L'anno giubilare nel vangelo di Luca
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L'ANNO DI GESÙ CRISTO
Commissione Teologico-storica

L'ANNO GIUBILARE NEL VANGELO DI LUCA

Albert Vanhoye

Per la preparazione al Grande Giubileo conviene ovviamente accordare una importanza particolare al passo del vangelo in cui San Luca racconta la predicazione di Gesù a Nazaret (Lc 4,16-30). Questo passo, infatti, è l'unico in tutto il Nuovo Testamento a menzionare un anno giubilare e a metterlo in grande rilievo. Sembra quindi opportuno proporre alcune riflessioni in proposito.

1. San Luca non è il solo tra gli evangelisti ad aver raccontato la visita di Gesù a Nazaret, "dove era stato allevato" (Lc 4,16). Anche San Marco e San Matteo riferiscono questo episodio, senza tuttavia fare il nome della città , designata semplicemente come "la sua patria"(Mc 6,1; Mt 13,54). Ci sono però parecchie notevoli differenze tra il racconto di Luca e quelli di Marco e Matteo. Ne abbiamo già segnalata implicitamente una, quando abbiamo osservato che Luca è l'unico a menzionare un anno giubilare. Luca, infatti, è il solo a dare un contenuto alla predicazione di Gesù. Gli altri due evangelisti si limitano a riferire che Gesù "incominciò a insegnare nella sinagoga"(Mc 6,2; Cf Mt 13,54); non precisano affatto che cosa avesse insegnato. Luca, invece, racconta che Gesù «si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me...!»(Lc 4,16-18; Is 61,1). In modo molto significativo, l'ultima espressione isaiana letta da Gesù recita: «predicare un anno di grazia del Signore»(Lc 4,19; Is 61,2), e subito dopo, il messaggio di Gesù consiste nel dichiarare che proprio "questa Scrittura" era adempiuta in quel giorno. L'espressione di Is 61,2 tradotta "anno di grazia" si rifà chiaramente alla legislazione del Libro del Levitico sull'anno giubilare (Lev 25,10-13). Era quindi un anno giubilare che Gesù proclamava a Nazaret.

2. Un'altra differenza importante tra Luca e gli altri due Vangeli sinottici riguarda la posizione attribuita a questo episodio nel racconto evangelico. Presso Marco, la visita di Gesù alla sua patria non viene situata all'inizio del suo ministero, bensì dopo un lungo periodo di predicazione del vangelo e di attività taumaturgiche, anzi dopo il discorso in parabole (Mc 4,1-34) e la risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-43). Presso Matteo, Gesù ha già, inoltre pronunciato il discorso di missione rivolto ai "Dodici Apostoli" (10,2-42). Luca, invece, ha scelto di dare a questo episodio il primo posto nel suo racconto del ministero di Gesù.

A prima vista si potrebbe pensare che l'intenzione di Luca fosse stata quella di correggere la cronologia di Marco e Matteo. Un dettaglio del suo racconto dimostra però l'inesattezza di tale supposizione, cioé: Gesù prevede che i suoi compaesani gli diranno: «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria»(Lc 4,23). Queste parole manifestano che, prima di venire a Nazaret, Gesù aveva cominciato il suo ministero a Cafarnao e aveva già suscitato grande ammirazione tra la gente, al punto che la sua fama era arrivata a Nazaret. È chiaro quindi che l'intenzione di Luca non è stata quella di dare precisazioni cronologiche. Qual'é stata allora? È stata - i commentatori sono concordi nel riconoscerlo - quella di conferire all'episodio un valore programmatico. Gesù a Nazaret definisce la propria missione messianica e la definisce come il compimento di una profezia che annunziava la predicazione di un anno giubilare. Tutto il ministero di Gesù va quindi capito in questa prospettiva.

3. Il modo in cui Luca cita Isaia presenta alcune particolarità che rivelano una certa maniera di interpretare l'anno giubilare. Dopo aver parlato di "proclamare [...] ai ciechi il recupero della vista", Luca ha aggiunto: "rimettere in libertà gli oppressi", espressione che si ispira a un altro passo di Isaia, cioè Is 58,6, dove serve a definire il "digiuno" che piace a Dio; questo digiuno autentico non consiste in osservanze rituali («piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto» - Is 58,5), ma consiste in iniziative di liberazione («sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo» - Is 58,6). L'effetto dell'aggiunta fatta nel Vangelo è dunque di insistere maggiormente sul fatto che l'anno giubilare deve essere un anno di liberazione. Questo aspetto era già presente nella profezia di Is 61,1-2 che parlava di "proclamare ai prigionieri la "liberazione"; il Vangelo lo ribadisce, parlando una seconda volta di "liberazione" (il testo greco usa due volte la stessa parola, aphesis, dicendo letteralmente: «rimandare gli oppressi in liberazione»); inoltre il tema viene ampliato, giacché la seconda volta non si tratta più semplicemente di "proclamare" ma di "rimettere in libertà" effettivamente. Questo orientamento evangelico corrisponde perfettamente alla comprensione biblica del Giubileo in Lev. 25,10. Questo testo, infatti, recita: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione (ebraico derur, greco aphesis) nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo». Nella traduzione greca dell'Antico Testamento, il rapporto tra il giubileo e liberazione è stato reso ancora più stretto, perché il termine ebraico jubel non vi è stato trascritto in greco, come lo è stato poi nel latino della Volgata (jubilaeus) e in altre lingue, ma è stato tradotto sia "liberazione (aphesis)" (Lev 25,13), sia "anno di liberazione" (Lev 25,10) o ancora "segnale di liberazione" (Lev 25,11-12), di modo che la parola "liberazione" torna cinque volte in quattro versetti. Questa liberazione era anzitutto per gli schiavi ebrei, ma comprendeva anche la remissione dei debiti. Era prescritta per ogni settimo anno (cf Dt 15,1-3,12 ; Ger 34,13-14), ma in modo speciale dopo sette volte sette anni, cioè nell'anno del giubileo. Il Vangelo riprende con insistenza questa prospettiva per caratterizzare la missione di Gesù. Il fatto non manca di essere illuminante e stimolante per la celebrazione del Grande Giubileo del 2000, il quale dovrebbe portare un forte contributo alla liberazione delle persone umane in molteplici modi.

4. Un'altra particolarità della citazione di Isaia in Lc 4,18-19 completa la prospettiva. Si tratta questa volta di una omissione. Il Vangelo, cioè, non cita completamente la frase di Isaia, la quale comprende due complementi oggetto dopo il verbo "proclamare" di Is 61,2.

Il Vangelo cita soltanto il primo ("un anno di grazia del Signore") e tralascia il secondo che è: "un giorno di vendetta per nostro Dio". L'oracolo di Isaia, cioè, prevede due aspetti dell'intervento divino, il primo di liberazione per il popolo ebreo, l'altro di castigo per i suoi nemici. Il Vangelo non ha ritenuto questa contrapposizione. L'omissione fatta ha due conseguenze: a) il messaggio non ha niente di negativo; b) egli ha implicitamente un'apertura universale. Non viene suggerita, infatti, nessuna distinzione tra Ebrei e non-Ebrei. Così viene discretamente preparato l'universalismo dell'annuncio evangelico, il quale diventerà esplicito dopo la morte e la risurrezione di Gesù: la liberazione più fondamentale, cioè quella dai peccati (aphesis hamartion), sarà allora proclamata "nel suo nome a tutte le genti" (Lc 24, 47). Nella preparazione e la celebrazione del Grande Giubileo, l'apertura universale è un tratto essenziale.

5. Il seguito del racconto evangelico ci dimostra come sia difficile per noi raggiungere una vera apertura universale. Spontaneamente abbiamo reazioni egoistiche; i nostri cuori rifiutano di aprirsi completamente. Aprirci ci fa male! Lo vediamo nel caso dei compaesani di Gesù. Ascoltando Gesù, erano pieni di ammirazione "per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca" (Lc 4,22). Il suo messaggio di liberazione era meraviglioso. Poi riconoscono che questo giovane profeta è un loro compaesano e dicono: "non è il figlio di Giuseppe?". La domanda non viene ulteriormente precisata da loro. qual è il suo senso implicito? Qui bisogna guardarsi dall'interpretare Luca partendo dal testo di Marco o Matteo. La sfumatura non è affatto la stessa. In Marco e Matteo, la gente considera l'origine umile di Gesù, che era "il carpentiere" (Mc 6,3), "il figlio del carpentiere" (Mt 13,55), e ne prende occasione per mettere in dubbio la sua alta missione. Luca, invece, non accenna, ne qui ne altrove, all'origine umile di Gesù. Anzi, ha sottolineato fin dall'inizio l'origine nobile di Giuseppe "uomo della casa di Davide" (Lc 1,27), e l'ha ribadita poi per spiegare la nascita di Gesù a Betlemme: «Giuseppe salì alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di Davide» (Lc 2,4). Dopo il battesimo di Gesù, Luca riferisce tutta la genealogia davidica di Giuseppe (Lc 3,23-38). Il lettore del vangelo di Luca ha appena letto questa genealogia quando l'evangelista gli propone il racconto della visita di Gesù a Nazareth; non ha quindi nessun motivo per interpretare in senso spregiativo la domanda della gente.

Che senso deve avere allora questa domanda? È Gesù a rivelarlo. Gesù vede chiaro nei cuori. Egli vede che la domanda corrisponde a un atteggiamento possessivo: sei figlio di Giuseppe, concittadino nostro; quindi ci appartieni e devi fare per noi quello che sei capace di fare. «Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao fallo anche qui nella tua patria» (Lc 4,23). A questo atteggiamento possessivo Gesù resiste decisamente; non lo accetta per niente. Al contrario esige dai suoi concittadini una grande apertura di cuore. Debbono sapere che "nessun profeta è ben accetto in patria" (Lc 4,24) e ciò non perché la gente rifiuta a priori di credere in lui ma perché lo stesso profeta rifiuta di mettere le proprie doti straordinarie al loro servizio e fa passare prima gli estranei. Per inculcare questo punto nelle menti, Gesù cita due esempi ben noti: quello del grande profeta Elia, mandato da Dio, in vista di un intervento miracoloso, non a una vedova ebrea ma a una vedova straniera (1 Re 17,9-16), e quello del profeta Eliseo, che aveva guarito dalla lebbra "Naaman, il Siro"(2 Re 5,8-14). La lezione è chiara: se la gente di Nazaret vuole corrispondere al desiderio di Dio, essa deve accettare di gran cuore che il "suo" profeta non faccia i suoi miracoli a Nazaret ma in altre città e villaggi. Gesù esige dai suoi concittadini questa generosa apertura di cuore.

6. Si trattava di un radicale capovolgimento di prospettiva, di una difficile conversione. La gente di Nazareth non lo consentì. Non rinunciò al suo atteggiamento possessivo. Orbene, quando un affetto possessivo viene contrariato e ostacolato, esso produce una reazione violenta. Tanti drammi passionali sono provocati da tale sorta di reazione, i drammi della gelosia, ad esempio. Avendo sentito il discorso di Gesù, «tutti nella sinagoga furono pieni di furore» (Lc 4,28) e cercarono di ucciderlo (4,29). Ecco a quali eccessi può condurre il rifiuto di aprire il proprio cuore! Purtroppo anche ai nostri giorni, siamo testimoni di eventi analoghi; pensiamo ai sette trappisti sgozzati in Algeria, al Vescovo ucciso a Oran, pensiamo , d'altra parte, all'immane crudeltà delle "purificazioni etniche" nell'ex-Jugoslavia e altrove. Alla radice di questi crimini orrendi si trova un atteggiamento possessivo ed esclusivo di estrema virulenza.

Sfortunatamente, non soltanto la prima parte del racconto evangelico si è rivelata programmatica, cioè la predicazione di Gesù (Lc 4,16-21), ma ugualmente la seconda (Lc 4,23-30), cioè la reazione negativa dei suoi concittadini. Gesù è stato oggetto di critiche acerbe, perché aveva un'immensa apertura di cuore, in particolare verso "i pubblicani ed i peccatori". Questo suo atteggiamento gli suscitò una opposizione crescente, che lo condusse sino alla croce. Negli Atti degli Apostoli, leggiamo più volte come il successo della predicazione dell'Apostolo Paolo presso i pagani provocava la gelosia di certi ebrei, i quali si opponevano all'Apostolo e suscitavano persecuzioni contro di lui (Cf At 13,45; 17, 5; 22,21-22). Anche all'interno delle comunità cristiane, l'atteggiamento possessivo ha provocato seri danni. A Corinto, ad esempio, molti fedeli si attaccavano gelosamente a un apostolo o a un altro; ne risultavano conflitti e divisioni nella comunità. Paolo dovette intervenire con forte insistenza (1 Cor 1,10-3,23).

Concludiamo: sarà certamente di grande utilità per la preparazione del Grande Giubileo meditare il racconto evangelico della visita di Gesù a Nazareth secondo Luca. Questo racconto, infatti, ci indica quali siano gli orientamenti principali dell'anno giubilare e ci mette in guardia contro certi atteggiamenti incompatibili con lo spirito dell'anno giubilare, cioè contro ogni tendenza egoisticamente possessiva e contro ogni ristrettezza di mente e di cuore. Il Grande Giubileo deve essere un tempo di grande apertura di cuore, in unione con il Cuore del "Salvatore del mondo" (Jn 4,42).

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