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Il passaggio dal tempo all'eterno

Gianfranco Ravasi

Di fronte alla Porta santa spalancata, di fronte ai milioni di passi che la segnano da secoli, si può un po’ liberamente risalire oltre le stesse radici cristiane. E’ un pensiero che mi affiora e che mi riporta a studi del mio passato:

Nelle culture dell’Antico Vicino Oriente la porta era quella che i linguisti chiamano una “sineddoche”, cioè una parte che alludeva e abbracciava il tutto di un edificio. Non per nulla il nome “Babilonia” letteralmente deriva da bab-ilu, cioè “porta di Dio”, riferimento al tempio in essa presente che la rendeva una città santa.

Ma a questo punto il pensiero si sposta spontaneamente alle sorgenti stesse del cristianesimo.

Come narra il Vangelo di Giovanni nel c.10, un giorno Gesù davanti al tempio e a quella che era chiamata la Porta delle Pecore (vicino all’attuale Piscina Probatica o “delle pecore”) aveva fatto una dichiarazione solenne: “Io sono il buon pastore……Io sono la porta delle pecore”. Da un lato, egli si presentava con il profilo del Pastore supremo del popolo di Dio, cioè JHWH dell’Antico Testamento (vedi, ad esempio, il celebre Salmo 23), che conduceva il suo gregge al riparo nei recinti sicuri della salvezza.

D’altro lato, però, Gesù si presentava anche come la porta del tempio, cioè – per quella figura retorica a cui sopra si accennava, della parta per il tutto – il tempio vivente che accoglie nell’intimità divina la comunità dei credenti.

Egli è il mediatore e la meta della salvezza.

E la Porta Santa è il segno visibile di un itinerario squisitamente spirituale che attua, come ha affermato Giovanni Paolo II, “il passaggio dal peccato alla grazia”, dal tempo all’eterno, dalla lontananza alla comunione.

Naturalmente, proprio perché è un segno, la Porta Santa è per analogia aperta idealmente anche nelle altre chiese del mondo ove si celebrerà il Giubileo. Anzi, come è stato suggerito dalla stessa tradizione ecclesiale, per certi versi anche le porte delle case cristiane possono diventare “sante” quando si aprono ad accogliere i poveri e gli ultimi della terra.

Non per nulla nella tradizione giudaica si raccomandava di tener socchiuso l’uscio di casa in occasione della cena pasquale, per poter accogliere il Messia o almeno un povero che cammina per le strade delle città.

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