoli in tutte le forme, dalla difesa dei diritti, alla contribuzione fiscale che sostenga i servizi di aiuto, alla adesione a programmi di prevenzione, alla promozione di provvedimenti legislativi che in ogni campo della vita sociale, indichino la volontà delle collettività di attuare la parità dei diritti per le persone con disabilità. Se questo è un valore ineludibile per il cristiano, può essere in ogni caso un criterio di scelta per ogni tipo di società. 

La comunità è richiamata ai suoi compiti morali e politici particolarmente dalla regola standard n. 9: “Vita familiare e integrità personale”, dalla regola n. 12: “Vita religiosa” e dalla regola n. 18: “Organizzazioni di persone con disabilità”.   
 

  III.            IL COMPITO DELLA CHIESA  

  

Dalla lettura delle Regole Standard, possiamo ricavare i seguenti impegni per la Chiesa:   

1.     La Chiesa dovrebbe impegnarsi attivamente per proporre – in tutti i suoi percorsi formativi, liturgici e di solidarietà – un’immagine positiva della persona con disabilità. Il concetto di carità deve essere vissuto con pienezza, ricordando che la persona con disabilità deve essere un soggetto attivo in una relazione d’amore e non solo un oggetto di azioni caritative. 

2.     La Chiesa dovrà essere sempre vigile per difendere la tutela della salute, in particolare dovrà impegnarsi perchè gli investimenti nel campo della prevenzione siano rispettosi del diritto alla vita di ogni persona con disabilità. 

3.     Spesso i servizi di riabilitazione sono stati attivati per iniziativa di gruppi di espressione ecclesiale. È importante che la Chiesa sappia continuare a sostenere, nonostante la tendenza degli Stati a disinvestire nel campo della sanità, la necessità di destinare risorse adeguate a questo settore. 

4.     La Chiesa dovrebbe farsi promotrice di un ampio movimento sociale volto all’abbattimento di tutte le barriere fisiche e delle barriere che impediscono l’accesso alla comunicazione e all’informazione, cominciando dal suo interno: questo comporta non solo l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle Chiese, ma anche la diffusione di strumenti adatti per permettere a tutte le persone con disabilità di vivere la vita della Chiesa (traduzioni in Braille; sussidi stampati in formato adatto alle persone con disabilità visive; sussidi studiati per facilitare la comprensione delle persone con difficoltà di apprendimento; celebrazioni accompagnate da interpreti per i sordi; uso di una terminologia adeguata nell’ambito degli organi di informazione di stampo ecclesiale ...). In particolare la Chiesa dovrebbe rendere accessibile al massimo il suo immenso patrimonio artistico e le numerose strutture di accoglienza per i pellegrini anche con disabilità. 

5.     La Chiesa dovrebbe essere in prima fila nella difesa del diritto del bambino e dell’adulto con disabilità a una educazione in tutti gli ambiti formativi promossi da realtà ecclesiali, dalle scuole materne fino alle università. 

6.     La Chiesa dovrà attivarsi soprattutto in quei paesi e in quelle circostanze in cui lo Stato non fornisce alla persona con disabilità e alla sua famiglia i mezzi per vivere una vita dignitosa. 

7.     La Chiesa ha una grande responsabilità nei confronti della famiglia, sia nel riconoscere e tutelare il diritto di ogni persona con disabilità a vivere con pienezza il Sacramento del matrimonio, la possibilità di procreare e di crescere la prole; sia nel sostenere materialmente e soprattutto su un piano spirituale, la famiglia in cui vive una persona con disabilità – con particolare attenzione al momento in cui la famiglia affronta questa realtà per la prima volta, e necessita di particolare aiuto e accompagnamento per riconoscere comunque i segni della benevolenza di Dio. 

8.     La Chiesa deve assumere un ruolo attivo per garantire tutti questi spazi di partecipazione, senza attendere che siano le autorità civili presenti nei vari paesi a sollecitare in questa direzione! In particolare, è importante incoraggiare le persone con disabilità che desiderano consacrarsi e stimolare le varie Congregazioni perchè sappiano accogliere al loro interno persone con disabilità. 

9.     Legislazione, politiche economiche, coordinamento nazionale sono ambiti di operatività tipica delle autorità civili, rispetto alle quali i fedeli – singolarmente e nelle organizzazione ecclesiali – hanno una responsabilità di sensibilizzazione attiva rispetto ai diritti di ogni persona con disabilità in tutti i paesi. 

La Chiesa ha possibilità di svolgere un’azione fondamentale di monitoraggio capillare della situazione delle persone con disabilità in tutte le aree periferiche in cui è presente una comunità, in modo da suggerire misure adeguate a chi ha la responsabilità di gestire le politiche nazionali e/o locali. 

In particolare la Chiesa dovrà assumersi il compito di rappresentare, in tutte le sedi politiche, gli interessi di quelle persone che non sono in grado di difendere da sole i propri diritti; dovrà prioritariamente difendere quello che le Regole chiamano “la necessità di proteggere la vita privata degli individui e l’integrità della persona” da ogni interferenza che possa essere legata ad attività di ricerca. 

Soprattutto, il Magistero dovrebbe stimolare ed incoraggiare tutti coloro che dirigono servizi o attività o forniscono informazione nella società ad assumersi la responsabilità di mettere i loro programmi a disposizione delle persone con disabilità. 

10.     Le Congregazione missionarie, le Ong di ispirazione cattolica, gli Uffici missionari delle varie Diocesi dovranno porre attenzione alle necessità delle persone con disabilità in tutte le attività da loro promosse, siano specificatamente destinate alla lotta contro l’handicap o siano destinate ad altre finalità generali.

La Chiesa deve impegnarsi, non solo a favorire la nascita di queste organizzazioni, ma anche a coinvolgere i loro rappresentanti all’interno di tutti i suoi organi centrali e periferici, in modo da valorizzare l’esperienza delle persone con disabilità in tutti gli ambiti di azione ecclesiale.

Sarà fondamentale impegno della Chiesa quello di formare tutti gli agenti pastorali – non solo quelli che si occuperanno esplicitamente delle persone con disabilità – in modo che siano agenti consapevoli di una piena integrazione delle persone con disabilità in tutti i suoi ambiti.

  

Testimonianze

“CHIARA HA UN HANDICAP, NOI L’ABBIAMO ADOTTATA” 

Me la ricordo bene quando è arrivata. È vissuta in simbiosi con me per l’intero primo mese, non potevo lasciarla mai. Oggi, che ha quattro anni e va alla scuola materna, è quasi incredibile. Così Anna racconta la storia della figlia Chiara, adottata a nemmeno un anno di vita: “Aveva subíto un distacco traumatico da una madre quasi adottiva, che dopo dieci mesi si era accorta dei gravi problemi della piccola e non se l’era sentita di tenerla con sé”. Sì, perchè Chiara è portatrice di handicap, come pure il fratellino Michele, anch’egli adottato. Anna e Massimo di figli adottivi ne hanno altri due, più grandi, Sofia e Leonardo, arrivato dal Brasile. Quattro in tutto. Anna e Massimo hanno dapprima dovuto superare l’incomprensione dei parenti per le loro scelte giudicate, più che coraggiose, temerarie. E oggi convivono con le critiche malevoli di chi, forse sentendosi provocato da tanta radicalità evangelica e faticando a spiegarsela, li accusa di voler “metter su un orfanatrofio” e vivere alle spalle dei figli. In realtà soltanto Chiara riceve una pensione di invalidità di 780 mila lire al mese. 

    

INTERROGATIVI 

È un fatto triste che le persone con disabilità siano vulnerabili al cambiamento dei movimenti sociali, politici ed economici. Per esempio, si prevede che la corrente trasformazione sociale risulterà in un ordine economico nel XXI secolo, in cui la conoscenza sarà la risorsa principale, e non la mano d’opera, le materie prime, o il capitale; in un ordine sociale in cui l’inequalità basata sulla conoscenza sarà la sfida più grande; e in politiche pubbliche in cui il governo non è in grado di risolvere i problemi sociali ed economici. Quale principio generale dovrà sottolineare questa trasformazione specialmente per quanto si ripercuote sulle persone con disabilità mentale e con collegate disabilità? Suggerirei che il concetto di qualità di vita dovrebbe provvedere un fondamentale principio, orientato alla crescita, che potrà essere la base per sviluppare una politica nazionale e internazionale sulla disabilità. Anche se il concetto potrà essere usato per motivi sbagliati, esso ci spinge sulla direzione giusta: verso la programmazione e verso il sostegno centrati sulla persona. 

Concludendo, da quando è emerso il principio di qualità di vita nei programmi sociali, l’interesse al concetto è cresciuto. C’è stato un aumento nel sondare le sue critiche dimensioni consensuali, nell’usare tecniche di misuramento multidimensionali, e nell’applicazioni dei ritrovati nella prassi e negli sforzi di valutazione. Malgrado questi sforzi ci sono ancora molte lacune nella nostra conoscenza. Politiche pubbliche e organizzazioni abilitative e reabilitative fanno molta fatica a riformularsi entro un paradigma di qualità di vita che rifletta la rivoluzione di qualità. I responsabili delle politiche e i direttori di programmi hanno bisogno del pensiero più aggiornato a riguardo della qualità di vita e delle sue misurazioni per migliorare i servizi e per promuovere razionali politiche pubbliche. 

 

 

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