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Sono cinque anni che la squadra diretta dal Maestro Maurizio De Luca lavora al restauro della Cappella Paolina. Prima si è intervenuto sul vasto partito decorativo di stucchi dorati e policromi e sugli affreschi di Lorenzo Sabatini e di Federico Zuccari. L’ultimo segmento dei lavori (a far data dalla metà dell’anno scorso, per impegno costante ed esclusivo di De Luca e della sua prima assistente Maria Pustka) ha riguardato e continua a riguardare i due murali contrapposti di Michelangelo con la “Conversione di San Paolo” su una parete e la “Crocifissione di San Pietro” sull’altra.

Era importante incominciare l’impresa partendo dalla pulitura e dalla integrazione pittorica di tutto quello che Michelangelo non è. La Cappella Paolina è un insieme coerente, una plurima compresenza di stili e di autori che hanno voluto e saputo giustapporsi al supremo Maestro con discrezione e con intelligenza, senza competere con lui ma anche senza contraddire il carattere unitario dell’ambiente. Sarebbe stato un errore mettere l’enfasi sui due affreschi di Michelangelo, presentandoli come testimonianza eccezionale che prevale su tutto il resto e di fatto lo oscura. Se lo avessimo fatto avremmo fatto torto alla storia.

I pittori, gli scultori, i decoratori che intervennero in Paolina una ventina di anni dopo il Buonarroti, dovevano sentirsi certo lusingati ma soprattutto intimiditi dal confronto con un artista che, dopo le “vite” di Giorgio Vasari, aveva assunto l’aura del genio ineguagliabile e, quasi, lo statuto della “divinità”. Scelsero quindi di tenersi saggiamente sotto tono, mimetici per quanto possibile dello stile di Michelangelo (Sabatini nella “Caduta di Simon Mago”, lo stesso Zuccari nei nudi allegorici della volta), attenti però a non creare disarmonie nel contesto stilistico generale.

Il restauro – ci hanno insegnato i nostri maestri – è prima di tutto un atto critico, discende cioè dalla interpretazione della storia che si è fatta figura. Questa interpretazione della storia ha prodotto la filosofia di intervento che, elaborata e messa a punto dalla direzione dei lavori (Arnold Nesselrath con Maurizio De Luca e con chi scrive), sta alla base dell’attuale restauro della Paolina.

La pulitura in corso sui murali di Michelangelo ne tiene conto e viene modulata in modo tale da risultare coerente con i livelli cromatici, con il tono e con la “patina” dell’insieme. Ma per capire le ragioni (e le difficoltà) dell’attuale restauro bisogna prima conoscere le vicende costruttive complicate e contraddittorie della Cappella Paolina; vicende che sono la conseguenza diretta del carattere e della destinazione di un luogo sacro carico di valori simbolici del tutto speciali.

La Paolina è cappella papale da sempre, la più privata, la più intima fra i luoghi di culto dei Palazzi Apostolici, ma è anche la cappella che, più della Sistina,è chiamata a rappresentare la missione e il destino della Chiesa universale. Infatti essa è dedicata ai santi Pietro e Paolo. Sul primo riposa la legittimità storica e giuridica dei romani pontefici. Il secondo è la pietra angolare che insieme sostiene e giustifica la dottrina della Chiesa e il suo mandato ecumenico. Quando sull’altare veniva presentato all’adorazione il Santissimo Sacramento, il messaggio teologico custodito e proclamato dal papa di Roma, vi era compiutamente ed efficacemente significato.

I papi del Cinquecento, fra Riforma e Controriforma, erano ben consapevoli dello straordinario significato simbolico del luogo e questo spiega la complicata vicenda costruttiva e decorativa della cappella, interessata nel corso del secolo da interruzioni, ripensamenti, rettifiche.

All’inizio, fra il 1537 e il 1542 sotto il pontificato di Paolo III Farnese, è Antonio da Sangallo l’architetto incaricato della costruzione dell’edificio mentre a Perin del Vaga vengono commissionati stucchi poi abbattuti al tempo di Gregorio XIII Boncompagni. Negli anni Quaranta del secolo troviamo all’opera Michelangelo appena reduce dall’impresa del “Giudizio” in Sistina. Sono anni difficili questi per il Buonarroti, impegnato nel cantiere di San Pietro, nella progettazione della cupola, ormai avanzato negli anni e in cattiva salute. I documenti parlano di massicci acquisti di azzurro oltremarino (quanto ne abbiamo trovato e di splendida qualità durante la pulitura!...) ma testimoniano anche di lunghe interruzioni del cantiere (nell’estate del 1544 e nell’estate del ‘46) per malattia del maestro.

Nel 1550 Michelangelo terminava il suo impegno. Per la Paolina si apriva un periodo di sospensione lavori lungo più di vent’anni. La svolta, poderosa e decisiva, la diede il grande Papa Gregorio XIII Boncompagni, il riformatore del calendario, il committente della Torre dei Venti e della Galleria delle Carte Geografiche, uomo di profondi studi e di gusto squisito. Sotto il suo pontificato la Cappella Paolina è un ronzante cantiere gremito di professionisti di ogni genere; sono all’opera i pittori freschisti Lorenzo Sabatini e Federico Zuccari insieme a decine di decoratori, scultori, stuccatori, doratori i cui nomi (Andrea Svolgi, Bartolomeo Fiorentino, Cesare Romano, Prospero Bresciani, Giacomo Casagnola etc. etc..) affollano i registri di pagamento.

L’immagine attuale della Paolina con i grandi murali di Sabatini e di Zuccari che descrivono gli episodi salienti della vita di San Pietro e di San Paolo, con i decori in stucco dorati e policromi della volta così simili a quelli contemporanei dispiegati nella Galleria delle Carte Geografiche, deve a Gregorio XIII più che a qualsiasi altro. La storia della Cappella Paolina continua con i pontefici successivi perché sono documentati interventi nella controfacciata e nel presbiterio al tempo di Alessandro VIII (1690) e poi di Benedetto XIV (1741). Restauri e rifacimenti importanti si registrano ancora con Pio VI, con Gregorio XVI, con Pio IX, con Leone XIII, con Pio XI. Si può dire che non c’è stato papa negli ultimi quattro secoli che non si sia interessato alla cappella “parva” dei Palazzi Apostolici.

L’ultimo intervento di rilievo è stato quello che negli anni di Paolo VI (1974-75) ha visto il radicale riordino dello spazio presbiteriale. Quest’ultimo rifacimento – in accordo con S. E. James Michael Harvey e, con S. E. Paolo De Nicolò della Prefettura della Casa Pontificia, con mons. Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie e con l’approvazione del Santo Padre che ha reso visita al cantiere della Paolina il 25 febbraio scorso – è stato rimosso, al fine di ripristinare, per quanto possibile, lo stato di origine. I Servizi Tecnici del Governatorato diretti dall’Ing. Pier Carlo Cuscianna, provvederanno a ricomporre il vecchio altare marmoreo, staccandolo però dalla parete di fondo così da rendere possibile la celebrazione eucaristica sia “versus populum” che “versus crucem”. Intanto procede con infinite cautele, (confortata anche dalla consulenza di Gianluigi Colalucci il restauratore dei Musei Vaticani, ora in pensione, che “fece” vent’anni fa la grande impresa della Sistina) la pulitura dei due affreschi di Michelangelo. Li abbiamo immaginati e così li presentavano i manuali di storia dell’arte “sub specie nigra”; colori di polvere e di cenere sotto il segno della malinconia e del pessimismo. Il vecchio Michelangelo ormai al termine della vita che si confronta con l’Assoluto e con la Storia, impegnato nell’ultimo duello con “l’affettuosa fantasia che l’arte mi fece idolo e monarca”. Così, alla luce dei sonetti degli anni estremi, in spirituale contiguità con la “Rondanini”, amavano pensare al Buonarroti della Paolina.

La pulitura sta portando alla luce un Michelangelo dolente e tragico però di straordinaria saldezza plastica e di ferma imperiosa evidenza cromatica. I colori sono quelli del “Giudizio” e servono ad esaltare una umanità terribile, violenta, disperata. Non si erano mai visti prima, nella pittura del Buonarroti, volti così stravolti dalla stolidità e dall’odio, positure così disarticolate ed eccentriche, una altrettanto grande esibizione di ferina energia e di oscuramento della ragione. Solo il Goya dei “Capricci Neri” e della “Quinta del Sordo” saprà, fra più di due secoli, muoversi su questi registri inquietanti. Sembra quasi che il pittore si interroghi sull’enigma teologico della Salvezza misteriosamente offerta a una umanità immeritevole, immersa nel Male e impastata di peccato come quella che qui è rappresentata. Se lo chiede Michelangelo e abbiamo l’impressione che se lo chieda anche San Pietro il quale ci guarda irato nel momento stesso in cui viene issato a testa in giù sulla croce, quasi dubbioso della utilità del suo martirio. Come sappiamo quella idea terribile era destinata ad affascinare un altro Michelangelo, il Merisi da Caravaggio che la ripeterà fra mezzo secolo nella tela della Cappella Cerasi in S. Maria del Popolo. La pulitura in atto sta dando risultati consolanti, superiori alle nostre prudenti attese. Si rimuovono con estrema cautela per non manomettere le finiture a secco, le sostanze accumulate nei molti interventi del passato. Si risarciscono con mano leggera le mancanze e le lacerazioni più evidenti. Liberati dalla scura camicia oleosa che li opprimeva e li offuscava, gli affreschi di Michelangelo riemergono nella loro coerenza figurativa e verità cromatica.

Quando il 4 luglio, il Santo Padre inaugurerà la cappella “parva” dei Palazzi Apostolici, nessuno dirà, spero, che abbiamo restituito al “primitivo splendore”, (come spesso scrivono i cattivi giornalisti), gli affreschi della Paolina. Questo restauro ha inteso consegnare gli affreschi di Michelangelo, insieme agli altri dello Zuccari e del Sabatini, insieme al decoro dell’intera cappella, al meglio della loro attuale condizione conservativa e al meglio della leggibilità e quindi del godimento possibili. È tutto quello che è giusto chiedere a un buon restauro.

Antonio Paolucci
Direttore dei Musei Vaticani

 

LE VICENDE STORICHE

La Cappelli Paolina fu costruita nell’ambito dei lavori di ristrutturazione compiuti da Paolo III Farnese (1534-1549) nella zona intorno alla Sala Regia, che portarono alla demolizione della Cappella Sancti Nicolai per far posto all’attuale scala del Maresciallo.

La costruzione del nuovo sacello, destinato ad espletare le stesse funzioni e progettato non più sul lato est della sala Regia ma su quello a sud, ebbe inizio nel 1537 su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane. Nel novembre del 1538 i lavori dovevano essere quasi ultimati, poiché il giorno di Ognissanti venne detta messa “in cappella noviter erecta”.

La Paolina, come ancor oggi, aveva una pianta rettangolare, coperta da una volta a schifo, seguita da un vano più stretto, anch’esso rettangolare ma coperto a botte, destinato alla zona presbiteriale con l’altare.

 

 

 

La commissione a Michelangelo per la decorazione della nuova cappella dovette essere pressoché contemporanea alla fine del Giudizio Universale in Sistina. L’artista dipinse per prima la Conversione di San Paolo tra la fine del 1542 e il luglio del 1545. I lavori per la Crocifissione di San Pietro iniziarono subito dopo ed ebbero termine nel marzo del 1550.

Il programma iconografico della cappella fu certamente suggerito in una certa misura dal pontefice ed è possibile che in origine fosse diverso dall’attuale. Vasari infatti nella prima edizione delle Vite parla di una Consegna delle Chiavi e non di una Crocifissione di San Pietro, per cui si potrebbe pensare – a meno di un errore dell’Aretino - ad un tema iniziale costituito dalla chiamata dei due Principi degli Apostoli.

Le vetrate delle finestre furono eseguite nel 1543 dal Pastorino mentre a Perin del Vaga venne affidata nel 1542 la decorazione a stucco della volta.

Quale fosse lo stato della Paolina al termine degli interventi di Perin del Vaga e di Michelangelo non è chiaro e in particolare non è certo che la decorazione fosse completata in ogni sua parte.

L’abbellimento della cappella riprese con Gregorio L'abbellimento della cappella riprese con Gregorio XIII (Boncompagni, 1572-1585), il quale nel 1573 interpellò il Vasari per stabilire un programma iconografico, che però non fu mai realizzato. La seconda fase della decorazione ebbe comunque inizio in quell’anno e Lorenzo Sabatini dipinse sulle pareti la Lapidazione di Santo Stefano, la Guarigione di San Paolo in casa di Anania e la Caduta di Simon Mago - che vennero completati entro il 1577, anno della morte dell’artista. Federico Zuccari con alcuni aiuti concluse l’impresa realizzando, tra il 1580 e il 1585, il Battesimo del Centurione e sulla volta, in sostituzione dell’originaria decorazione, quindici Storie di San Pietro e di San Paolo.

Fino al pontificato di Leone XIII (Pecci, 1878-1903), l’intervento di Paolo V Borghese (1605-1621) in cappella era testimoniato dalla presenza sul pavimento di un suo grande stemma. I lavori dovettero riguardare principalmente la zona dell’altare ed essere legati a quelli del Maderno per la facciata della Basilica di San Pietro nonché alla costruzione del nuovo campanile verso il Palazzo Apostolico. Alcuni documenti, infatti, specificano chiaramente che anche i muri della Paolina furono interessati da tali rifacimenti.

Nei due secoli successivi sono attestati Nei secoli successivi sono attestati un intervento di restauro all’epoca di Alessandro VIII Ottoboni (1689-1691), forse per porre rimedio ai danni provocati da un precedente incendio e tre nel Settecento. A Clemente XI (Albani, 1700-1721), infatti, spetta l’arricchimento e la sistemazione della “macchina” lignea delle Quarant’ore per l’esposizione del SS. Sacramento che copriva tutta la zona dell’altare, mentre a Benedetto XIV (Lambertini, 1740-1758) risale il restauro completo della cappella ad opera di Domenico Spolia, “restauratore di pitture e di stucchi”, eseguito nel 1741. Un ulteriore intervento, probabilmente più limitato, dovette essere compiuto nel 1786 dal “pittore figurista” Bernardino Nocchi, pagato per “restauri a quadri e pitture in Cappella Paolina e in Sala Regia”.

L’Ottocento è caratterizzato da due restauri significativi: il primo voluto nel 1837 da Gregorio XVI (Cappellari, 1831-1846), che riguardò non solo le pitture e gli stucchi, ma anche il riassetto della zona dell’altare dove fu tolta la “bella machina” insieme a tutto l’apparato ligneo di contorno. Conseguenza di ciò fu una nuova sistemazione della parete dell’altare che venne resa maestosa da un tabernacolo in marmo per custodirvi il SS. Sacramento, nonché da quattro colonne di granito, da marmi preziosi e dal quadro di Simone Cantarini la Trasfigurazione di Nostro Signore. Da Gregorio XVI fu aggiunto, inoltre, “un nuovo pavimento a scomparti di marmo in tutto il presbiterio diviso dal rimanente della cappella con apposita balaustra” (“L’Album”, 25 dicembre 1837, p.330). A ricordo di tali lavori fu inserita nella lunetta superiore all’altare un’iscrizione in marmo commemorativa, in seguito rimossa, e fu eseguita nel 1838 dall’incisore Pietro Girometti una medaglia riproducente la Paolina.

Un successivo restauro fu compiuto sotto il pontificato di Pio IX (Mastai-Ferretti, 1846-1878), come testimoniano alcuni documenti d’archivio e la presenza del suo stemma nella cappella. Una targa dedicatoria con la scritta “PIUS IX PONT. MAX. PAULI III SACELLUM ANTIQUAE FORMAE MAGNIFICENTIUS RESTITUIT. ORNAVIT AN. MDCCCLV” inoltre era presente sopra la porta d’ingresso prima dell’intervento di Paolo VI.

È nell’ambito dei lavori di PioIX che venne È nell'ambito dei lavori di Pio IX che venne ripristinata la macchina e l’apparato ligneo, definitivamente aboliti durante il successivo restauro voluto da Leone XIII negli anni 1890-91. Quest’ultimo riguardò ancora una volta la parete dell’altare e il pavimento, dove, su progetto dell’architetto Virgilio Vespignani, venne anche sostituito lo stemma di Paolo V con quello del pontefice regnante. L’esecuzione dei lavori fu affidata al marmoraro romano Paolo Medici. In tale occasione furono, inoltre, ridecorate le pareti laterali del presbiterio, evidentemente danneggiate dalla presenza dell’apparato ligneo.

Nel Novecento è documentato un nuovo completo restauro tra gli anni 1933 e il 1936, i cui risultati vennero in parte presentati alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia il 12 gennaio del 1934 da Bartolomeo Nogara, allora Direttore dei Musei Vaticani e da Biagio Biagetti, Direttore per le Pitture del Sacro Palazzo Apostolico. Oltre al restauro venne compiuta anche una capillare campagna fotografica sugli affreschi michelangioleschi della Cappella Paolina e del Giudizio Universale.

L’intervento, diretto dal Biagetti, fu condotto quasi parallelamente a quello sul Giudizio, utilizzando gli stessi metodi. Il restauro fu iniziato dalla Conversione di San Paolo (gennaio del 1933 - novembre 1933), proseguì sulla Crocifissione di San Pietro (agosto 1933 - febbraio 1934) e interessò anche gli affreschi laterali di Lorenzo Sabatini e di Federico Zuccari. Tra il luglio 1935 e il gennaio 1936 si pose mano alla decorazione della volta.

Nel 1975, sotto Paolo VI (Montini, 1963-1978), a seguito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II fu compiuta l’ultima sistemazione della Paolina, nell’ambito della quale vennero realizzati dalla ditta Medici un altare ovale a massello in giallo imperiale e una base circolare sotto il piedistallo del tabernacolo dello stesso marmo (progetto realizzato dall’Architetto Giovanni Carbonara). Furono, inoltre, rilucidati i marmi dell’abside e un nuova lapide commemorativa fu affìssa sulla parete d’ingresso.

 

Celebrazione dei Vespri in occasione della riapertura della Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano (4 luglio 2009)
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