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Repubblica Ceca: il Giubileo della libertà

Dario Busolini

Più di 6000 pellegrini guidati dal Cardinale arcivescovo di Praga Miloslav Vlk e dal Presidente della Conferenza Episcopale Ceca Mons. Jan Graubner, hanno riempito con fervore venerdì 31 maggio la Basilica di San Paolo per la Via Crucis e la Messa attraversando in una lunga processione la Porta Santa.  Sabato mattina, alle 11 nell’Aula Paolo VI, c’è stata l’udienza con Giovanni Paolo II, che i Cechi hanno salutato nuovamente all’Angelus del giorno dopo, mischiati tra la folla di Piazza San Pietro, dopo la Messa in Basilica, officiata alle otto del mattino dal Cardinale Vlk. Giovanni Paolo II ha parlato alla Chiesa ed alla società ceca. Quest’ultima, “sta finalmente gustando il tempo della democrazia e della libertà”, che però ha portato con sé “una progressiva secolarizzazione ed un esteso relativismo morale”. Urge “un consistente sforzo nell’ambito della catechesi a tutti i livelli”, ed in modo particolare in quello della famiglia.

Cardinal Vlk: “Il nostro vincolo con Pietro”

Eminenza, questa è la prima volta in cui la Chiesa ceca può compiere un pellegrinaggio nazionale a Roma per il Giubileo. Immagino che l’emozione sia tanta…

“Eh, sì. Infatti nel 1950 non abbiamo potuto partecipare al Giubileo, né venticinque anni fa, nel 1975, e neppure nel 1983. Questa è proprio la prima volta in cui i nostri fedeli possono varcare la Porta Santa!”

Quindi qual è lo scopo del pellegrinaggio giubilare ceco a Roma?

“Il nostro è un pellegrinaggio giubilare, cioè motivato dal Giubileo, e nel contempo un pellegrinaggio nazionale. Io vedo questo pellegrinaggio - composto da 6.000 pellegrini, un buon numero per un Paese di piccole dimensioni con dieci milioni di abitanti - come un’espressione del nostro rapporto con il Santo Padre. Perché per noi, durante il periodo del comunismo, il Papa era veramente il vescovo, non solo di Roma ma proprio della nostra Nazione, che allora non aveva vescovi perché erano in carcere o perseguitati. Ecco perché si è sviluppato un rapporto molto forte con il Papa, rinforzato poi dalle tre visite di Giovanni Paolo II nel nostro Paese. Il nostro pellegrinaggio, quindi, è una risposta a questi avvenimenti. E poi direi che è pure un segno del rapporto dei fedeli non solo con il Santo Padre, ma anche con la Santa Sede e con la Chiesa in generale. È un pellegrinaggio del nostro popolo cristiano “ad limina Petri”. Ciò che fanno i vescovi ogni cinque anni, lo si è fatto adesso insieme con il popolo: una visita e un incontro della Chiesa locale con la Chiesa universale”.

Che cosa porteranno a casa i pellegrini da questa loro esperienza giubilare?

“Spero che tornino a casa con un rafforzamento della fede. Perché, dopo essere stati isolati per quarant’anni, si finisce con l’avere una visione chiusa, ghettizzata, mentre qui si può sentire tutto il respiro della Chiesa universale. Ecco, vorrei che questo pellegrinaggio produca un rafforzamento della coscienza che facciamo parte della Chiesa universale, che non siamo soli. Così che tale rafforzamento, tale respiro più ampio, divenga una spinta per l’evangelizzazione nel terzo millennio”.

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