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E dopo 50 anni si sono aperte le frontiere

Massimo Tarantino

Il primo pellegrinaggio nazionale a Roma del Grande Giubileo del 2000 è stato quello di uno stato europeo di formazione recente ma di secolari tradizioni cattoliche: la Slovacchia. Almeno 5000 pellegrini guidati dal Cardinale Vescovo di Nitra, Jan Chryzostom Korec, e dal Presidente della Conferenza Episcopale Slovacca, Mons. Rudolf Balaz, hanno preso parte all’Udienza speciale loro concessa dal Santo Padre il 15 febbraio nell’Aula Paolo VI, animandola con il colore dei tipici abiti folkloristici e con il calore dei ripetuti cori che hanno accolto l’arrivo del Papa. Il pellegrinaggio slovacco, che comprendeva anche una rappresentanza di cristiani di diversa confessione, ha proposto anche due celebrazioni in rito bizantino a Santa Maria Maggiore e Santa Maria degli Angeli. Dopo la Slovacchia, il secondo pellegrinaggio nazionale, sempre da un paese dell’Est, è stato quello della Lituania. Il 1 marzo sono arrivati a Roma circa 2000 fedeli, presenti il Presidente della Conferenza Episcopale e Arcivescovo di Vilnius, Mons. Audrys Backis, e il Segretario Generale e Vescovo Ausiliare, Mons. Jonas Boruta. Per i pellegrini lituani il Giubileo ha rappresentato, parole di alcuni di loro, “una porta aperta dopo cinquant’anni di chiusura”; “per anni siamo stati schiacciati con la forza -hanno detto-, ma abbiamo mantenuto i legami spirituali con Roma e non abbiamo mai perso la fede”. Nei quattro giorni del pellegrinaggio hanno visto il Papa in udienza, assistito alla preghiera serale in Piazza San Pietro, guidata dall’Arcivescovo, e alle celebrazioni eucaristiche a San Pietro e a San Giovanni. A pochissimi giorni di distanza, a cavallo tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, si sono succeduti i pellegrinaggi di Estonia, Bosnia-Erzegovina e Repubblica Ceca. I pellegrini provenienti dall’Estonia sono stati in Italia dal 24 marzo al 4 aprile, passando non solo per Roma, ma anche per Venezia, Padova, Salerno e Amalfi. Nei giorni dal 27 al 30 marzo si è tenuto il pellegrinaggio giubilare della Bosnia, organizzato dalla Conferenza Episcopale per 500 fedeli che sono arrivati accompagnati dal Cardinale Vinko Puljic. Più di seimila pellegrini ceki, guidati dal Cardinale Arcivescovo di Praga, Miroslav Vlk e dal Presidente della Conferenza Episcopale, Mons. Jan Graubner, hanno riempito la Basilica di San Paolo il 31 marzo per la Via Crucis. Il giorno dopo sono stati ricevuti dal Papa in udienza nell’Aula Paolo VI; si è trattato di un incontro toccante, scandito da canti, applausi, emozioni di ogni tipo. L’ultimo atto del pellegrinaggio è stata la Messa celebrata dal Cardinale Vlk nella Basilica di San Pietro. Il Cardinale ha messo in risalto che la Chiesa Ceca non aveva potuto partecipare ai precedenti Giubilei del 1950, del 1975 e del 1983, e che, in assoluto, è la prima volta che i fedeli hanno potuto varcare la Porta Santa. Una visita “storica”, dalla quale i pellegrini hanno tratto nuova forza e coraggio per la loro testimonianza di fede. Era presente anche l’Arcivescovo di Hradec Kralove, Karel Otcenasek, l’unico Vescovo ceco ancora vivo tra quelli passati nelle prigioni comuniste. Finì in prigione subito dopo l’ordinazione episcopale nel 1950, avvenuta in clandestinità. Nei giorni scorsi Otcenasek è tornato a Roma per consegnare nelle mani del Papa una lista di duecento nomi di martiri della sua diocesi in Boemia. 2500 pellegrini sono arrivati dalla Romania il 9 maggio, e subito hanno assistito alla celebrazione più importante: la Divina Liturgia Greco-Cattolica in rito bizantino-romeno celebrata nella Basilica di San Pietro alla presenza del Papa. La liturgia è apparsa straordinariamente suggestiva, quasi esclusivamente cantata. Alla fine i pellegrini hanno intonato lo stesso grido spontaneo, “Unitate! Unitate!”, scandito lo scorso anno a Bucarest in occasione della visita del Santo Padre. Il pellegrinaggio della nazione romena è arrivato in coincidenza con una storica ricorrenza, ricordata dal Papa nel suo discorso: il terzo centenario dell’Unione della Chiesa greco-cattolica romena con la Chiesa di Roma. E infine la Grecia, sul finire di maggio. Un paese che solo geograficamente può dirsi dell’Europa dell’Est, essendo noi abituati a comprendere nella definizione i soli paesi ex-comunisti. Ma anche un paese che, per Costituzione, riconosce come predominante la religione della Chiesa orientale ortodossa, e dove i cattolici sono una esigua minoranza. Eppure i cinquanta e poco più pellegrini greci hanno portato a Roma freschezza e entusiasmo, e hanno persino coinvolto nel pellegrinaggio alcuni “fratelli” ortodossi, come orgogliosamente ha spiegato il capogruppo, il Vicario Generale Mons. Niceforo Vidalis. Il Santo Padre ha dedicato loro parole di incoraggiamento, meritate per chi persegue, al di là delle persistenti divisioni tra capi religiosi, una particolare forma di “ecumenismo di popolo”.

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