Condivisione: via alla pace - Andrea Riccardi
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L'ANNO DELLO SPIRITO SANTO
I segni della speranza: la pace

CONDIVISIONE: VIA ALLA PACE
Andrea Riccardi

Lo studioso nordamericano Samuel Huntington ha avanzato da tempo la tesi del clash tra le civiltà, che ha fatto molto discutere. Il clash è inevitabile? L’interrogativo resta aperto di fronte ad allarmanti sviluppi in alcune aree del mondo. Quali saranno i futuri rapporti tra Occidente e mondo islamico? Come l’Europa ortodossa sta vivendo il rafforzamento dell’Unione Europea? Tanti interrogativi sorgono sul ruolo della Cina in Asia e sugli scenari del mondo. Tuttavia, prima di abbandonarsi a previsioni allarmistiche, bisogna prendere in esame la lettura del mondo contemporaneo fatta da Huntington. Infatti, dopo la fine dei due imperi dell’Est e dell’Ovest, il mondo si sta ristrutturando: le affinità di cultura e civiltà – è la tesi di questo autore – stanno cercando nuovi blocchi: ci sono una civiltà occidentale, latino-americana, africana, islamica, sinica, indù, ortodossa, buddista, giapponese. Si può molto discutere dell’individuazione di queste civiltà, ma è una realtà che il pianeta si sta organizzando in mondi, spesso divisi e contrapposti, talvolta estranei.

La Chiesa non ha mai accettato di essere la comunità di una sola civiltà e di un solo mondo. Lo dice chiaramente la presenza di piccole comunità cristiane in mondi lontani da quelli dove i cristiani sono maggioritari. La sua presenza attraversa il Nord e il Sud, l’Oriente e l’Occidente. Non si sente estranea a nessun mondo e lavora per annullare ogni estraneità. Oscar Cullman parlava dell’«universalismo» come uno dei carismi principali della Chiesa cattolica. La sua vita è fatta della condivisione dei problemi concreti di tanti e differenziati paesi, spesso vissuta nella concretezza del quotidiano, attraverso molteplici esperienze. Lo si sente spesso nelle parole di Giovanni Paolo II, come nel messaggio per la giornata della pace del 1998, dove c’è l’eco dei problemi di tanti paesi. La Chiesa, nella sua fede e nel suo vissuto concreto, esprime l’anelito nascosto di tanti popoli diversi a vivere insieme come famiglia delle nazioni, al di là delle frontiere delle differenti civiltà. Lo stesso Anno Santo esprimerà con evidenza questa «familiarità» tra le genti.

La condivisione del destino di popoli diversi è lo stile con cui la Chiesa è presente in mezzo alle nazioni. E’ condivisione soprattutto della situazione difficile dei poveri: «un segno distintivo del cristiano, oggi più che mai, deve essere l’amore per i poveri, i deboli, i sofferenti» dice il Papa. L’amore per i poveri riguarda non solo quelli prossimi, ma anche quelli lontani. Oggi infatti i cristiani vedono in tempo reale le grandi povertà del mondo. Un risultato del villaggio globale è che l’incontro con i dolori, le guerre, il male, diffusi nel mondo, avviene indipendentemente dal contatto diretto che si può avere. Da questo spesso nasce l’abitudine alle sofferenze che si vedono ma non si toccano: una specie di pericolosa indifferenza. La parabola del buon samaritano («lo vide…» – dice il testo evangelico riguardo all’uomo mezzo morto) ci interroga sulla nostra responsabilità verso i poveri che sono al di là delle nostre frontiere o appartengono a mondi che non hanno molto in comune con il nostro.

La proposta di Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace, va proprio nel senso di responsabilizzare anche verso le miserie lontane: «Si avverte oggi, da parte sia dei cristiani sia dei seguaci delle altre religioni e di tanti uomini e donne di buona volontà, il richiamo a uno stile di vita semplice come condizione perché l’equa condivisione dei frutti della creazione di Dio possa diventare realtà». Uno stile di vita semplice e responsabile può venire incontro ai bisogni di mondi lontani che soffrono. Il Papa fa suo non solo il grido di dolore di tanti, ma reagisce anche al silenzio rassegnato attorno alla sofferenza di intere parti del mondo: «Chi vive nella miseria non può attendere oltre: ha bisogno ora e ha perciò diritto di ricevere subito il necessario».

I muri, che dividono i mondi e le civiltà, spesso nascondono livelli di vita estremamente disperati. Dentro alcuni mondi si fiancheggiano, in maniera davvero stridente, la miseria e la ricchezza. L’amore per i poveri – dice il Papa – richiede «un totale ribaltamento di quei presunti valori che inducono a ricercare il bene soltanto per se stessi: il potere, il piacere, l’arricchimento senza scrupoli». Un cambiamento di stile di vita e di uso dei beni è richiesto ai cristiani che vivono con la consapevolezza di una casa comune, quella del mondo. Il Papa aggiunge: «…a questa radicale conversione sono chiamati i discepoli di Cristo».

In un mondo che conosce nuove divisioni, ma non meno radicali di quelle di ieri, i cristiani rappresentano umilmente una comunità che testimonia la familiarità tra i popoli e l’amicizia con i poveri. Dalla coscienza cristiana germina allora la proposta a tutti gli uomini di buona volontà, perché condividano maggiormente i beni della terra, ma allo stesso tempo adottino uno stile di vita responsabile e consapevole che parte dei loro fratelli è in condizione di povertà. L’appello del Papa propone una cultura della condivisione. I cristiani del Terzo Millennio sono chiamati infatti dalle dimensioni stesse del mondo a vivere su orizzonti universali.

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