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IL PELLEGRINAGGIO, UN SECOLARE STRUMENTO DI COMUNICAZIONE TRA LE GENTI

Amos Ciabattoni

Definire il Pellegrinaggio, e quindi ricavarne la descrizione costituzionale del "Pellegrino", non è cosa agevole, soprattutto perché la pratica del "viandare", le sue motivazioni di fondo, i contesti storici e geografici e soprattutto le sue finalità, si sono modificate fortemente nel corso dei secoli e nell'era moderna hanno assunto contenuti di grande portata e significato esistenziale.

A onta delle modificazioni subite, è indubbio che il Pellegrinaggio nasce da spinte e motivazioni essenzialmente religiose: in ogni religione infatti la pratica del Pellegrinaggio è presente come atto devozionale, individuale o collettivo, di saldatura tra l'uomo, la natura che lo circonda e la divinità. Ma questo naturale e originario significato religioso si è via via caricato di altri contenuti.

L'inizio del secondo millennio fece assumere un notevole rilievo alla pratica religiosa del pellegrinaggio, sull'onda della rinascita spirituale che caratterizzò l'avvento del nuovo secolo.

Nella figura del pellegrino, l'homo viator, come scrive Renato Stopani in "Le vie del pellegrinaggio nel Medioevo", il cristiano del Medioevo si riconosceva perfettamente, poiché l'esperienza del pellegrinaggio, annullando per un determinato periodo di tempo quei fenomeni (luogo natio, casa, famiglia) nei quali l'uomo tende naturalmente a mettere le radici, permetteva di tradurre in termini reali il fatto che tutti siamo "advevae et peregrini", in cammino verso il Regno dei Cieli (Ipt. 2, II).

In un'epoca di forte sensibilità religiosa, qual era il Medioevo, non rispondeva riduttivamente solo ad una volontà di espiazione dei peccati, ma mirava soprattutto a realizzare una conoscenza più personale e diretta della propria fede, irrobustendone le basi culturali ed i collegamenti con la natura e i fini della società.

Non a caso il fiorire della spiritualità coincise con i profondi cambiamenti della società medievale, con la maggiore libertà data agli individui di spostarsi con migrazioni stabili e temporanee, superando le antiche precedenti barriere e usufruendo del nuovo periodo di relativa pace per tutto il continente europeo. Oltretutto segno di una ricchezza più diffusa che andava oltre quella dello spirito.

Notevole è infatti l'influenza della pratica del pellegrinaggio nella cultura, il suo sviluppo e la sua diffusione: il pellegrinaggio finì per occupare un ruolo di grande rilevanza nel modo di esprimersi delle tradizioni popolari e delle opere "culte": ballate epico-liriche, poesie, novellistica (Decamerone e la stessa Divina Commedia, che può essere letta come una sorta di allegoria del viaggio dei pellegrini, oltre alle cantiche dove immagini e similitudini si richiamano al pellegrinaggio), letteratura, genesi di fatti storici, arte sacra, diaristica e l'elencazione è puramente indicativa.

Ma l'origine "genetica" del pellegrinaggio non può essere datata: l'uomo è stato pellegrino sulla terra fin dai primordi dell'umanità. È la Creazione che assegna all'uomo il suo peculiare destino di "vagare" all'interno della natura messa a disposizione: il modo assegnato da Dio per conseguire "conoscenza" necessaria per sostanziare la sua libertà, cioè il suo libero arbitrio.

E fin dai primordi, l'uomo ha seguito due irresistibili impulsi: vincere l'ignoto conoscendolo e capire, interpretare, rendersi docile all'esistenza di Dio e al suo volere. Da allora fino ai nostri giorni detti impulsi sono rimasti immutati nell'uomo itinerante, la cui condizione è alimentata da una irresistibile sete di conoscenza. Partendo da queste sponde si riesce meglio a comprendere ciò che si intende affermare come introduzione all'argomento: il "peregrinare" è connaturato all'uomo che si diparte dal Paradiso terrestre; il pellegrinaggio è una condizione genetica del rapporto uomo-natura; la connotazione del pellegrinaggio è sempre stata - ed è rimasta - essenzialmente religiosa; il pellegrinaggio è ancor di più un fondamento dell'uomo di oggi, che basa sulla conoscenza e la cultura che ne deriva, la sua condizione esistenziale cosidetta "moderna", che, specialmente nel contesto del nostro continente, ha prodotto una unificazione culturale che faciliterà il cammino verso l'unificazione politica in atto. Il pellegrinaggio, infine, ha diffuso immensi tesori di arte, di conoscenze, di scambi, di benefici spirituali e morali: ed è su questo, volendolo o no, che si regge la società moderna, che purtroppo fino ad oggi ha ben poco da lasciare ai posteri.

I moti culturali e spirituali del pellegrinaggio

Scrive Seneca a Lucilio: «Renditi certamente padrone di te, fa tesoro di tutto il tempo che hai. Conosci il mondo e lo spirito che lo abita (...) sarai così meno schiavo del domani e reso padrone dell'oggi». Un incitamento a diventare pellegrino in cerca della conoscenza. Goethe, nel suo viaggio in Italia descrive alla perfezione ciò che nasce nell'animo di chi decide di diventare un pellegrino per amore della cultura e della conoscenza: «finalmente posso rompere il silenzio e mandare di buon animo un saluto agli amici (...) E lasciatemi dire che ho pensato mille volte, che penso continuamente a voi a cospetto di tante cose, che non avrei mai creduto di poter vedere da solo. (...) Ora nell'intimo del cuore gli amici e la patria mi sono diventati ancora più cari e il ritorno più desiderabile perché sento che tutti questi tesori non li porterò con me a vantaggio mio soltanto, e solo per mio uso privato, ma perché possano servire per tutta la vita, a me e ad altri, di guida e di sprone».

Seneca suggerisce quindi un pellegrinaggio esistenziale. Goethe anela, realizza e descrive un pellegrinaggio culturale, quasi turistico, ma pervaso di un "servizio" ai suoi simili, al suo gruppo, ai suoi concittadini e alla sua stessa anima: e quindi essenzialmente spirituale.

La Storia, poi, è piena di pellegrinaggi legati alle radici religiose degli uomini. Se si pensa che tutte le grandi religioni nazionali affidano ai pellegrinaggi i momenti più esposti e alti della fede e che questi pellegrinaggi, considerati nel loro assieme, muovono moltitudini di milioni e miliardi di fedeli, allora appare visivamente una delle forze che muovono il mondo e lo rendono comune.

Ma la mobilitazione popolare che prende forza dal Pellegrinaggio non è soltanto "salvifica" dal punto di vista religioso e dell'uomo di fede, ma lo è anche per l'uomo che pone in primo piano i propri ideali che abbisognano di una esaltazione singola o collettiva per sentirsi nutrita a dovere. Ed è questa l'essenza dell'Homo Viator.

Ecco allora che il Pellegrinaggio, specialmente nel mondo cristiano, assume forme, motivazioni e caratteristiche diverse, pur essendo tutti incanalati nei percorsi della Fede. Nell'epoca come il Medioevo nella quale la stragrande maggioranza della popolazione esauriva la sua esistenza nel ristretto ambito del luogo natio, l'avventura del Pellegrinaggio forniva una forte occasione al bisogno di evasione: una sorta di turismo ante litteram carico di avventura per quel tanto di incognita e di rischio a cui si sottoponevano i viaggiatori del tempo.

Naturalmente, al centro del fenomeno, rimaneva ben contraddistinto il pellegrinaggio compiuto per atto di pietà personale o quello votivo. Comunque, configurandosi spesso il Pellegrinaggio come atto di penitenza, in fondo era comune un po' a tutti i pellegrini l'intento di espiare i propri peccati, riformare la propria coscienza, acquisire l'energia "salvifica" per ricaricarsi nella vita ancora da vivere. La differenza stava «nella volontarietà della decisione di effettuare un atto di pietà personale che specialmente a partire dall'XI secolo, sempre più fu scelto da un numero crescente di persone: e Roma era la destinazione più comune perché lì si aspettava di ricevere l'assoluzione del Papa in persona».

Attraverso questi passaggi antichi e meno antichi, il Pellegrinaggio ha assunto una fisionomia caratteristica e univoca, riferita quasi esclusivamente alla pratica religiosa. Non per questo esso perde tutte le altre connotazioni che lo rendono universalmente accettato come strumento di comunicazione e di scambio tra le genti e quindi come elemento di civiltà e di civilizzazione dell'intera umanità: anzi le rafforza.

Ai giorni nostri l'attualità e il profondo senso religioso del Pellegrinaggio non sono soltanto legati alla preparazione del grande evento giubilare del 2000, che segnerà un passaggio millenario carico di grandissimi significati per tutta l'umanità, ma anche e soprattutto alle attese e incognite del terzo millennio veniente: il mondo è già diventato un villaggio globale e la scienza guarda all'universo dove andare in "pellegrinaggio": certamente alla ricerca di nuove presuntuose conoscenze, ma altrettanto certamente, forse come finalità poco avvertite, alla ricerca di Dio e di una vicinanza con lui che ci renda tutti più degni della vita.

Il Giubileo del 2000

Per i Cristiani il Giubileo del 2000 può essere definito, con affetto profondo, il "compleanno" bimillenario di Cristo. Il senso più autentico del prossimo Giubileo è contenuto nella lettera di Papa Wojtyla Tertio Millennio Adveniente la quale può essere considerata "la carta spirituale" dell'Evento.

Con l'annuncio del Giubileo in rapporto al nuovo millennio, in verità, il papa aveva iniziato il suo magistero solenne nell'enciclica Redemptoris Hominis, ove la dichiarata imprevedibilità delle condizioni reali dell'anno duemila s'accompagnava al proposito e alla fiducia che quello «sarà l'anno di un grande Giubileo» il quale «ci ricorderà, e in particolare rinnoverà, la consapevolezza della verità-chiave della fede, espressa da San Giovanni all'inizio del suo Vangelo». Di fatto, la preparazione dell'anno duemila diventa quasi una chiave ermeneutica per il pontificato di Papa Giovanni Paolo II e l'intera sua opera. Ed è lo stesso Papa che ne fissa il significato ammonendo che non si tratterà di indulgenza per un nuovo millenarismo «ma si vuole invece suscitare una particolare sensibilità per tutto ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e alle Chiese, come pure alle singole persone attraverso i carismi al servizio dell'intera comunità».

La grande attesa per il Giubileo del 2000 si carica, questa volta, di profondi e gravi significati che non sono tutti assorbiti dal solo fatto che si tratta di un Giubileo millenario, che si colloca cioè al passaggio da un millennio al successivo. Già da solo questo aspetto dovrebbe caratterizzarne la peculiarità, assommando tutte le incognite, i timori, le premonizioni, le ancestrali paure, le speranze di dieci "fine secolo" trascorsi.

La modernità della Chiesa, per prima, aiuta a superare questi elementi legati alla scadenza e all'attesa e l'Uomo è più preparato dalle conoscenze che la scienza gli ha messo a disposizione. Ma di natura diversa sono oggi i timori degli uomini dinanzi all'incognita del terzo millennio che arriva. Certamente più definiti. Certamente più esistenziali. Per cui l'Uomo è in grado di allearsi con maggiore fiducia alla Chiesa e la Chiesa di tendere la mano all'Uomo. Ed è proprio questo il presupposto e il fine dell'alleanza imprescindibile tra mondo civile laico e mondo ecclesiale.

Nella sezione Cultura de "La Stampa" è apparso un confronto su religione e umanesimo tra l'intellettuale laico Galli della Loggia e il presidente della Conferenza Episcopale italiana Card. Camillo Ruini. Afferma Galli della Loggia «la secolarizzazione sembra giunta a un punto di arrivo. Non ha più spinte propulsive. Ora appare in crisi e sembra lasciare dietro di sé un vuoto da riempire, soprattutto di spiritualità e di appartenenza». La Chiesa è pronta a riempirlo? Risponde il Cardinale Ruini: «sembra prevalere un po' ovunque nella Società, un pessimismo di fondo. E da qui parte, pur nella diversità delle opinioni, la necessità di reagire (...) si può faticare a trovare una risposta, ma va trovata: è una grande sfida per il cristianesimo e per l'umanesimo».

Passato in secondo piano l'aspetto "indulgenziale" il Giubileo del 2000 assume significati che lo qualificano universale, cioè offerti all'intera umanità a prescindere dalle fedi religiose.

L'universalità non è legata soltanto all'entrata in campo dei molteplici e avvolgenti mezzi di comunicazione che rimbalzeranno l'evento, in diretta, in ogni angolo del mondo, divenuto ormai un "villaggio globale" senza confini e protezioni, ma piuttosto è legata alla vastissima gamma di elementi offerti, da una Chiesa moderna e quindi essa per prima universale, alla volontà e libertà di partecipazione di ogni uomo.

Fede, ma anche cultura, desiderio di partecipazione, di conoscenza e soprattutto ricerca di risposte ai tanti dubbi dell'uomo contemporaneo: è infatti innegabile che oggi quella che vive il passaggio millenario sia la "civiltà del dubbio".

La Grande Attesa

La "grande attesa" per il Giubileo del 2000 è essenzialmente sostanziata nelle risposte ai dubbi che attanagliano l'umanità. Sotto tale aspetto, l'Anno Santo del 2000 non potrà essere il giubileo del trionfo e della glorificazione dei successi dell'uomo e delle sue conquiste-certezze, ma bensì "il Giubileo delle crisi" e della ricerca delle vie d'uscita, che poi si sostanziano in vere e proprie "sfide".

Le "sfide" partono dalle crisi dell'umanità, che possono essere brevemente così riassunte:

  1. Crisi dell'Uomo come "mondo" singolo che deve quindi essere liberato dalla "massificazione" e dalla misconoscenza del bene e del male.
  2. Crisi della società organizzata che non produce più giustizia. "Significa, ad esempio, che il corpo sociale non riesce più - e molto spesso su questioni decisive che riguardano la vita e la morte - a esprimere in modo per così dire spontaneo e naturale un senso comune che funga da orientamento per tutti".
  3. Crisi della cultura dell'esistenza, che coinvolge l'intero sistema occidentale, ovvero capitalistico, che lo stesso Papa ha messo in discussione come capace di meritare il privilegio della scelta.
  4. Crisi della civiltà del XX secolo che affida all'odio tra le genti una presunta primazia e alle ingiustizie la ripartizione della ricchezza.
  5. Impegno della stessa Chiesa che deve dare a se stessa valori più evidenti di modernità conciliata con la dottrina, la tradizione, la storia.

Scrive Umberto Eco: «Il cristianesimo chiede tanto, è una religione impegnativa e l'uomo naturalmente religioso è portato a buttarsi su culti periferici... che vanno più sul leggero promettendo più facili e godibili compromessi...»

Scrive a sua volta Gianfranco Ravasi: «Quelli che hanno i surrogati sono bravissimi... Ci manca un linguaggio attento alla mutevolezza del linguaggio stesso: ci manca la testimonianza laica e la capacità di comunicare in modo non stereotipato. Bisogna distinguere tra la riscoperta della religiosità e la riscoperta della Fede: e la Fede è rischio».

Ecco come il Giubileo delle "crisi" si trasforma nel Giubileo delle "sfide". Che sono essenzialmente queste:

- Ricostruire e supportare l'uomo e la sua esistenza.

- Ridonare una visibile e vivibile separazione tra l'effimero e l'eterno.

- Vincere la sfida di André Malraux: "Il secolo XXI o sarà religioso o non sarà".

È evidente come le "sfide" e le "crisi" interessino tutti gli uomini che oltrepassano il secondo millennio ed edificano per i posteri. Appare quindi più il carattere "universale" del prossimo Giubileo, il cui interesse "esistenziale" travalica confini di religione, di continenti, di razza e di cultura: e dà forza e valore alla Grande Attesa.

L'importanza della Comunicazione

Molto, dell'auspicabile successo, dipenderà dalla forza e dalla natura della comunicazione, specialmente nella fase preparatoria. Lo ha fatto intendere per primo il Papa insediando il Comitato Centrale del Giubileo: «La preparazione del Grande Giubileo del 2000, per le caratteristiche peculiari del tempo che stiamo vivendo, è fortemente influenzata dagli attuali modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Di tutto questo va tenuto conto, perché il cammino verso il terzo millennio della fede cristiana diventi un autentico itinerario di evangelizzazione».

Ha scritto a sua volta Messori che «occorre partire da una considerazione quasi ovvia, lapalissiana e cioè che il giubileo è innanzitutto un evento religioso e va compreso e presentato utilizzando categorie adeguate. E cioè categorie direttamente ed esplicitamente religiose». Lapalissiano, ma questa volta rischia di non esser così, e per almeno due motivi: la pretesa di voler vestire il Giubileo di abiti non propri, facendolo uscire dall'intimo del rapporto Dio-Uomo; e la considerazione che buona parte dell'informazione rischia di diventare in realtà una grave disinformazione, se trasformata in un esercizio complicato e contorto.

La comunicazione della Fede

La comunicazione della Fede è la questione centrale della Chiesa moderna, che cerca il linguaggio giusto per entrare in sintonia con le varie culture. «Da un lato va riaffermata l'autenticità dei valori, dall'altro bisogna saper mordere lo spirito, provocare, come sapeva fare Gesù con le parabole. TV e informazione hanno rivoluzionato il linguaggio: e noi siamo rimasti indietro». È una sorta di inquinamento mondano che occorre evitare. Anche perché si rischia di dare risalto alla cornice, anziché al quadro.

Probabilmente - avverte Messori - si disquisirà a lungo sui motivi per i quali il giubileo sarebbe "di destra" o "di sinistra". O si disperderà l'attenzione sulla teorizzazione del "vaticanismo", occupandosi cioè dell'involucro istituzionale della Chiesa, ignorando la sua essenza misterica. Che trova natura ed alimento nella constatazione che è proprio Cristo il protagonista della Storia da quando, giusto duemila anni fa, la spezza nettamente in due tronconi: "ante Christum natum, post Christum natum".

A queste realtà e verità storiche occorre ancorare il Giubileo del 2000: e quindi conoscerle e diffonderle. La Comunicazione, quindi, sarà essenziale: in primo luogo - siccome deve essere fatta da religiosi - riscoprendo il valore, la forza e quindi la tecnica della Predicazione; quindi approfondendo le trasformazioni intervenute all'interno della Comunità parrocchiale di fronte alle modernizzazioni. Tra gli elementi "tecnici" in prima fila è la necessità di ridare senso, aderenza e semplicità alle parole.Accompagnare l'umanità oltre il valico del secondo millennio significa anzitutto mettersene a capo e farsi riconoscere come guide sicure.

La sfida più grande

Tra le sfide che il Giubileo si propone di lanciare, ce n'è una che sembra la più tremenda e, nello stesso tempo, la più avvincente. La Chiesa è la più antica delle istituzioni umane. Una verità che ha retto l'usura implacabile dei secoli, che ha dissolto ogni altra realtà contemporanea alla comunità dei cristiani.

Al cristiano è però precluso ogni trionfalismo apologetico: non soltanto dalle parole inquietanti del Nuovo Testamento che sembrano annunciare un travaglio crescente mano mano che la Parusìa si avvicina: ma anche - dando ancora spazio a Vittorio Messori - «dalla constatazione oggettiva della realtà contemporanea, con un restringimento del numero, e forse del fervore, di chi "scommette" sul Vangelo la propria vita».

Tra l'altro, come ricorda al Papa lo stesso Messori, in una delle domande che gli fu concesso di porGli, proprio nell'anno duemila dovrebbe verificarsi, stando alle proiezioni statistiche, un singolare "sorpasso": tra quattro anni, dunque, per la prima volta nella storia, il numero dei musulmani supererà quello dei cattolici.

Ma da tempo ormai, pure nelle terre che già furono cristiane, il numero degli agnostici supera abbondantemente quello dei credenti. Sembra realizzarsi la profezia di Malraux?

Ma, per quanto ad oggi possiamo giudicare, se il primo secolo del terzo millennio sarà "religioso", probabilmente non sarà "cristiano", né tanto meno "cattolico", le masse preferendo forse un sincretismo, una religiosità "self service", al simbolo degli Apostoli.

Ecco l'essenza vera e preoccupante della sfida: «ostinarsi a credere che con la storia di quel Gesù, nato giusto 2000 anni fa, ha a che fare non soltanto la nostra vita terrena, ma tutto intero il destino eterno che attende ciascun nato di donna».

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