Giornalisti come pionieri in un mondo da scoprire - Filippo Di Giacomo
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GIUBILEO E INFORMAZIONE

GIORNALISTI COME PIONIERI IN UN MONDO DA SCOPRIRE

Filippo Di Giacomo

Editorialista del "Messaggero"

Dal Concilio ad oggi molta acqua è corsa sotto i ponti. Ed è probabile che anche la vaticanistica (o la vaticanologia?) riuscirà, prima o poi, a sciacquare i propri panni. In quel "fiume" con il quale la Nuova Evangelizzazione, dal Vaticano II ai nostri giorni, sta irrigando buona parte dell'Orbe cattolico. E' impossibile, infatti, non tener conto di ciò che i viaggi apostolici di questo pontificato hanno ampiamente testimoniato. Non sola la Chiesa è notizia per il mondo: essa è soprattutto notizia nel mondo.

Mai come negli ultimi diciotto anni i sistemi di mediazione sono stati obbligati a notificare, spesso loro malgrado e sempre sulla spinta di un dinamismo ecclesiale senza confini, così tanti "contenuti di coscienza". Che poi una tale e così pluriforme realtà sia sempre stata tradotta correttamente nel linguaggio della comunicazione, è una fatto assai marginale. La rivoluzione mass mediale in corso ha di nuovo reso "pionieri" tutti gli operatori del settore.

La Chiesa, per definizione, è maestra della comunicazione verbale. Essa conosce la parola come simbolo di Dio (Gv 1,1) e accetta il linguaggio come il mezzo con il quale Dio si rivela (Gv 1,14). E anche la comunicazione intermediaria, quella affidata a codificazioni e a traduzioni tecniche, non le è affatto estranea: come potrebbe essere la Chiesa, senza quest'ultima capacità, universale? Il Grande Giubileo del 2000, come il Concilio ecumenico Vaticano II, è stato annunciato come un atto di solidarietà con l'intero genere umano. E questo, con mezzi impensabili trantacinque anni fa, è raggiungibile quasi simultaneamente grazie al villaggio globale mass-mediatico.

Con la fine del millennio, la comunicazione religiosa avrà la possibilità di vivere una nuova primavera. Una Chiesa così profondamente radicata nella sua universalità non potrà essere raccontata solo dentro le mura leonine. Perché, come aveva profetizzato Giovanni XXIII, la Chiesa del post-Concilio non è più un museo da custodire ma un giardino da coltivare.

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