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S.P. II, 162: Libro d'Ore di area francese, seconda metà del Sec. XV
Biblioteca Ambrosiana

TREDICESIMA STAZIONE
Gesù muore sulla Croce

V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
 

Dal Vangelo secondo Luca. 23, 44-47

Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest’uomo era giusto».

MEDITAZIONE

All’inizio del nostro itinerario era il velo della notte ad avvolgere il Getsemani; ora è il buio di un’eclisse a stendersi come un sudario sul Golgota. L’«impero delle tenebre» (39) sembra, dunque, sovrastare la terra ove Dio muore. Sì, il Figlio di Dio, per essere veramente uomo e nostro fratello, deve bere anche il calice della morte, quella morte che è la reale carta d’identità di tutti i figli di Adamo. E' così che Cristo «si rende in tutto simile ai fratelli»,(40) diventa pienamente uno di noi, presente con noi anche in quell’estrema agonia tra vita e morte. Un’agonia che si ripete forse anche in questi minuti per un uomo o una donna qui a Roma e in tante altre città e villaggi del mondo.

Non è più il Dio greco-romano impassibile e remoto come un imperatore relegato nei cieli dorati del suo Olimpo. In Cristo che muore si rivela ora il Dio appassionato, innamorato delle sue creature fino al punto di imprigionarsi liberamente nella loro frontiera di dolore e di morte. E' per questo che il Crocifisso è un segno umano universale della solitudine della morte e anche dell’ingiustizia e del male. Ma è anche un segno divino universale di speranza per le attese di ogni centurione, cioè di ogni persona inquieta e in ricerca.

* * *

Infatti, anche quando è lassù, morente su quella forca, mentre il suo respiro si spegne, Gesù non cessa di essere il Figlio di Dio. In quel momento tutte le sofferenze e le morti sono attraversate e possedute dalla divinità, sono irradiate di eternità, in esse è deposto un seme di vita immortale, brilla una scintilla di luce divina.

La morte, allora, pur non perdendo la sua tragicità, rivela un volto inatteso, ha gli occhi stessi del Padre celeste. E' per questo che Gesù in quell’ora estrema prega con tenerezza: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». A quell’invocazione ci associamo anche noi attraverso la voce poetica e orante di una donna scrittrice: (41) «Padre, anche a me le tue dita chiudano le palpebre. / Tu che mi sei Padre, volgiti a me anche come tenera Madre, / al capezzale del suo bimbo che sogna. / Padre, volgiti a me e accoglimi nelle tue braccia».

Tutti:

Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.

Vidit suum dulcem Natum
morientem desolatum,
cum emisit spiritum.
  

 

(39) Luca 22, 53.
(40) Ebrei 2, 17.
(41) Marie Noël, Le canzoni e le ore (1930).

    

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

 

 

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