I fratelli dell'Atlante: una testimonianza da non dimenticare
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I FRATELLI DELL'ATLANTE: UNA TESTIMONIANZA DA NON DIMENTICARE

Bernardo Olivera

La lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente del Papa Giovanni Paolo II, in vista della preparazione al Giubileo del 2000 ricorda che la Chiesa del primo millennio è nata dal sangue dei martiri. È una testimonianza da non dimenticare (TMA, 37). I nostri fratelli dell'Atlante ci lasciano quella testimonianza oggi, mentre stiamo per celebrare, nel 1988, i 900 anni dalla fondazione di Cîteaux e, nel 2000, i duemila anni dalla nascita di Gesù Cristo. Una testimonianza da non dimenticare.

Il mistero dell'uomo, di ogni uomo, si manifesta davvero soltanto nel mistero del Verbo fatto uomo: la testimonianza dei nostri Fratelli, come la testimonianza di tutti noi monaci e monache, dei credenti, uomini e donne, si comprende solo attraverso quella di Gesù Cristo. E questa è la testimonianza del Testimone Fedele: Dio è Amore! Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! Venga il tuo Regno, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori!

Per un voto di "stabilità" fino alla morte

Comunità dell'Ordine e stabilità

La decisione che noi, fratelli dell'Atlante, abbiamo preso non è l'unica. Tutti noi facciamo, come monaci e monache della tradizione benedettino-cistercense, un voto di "stabilità" che ci lega fino alla morte alla nostra comunità ed al luogo ove essa vive. Molte comunità del nostro Ordine, confrontatesi negli ultimi anni con la guerra o con la violenza armata, hanno dovuto riflettere di nuovo e seriamente sul senso di questo impegno, per decidere se abbandonare il loro monastero o rimanere sul posto. Questo è stato il caso delle comunità di Huambo e di Bela Vista, in Angola, della comunità di Butende, in Uganda, della comunità di Marija Zvijezda, a Banja Luka in Bosnia e, proprio ultimamente, dei nostri fratelli di Mokoto, in Zaire. Mentre Huambo, Bela Vista, Butende e Marija Zvijezda hanno scelto di restare nel loro monastero, i Fratelli di Mokoto hanno deciso di prendere la via dell'esilio. In ognuno di questi casi la decisione è stata presa da tutta la comunità, a seguito di consultazioni comunitarie.

Come comprendere la profondità di questo voto nella vita di un monaco? Forse il testo della lettera che Padre Christian aveva pensato di inviare il 28 dicembre 1993 a Sayah Attiya, capo del GIA e del gruppo armato che si era presentato al monastero alla vigilia di Natale, potrà rivelarci il senso del voto in questione: «Fratello, permettimi di rivolgermi a te così, da uomo a uomo, da credente a credente (...). Nel conflitto che il paese sta vivendo ci è impossibile prendere partito da una parte o dall'altra. Il nostro essere stranieri ce lo impedisce. La nostra condizione di monaci (ruhbân) ci lega alla scelta che Dio ha fatto su di noi, quella di condurre una vita di preghiera, semplice, di lavori manuali, di accoglienza e condivisione con tutti, specie con i più poveri (...). Questi principi di vita sono una scelta libera di ciascuno di noi. Essi ci impegnano fino alla morte. Io non penso che Dio voglia che quella morte avvenga per mano vostra(...) Se, un giorno, gli Algerini decideranno che siamo di troppo, rispetteremo il loro desiderio di vederci partire. Con gran rammarico. Io so che continueremo ad amarli TUTTI, voi compresi. Quando e come vi giungerà questo messaggio? Poco importa! Avevo bisogno di scrivervelo oggi. Perdonatemi di averlo fatto nella mia lingua madre. Mi comprenderete. E che l'Unico di tutte le nostre vite ci guidi! AMEN!».

La scelta della comunità

Ritengo sia importante ricordare qui le grandi tappe della scelta che i nostri Fratelli dell'Atlante hanno potuto vivere da quando, la vigilia del Natale del 1993, sei persone armate li hanno raggiunti per convincerli a compromettersi ed obbligarli a "collaborare" con il movimento armato (aiuti sanitari, appoggio economico e logistico).

Nei giorni che seguirono, i monaci decisero, dopo una serie di votazioni nella comunità, di rifiutare ogni forma di collaborazione con il gruppo armato (salvo, eventualmente, aiuti sanitari da prestare nel monastero stesso), di rimanere nell'Atlante, limitandosi a ridurre provvisoriamente il numero dei frati presenti nel monastero, di non tornarsene in Francia, nel caso avessero dovuto lasciare l'Atlante, ma di recarsi piuttosto in Marocco, aspettando di poter tornare nell'Atlante quando le circostanze lo avessero reso possibile. Decisero, infine, di non accogliere novizi. Il 16 dicembre 1994 i Fratelli dell'Atlante, a seguito di nuovi scambi comunitari, hanno voluto procedere ad una nuova votazione per confermare la decisione presa l'anno precedente.

Pericolo di una morte violenta

Nel consulto che li ha condotti alla decisione di rimanere sull'Atlante, malgrado la situazione fosse così tesa, i Frati erano consapevoli della possibilità di una morte violenta. La lettera che il Padre Christian mi ha scritto dopo l'assassinio di due religiosi nel settembre del 1995 lo afferma chiaramente: «La celebrazione si svolgeva in un piacevole clima pervaso di serenità e di spirito di offerta. In essa si riuniva una piccolissima comunità ecclesiale, i cui membri superstiti erano assolutamente consapevoli che la logica della loro presenza doveva includere ormai l'eventualità di una morte violenta. Per molti è come un tuffo nuovo e radicale nel carisma stesso della loro congregazione... ed allo stesso tempo un ritorno alla fonte della prima chiamata. Tuttavia, è chiaro che il desiderio di tutti noi è che nessuno di quegli Algerini a cui ci lega la nostra consacrazione, in nome dell'amore che Dio nutre per loro, ferisca questo amore uccidendo uno qualunque dei nostri fratelli». La riflessione di Padre Christian sulla possibilità di una morte violenta era diventata la sua preghiera, quella dell'uomo che vuole spogliarsi completamente di qualsiasi forma di violenza davanti al suo simile, suo fratello: «Signore, disarmami e disarmali».

Per tre volte almeno, soprattutto in occasione dell'assassinio di altri religiosi e religiose a cui era vicino, Padre Christian evocherà questa possibilità. Dopo l'assassinio di F. Henri, marista: «Ero personalmente molto legato ad Henri. La sua morte mi è parsa così naturale, così coerente ad una lunga vita interamente consacrata ai poveri. Mi sembra appartenere alla categoria di coloro che io chiamo "i martiri della speranza", quelli di cui non si parla mai perché versano tutto il loro sangue nella paziente accettazione quotidiana. Io concepisco in questo modo il "martirio monastico". E' questo istinto che ci porta, oggi, a non cambiare nulla che non sia compreso in un empito permanente di conversione (ma, anche lì, nessun cambiamento!)» (Lettera del 5 luglio 1994).

Cercare nella memoria per scoprire la saggezza

Maestri e mistici della Scuola della Carità

La saggezza cristiana consiste in un progetto divino di salvezza. Fonte e culmine di questo progetto è la Pasqua di Gesù Cristo. Perciò Gesù Cristo è la "Saggezza di Dio" (1 Co 1,24). Esercitarsi alla saggezza vuol dire ricordare e conservare nel cuore gli interventi salvifici di Dio nella storia, mettendo in pratica le norme di condotta che ne derivano. Maria, la Madre di Gesù Cristo, è invocata come Trono della Saggezza per due motivi: perché ha generato dal suo seno la Saggezza fatta carne, e perché ha fatto nascere nel suo cuore la saggezza di chi ha saputo rimuginare, pesare ed interpretare le parole e l'azione salvifica di Cristo Signore.

Il Signore ha operato con la sua potenza nelle vite dei nostri Fratelli. La sua opera in loro si fa anche parola. Nelle pagine precedenti abbiamo lasciato che si esprimessero, che ci narrassero la loro storia, svelandocene il senso. Dio rivela i suoi segreti ai suoi amici, i profeti; questo continua ad essere vero anche oggi.

Dopo la loro Pasqua, i nostri sette Fratelli hanno cominciato ad operare meravigliosamente nel nostro Ordine... e nella Chiesa. E' l'ora di metterci di nuovo in ascolto di ciò che lo Spirito, agendo attraverso di loro, dice alla Chiesa ed al mondo: Egli parla ed insegna in quella scuola delle scuole della carità che è l'Ordine. C'é un primo messaggio destinato a tutti gli uomini e donne di buona volontà. La Pasqua nascosta e silenziosa di quei Fratelli si è trasformata in chiamata evangelica che risuona senza ambiguità.

- Chiedi a Dio che perdoni gli aggressori. Solo il perdono può spezzare la catena dell'odio e della violenza. Perdonare è un atto di profondo rispetto che permette di scoprire anche in colui che offende, al di là di ogni apparenza, l'immagine di Dio. Perdonare è riconoscere e proclamare che, malgrado la nostra malvagità e la nostra ignoranza, Dio ci riconosce tutti come figli, e figli amati teneramente. Perdonare vuol dire testimoniare, nonostante tutto, il Figlio di Dio e la fratellanza universale. La parola del perdono è quella che concorda meglio di tutte con il cuore dei martiri, perché è fedele testimone dell'amore.

Io vorrei, quando arriverà il momento, avere quel tanto di lucidità da poter chiedere perdono a Dio ed ai miei fratelli nell'umanità, nello stesso tempo in cui perdono di tutto cuore i miei attentatori... (Christian, Testamento spirituale).

- Il martire che abbandona la sua vita perdonando, non accusa nessuno. Un gruppo estremista non è affatto rappresentativo di un popolo: nulla sarebbe più assurdo che accusare il popolo algerino o il mondo islamico per quanto è avvenuto. E non si devono neppure accusare gli autori fisici della tragedia. Si tratta di avere fiducia che una parola di perdono possa dissipare tutta la malvagità e l'ignoranza, permettendo che la luce risplenda in noi stessi, e di trovare gli spazi di libertà per trasformare la nostra esistenza. Ogni essere umano merita di essere amato.

Io non vedo in che modo potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio martirio. Sarebbe un prezzo troppo alto da pagare per quella che verrà chiamata, forse, "la grazia del martirio" per mano di un Algerino, chiunque sia, soprattutto se questi dice di agire in obbedienza a ciò che crede essere l'Islam (...). Ed anche tu, amico degli ultimi istanti, che non avrai saputo cosa facevi. Si, anche per te voglio questa GRAZIA, e questo "ADDIO". E che ci venga offerta l'opportunità di ritrovarci, ladroni fortunati, in paradiso, se così piacerà a Dio, nostro Padre; di tutti e due. AMEN! (Christian, testamento spirituale).

- I martiri dell'amore sono i veri artigiani della pace. Non si tratta solamente di avere pazienza e di sopportare o tollerare il male. Non basta essere pacifici e non fare o augurare del male a nessuno. Si tratta di qualcosa di molto più elevato: edificare ed imbastire la pace attraverso l'offerta della propria vita. Nessuno l'ha tolta loro: essi l'hanno liberata.

Io non penso che la violenza possa estirpare la violenza. Noi, come uomini, non possiamo esistere se non accettando di farci immagine dell'Amore, come si è manifestato nel Cristo, che, giusto, ha voluto subire la sorte dell'ingiusto. (Luc, lettera, 24/3/1996).

- La vita umana ha un senso - è un sentiero diretto ad un fine - e questo senso si trova solo quando la vita è donata in un'offerta pura e gratuita. Se la vita è un dono ricevuto, allora chiunque trasforma la sua vita in un dono offerto vive e fa vivere. Ricevere ed offrire è amare. Amare è vivere. Vivere è amare. E la morte può essere l'ultimo atto d'amore capace di dare un significato di eternità alla vita.

Non si ama veramente Dio se non c'è un'accettazione senza riserve della morte. (Luc, Lettera, 19/3/1995)

Lo Spirito parla anche oggi alla Chiesa universale e a tutte le Chiese locali. Ecco cosa dice loro.

- Il dialogo interreligioso islamico-cristiano ha ora dei nuovi motivi per andare avanti: sette vite offerte in dono costituiscono un solido fondamento per una mutua comprensione. Loro sanno che le azioni parlano più delle parole.

Non avendo le conoscenze linguistiche e religiose necessarie per dialogare con l'Islam, io mi sento chiamato semplicemente all'ascolto. Ed è Dio, ascoltato nel suo Verbo inviato, che mi dice di ascoltare, di accogliere tutta questa realtà strana, diversa. Fino a considerarmi responsabile: che lo Spirito la conduca tutta verso la verità. E se noi possiamo percorrere insieme questo cammino, tanto meglio! E si potrà parlare e tacere, cammin facendo. (Christophe, Giornale, 30/1/1996).

Noi dobbiamo essere testimoni dell'Emmanuele, "Dio con...". C'è una presenza di "Dio tra gli uomini" che noi dobbiamo accettare coscientemente. E' in questa prospettiva che noi comprendiamo la nostra vocazione a costituire una presenza fraterna di uomini e donne che condividono la vita con i musulmani, con gli Algerini, nella preghiera, nel silenzio, nell'amicizia. Le relazioni Chiesa-Islam sono ancora incerte, perché non abbiamo ancora vissuto abbastanza accanto a loro. (Christian, Riflessioni per la Quaresima, 8/3/1996).

- I sette martiri dell'Atlante sono un frutto maturo della Chiesa locale e del popolo algerino: essi hanno deciso di rimanere, allo scopo di continuare a vivere in mezzo a quella Chiesa ed a quel popolo. Essi desideravano fare Chiesa in Algeria per il popolo algerino.

Se ci capiterà qualcosa, e non me lo auguro, vogliamo viverlo qui, solidali con tutti quegli Algerini ed Algerine che hanno già pagato con le loro vite, solidali con tutti quegli sconosciuti, innocenti... Mi sembra che Colui che ci aiuta oggi a resistere, è Colui che ci ha chiamato. Ne sono profondamente meravigliato. (Michel, Lettera, Aprile 1994).

E' certo che Dio ama gli Algerini, e che ha senza dubbi scelto di provarglielo donando loro le nostre vite. Allora, li amiamo veramente? Li amiamo abbastanza? E' il momento della verità per ognuno, ed una pesante responsabilità oggi, se i nostri amici si sentissero poco amati. Pian piano, ognuno impara ad inserire la morte in questo dono, e con essa tutte le altre condizioni di questo ministero del vivere insieme, che è esigenza di gratuità totale. In certi momenti, tutto questo potrà sembrare poco ragionevole. Poco ragionevole come farsi monaco... (Christian, Lettera circolare della comunità, 25/4/1995).

- Dio si serve di chi è umile per edificare grandi cose: soltanto gli oscuri testimoni di una speranza possono divenire martiri luminosi dell'amore. Essi hanno scelto di essere dei minuscoli semi, piantati affinché cresca il grande albero del Regno.

Cosa sarà rimasto tra qualche mese della Chiesa d'Algeria, della sua visibilità, delle sue strutture, delle persone che ne fanno parte? Poco, verosimilmente molto poco. Nonostante ciò, io credo che la Buona Novella sia stata seminata, ed il grano germinerà (...) Lo Spirito è all'opera, Egli lavora in profondità nel cuore degli uomini. Siamo disponibili affinché Egli possa agire in noi attraverso la preghiera e l'amore verso tutti i nostri fratelli. (Paolo, Lettera, 1/1/1995).

La nostra Chiesa è stata duramente scossa, soprattutto nella nostra diocesi di Algeri. Ridimensionata, ferita, essa ha subito qui le dure esperienze dello spogliarsi e della gratuità, iscritte nel Vangelo come in ognuna delle nostre vocazioni al seguito di Gesù. Vulnerabile, estremamente fragile, essa si scopre anche più libera e più credibile, nel suo voto "di amare vino alla fine"... (Christian, Come, nell'attuale situazione, ci riallacciamo al carisma del nostro Ordine?, 21/11/1995).

Dinanzi alla morte, dimmi che la mia fede - Amore - resterà salda. All'improvviso sono atterrito dal credere. (Christophe, Giornale, 1/1/1994).

Eccomi dinanzi a te, mio Dio... Eccomi, ricco di miseria e povertà, e di una debolezza indicibile. Eccomi dinanzi a te, che non sei altro che Amore e Misericordia. Dinanzi a te, ma per tua sola Grazia, eccomi tutto intero, con tutto il mio spirito, tutto il mio cuore, tutta la mia volontà. (Bruno, 21/03/1990).

C'è anche una parola per noi, monaci e monache dell'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza. Per noi che, dopo nove secoli di esistenza, ci prepariamo a varcare la soglia di un nuovo millennio con un cuore rinnovato e allargato.

- Essi hanno seguito Gesù, fino alla fine, secondo il radicalismo assoluto del Vangelo. Hanno accettato coscientemente il comportamento e le scelte di Gesù. Hanno abbracciato il suo destino. Sono stati sfigurati con lui per farsi a lui simili. Hanno preso su di loro la croce dell'abnegazione per accelerare l'avvento del Regno. Non hanno preferito nulla all'amore del Cristo, servitore dei servitori di Dio.

Io ti chiedo in questo giorno la grazia di diventare servitore
e di donare la mia vita
qui
come prezzo della pace
come prezzo della vita
Gesù, attirami
nella tua gioia
di amore crocifisso.

(Christophe, Giornale, 25/7/1995)

- Essi si sono lanciati verso il mistero fino ad esserne pienamente trasformati. Un misterioso influsso ha permesso loro di fare esperienza del mistero fino a diventare fuoco e luce. I nostri sette mistici ci tendono la mano per introdurre anche noi nella gloria trasformatrice di Dio. Essi ci invitano a fissare lo sguardo nell'oscurità delle tenebre, fino a contemplare il viso dell'Altro. Ci dicono che non c'é trascendenza senza trasparenza ed immanenza. La Parola e l'Eucaristia sono la porta d'accesso al cuore di Dio, fonte di ogni trasformazione.

Tu mi parli - quando io dico e canto: grazie al tuo amore per me, entro nella tua casa.
È lì, in me - così lontano, così vicino:
In te, ho accesso al mio io, liberato all'amore del quale tu sei l'Amato,
se qualcuno mi ama - e come dire io t'amo, se non grazie al tuo stesso Alito.
Noi verremo a lui
io e mio Padre.

(Christophe, Giornale, 4/3/1994)

- Hanno vissuto, sono morti e sono entrati nella vita eterna insieme. La comunità è il luogo sacro della rivelazione di Dio. L'amore li ha saldati in una solidarietà impensabile. La vita comune senza comunione di vita importa poco. La koinonìa svela il Resuscitato, rendendo nuova ogni cosa. Essi non hanno cercato il loro interesse, ma quello degli altri; per ciò il Signore li ha accolti insieme e nello stesso momento nella vita eterna.

Ascolta, Chiesa: Io sono.
Ascolta, io in te, come il Padre in me, Lui in me ed io in Lui,
Noi siamo UNO.
Ascolta: io sono in te la Resurrezione: la Vita.
Grazie a te (in te, con te), io oltrepasso il muro. Il mio peccato si erge dinanzi a me - questa mancanza d'amore per i miei fratelli - grazie a te, io non rimango - non troppo a lungo - abbattuto, disperato... Io supero la morte.
Quando, dunque, la mia esistenza fraterna sarà vissuta da quel lato
perché tu vuoi che noi arriviamo insieme a quella vita eterna.
Oggi tu mi dici: alzati, và verso te stesso, verso il tuo io pasquale.

(Christophe, Giornale, 30/10/1994)

Il Natale del 1993 è stato, per la comunità dell'Atlante, un'esperienza che ha segnato le loro vite. Due anni dopo ammettevano che: «attraverso quell'avvenimento ci siamo sentiti tutti invitati a nascere. La vita dell'uomo passa di nascita in nascita (...). Nella nostra vita c'é sempre un bambino da far venire alla luce: il figlio di Dio che è ciascuno di noi» (Christian, Riflessioni sulla Quaresima, 8/3/1996).

Anche noi monaci e monache Cistercensi, per quanto è avvenuto ai nostri Fratelli, siamo invitati a rinascere. Il cammino è stato tracciato, non resta altro da fare che percorrerlo. Con Gesù, tutti assieme, verso il Padre. A partire dall'Ordine, attraverso la Chiesa, fino ai confini dell'umanità. Dall'apertura all'insegnamento, al discernimento, all'ecumenismo e al dialogo. Non si tratta di morire, ma al contrario di vivere radicalmente. E se il prezzo della fedeltà è la morte, paghiamo questo prezzo, consapevoli che è così che si acquista la Vita.

O Gesù, accetto con tutto il cuore che la tua morte si rinnovi, si compia in me; io so che con te si riemerge da quella vertiginosa caduta negli abissi, proclamando al demonio la sua sconfitta. (Célestin, Antifona pasquale).

L'autentico pellegrino ha entrambi i piedi ben poggiati sul presente e li porta velocemente verso il futuro, sicuro che il Signore guida i suoi passi. Il cammino si percorre con slancio quando nel cuore ci sono musica e canti. In una lettera postuma, lo stesso Padre Célestin diceva questo, in tutta semplicità.

Prestando il mio servizio quotidiano (e questo mi aiuta ogni giorno), io canto ogni mattino due piccole frasi: «O Dio, tu sei la nostra Speranza sul viso di ogni vivente»; e «Meraviglia della tua Grazia!, Tu confidi agli uomini i segreti del Padre» (Lettera, 22/1/96).

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