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 Il Giubileo del 1625, l'Anno Santo dell'Età moderna

A cura di Vittorino Grossi

Il Giubileo del 1625 va collocato nell'insieme di un pontificato abbastanza lungo (quello di Urbano VIII, 1623-1644) e di una molteplicità di problemi posti alla Chiesa dal formarsi del mondo moderno. Tra quest'ultimi il più pubblicizzato è rimasto il caso Galilei. Il card. Maffeo Barberini che, salito al soglio pontificio nel 1623 prese il nome di Urbano VIII, benché abbia indetto subito un Anno Santo straordinario partendo dal 23 ottobre del 1623, fu un papa che, secondo i suoi contemporanei, amò essere più un principe che un pastore, è ricordato pertanto più per il suo mecenatismo che per la sua opera spirituale. I successori di Clemente VIII che precedettero l'elezione di Maffeo Barberini furono diversi. Leone XI della famiglia dei Medici (1605) e Paolo V (Camillo Borghese 1605-1621), vennero eletti d'altra parte in conclavi dove predominavano ancora tendenze ed interessi di parte ponendo il valore religioso in secondo ordine. Una lagnanza del card. Roberto Bellarmino, che aveva costituito il gruppo dei cardinali detti allora 'spirituali', sull'andamento dei conclavi con l'amico padre Carminata ci informa di come andavano le cose: "Mi pare che, avendosi a creare un vicario di Dio, non si procuri di eleggere persona che sappia la volontà di Dio, cioè sia versata nelle Scritture Sante, ma solo che sappia la volontà di Giustiniano e di simili autori. Si va cercando un principe temporale, non un santo vescovo, che s'occupi davvero della salute delle anime". Paolo V, cui si deve anche la facciata della Basilica di San Pietro ad opera del Maderno, si mostrò estremamente geloso dei diritti, dei privilegi e delle immunità ecclesiastiche, scontrandosi soprattutto con la Repubblica Veneta. Sotto di lui si ebbe l'interminabile disputa teologica sul cooperare della grazia con la libertà, detta "De auxiliis (divinae gratiae)", dal nome della Congregazione dei teologi creata da Clemente VIII. La polemica, sul modo di capire gli aiuti della grazia al libero arbitrio, si accese particolarmente tra i teologi Gesuiti, detti molinisti (da Luigi Molina che a Lisbona aveva stampato nel 1588 un 'opera in quattro volumi "La grazia e il libero arbitrio") e i domenicani, detti tomisti dal loro riferimento a San Tommaso. Le sedute durarono circa dieci anni, dal 2 gennaio 1598 al 28 agosto del 1607 quando Paolo V, dopo aver chiesto per iscritto i pareri della commissione, la sciolse dichiarando ognuna delle due parti libera di proporre la propria opinione. Il molinismo sfociò poi nel congruismo teologico di Francesco Suarez. Nascevano intanto nella Chiesa nuove domande circa l'autorità del Pontefice romano, in particolare sulla sua infallibilità: se era da considerarsi un carisma personale o in relazione alla Chiesa universale raccolta in Concilio. A Paolo V successe Gregorio XV (Alessandro Ludovisi, bolognese, 1621-1623) che affidò al nipote Ludovico oltre alle sue cure politiche anche quelle pastorali. Nella splendida villa Ludovisi, costruita negli orti sallustiani, egli mise insieme una delle più grandi collezioni di arte antica che, andata dispersa, è stata recentemente ricostruita. Per la chiesa di S.Ignazio inoltre il papa Gregorio XV fronteggiò la spesa di 200.000 scudi. Di Gregorio XV è rimasta anche la riforma sul modo di eleggere il Papa, delineata nella costituzione "Aeterni Patris Filius". Essa intese chiudere definitivamente le porte del conclave alle potenze politiche. Due furono le novità principali di tale riforma: il voto segreto dei cardinali, favorendo in tal modo la libertà di scelta del candidato, e l'abolizione della nomina papale per adorazione (elezioni fatte sotto le pressioni del momento). Rimasero tuttavia le possibilità di elezione per acclamazione e per compromesso (nomina affidata ad un comitato). Le principali nazioni europee conservarono tuttavia l'"esclusiva", vale a dire il diritto di veto su un candidato loro non gradito. Quest'ultimo privilegio venne abolito sotto Pio X nella costituzione "Vacante sede apostolica" (25 dicembre 1904). Le disposizioni gregoriane regolano sostanzialmente ancora oggi l'elezione del Papa. Un'altra benemerenza di Gregorio XV fu la fondazione della Congregazione "De Propaganda Fide" (6 gennaio 1622), un istituto che toglieva i missionari dalla tutela dei governi civili. Fece trasportare inoltre, il 4 febbraio del 1623, la famosa Biblioteca Palatina dell'università di Heidelberg nella Biblioteca Vaticana. A lui succedette sulla cattedra di Pietro, il sei agosto del 1623, il fiorentino Maffeo Barberini che, all'età di 56 anni, prese il nome di Urbano VIII. Creato cardinale da Paolo V, era stato prima vescovo di Spoleto e poi di Bologna. Per le sue doti di poeta e per le tre api che ornavano il suo stemma gentilizio, venne denominato dai contemporanei l'"Ape attica". Al di là del suo accentuato nepotismo (eletto papa diede un cardinalato ad ogni familiare), fu un papa bene accetto al mondo colto. Sotto il suo pontificato Giovanni Bollando iniziò la monumentale opera dei Bollandisti, l'"Acta Sanctorum", e l'archeologo Antonio Bosio gli dedicò la sua famosa opera di "Roma sotterranea". Grazie all'interessamento di Urbano VIII nacque anche la Biblioteca Barberiniana, diretta dall'Holstenius (Luca Holste di Amburgo) (nel 1902 venne poi incorporata alla Biblioteca Vaticana), Carlo Maderno trasformò la villa di Castel Gandolfo di mons. Visconti nell'ancora attuale residenza papale, si ebbe la copertura in San Pietro dell'altare della Confessione con il baldacchino in bronzo del Bernini. Se parte del bronzo venne fatto venire da Venezia, parte venne preso dall'atrio del Pantheon, un fatto che fece nascere il detto: "Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini". Per far fronte ai tanti lavori di abbellimento Urbano VIII impose molte tasse, immortalate da Pasquino (nome di un sarto che diede nome alla statua, un torso, posta il 15 aprile del 1505 all'angolo di Palazzo Braschi vicino piazza Navona, perché ognuno potesse appendervi sopra un epigramma): "Urbano VIII dalla barba bella, finito il giubileo, impone la gabella". Urbano VIII visse al tempo delle guerre di religione, esplose in Europa dopo la crisi del protestantesimo, quando i motivi religiosi si coloravano spesso di motivi politici e sociali. Il card. Richelieu fu a Parigi uno degli interpreti principali di tale politica religiosa. Urbano VIII, dal canto suo, credeva al recupero di una cristianità che la spuntasse contro i nemici della Chiesa romana. Quando perciò a Lützen il 16 novembre del 1632 cadde re Gustavo di Svezia, egli scriveva all'imperatore: "Grazie imperiture rivolgiamo noi al Dio e Signore della divina giustizia, perché egli ha fatto vendetta...Lo abbiamo insistentemente pregato di voler condurre a felice termine le tue eccellenti fatiche per la difesa della Chiesa cattolica...". Durante il suo pontificato si ebbe il famoso processo che portò alla condanna di Galileo Galilei. Dopo lo scritto di Niccolò Copernico "De revolutionibus orbium" del 1543 -che aveva formulato la teoria eliocentrica contro quella tolemaica basata sulla terra come punto centrale del sistema dell'universo- il protestante Giovanni Keplero e il cattolico Galileo Galilei fecero di quella intuizione la base delle loro ricerche scientifiche. A Roma Federico Cesi, il fondatore dell'Accademia dei Lincei, appoggiò le tesi di Galilei. In campo teologico nacque lo scontro con il nascente mondo scientifico moderno a motivo delle affermazioni della Bibbia circa la fissità della terra e il girarle attorno del sole. Sta infatti scritto nella Bibbia: <Giosuè disse al Signore sotto gli occhi degli israeliti: "Sole, fermati in Gabaon e tu, luna, sulla valle di Aialon". Si fermò il sole e la luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici. Non è forse scritto nel libro del Giusto: "Stette fermo il sole in mezzo al cielo..."> (Libro di Giosuè 10, 12-13). Galilei stesso spiegò il senso delle affermazioni bibliche riguardo al sole e alla terra: "Sebbene la Scrittura non può errare -egli precisò- potrebbe non di meno errare qualcuno dei suoi interpreti...quando volessimo fermarci sempre sul puro significato delle parole" (dalla Lettera al benedettino Castelli). E nel Memoriale, indirizzato alla granduchessa Maria Cristina, faceva propria una sentenza del card. Federico Borromeo: "La intenzione dello Spirito Santo è d'insegnarci come si vada in cielo e non come il cielo vada". Nonostante le più che ragionevoli spiegazioni bibliche da parte di Galilei, il domenicano Lorini del convento di san Marco in Firenze presentò nei suoi riguardi formale denuncia presso il Tribunale dell'Inquisizione. Il Santo Uffizio iniziò il processo esaminando due asserzioni di Galilei contenute nella sua opera "Sulle macchie solari": -che il sole sia centro del mondo e quindi immobile di moto locale; che la terra si muove secondo sé tutta anche di moto diurno. Per il momento venne ingiunto a Galilei il silenzio circa le sue teorie (a.1616). Intanto egli portava a termine la famosa opera "Dialoghi sopra i due massimi sistemi mondiali Tolemaico e Copernicano" (a.1632), dopo la quale Urbano VIII, il 15 gennaio 1633, fece riprendere il processo che si concluse il 22 giugno di quell'anno con la sentenza: "Noi affermiamo, giudichiamo e dichiariamo che tu, Galileo...avendo tu creduto e ritenuto una dottrina falsa e contraria alle sacre Scritture...ti condanniamo al carcere formale di questo santo Ufficio da limitarsi a tempo ed arbitrio nostro; e per titolo di salutare penitenza ti comandiamo che nei tre seguenti anni reciti una volta per settimana i sette salmi penitenziali". All'interno della Chiesa Urbano VIII procedette alla regolamentazione del culto dei beati e dei santi, determinando che solo persone beatificate o canonizzate dalla Sede Apostolica possono essere oggetto di culto: per le persone da accettare come sante prima del suo decreto (a.1634) si richiede un culto di almeno cento anni; per quelle venute dopo il 1634 si richiede un duplice processo, prima locale fatto dall'Ordinario del luogo, poi quello apostolico. Il processo sulle virtù deve essere corredato inoltre anche da due miracoli rigorosamente provati. Nell'Anno Giubilare del 1625 si ebbero con i nuovi regolamenti la canonizzazione di Andrea Avellino e le beatificazioni di Giacomo della Marca (il francescano che con i Monti di Pietà aveva combattuto l'usura), Francesco Borgia (gesuita, nipote di Alessandro VI), Elisabetta regina del Portogallo, Felice da Cantalice (cappuccino). Tra le altre benevolenze egli concesse a tutti i cardinali, al posto del titolo "Illustrissimo" quello di Eminenza Eminentissimo, titolo prima riservato solo ai nobili. Il 29 aprile del 1624 indisse il Giubileo con la Bolla "Omnes gentes plaudite manibus"; il 28 gennaio del 1625 concesse di lucrare l'indulgenza giubilare anche a quanti erano impediti di recarsi a Roma, nonché ai carcerati e agli ammalati (Bolla "Pontificia sollicitudo"); il 30 gennaio con il Breve "Paterna dominici gregis cura", dato il pericolo della peste che veniva su dalla Sicilia, sostituì la visita alla basilica di San Paolo con quella di Santa Maria in Trastevere e, per le visite alle sette Chiese, di visitare al posto di quelle fuori le mura (San Sebastiano, San Paolo e San Lorenzo) le chiese di Santa Maria del Popolo, Santa Maria in Trastevere e San Lorenzo in Lucina. Venne introdotta la novità, divenuta poi usanza comune, di lucrare l'indulgenza del Giubileo ogni volta che si ripetessero a Roma le opere prescritte. Del circa mezzo milione di pellegrini venuti a Roma per il Giubileo del 1600 si distinsero l'arciduca d'Austria Leopoldo e il re Sigismondo di Polonia. Urbano VIII morì il 29 luglio del 1644. Il Bernini gli eresse in San Pietro uno splendido mausoleo.

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