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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE 
 

SANTA MESSA PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DEL XXV DI ELEZIONE A SOMMO PONTEFICE


Preparazione alla Celebrazione
  

INTRODUZIONE

È giusto e doveroso

Il ringraziamento al Signore per i suoi doni è elemento fondamentale della spiritualità biblica sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento.

Nelle preghiere dei patriarchi, dei profeti, di santi uomini e donne del primo Patto sono frequenti le espressioni di ringraziamento. Tobi, simbolo della pietà di Israele, invita i figli di Sion a non dimenticare quanto il Signore ha compiuto in loro favore: «Contemplate ciò che ha operato con voi / e ringraziatelo con tutta la voce; / benedite il Signore della giustizia / ed esaltate il re dei secoli» (Tb 13, 7). Nei Salmi, l'espressione più caratteristica della preghiera di Israele, ricorrono con singolare frequenza verbi quali benedire, lodare, ringraziare, esultare, celebrare che, pur con sfumature diverse, indicano lo stesso atteggiamento di grata lode e di esultante riconoscenza. Per citare un esempio, il Salmo 117 (118) si apre e si chiude con un invito a ringraziare il Signore: «Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia» (vv. 1 e 29).

Nei Vangeli Gesù si manifesta come il Servo obbediente che compie la volontà del suo Signore ed esulta per il suo progetto salvifico (cf. Mt 11, 25-27), come il Figlio che sa che il Padre lo ascolta sempre (cf. Gv 1, 42) per cui sempre lo ringrazia: così nei “segni” della moltiplicazione dei pani (cf. Mc 8, 6; Gv 6, 11) e della risurrezione dell'amico Lazzaro (cf. Gv 11, 41), ma soprattutto nell'evento pasquale (cf. Gv 12, 28-29), del quale egli comandò ai discepoli di fare memoria nella forma rituale di un'«azione di grazie» (cf. Lc 22, 19).

La Chiesa è consapevole che «ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce» (Gc 1, 17), per cui vuole vivere costantemente nell'atteggiamento di lode e di ringraziamento che era abituale a Cristo, suo Signore, Maestro e Sposo, e a cui esorta l'Apostolo: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3, 17).

Il dono del XXV di Pontificato del Santo Padre

Nel disegno ecclesiale di Gesù, il servizio di pastore, sacerdote e maestro affidato a Pietro e ai suoi Successori è un dono alla Chiesa.

Il 16 ottobre 2002 il Santo Padre Giovanni Paolo II è entrato nel XXV anno del suo Pontificato. Il 16 ottobre 1978, infatti, il Card. Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, fu eletto alla Cattedra di Pietro e il 22 ottobre dello stesso anno diede solennemente inizio al suo ministero di Vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale.

Questa sera Piazza San Pietro, verso la quale, attraverso la radio e la televisione, converge la premurosa attenzione di tutte le Chiese dell'Orbe, diviene il luogo del fervido ringraziamento a Dio per il dono del XXV di Pontificato del Santo Padre e della filiale preghiera per lui, nonché il simbolo della comunione ecclesiale nell'amore.

 

1. TOTUS TUUS

Nello stemma episcopale di Giovanni Paolo II campeggiano una croce, evidente riferimento a Cristo crocifisso, e la lettera M, iniziale del nome di Maria, la Madre verginale e la Discepola fedele di Cristo. Il motto Totus tuus indica l'affidamento totale del Sommo Pontefice alla Madre del Signore.

Il Pontificato di Giovanni Paolo II è segnato da una forte connotazione mariana: il 25 marzo 1983, ricorrendo l'Anno Giubilare della Redenzione, il Santo Padre, in comunione con tutti i Vescovi, rinnovava l'affidamento del mondo al Cuore Immacolato di Maria, secondo un'indicazione del messaggio della Vergine a Cova d'Iria - Fatima; il 25 marzo 1987, al termine della Lettera enciclica Redemptoris Mater, stabiliva la celebrazione di un Anno Mariano (7 giugno 1987 – 15 agosto 1988) quale preparazione, ricordando la Madre, alla celebrazione, nell'anno 2000, del bimillenario della Nascita del Figlio.

L'enciclica Redemptoris Mater è senza dubbio il più importante documento del magistero mariano di Giovanni Paolo II. Essa reca un significativo contributo alla dottrina sulla Vergine soprattutto per quel che riguarda il cammino di fede di Maria, la sua mediazione materna, la specifica dimensione mariana della spiritualità cristiana, la maternità spirituale di Maria nei confronti della Chiesa e dei singoli cristiani, la natura della presenza di Maria nella vita della Chiesa.

La riflessione sulla Beata Vergine ha condotto più volte Giovanni Paolo II ad affrontare la «questione femminile» nel mondo e nella Chiesa, soprattutto con la Lettera apostolica Mulieris dignitatem (15 agosto 1988) sulla dignità e vocazione della donna che, in campo esegetico, ha dissipato l'interpretazione antifemminista di alcuni versetti biblici, e la Lettera alle donne (29 giugno 1995), alla vigilia della IV Conferenza mondiale dell'ONU sulla donna.

Nei viaggi apostolici, Giovanni Paolo II non manca mai di visitare i santuari mariani dei paesi e delle città in cui si reca, per porre sotto il patrocinio della Vergine l'esito della sua missione spirituale.

Cultore di espressioni di genuina pietà popolare il Santo Padre mantiene viva la pratica dell'Angelus, delle Litanie, del Santo Rosario. Nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariæ (16 ottobre 2002), Egli ha esortato i fedeli a una ripresa fervorosa della sua recita e ha arricchito il numero dei misteri salvifici contemplati con altri cinque riguardanti la vita pubblica di Gesù, raggruppati in una sezione propria intitolata Misteri della Luce.

Dal Vangelo secondo Giovanni (19, 25-27)

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

Dalla Lettera enciclica «Redemptoris Mater» (n. 44)

Si scorge qui il reale valore delle parole dette da Gesù a sua madre nell'ora della croce: «Donna, ecco il tuo figlio» e al discepolo: «Ecco, la tua madre» (Gv19, 26-27). Sono parole che determinano il posto di Maria nella vita dei discepoli di Cristo ed esprimono la sua nuova maternità quale Madre del Redentore: la maternità spirituale, nata dall'intimo del mistero pasquale del Redentore del mondo. È una maternità nell'ordine della grazia, perché implora il dono dello Spirito Santo che suscita i nuovi figli di Dio, redenti mediante il sacrificio di Cristo: quello Spirito che insieme alla Chiesa anche Maria ha ricevuto nel giorno di Pentecoste.

Questa sua maternità è particolarmente avvertita e vissuta dal popolo cristiano nel sacro convito — celebrazione liturgica del mistero della redenzione —, nel quale si fa presente Cristo, il suo vero corpo nato da Maria Vergine.
 

2. PEREGRINUS APOSTOLICUS

Due parole del Maestro, la prima rivolta a Pietro: «Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32); la seconda rivolta agli Apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15) hanno ispirato l'azione pastorale di Giovanni Paolo II e hanno fatto di lui uno straordinario Pellegrino apostolico. I cronisti contano più di 100 viaggi apostolici fuori dai confini dell'Italia. Viaggi per confermare i Vescovi nella fede e nella speranza, per incontrare il popolo di Dio nelle sue varie condizioni — anziani e giovani, uomini della cultura, della ricerca, dell'arte e uomini privi di istruzione e analfabeti, uomini sani e liberi, e uomini infermi — come non ricordare le visite del Papa ai lebbrosi e ai malati terminali? —, carcerati, poveri, senza un tetto né un lavoro — e nelle varie strutture ecclesiali — il clero, i membri degli istituti di vita consacrata, i catechisti, le famiglie... —.

Viaggi in Nazioni prevalentemente cattoliche e in Nazioni dove i discepoli di Cristo sono una minoranza irrilevante. Viaggi per incontrare moltitudini e viaggi per visitare piccoli gruppi, appena alcune decine di battezzati. Viaggi in luoghi di facile accesso e viaggi in luoghi impervi; viaggi senza rischio e viaggi pieni di pericoli. Viaggi per proclamare sempre, in ogni luogo, a tutti gli uomini la Parola che salva, per gettare semi di fede e di speranza; per celebrare la divina Liturgia, unica nell'essenza, varia per la pluralità di riti, di tradizioni, di espressioni rispecchianti la cultura di popoli diversi.

Nell'urgenza di annunciare il Vangelo si inquadra l'insistente ammonimento di Giovanni Paolo II sulla necessità di una nuova evangelizzazione — nuova per l'impegno, per l'entusiasmo, per una più profonda conoscenza dei popoli a cui rivolgere il messaggio evangelico — e la sua sollecitudine missionaria, di cui è luminosa testimonianza l'enciclica Redemptoris missio (7 dicembre 1990).

Dalla prima lettera di san Paolo ai Corinzi (9, 16-19)

Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero.

Dalla Lettera enciclica «Redemptoris missio» (n. 1)

Dall'inizio del mio Pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività.

Il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la «missionarietà», fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria. L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana.

La missione, infatti, rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale. Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno.
  

3. CHRISTUS BONUS PASTOR

Gesù, che è uno con il Padre (cf. Gv 10, 30), ha compiuto nella sua persona la promessa fatta da Dio a Israele per mezzo del profeta Ezechiele: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34, 15-16). Gesù infatti disse di se stesso: «Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11).

Giovanni Paolo II, lo sguardo fisso in Cristo buon Pastore, ha rivolto la sua premurosa attenzione a coloro che nella Chiesa sono, per divina chiamata, Pastori del gregge di Cristo. Lo attestano numerosi atti e documenti del suo Pontificato, tra cui l'Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), le Esortazioni successive ai Sinodi celebrati con i Vescovi dei cinque Continenti: Ecclesia in Asia, Ecclesia in Africa, Ecclesia in America, Ecclesia in Oceania, Ecclesia in Europa, e l'Esortazione apostolica postsinodale Pastores gregis, oggi promulgata. Ogni anno il 6 gennaio, il Santo Padre ordina personalmente Vescovi destinati alle Chiese particolari di varie Nazioni, e la Domenica IV di Pasqua, Domenica del Buon Pastore, presbiteri della Diocesi di Roma e di molte altre Diocesi sparse nell'Orbe. Assidua è la sua cura per la promozione dei seminari dove si formano i futuri pastori della Chiesa.

Dal Libro del profeta Geremia (23, 3-4)

Dice il Signore, Dio di Israele: «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; di esse non ne mancherà neppure una». Oracolo del Signore.

Dall'Esortazione apostolica postsinodale «Pastores dabo vobis» (n. 1)

«Vi darò pastori secondo il mio cuore» (Ger 3, 15).

Con queste parole del profeta Geremia Dio promette al suo popolo di non lasciarlo mai privo di pastori che lo radunino e lo guidino: «Costituirò sopra di esse (ossia sulle mie pecore) pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi» (Ger 23, 4).

La Chiesa, popolo di Dio, sperimenta sempre la realizzazione di questo annuncio profetico e nella gioia continua a rendere grazie al Signore. Essa sa che Gesù Cristo stesso è il compimento vivo, supremo e definitivo della promessa di Dio: «Io sono il buon Pastore» (Gv 10, 11). Egli, «il Pastore grande delle pecore» (Eb 13, 20), ha affidato agli apostoli e ai loro successori il ministero di pascere il gregge di Dio (cf. Gv 21, 15ss; 1 Pt 5, 2).

In particolare, senza sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere quella fondamentale obbedienza che è al cuore stesso della sua esistenza e della sua missione nella storia: l'obbedienza al comando di Gesù: «Andate dunque e ammaestrate tutte le genti» (Mt 28, 19), e: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19; cf. 1Cor 11, 24), ossia il comando di annunciare il vangelo e di rinnovare ogni giorno il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita del mondo.

 

4. UT UNUM SINT

Nella Lettera enciclica Redemptor hominis(4 marzo 1979), nella quale Giovanni Paolo II tracciava le linee programmatiche del suo Pontificato, figura già con rilievo il suo proposito di proseguire sulla via dell'ecumenismo secondo le indicazioni del decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964), che Egli non intendeva certo disattendere. Ma tale proposito si radicava soprattutto nell'esplicita volontà di Cristo, da lui espressa in termini oranti la vigilia della sua morte: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una sola cosa» (Gv 17,21). La sua stessa esperienza, poi, e il suo convincimento lo confermavano nella scelta del cammino ecumenico: la sua esperienza, perché Egli aveva provato nella sua Polonia che cosa significasse essere circondati da paesi i cui abitanti, pur credenti nell'unico Signore, non erano in piena comunione con Roma; il suo convincimento, perché egli era persuaso che la divisione dei cristiani deturpa il volto della Chiesa, rende più difficile la sua missione universale e meno credibile il suo messaggio.

Nell'enciclica del 4 marzo 1979 il nuovo Papa si mostrava consapevole delle immense difficoltà disseminate lungo la via dell'ecumenismo, cammino da percorrere tuttavia senza esitazione. In proposito Egli scrive: «Dobbiamo ricercare l'unione senza scoraggiarci di fronte alle difficoltà, che possono presentarsi o accumularsi lungo tale via; altrimenti, non saremo fedeli alla parola di Cristo, non realizzeremmo il suo testamento. È lecito correre questo rischio?». E ancora: «A tutti coloro che per qualsiasi motivo, vorrebbero dissuadere la Chiesa dalla ricerca dell'unità universale dei cristiani, bisognerà ripetere ancora una volta: È lecito a noi il non farlo?» (n. 6).

Da questo convincimento, che diviene in lui imperativo etico, deriva tutta l'azione ecumenica di Giovanni Paolo II: il potenziamento delle strutture ecclesiali per incrementare il dialogo ecumenico, l'approvazione del rinnovato Direttorio ecumenico, gli incontri con i responsabili delle Chiese e comunità ecclesiali — ortodosse, anglicane, luterane, calviniste... — in occasione dei viaggi apostolici, lo sviluppo degli incontri bilaterali tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e comunità ecclesiali, la cooperazione in campagne umanitarie e contro il razzismo e l'apartheid.

Due grandi documenti caratterizzano infine l'assidua attenzione di Giovanni Paolo II alla causa ecumenica: la Lettera apostolica Orientale lumen (2 maggio 1995), nella quale il Santo Padre mostra la straordinaria ricchezza del cristianesimo orientale e il suo peculiare genio; la Lettera enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), frutto maturo del cammino ecumenico percorso dallo stesso Giovanni Paolo II, affermazione della volontà della Chiesa cattolica di proseguire sulla via del dialogo, bilancio del lavoro svolto, assunzione di precisi impegni, individuazione dei temi che negli anni a venire dovranno essere oggetto di comune studio.

Dal Vangelo secondo Giovanni (17, 1. 20-23)

Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. [...]
Non prego solo per questi,
ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;
perché tutti siano una sola cosa.
Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch'essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me,
io l'ho data a loro,
perché siano come noi una cosa sola.
Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell'unità
e il mondo sappia che tu mi hai mandato
e li hai amati come hai amato me».

Dalla Lettera enciclica «Ut unum sint» (n. 79)

Sin da ora è possibile individuare gli argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le relazioni tra Sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede, e la sacra Tradizione, indispensabile interpretazione della Parola di Dio; 2) l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità in nome di Cristo per l'insegnamento e la salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e Icona della Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l'umanità.

In questo coraggioso cammino verso l'unità, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa. Inversamente, la stessa lucidità e la stessa prudenza ci raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per l'unità e ancor più l'opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a vedere tutto al negativo.

 

5. IESUS CHRISTUS HERI ET HODIE,
IPSE ET IN SÆCULA

Giovanni Paolo II ha sentito profondamente la ricorrenza del Bimillenario della nascita di Cristo e, conseguentemente, il passaggio dal II al III millennio dell'era cristiana. Ne parlò fin dalle prime righe della sua prima enciclica, la Redemptor hominis: «...questo tempo, nel quale Dio per suo arcano disegno [...] mi ha affidato il servizio universale collegato con la Cattedra di San Pietro a Roma, è già molto vicino all'anno duemila. [...] Per la Chiesa, per il popolo di Dio, che si è esteso [...] fino ai più lontani confini della terra, quell'anno sarà l'anno di un gran Giubileo» (RH, 1).

Il 10 novembre 1994, con la Lettera apostolica Tertio millennio adveniente Giovanni Paolo II stabiliva che il Giubileo fosse celebrato «contemporaneamente in Terra Santa, a Roma e nelle Chiese locali del mondo intero» (TMA, 55) e disponeva che fosse preceduto da tre anni di preparazione, di cui il primo dedicato a Gesù Cristo, il secondo allo Spirito Santo, il terzo a Dio Padre.

Nell'animo di Giovanni Paolo II il Grande Giubileo del 2000 doveva far rivivere in Cristo e alla luce di Cristo, adattati alle situazioni della società contemporanea, i valori dell'anno giubilare ebraico 
— anno da dedicare in modo particolare a Dio, anno di riposo per la terra, anno di liberazione degli schiavi, di restituzione dell'uguaglianza tra tutti i figli d'Israele, di ripristino della giustizia sociale, anno di gioia (cf. TMA, 12-13) — . Il Santo Padre inoltre definiva gli obiettivi da raggiungere nel Duemila; in questo modo consegnava alla Chiesa, per così dire, l'agenda del Grande Giubileo. Anno quindi:

– di ascolto della Parola di Dio e di quanto lo Spirito dice alle Chiese (cf. Ap 2, 7; TMA, 23); di conversione individuale e comunitaria, di impegno nel cammino della santità;

– di impegno per la «tutela della dignità e dei diritti della persona [...] e la promozione della pace» (TMA, 22), in un mondo in cui i conflitti bellici si succedono senza tregua, alimentati da odi atavici: guerre interminabili, guerre dimenticate, guerre fratricide, guerre che sono genocidi, guerre che implicano lo spostamento di intere popolazioni sradicandole dalla loro terra;

– di pellegrinaggio effettivo o spirituale alla Terra di Gesù e a «quei luoghi che si trovano sul cammino del Popolo di Dio dell'Antica Alleanza, a partire dai luoghi di Abramo e di Mosè, attraverso l'Egitto e il Monte Sinai, fino a Damasco, città che fu testimone della conversione di san Paolo» (TMA, 24);

– di «accorata supplica allo Spirito Santo implorando da lui la grazia dell'unità dei cristiani. È questo un problema cruciale per la testimonianza evangelica nel mondo» (TMA, 34);

– di deplorazione dell'acquiescenza manifestata da figli della Chiesa, «specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità» (TMA, 35);

– di riflessione sulla responsabilità dei cristiani nei confronti dei mali del nostro tempo, quali «l'indifferenza religiosa, che porta molti uomini a vivere come se Dio non ci fosse» (TMA, 36);

– di «dolore per il mancato discernimento [...] di non pochi cristiani di fronte alla violazione di fondamentali diritti umani da parte dei regimi totalitari» (TMA, 36);

– di valutazione della testimonianza dei martiri, poiché «nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi “militi ignoti” della grande causa di Dio» (TMA, 37): martiri della Chiesa cattolica e martiri di altre Chiese e comunità ecclesiali.

Tale era l'agenda del Grande Giubileo, tale fu, sostanzialmente, la sua realizzazione. Qui ricorderemo solo il suggestivo e commovente rito dell'apertura della Porta Santa la notte del 24 dicembre 1999 nella Basilica di San Pietro; la visita del Papa ai luoghi santi, a Nazaret, a Betlemme, al Monte delle Beatitudini, al Cenacolo e al Santo Sepolcro in Gerusalemme, al Monte Nebo: singolare pellegrinaggio di fede, testimonianza incisiva di mitezza, invito alla riconciliazione; la commemorazione di Abramo, «nostro padre nella fede», nell'Aula Paolo VI il 23 febbraio 2000; la celebrazione della I Domenica di Quaresima quale «Giornata del Perdono» (12 marzo 2000); la Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX presso il Colosseo, il 7 maggio 2000; la «Giornata Mondiale della Gioventù» celebrata in Roma nei giorni 15-20 agosto con la partecipazione di quasi due milioni di giovani; la conclusione dell'Anno Giubilare con la chiusura della Porta Santa e la promulgazione della Lettera apostolica Novo millennio ineunte nella solennità dell'Epifania del Signore (6 gennaio 2001).

Dalla «Lettera agli Ebrei» (13, 7-9. 12-16)

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!

Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia.

Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città. Usciamo dunque anche noi dall'accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.

Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.

Dalla Lettera apostolica «Novo millennio ineunte» (n. 28)

La risurrezione fu la risposta del Padre all'obbedienza di Gesù, come ricorda la Lettera agli Ebrei: «Egli nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (5, 79).

È a Cristo risorto che ormai la Chiesa guarda. Lo fa ponendosi sulle orme di Pietro, che versò lacrime per il suo rinnegamento, e riprese il suo cammino confessando a Cristo, con comprensibile trepidazione, il suo amore: «Tu sai che io ti amo» (Gv 21, 15.17). Lo fa accompagnandosi a Paolo, che lo incontrò sulla via di Damasco e ne restò folgorato: «Per me il vivere è Cristo, e il morire un guadagno» (Fil 1, 21).

A duemila anni di distanza da questi eventi, la Chiesa li rivive come se fossero accaduti oggi. Nel volto di Cristo essa, la Sposa, contempla il suo tesoro, la sua gioia. «Dulcis Iesu memoria, dans vera cordis gaudia»: quanto è dolce il ricordo di Gesù, fonte di vera gioia del cuore! Confortata da questa esperienza, la Chiesa riprende oggi il suo cammino, per annunciare Cristo al mondo, all'inizio del terzo millennio: Egli «è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8).

    

+ PIERO MARINI
Arcivescovo Titolare di Martirano
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie 

   

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