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Giovanni Paolo II e Roma

Domenico Del Rio

Karol Wojtyla a Roma ci arrivò la prima volta a 26 anni nel 1946. Ve lo aveva mandato a studiare l’arcivescovo di Cracovia, subito dopo averlo ordinato sacerdote. Il giovane prete si portava dietro un’immagine fantastica della città eterna, natagli dalla lettura dei libri: la città dei martiri cristiani, delle tombe dei principi degli apostoli, delle catacombe, la città dei successori di Pietro, delle grandi basiliche splendenti di ori, di mosaici, di arte. Allora, subito dopo la guerra, aveva trovato invece una Roma ben poco trionfale, appena liberata dalle afflizioni del conflitto mondiale, ancora percorsa dalle camionette delle truppe dei vincitori americani. Vi era ritornato da vescovo e vi aveva dimorato nei giorni del Concilio Vaticano II. Vi si e infine stabilito da Papa, con i titoli e gli impegni legati alla città: Vescovo di Roma, Arcivescovo e Metropolita della Provincia ecclesiastica romana. Da Papa ha imparato a conoscere Roma, a divenirne familiare, a gioire per le cose buone della città a partecipare alle sofferenze che essa racchiude. Ha preso contatto con le istituzioni della capitale italiana. Ha fatto visita al Quirinale, antica sede di Papi, al tempo del presidente Pertini e poi del presidente Scalfaro. Proprio durante l’ultima visita ha affermato con soddisfazione: “Pur venendo da un paese lontano, io mi sento romano e italiano”. Ha avuto parecchi incontri con i sindaci della città soprattutto con l’attuale sindaco Rutelli, anche a causa dell’incarico che questi ha avuto dal governo italiano per la preparazione del Giubileo. Allo stadio di Roma, ha parlato agli sportivi. Nelle carceri si è intrattenuto con i detenuti. Famosa è stata la sua visita al carcere di Rebibbia quando è rimasto alcuni minuti a colloquio con Ali Agca, il suo attentatore in Piazza San Pietro. E’ stato partecipe delle sofferenze degli ammalati, facendosi ricoverare al Policlinico Gemelli sia dopo l’attentato sia per le operazioni chirurgiche cui ha dovuto sottoporsi. Ma il suo contatto con la città è soprattutto pastorale. Papa Wojtyla va tra la gente delle parrocchie. Non parla soltanto in chiesa, ma si reca a scoprire le condizioni in cui vive la popolazione. Nella periferia di Roma ha visto talvolta la miseria materiale ma anche una ricchezza spirituale. “Siete poveri di beni materiali, ma siete ricchi di fede”, ha detto una volta in una zona di baracche”. Chiama Roma “la nostra città”. In una chiesa del quartiere Prati, che era una volta una distesa di verde e oggi è zona densa di palazzoni e di caserme, ha esclamato: “Siamo nella parrocchia del Sacro Cuore in Prati, ma dove sono i prati? Una volta i prati si vedevano subito, mentre ora bisogna fare tanta strada per trovarli. Questo ci dà la dimensione dì come sia cambiata la nostra città e di come gli edifici si sono sostituiti ai prati”. Ma la gioiosa caratteristica di queste numerose apparizioni del Papa nelle parrocchie romane è il suo incontro con i bambini. E’ da loro che Giovanni Paolo Il sì fa interrogare e a loro dà risposte alle quali stanno attenti anche gli adulti. “Perché vai sempre in giro per il mondo?”, gli chiese una volta un chierichetto, mentre egli si intratteneva con i ragazzi che gli avevano servito la messa in una parrocchia romana. Il Papa capì che non stava rispondendo soltanto a un ragazzino. Dapprima quasi scherzò. “Perché”, disse, “il mondo non è tutto qui”. Poi aggiunse: “Hai letto quello che ha detto Gesù? ‘Andate ed evangelizzate tutto il mondo’. E cosi io vado in tutto il mondo”. E’uno dei tanti incontri coi ragazzi che portano Giovanni Paolo II fuori da ogni ufficialità e - in una atmosfera confidenziale, riescono spesso a svelare i “segreti” di Papa Wojtyla.

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