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IL GIUBILEO NEL MONDO
Europa

DAL CONCILIO AL GIUBILEO: UN TEMPO DI SPERANZA PER LA CHIESA E L'EUROPA
Mons. Henryk Muszynski
Arcivescovo e Metropolita di Gniezno (Polonia)

Parlando di alcune di queste realtà come l’Europa, la Chiesa, il Grande Giubileo e l’insegnamento del Papa, bisogna sin dall’inizio riferirsi a un loro denominatore comune: il Concilio Vaticano II che ha dato luogo a una particolare primavera della Chiesa. Attualmente, come riporta il contenuto di uno degli ultimi dossier del Giubileo, si percepisce quel Concilio come una «porta del Grande Giubileo». La Costituzione conciliare Gaudium et Spes ha determinato d’altra parte un nuovo modo di comprendere la relazione Chiesa-mondo, ricolma di una maggiore fiducia e amore. Se riusciremo a vedere il vecchio continente europeo come parte significativa del mondo, comprenderemo con facilità che cosa sono diventati per l’Europa il Concilio e il documento menzionato. La Costituzione, di cui tanto si parla, vide praticamente la piena partecipazione nel lavoro del Concilio dell’allora arcivescovo-metropolita di Cracovia, Mons. Karol Wojtyla. Tale fatto rimanda il lettore ai contenuti che sono il motto delle considerazioni che seguono.

Gli agganci unificatori di queste considerazioni possono essere due date e due omelie di Giovanni Paolo II che esse racchiudono. Il 3 giugno del 1979, nella cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria a Gniezno, durante il primo memorabile pellegrinaggio in Polonia, riferendosi al fatto del battesimo di molti popoli slavi, il Santo Padre ha detto: «Non vuole forse Cristo, non dispone forse lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa slavo proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa cristiana? Sappiamo che questa unità dell’Europa è composta da due grandi tradizioni: quella dell’Occidente e quella dell’Oriente». A quel fatto, a quel testo, su cui si è espresso come di un programma del suo pontificato, Giovanni Paolo II si riferiva diciotto anni più tardi, il 3 giugno del 1997, sempre a Gniezno:

«Da questo luogo si riversò allora la potente forza dello Spirito Santo. Qui il pensiero sulla nuova evangelizzazione cominciò a rivestire forme concrete. Nel frattempo si compirono grandi trasformazioni, sorsero nuove possibilità, apparvero altri uomini. Cadde il muro che divideva l’Europa. Cinquant’anni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale i suoi effetti cessarono di scavare il volto del nostro continente. È terminato mezzo secolo di separazione, per la quale milioni di abitanti dell’Europa centrale ed orientale pagarono il terribile prezzo».

Ho ascoltato ambedue le omelie, ma soltanto il diretto riferimento del Santo Padre a quei contenuti di diciotto anni fa è riuscito a farmi capire, in primo luogo, quanto profetiche fossero quelle parole, e in secondo luogo, che fossero diventate un programma così concreto di Giovanni Paolo II, il quale oggigiorno, con una posizione già così elaborata, porta la Chiesa nel terzo millennio. La domanda che ci poniamo in questa riflessione concerne le speranze della Chiesa e dell’Europa, viste nel contesto di quelle omelie e nella prospettiva del Grande Giubileo dell’Anno 2000, che si avvicina a passi giganteschi.

«La speranza che vediamo, non è più una speranza». Abbiamo un’Europa che respira con due polmoni: dell’Est e dell’Ovest. Ha cessato di esistere il muro che le divideva e che rappresentava il muro dell’ostilità. È tornata la libertà, praticamente sotto tutti gli aspetti. Tuttavia questa libertà, quasi all’istante, è diventata sia un dono che un compito. Gli spazi di tale libertà si sono rivelati un terreno incolto che bisogna mettere a coltura, e di fronte alle difficoltà e all’impreparazione a ricevere questo dono, essa libertà è diventata per molti «il dono infelice», così come nel Vecchio Testamento ciò divenne la partecipazione degli Israeliti, condotti via dalla schiavitù d’Egitto.

Assieme al crollo del muro di Berlino – che è rimasto il simbolo della diversificazione dei valori, del pensare e conseguentemente delle divisioni – è caduto un ordine totalitario di gerarchia di valori, esistente non soltanto nella realtà dell’Europa ma anche di tutto il mondo. Quest’ordine si è così profondamente radicato nella menzionata realtà, che il suo declino si è rivelato addirittura una ferita, o meglio molte ferite. Curare tali ferite è divenuto un compito urgentissimo. L’idea della lotta di classe era stata la forza principale del comunismo. Attualmente tutti torniamo alle idee del Vangelo. Nelle omelie menzionate, il Santo Padre parlava della necessità di una nuova Evangelizzazione. Se quel programma erano gli antagonismi, le divisioni, l’odio, proprio questi «anti-valori» dovevano costituire un particolare «motore propulsivo» della storia; così oggigiorno essi devono far posto all’idea dell’amore e della solidarietà che ritornano e che il Vangelo concretizza. Prendendo in considerazione, comunque, la mancanza di esempi eccellenti della realizzazione di tale idea nella storia, alla soglia del terzo millennio, siamo chiamati al «ritorno alle fonti», e quindi alla nuova lettura della Buona Novella come ispirazione e forza spirituale anche per l’Europa e per gli uomini degli anni a cavallo tra il XX e il XXI secolo.

L’Evangelizzazione, che è divenuta lo scopo del pontificato «a cavallo dei millenni», è nel concetto del Papa il dovere di ogni battezzato – è il privilegio e il dovere. Il sistema totalitario, anche sotto questo aspetto, non era venuto in aiuto. Da un lato si dichiarava la tolleranza, la libertà e l’uguaglianza di tutte le religioni, dall’altro lato, invece, si metteva in risalto che la religione è un fatto privato, e l’evangelizzazione veniva circoscritta nel tempio e nella sacrestia. E così, di nuovo, per ogni membro della Chiesa si verificava la necessità di riscoprire il proprio posto in questa comunità, e quindi la profondità dell’ecclesiologia, poiché l’uomo resta un essere religioso. Quest’ultimo, educato o cresciuto nell’atmosfera della cultura latina e cristiana, accetta, apprezza e rispetta il Cristo, anche se non sempre gli basta il coraggio per poterlo accogliere come il suo Signore e Salvatore. Molto spesso, invece, il cristiano di oggi non capisce la Chiesa e vede in essa solamente un’istituzione che non identifica con il Gesù e il suo Vangelo. Di conseguenza non concepisce il bisogno dell’esistere e dell’operare della Chiesa al giorno d’oggi. Giovanni Paolo II, nel suo insegnamento, vede chiaro questo problema con la sua importanza. Le prime parole del pontificato furono: «Non abbiate paura di aprire le porte al Redentore». La prima enciclica fu stampata col titolo: Redemptor Hominis – Il Redentore dell’uomo e parlava solo e unicamente della persona del Salvatore. Invece molte parti della citata, seconda omelia di Gniezno, pronunciata alla fine del diciannovesimo anno di pontificato, si riferiscono all’episodio della discesa dello Spirito Santo, alla realtà del Cenacolo e della originaria coscienza della chiesa.

Il Santo Padre, nel suo insegnamento, ha sempre esposto la tesi che tutti i processi esterni, anche nella dimensione internazionale o intercontinentale, in sostanza iniziano nel cuore dell’uomo. Ha intitolato così il messaggio per una delle Giornate Mondiali della Pace: «La pace nel mondo nasce nel cuore dell’uomo». L’intimo e il cuore dell’uomo sono diventati, per così dire, il punto centrale dell’attenzione di Giovanni Paolo II, sia nella misura della diagnosi fatta sulla fonte del male, sulle divisioni e sui conflitti, sia per la speranza legata ad essi. Nel messaggio, di cui si parla, nel 1980 il Papa espresse parole che più tardi Hans Jakob Stehl fece diventare motto del suo libro sulla politica orientale della Santa Sede e che ravvicina i fatti alla base del crollo del muro di Berlino: «La verità non permette di dubitare dell’avversario. L’uomo di pace ispirato dalla verità non immedesima l’avversario con l’errore nel quale egli si è trovato». Questo pensiero costituisce sempre la base per l’invocazione del Papa al cambiamento dell’uomo interiore e per la formazione del suo intimo. Non privo di significato rimane il fatto che il problema della spiritualità dell’Europa e degli Europei diventa un immenso compito nel contesto del Vecchio Continente che si unisce, anche nelle strutture politiche e culturali. Giovanni Paolo II lega ciò alla chiamata di riscoprire nuovamente l’Eucaristia, sia nella sua azione «nel profondo dell’uomo», sia nell’aspetto che crea le comunità. L’Eucaristia, frantumando e cambiando l’intimo e il cuore dell’uomo, è in grado allo stesso tempo di unire tutti i popoli, i continenti e il mondo. Le prove di ciò sono così esposte dal Santo Padre attraverso i Congressi Eucaristici e anche – nella misura «del futuro del mondo e della Chiesa» – attraverso le Giornate Mondiali dei Giovani.

L’Europa respira con l’Est e l’Ovest. In questo contesto abbiamo davanti agli occhi il problema della promozione dell’unità dei cristiani, intesa già non soltanto nelle categorie religiose, ma politiche e culturali. L’Ovest latino deve cominciare ad attingere dall’Est bizantino e vice versa. Nell’aspetto religioso, l’anno dello Spirito Santo, che sta iniziando, costituisce una occasione straordinaria per il «teologico scambio dei doni». Ecco la nuova aspettativa e le nuove speranze. Il Santo Padre gioisce e ringrazia Dio per i doni inestimabili dei quasi vent’anni passati. D’altra parte è consapevole delle nuove sfide, delle aspettative verso le quali rivolge una grande speranza.

Voglia concludere queste riflessioni ancora un brano dell’omelia di Gniezno dell’anno scorso: «Non sarà che dopo la caduta di un muro, quello visibile, se ne sia scoperto un altro, quello invisibile, che continua a dividere il nostro continente – il muro che passa attraverso i cuori degli uomini? È un muro fatto di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per degli uomini di diversa origine, di diverso colore della pelle, di diverse condizioni religiose; è il muro dell’egoismo politico ed economico, dell’affievolimento della sensibilità riguardo al valore della vita umana e alla dignità di ogni uomo. Perfino gli indubbi successi dell’ultimo periodo nel campo economico, politico e sociale non nascondono l’esistenza di tale muro. La sua ombra si estende su tutta l’Europa. Il traguardo di un’autentica unità del continente europeo è ancora lontano. Non ci sarà l’unità dell’Europa fino a quando essa non si fonderà nell’unità dello Spirito…
… dopo diciott’anni ripeto lo stesso concetto: abbiamo bisogno di risolutezza per conoscere e capire il messaggio del Vangelo di oggigiorno, ma abbiamo anche bisogno della potenza dello Spirito Santo per poter realizzare quotidianamente la verità conosciuta».

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