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L’intervista

L’Anno Santo nelle parole di Jean Vanier, fondatore dell’ “Arca” e di “Fede e Luce”. La testimonianza di fede delle persone con handicap, “maestre di umanità”.

“Un anno speciale per ricevere il dono di Gesù”

Dario Busolini

Figlio del governatore generale del Canada, ufficiale di marina e insegnante di filosofia, nel 1964 Jean Vanier ha interrotto una brillante carriera per fondare, nei pressi di Compiègne, la Comunità dell’Arca, in cui uomini e donne di ogni estrazione sociale vivono insieme con persone sofferenti di handicap mentali. Da allora, le comunità dell’”Arca” e quelle del Movimento di sostegno “Fede e Luce” si sono diffuse in tutto il mondo. Il Comitato Centrale del Grande Giubileo del 2000 ha invitato Jean Vanier al Convegno internazionale sull’attuazione del Concilio Vaticano II, dove ha tenuto una relazione su “la vocazione alla santità”. Lo abbiamo incontrato in tale occasione.

Qual è il legame tra la sua esperienza ed il Concilio Vaticano II?

La nostra è una vita un po’ “speciale”, dato che viviamo  con della gente molto povera, dalla quale  ci lasciamo toccare e condurre verso Gesù: parlo delle persone con handicap. Abbiamo delle comunità interreligiose ed ecumeniche, ed io direi che il Concilio Vaticano II ci dona la teologia e la visione che sono necessarie. Perché la spiritualità, da sola, non basta. Occorre una spiritualità che sia fondata sulla teologia ed il Vaticano II ci dona quella teologia e quella visione che rendono possibile una “concettualizzazione teologica” di ciò che facciamo.

Siamo ormai entrati nel pieno del Giubileo. Che cos’è per lei?

Per me il Giubileo è un momento molto importante di rinnovamento. Rimango sempre assai toccato dall’episodio del Vangelo in cui Gesù torna a Nazareth e dice: “lo Spirito del Signore è sopra di me. Egli mi ha consacrato per portare una buona notizia ai poveri, la libertà ai prigionieri, la vista ai ciechi e la liberazione agli oppressi ed annunnciare un anno di grazia e di perdono”. E proprio questo è il Giubileo: un anno di grazia e di perdono. Un tempo nel quale Gesù è pronto a donare molta grazia alla Chiesa, dunque un tempo molto importante. Come sapete, l’anno giubilare è come un grande anno sabbatico ebraico, nel quale non si deve più lavorare per ascoltare Dio, per ricevere Dio. Allora questo è un anno nel quale bisogna essenzialmente ricevere Dio, ricevere il dono di Gesù. Il che comporta un nuovo modo di vivere nello Spirito Santo. Dico un “nuovo modo”, ma, con lo Spirito Santo, tutto è sempre nuovo. Il Giubileo, dunque, è un anno per ricevere.

Ma come possono vivere il Giubileo gli ospiti delle sue comunità?

Da noi ci sarà un ritiro spirituale e presto vivremo avvenimenti molto forti: un certo numero, se non molti, di noi, per esempio, prenderanno  parte  alla Giornata Mondiale della Gioventù.  Credo che le persone con handicap possono vivere il Giubileo nella misura in cui possono comprendere che si tratta di un anno speciale. Non dico che tutte possano comprenderlo, ma penso che le nostre comunità sono aperte a ricevere ciò che definirei come il dono di Dio. Perché l’”Arca” è qualcosa di molto fragile, molto debole, da tanti punti di vista, e noi abbiamo bisogno di questa provvidenza di Dio.

Lei dice che gli handicappati e le persone che soffrono sono “maestri di umanità”, perché?

Ci attirano, anzi ci chiamano, qualche volta fisicamente, e se noi li ascoltiamo ci fanno entrare nella compassione che è il cuore del Vangelo: “siate misericordiosi come Mio Padre è misericordioso, non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati”. Essi ci insegnano - se uno entra in relazione con loro, se si è toccati da loro - ad aprire il cuore ad una relazione che definirei da persona a persona, in cui Dio è presente.

Che cos’è per lei l’amore, e soprattutto come si fa ad amare?

In comunità amare qualcuno vuol dire rivelargli che è importante, che ha un valore. Lo facciamo attraverso l’ascolto, la comprensione dei suoi bisogni, delle sue sofferenze, del suo richiamo profondo, ed anche attraverso la comprensione del posto che ha nella Chiesa. Questo amore consiste nell’entrare finalmente in una relazione di comunione, in un senso di appartenenza degli uni con gli altri. E poi questo amore ci porta al perdono, perché ci feriamo gli uni gli altri e siamo chiamati, perciò, ad entrare nel mistero del perdono.

Possiamo veramente riuscire ad amarci così?

Ognuno di noi è chiamato ad amarsi ed amare perché è un figlio di Dio e perciò amarci vuol dire amare come Gesù ci ama. Tutto consiste nel lasciare che lo Spirito Santo si impadronisca del nostro cuore perché ognuno possa amarsi come ci ama Gesù. Si tratta, cioè, di un amore che è molto vicino sia alla consolazione sia alle esigenze della crescita perché Gesù vuole che noi cresciamo per essere prima di tutto un segno della sua presenza nel mondo.

All’inizio del nuovo millennio, quali sono le sue impressioni, i suoi timori e le sue speranze?

Il secondo millennio è stato il millennio della divisione: la divisione tra le grandi potenze in Europa - pensiamo alle guerre con i differenti imperi, dai vichinghi con gli svedesi, ai polacchi con gli spagnoli, i portoghesi, l’Inghilterra, la Francia… fino a tutte le guerre delle grandi potenze - e la divisione nella Chiesa, da quella tra l’Oriente e l’Occidente, alla divisioni prodotte dalla Riforma, con conseguenze spaventose. Il terzo millennio, quindi, dovrà essere, secondo me, il millennio della riconciliazione. Quando si scopre che, in quanto esseri umani, possediamo tutti una sola appartenenza fondamentale, ossia la nostra umanità, il fatto di essere uomini e donne creati da Dio - un’ appartenenza che vuol dire, almeno per i cristiani, l’essere stati battezzati, l’aver  ricevuto lo Spirito Santo ed essere  discepoli di Gesù e quindi doverlo amare - allora la mia speranza è proprio che il terzo millennio sia il millennio della riconciliazione.  Io tendo a dire che se il nuovo millennio non dovesse essere il millennio della riconciliazione, allora potrebbe essere quello della fine.
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