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Dialogo e discernimento nella testimonianza della verità

Scola

Senza inutili enfasi si può dire che con Gaudium et spes il Concilio Vaticano II ha messo in moto un novum nella vita della Chiesa. Soprattutto dopo l’85, questa novità incomincia a dare i suoi frutti, anche se ancora attende di essere pienamente dispiegata. La recezione di Gaudium et spes e del Concilio, inevitabilmente connessa alla sua applicazione, che a sua volta dipende da una corretta ermeneutica, è tuttora in atto. Si possono indicare i titoli di tre criteri fondamentali che sembra opportuno prendere in considerazione per assecondare questo processo. Anzitutto si dovranno considerare e studiare, in modo unitario, organico ed articolato le quattro Costituzioni conciliari. Emergerà così sempre più chiaramente il fatto che l’aver definito e, soprattutto, continuare a definire, il Vaticano II come concilio ecclesiologico è perlomeno restrittivo. Anzi può essere stato fattore di rallentamento della sua recezione. In secondo luogo occorre leggere ed interpretare il Concilio alla luce dell’imponente magistero di Giovanni XXIII, di Paolo VI e, soprattutto, di Giovanni Paolo II, senza trascurare il significato misterioso e fecondo del ministero petrino di Giovanni Paolo I. Né si potrà ignorare il magistero episcopale nelle sue forme personali e collegiali. Se non altro perché il magistero di papi e di vescovi, dopo il Vaticano II, si propone per lo più esplicitamente e programmaticamente con l’intento di favorire l’attuazione del Concilio offrendone l’autentica interpretazione. Infine non ci sarà compiuta recezione del Vaticano II se essa non si effettuerà in ogni Chiesa particolare.

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