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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
 

 

INTERVISTA PER “INSIDE THE VATICAN”

Wlodzimierz Redzioch

21 dicembre 2011 

 

Quali sono le sue impressioni generali dopo il viaggio in Benin ?

Mi è parso un viaggio apostolico molto bello e, per quanto è dato di osservare dall’esterno, assai ben riuscito pastoralmente. La popolazione del Benin ha accolto il Santo Padre con il consueto entusiasmo africano; un entusiasmo che, certamente, è un tratto tipico della cultura dell’Africa, ma pure l’espressione di una fede intensamente vissuta.

Anche il programma del viaggio ha contribuito al buon esito della visita papale. Gli impegni sono stati tutti molto significativi. Al di là della grande Messa della domenica, penso, ad esempio, agli incontri con i bambini e con i seminaristi, alla firma solenne dell’esortazione apostolica post-sinodale “Africae munus” nella Basilica di Ouidah

Dal punto di vista liturgico, qual è la differenza nella preparazione di un viaggio apostolico in Africa?

Non direi che via siano particolari differenze rispetto a ogni altro viaggio apostolico. Semmai mi piace sottolineare la straordinaria simpatia degli africani e la loro pronta disponibilità a collaborare alla migliore riuscita del viaggio con tanta generosità, anche dal punto di vista liturgico. Una nota particolarmente significativa, che ho potuto ancora una volta riscontrare, è stata l’apertura cordiale e convinta all’universalità della Chiesa, sotto ogni aspetto, compreso quello della liturgia. E’ quanto avevo già sperimentato in Camerun e in Angola, e che, nuovamente, ho ritrovato in Benin.

Parlando dell’Africa, ma anche dell’Asia, si parla spesso dell’inculturazione del messaggio evangelico nelle culture locali. Si può parlare anche di inculturazione della liturgia?

Quanto ebbi modo di affermare dopo il precedente viaggio in Africa, nel 2009, può essere valido anche al presente.  

Sono del parere che, parlando di inculturazione della liturgia, si debba sempre considerare anzitutto la liturgia stessa, nella sua dimensione più intima e vera: è la celebrazione del mistero del Signore, della sua morte e risurrezione per la nostra salvezza; è la preghiera della Chiesa alla quale partecipiamo nella misura della nostra adesione al mistero celebrato. Quando le diverse espressioni culturali vengono messe al servizio di questa realtà è possibile che trovino adeguato spazio ed espressione nella liturgia. Non la devono cambiare o snaturare, perché la liturgia è un dono prezioso fatto alla Chiesa e da essa vissuto nella continuità della sua Tradizione, che non è modificabile soggettivamente e arbitrariamente; possono però offrirle una forma espressiva culturale, tipica e arricchente, dove convivono in armonia ed equilibrio universalità e particolarità.

E’ importante anche ricordare che non tutte le espressioni culturali sono compatibili con la liturgia della Chiesa: vi può essere la necessità di educazione e di purificazione. È questo, d'altra parte, il cammino necessario di ogni cultura che si incontra con il Vangelo: ne rimane sanata e purificata e diventa capace di dargli una nuova espressione storica.

Il Santo Padre, a questo riguardo, ama parlare di interculturalità più che di inculturazione. E’ un pensiero che ha espresso anche durante il viaggio in aereo da Roma a Cotonou, rispondendo alle domande dei giornalisti. In quel contesto, Benedetto XVI ha anche ricordato che la vera partecipazione alla liturgia non è quella che si realizza sul piano emotivo e dei sentimenti, ma a livello di adesione al mistero di Cristo.

    

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