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  L’intervista

Quelle pagine letterarie che raccontano l’Anno Santo

Giorgio Tabanelli

Dante, Petrarca, Tasso e , nei tempi moderni, Pascoli e due pontefici-poeti Leone XIII e Giovanni Paolo II: lo scrittore Ferruccio Ulivi ripercorre la vasta produzione ispirata al grande evento di fede

Ferruccio Ulivi è nato a Borgo San Lorenzo (Firenze) nel 1912. Saggista e narratore, è stato docente titolare di letteratura italiana presso le Università di Bari, Perugia e Roma. E’ uno dei maggiori studiosi di Manzoni e D’Annunzio. Tra i suoi libri di narrativa: E le ceneri al vento (1977), Le mani pure (1979), Me mura del cielo (1981), La notte di Toledo (1983), Trenta denari (1984), Storie bibliche d’amore e di morte (19989), L’anello (1990), La straniera (1991), L’angelo rosso (1992), Come il tragitto di una stella (1998).

Ferruccio Ulivi, in che modo lei oggi guarda al Giubileo e con quale atteggiamento vive tale evento storico-religioso ?

Qualunque mediazione soggettiva in chiave strettamente personale, oppure d’ordine storico, teologico, etico, non saprebbe – io credo – surrogare quella rappresentanza d’indole testuale-poetica che un letterato ha il diritto e il dovere, e speriamo il minimo di competenza, per rievocare e riproporre. Ci sono dei testi che, anche se ne ignorassimo l’appartenenza ad autori regali, personificano nella fattispecie ogni istanza possibile. A qualcuno di questi testi mi sembra spontaneo affidare una risposta capace di assorbire il primo quesito fondamentale che lei mi ha posto. Un Giubileo è sempre connesso a due eventi: geneticamente parlando, non c’è dubbio che sgorghi dalla pratica, antico-cristiana, dei pellegrinaggi; come valore intrinseco, si identifichi con la visitazione a una delle basiliche e col varco della simbolica porta. Ebbene, se sfoglio un attimo la letteratura concernente questi aspetti, mi imbatto subito in quelle rappresentanze regali che dicevo: Dante, Petrarca, Tasso e, nei tempi moderni, Pascoli e due pontefici-poeti, Leone XIII e Karol  Wojtyla. Nella poesia di Dante il tema della partenza del pellegrino, che si trova sbalzato in ambienti e città ignote in ore e circostanze particolari, emerge già nella Vita nuova. In un sonetto del giovanile romanzo, il poeta osserva un gruppo di romei che transitano per Firenze in un giorno dolorosamente memorando: quello della morte di Beatrice; “Deh peregrini che pensosi andate”, dice e si stupisce che non sentano il bisogno di unire il loro pianto a quello della “città dolente”. Eppure tutto è consono a una malinconia, a una tristezza universalmente diffusa, a cominciare proprio da costoro che se ne vanno pensosi “forse di cosa che non v’è presente” : che può voler dire colpiti dal ricordo dei loro cari, oppure da qualcosa d’indefinito, da uno struggimento senza nome. Nonostante ciò, vanno avanti; come continua il suo viaggio chi ha la sua meta oltremare, il “navigante” della Divina Commedia, allo scadere del primo giorno di partenza, ascoltando il lontano suono di una squilla della terraferma, che gli “intenerisce il core”. Ebbene, sulla scorta di queste reminiscenze, e altre simili, come quelle, toccanti, petrarchesche, non si può non riflettere che Giubileo non è solo segno di fragrante letizia, rigenerazione spirituale e così dicendo, ma commemorazione radicale, profonda del senso stesso della vita alla luce di un’altra, memoranda scadenza, come se una mano ci si fosse posata sulla spalla, invitandoci a meditare: la mano stessa, piagata, di Lui. Giubileo significa, accanto a tutte le altre valenze, anche una tappa, un punto d’arrivo che per molti non si ripeterà.

Come scrittore cattolico quali sono gli aspetti del Giubileo che maggiormente l’hanno colpita e l’hanno coinvolta in una riflessione e in una conversione ?

Di “una riflessione” e di “una conversione” siamo passabili in ogni fase dell’esistenza. La ricorrenza giubilare ci invita a scandirla, quella conversione, nell’intimità della coscienza, come nell’equivalenza liturgica. E c’è anche una poesia, una splendida lirica, La porta santa di Giovanni Pascoli, composta per il Giubileo del 1900, indetto da Leone XIII, che ne celebra in modo ineguagliabile, per la prima volta, l’arduo significato rituale-simbolico. Pascoli era un poeta laico, ma era intriso, nell’intimo, di profonda spiritualità religiosa. Indirizzandosi al nobile protagonista, l’ormai novantenne papa Pecci, lo appella così: “Uomo, che quando fievole/mormori, il mondo t’ode,/ pallido eroe, custode/ dell’altro atrio di Dio ;/ leva la man dall’opera,/ o immortalmente stanco!: / Scingi il grembiul tuo bianco, / mite schiavo di Dio;/ / la Porta ancor vaneggi!/ Voglion ancor, le greggi/ meste, passar di là”. E ancora – per citazioni frammentarie - : “ Vecchio che in noi t’immilli,/ lasciaci udir gli squilli/ dell’immortalità ”. E chiuderà invocando: “Non ci lasciar nell’atrio/ dal viver nostro, avanti/ la Porta chiusa, erranti/ come vane parole… ”

Non c’è dubbio che l’evento del Giubileo sia profondamente legato alla personalità umana e religiosa di Giovanni Paolo II. Quali sono secondo lei gli aspetti del pontificato che nel Giubileo trovano il loro compimento ?

Non c’è dubbio che la presente indizione giubilare risponda in modo perfetto, nei suoi connotati, alla personalità umana e religiosa di Giovanni Paolo II; e vi risponda soprattutto con un’impronta decisiva: la profonda inchiesta, direi l’immersione, il richiamo fondante alla fisionomia originaria biblico-evangelica della circostanza scandita oggi dall’incidenza millenaria. E’ il Papa che si rifà alle orme di Abramo, di Mosé, alla Terrasanta delle aspirazioni ora devote, ora spinte fino al sangue, dei sempre rinnovati pellegrinaggi nei secoli. Giovanni Paolo II ha riacceso con profonda pietà quella tradizione, infondendo al suo pontificato un carattere che ne è il sigillo.

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