The Holy See Search
back
riga

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE

INTERVISTA CONCESSA DA MONS. GUIDO MARINI
A ANDREA TORNIELLI  PER “IL GIORNALE”

(11 maggio 2008)

A Genova, dov’è cresciuto, invece che Marini lo chiamavano don «Guidino», perché è alto e magro. A Roma, dov’è arrivato per scelta di Benedetto XVI lo scorso ottobre, si è fatto stimare per la sua gentilezza ma anche per la sua decisione di mettere fedelmente in pratica le idee liturgiche di Papa Ratzinger. Monsignor Guido Marini, classe 1965, è da qualche mese il nuovo maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, succeduto all’omonimo Piero Marini, per molti anni artefice delle liturgie di Giovanni Paolo II e degli inizi dell’attuale pontificato. Se dal punto di vista del nome non ci poteva essere passaggio più soft, l’arrivo di don Guido – plurilaureato, già cerimoniere e cancelliere di due arcivescovi genovesi – non è passato inosservato, grazie al recupero di alcuni paramenti tradizionali. Sull’altare papale ha fatto capolino la croce al centro, come un tempo. Sono stati riesumate mitrie antiche e il Pontefice ha cambiato pure pastorale abbandonando quello moderno d’argento per prendere una «ferula» (un bastone sormontato dalla croce) di Pio IX. Al punto che, durante il recente viaggio negli Stati Uniti, la stampa ha parlato di un Papa «vintage». Il Giornale ha incontrato il cerimoniere nel suo ufficio, dal quale si gode una delle più belle vedute su Piazza San Pietro.

Monsignore, cominciamo dal recupero della croce appoggiata al centro dell’altare, come un tempo. Perché?

La posizione della Croce al centro dell'altare indica la centralità del crocifisso nella celebrazione eucaristica e l'orientamento esatto che tutta l'assemblea è chiamata ad avere durante la liturgia eucaristica: non ci si guarda, ma si guarda a Colui che è nato, morto e risorto per noi, il Salvatore. Dal Signore viene la salvezza, Lui è l'Oriente, il Sole che sorge a cui tutti dobbiamo rivolgere lo sguardo, da cui tutti dobbiamo accogliere il dono della grazia.

La questione dell’orientamento liturgico nella celebrazione eucaristica, e il modo anche pratico in cui questo prende forma, ha grande importanza, perché con esso viene veicolato un fondamentale dato insieme teologico e antropologico, ecclesiologico e inerente la spiritualità personale.

Per i battesimi nella Sistina Benedetto XVI ha celebrato dando le spalle ai fedeli, come prima del Concilio. Un fatto che ha creato sorpresa…

Nelle circostanze in cui la celebrazione avviene secondo questa modalità, non si tratta tanto di volgere le spalle ai fedeli, quanto piuttosto di orientarsi insieme ai fedeli verso il Signore. Da questo punto di vista “non si chiude la porta all’assemblea”, ma “si apre la porta all’assemblea” conducendola al Signore. Si possono verificare particolari circostanze nelle quali, a motivo delle condizioni artistiche del luogo sacro e della sua singolare bellezza e armonia, divenga auspicabile celebrare all’altare antico, dove tra l’altro si conserva l’esatto orientamento della celebrazione liturgica. Non ci si dovrebbe sorprendere: basta andare in San Pietro al mattina e vedere quanti sacerdoti celebrano secondo il rito ordinario scaturito dalla riforma liturgica postconciliare, ma su altari tradizionali e dunque orientati come quello della Sistina.  

Benedetto XVI celebrerà una messa usando il rito antico, da lui liberalizzato con il motu proprio?

Non lo so e non sono in grado di rispondere. Io credo che sia importante comunque una lettura serena, ecclesiale e non ideologica, di queste decisioni del Pontefice. La liturgia della Chiesa, come d’altronde tutta la sua vita, è fatta di continuità: parlerei di sviluppo nella continuità. Ciò significa che la Chiesa procede nel suo cammino storico senza perdere di vista le proprie radici e la propria viva tradizione: questo può esigere, in alcuni casi, anche il recupero di elementi preziosi e importanti che lungo il percorso sono stati smarriti, dimenticati e che il trascorrere del tempo ha reso meno luminosi nel loro significato autentico. Mi pare che il Motu proprio vada proprio in questa direzione: riaffermando con molta chiarezza che nella vita liturgica della Chiesa c’è continuità, senza rottura.

Le mitrie, i copricapi liturgici del Pontefice, si sono tornate ad essere alte come un tempo, più volte il Papa ha indossato paramenti preziosi dei predecessori. Perché?

Anche in questo caso va detto che i paramenti adottati, come anche alcuni particolari del rito, intendono sottolineare la continuità della celebrazione liturgica attuale con quella che ha caratterizzato nel passato la vita della Chiesa. L’ermeneutica della continuità è sempre il criterio esatto per leggere il cammino della Chiesa nel tempo. Ciò vale anche per la Liturgia. Come un Papa cita nei suoi documenti i Pontefici che lo hanno preceduto, in modo da indicare la continuità del magistero della Chiesa, così nell'ambito liturgico un Papa usa anche paramenti e suppellettili sacre dei Pontefici che lo hanno preceduto per indicare la stessa continuità anche nella lex orandi. Vorrei però far notare che il Papa non usa sempre paramenti antichi. Ne indossa spesso di moderni. L’importante non è tanto l’antichità o la modernità, quanto la bellezza e la dignità, componenti importanti di ogni celebrazione liturgica.

Il Papa ha abbandonato la croce pastorale d’argento di Paolo VI per prenderne una dorata più vistosa, dei tempi di Pio IX. Il motivo?

Ovviamente vale ancora ciò che ho appena detto a proposito della continuità. In questo caso, però, c’è anche un elemento di praticità: la ferula di Pio IX risulta più leggera e maneggevole. Tanto che il Papa ha deciso di usarla abitualmente, come si è visto anche negli Stati Uniti.

È stato ripristinato anche l’antico trono papale. Nostalgie del potere temporale?

No, nessuna nostalgia. Il cosiddetto trono, usato in particolari circostanze, vuole semplicemente mettere in risalto la presidenza liturgica del Santo Padre.

Monsignore, è difficile fare il maestro delle cerimonie pontificie?

È un compito impegnativo non solo per la quantità del lavoro, ma anche e soprattutto per la responsabilità che comporta. Fin da subito ho avvertito molto la responsabilità di vivere con totale fedeltà al Santo Padre il compito che mi è stato affidato, tenendo conto che la liturgia che sono chiamato a servire e “organizzare” è la liturgia della Chiesa, del Papa.

    

     

top