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L’intervista

Card. Roger Etchegaray

“La Chiesa ha preso un colpo di gioventù”

Se Lei fosse un pittore come dipingerebbe questa prima parte del Giubileo? E se fosse un giornalista con quale titolo e sottotitolo di prima pagina la commenterebbe? Ed, ancora, se fosse un fotoreporter quale immagine prenderebbe dall’archivio 24 dicembre 1999-30 giugno 2000?

Certamente non come una “natura morta” ma come il sorgere del sole, con i colori vivi di un Matisse o di un Van Gogh. Ma, ora, al termine  di sei mesi, il Giubileo si trova in pieno zenith...e in pieno mezzogiorno, illumina con tutti i suoi fuochi i cinque continenti e non solo Roma. Se fossi giornalista, metterei in prima pagina un titolo come questo: “La Chiesa ha preso un colpo di gioventù”, immergendosi nelle acque fresche del Vangelo si è purificata e fortificata, a dire il vero è lì il programma di tutta la sua vita. Se fossi un fotoreporter, incornicerei la fotografia del Papa sul monte Nebo, meno nota di quella davanti al muro del Tempio di Gerusalemme: dal monte Nebo, quale nuovo Mosè, Giovanni Paolo II contempla serenamente tutta la Terra Promessa...

Lei ha incontrato molti pellegrini giunti a Roma da ogni parte del mondo: volti, parole e gesti che hanno detto e dicono di una fede vissuta, semplice e profonda. Quali, più di altri, ricorda e perchè?

Mi piace molto mescolarmi tra i pellegrini che, al di fuori delle celebrazioni, vanno a zonzo attorno a piazza  San Pietro. Hanno veramente l’aspetto di pellegrini e non di turisti: pacifici, si accontentano di poco, distesi: Dio è con loro poichè essi si concedono il tempo di fermarsi e di fermare Dio, secondo i loro sogni. È davvero il popolo di Dio che ha già un piede nell’eternità, popolo della speranza ma non della rassegnazione. Tuttavia, dietro quei volti giubilari, immagino che ciascuno porti il dramma della propria vita che non può comunicare a nessuno e che solo Dio può decifrare e confortare.

Quale riflessione ripensando ai “molti Giubilei” già celebrati?

Per me il “filo rosso” che unisce tutti i “Giubilei” è quello dell’“Indulgenza” di Dio. Tutte  le celebrazioni già fatte portano, nella loro varietà culturale e sociale, lo stesso marchio spirituale che dà all’insieme una sorprendente unità. Come nel Bolero di Ravel, lo stesso leit-motiv è ripreso senza fine e su tutti i toni: pellegrino, per quanto pesante sia il tuo cammino sotto il peso del peccato, ritorna al Signore, guarda quanto Dio ti ama. È il Padre che copre instancabilmente,  con le sue mani, il figliol prodigo, come lo mostra il bel quadro di Rembrandt. Dopo il peccato del primo uomo, l’amore di Dio si è rivestito del manto della misericordia, Dio non può più amare che perdonando.

Lei conosce direttamente molte situazioni di sofferenza nel mondo: come le ha riviste e pensate in questi sei mesi, che cosa il Giubileo dice alle molte persone che le vivono ed alle persone che le conoscono attraverso i media?

Sono colpito nel vedere come, proprio secondo il desiderio  di Giovanni Paolo II, l’esigenza sociale del Giubileo sia stata messa in risalto un po’ ovunque nelle Chiese locali. Non penso soltanto alla solidarietà con i popoli schiacciati da un debito con l’estero;  in questi giorni grazie al giubileo dei carcerati e al messaggio del Papa, siamo più sensibili a quell’universo carcerario che pone tanti interrogativi alle nostre coscienze di fronte alla delinquenza. Quando Giovanni Paolo II ha invitato simbolicamente alla sua tavola  dei poveri di ogni sorta, avevo al mio fianco un giovanissimo africano che è sfuggito al genocidio nel suo paese e che percorre ogni giorno le strade di Roma alla ricerca di un qualsiasi lavoro. La miseria ha un duplice volto, quello della sofferenza, della disperazione ma anche quello della carità, della speranza. La “Caritas” a Roma, e altrove, ma anche molte altre iniziative della Chiesa testimoniano che il Vangelo - è il suo marchio di origine- è più che mai annunciato ai poveri  e agli oppressi.

Quali momenti, quali parole, quali gesti di questo Giubileo, spalancato a tutti, possono aver fatto nascere domande su Dio anche in non cattolici e  non credenti?

È difficile rispondere a questa domanda, si tocca  il segreto delle coscienze. Ma non ho dubbi che il Giubileo abbia saputo trovare i momenti e i luoghi per raggiungere dei non cattolici e dei non credenti. Questo Giubileo, di tradizione cattolica, ha ampiamente superato i confini della nostra Chiesa e, questo, grazie ai media (in particolare alla Televisione) ai quali tengo a dare riconoscimento. Penso a certe immagini  toccanti del Papa in Terra Santa, esse hanno fatto il giro del mondo: per la prima volta nella storia, il Vangelo è stato così proclamato -secondo l’ordine di missione data da Gesù- fino alle estremità della terra.

Ci attendono grandi appuntamenti spirituali ed ecclesiali e...gli ordinari impegni di ogni giorno. Ancora per sei-sette mesi rimarranno accesi i riflettori dei media. Anche se a metà percorso,  è possibile cogliere qualche segno per dire che il Giubileo non si fermerà al gennaio 2001?   

Il Giubileo non è che un tempo privilegiato per fare in modo straordinario le cose più ordinarie  della vita cristiana. Ma non si può vivere a lungo in un regime ad alta tensione. Riconfortati, sospinti da un anno giubilare, dovremo ritrovare il ritmo abituale, il tempo della pazienza di Dio e degli uomini. Sappiamo, però, che la grazia non ci mancherà mai, sempre così abbondante. In questo senso, il Giubileo è di tutti i tempi e si tratta soprattutto di non uscirne, di non mettervi un punto finale il 6 gennaio del 2001!
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