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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE Insegnamenti sulla liturgia del Santo Padre Francesco Sacramenti, Sacramentali
I segni sacramentali Papa Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015) 233. L’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto. Quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero.[159] L’ideale non è solo passare dall’esteriorità all’interiorità per scoprire l’azione di Dio nell’anima, ma anche arrivare a incontrarlo in tutte le cose, come insegnava san Bonaventura: «La contemplazione è tanto più elevata quanto più l’uomo sente in sé l’effetto della grazia divina o quanto più sa riconoscere Dio nelle altre creature».[160] 234. San Giovanni della Croce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo «si trova eminentemente in Dio in maniera infinita o, per dire meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano».[161] Non è perché le cose limitate del mondo siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli esseri, e così «sente che Dio è per lui tutte le cose».[162] Se ammira la grandezza di una montagna, non può separare questo da Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli vive deve depositarsi nel Signore: «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, belle, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Le valli solitarie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricreano e dilettano grandemente il senso e nella loro solitudine e nel loro silenzio offrono refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me».[163] 235. I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode. La mano che benedice è strumento dell’amore di Dio e riflesso della vicinanza di Cristo che è venuto ad accompagnarci nel cammino della vita. L’acqua che si versa sul corpo del bambino che viene battezzato è segno di vita nuova. Non fuggiamo dal mondo né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio. Questo si può percepire specialmente nella spiritualità dell’Oriente cristiano: «La bellezza, che in Oriente è uno dei nomi con cui più frequentemente si suole esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata, si mostra dovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci e nei profumi».[164] Per l’esperienza cristiana, tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva: «Il Cristianesimo non rifiuta la materia, la corporeità; al contrario, la valorizza pienamente nell’atto liturgico, nel quale il corpo umano mostra la propria natura intima di tempio dello Spirito e arriva a unirsi al Signore Gesù, anche Lui fatto corpo per la salvezza del mondo».[165] 236. Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico: «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo».[166] L’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico «la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso».[167] Perciò l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per l’ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato.
Battesimo (1) Papa Francesco, Udienza generale (8 gennaio 2014) Oggi iniziamo una serie di Catechesi sui Sacramenti, e la prima riguarda il Battesimo. Per una felice coincidenza, domenica prossima ricorre proprio la festa del Battesimo del Signore. 1. Il Battesimo è il sacramento su cui si fonda la nostra stessa fede e che ci innesta come membra vive in Cristo e nella sua Chiesa. Insieme all’Eucaristia e alla Confermazione forma la cosiddetta «Iniziazione cristiana», la quale costituisce come un unico, grande evento sacramentale che ci configura al Signore e fa di noi un segno vivo della sua presenza e del suo amore. Può nascere in noi una domanda: ma è davvero necessario il Battesimo per vivere da cristiani e seguire Gesù? Non è in fondo un semplice rito, un atto formale della Chiesa per dare il nome al bambino e alla bambina? E’ una domanda che può sorgere. E a tale proposito, è illuminante quanto scrive l’apostolo Paolo: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4). Dunque non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli. 2. Molti di noi non hanno il minimo ricordo della celebrazione di questo Sacramento, ed è ovvio, se siamo stati battezzati poco dopo la nascita. Ho fatto questa domanda due o tre volte, qui, in piazza: chi di voi sa la data del proprio Battesimo, alzi la mano. È importante conoscere il giorno nel quale io sono stato immerso proprio in quella corrente di salvezza di Gesù. E mi permetto di darvi un consiglio. Ma, più che un consiglio, un compito per oggi. Oggi, a casa, cercate, domandate la data del Battesimo e così saprete bene il giorno tanto bello del Battesimo. Conoscere la data del nostro Battesimo è conoscere una data felice. Il rischio di non saperlo è di perdere la memoria di quello che il Signore ha fatto in noi, la memoria del dono che abbiamo ricevuto. Allora finiamo per considerarlo solo come un evento che è avvenuto nel passato — e neppure per volontà nostra, ma dei nostri genitori —, per cui non ha più nessuna incidenza sul presente. Dobbiamo risvegliare la memoria del nostro Battesimo. Siamo chiamati a vivere il nostro Battesimo ogni giorno, come realtà attuale nella nostra esistenza. Se riusciamo a seguire Gesù e a rimanere nella Chiesa, pur con i nostri limiti, con le nostre fragilità e i nostri peccati, è proprio per il Sacramento nel quale siamo diventati nuove creature e siamo stati rivestiti di Cristo. È in forza del Battesimo, infatti, che, liberati dal peccato originale, siamo innestati nella relazione di Gesù con Dio Padre; che siamo portatori di una speranza nuova, perché il Battesimo ci da questa speranza nuova: la speranza di andare sulla strada della salvezza, tutta la vita. E questa speranza niente e nessuno può spegnere, perché la speranza non delude. Ricordatevi: la speranza nel Signore non delude mai. Grazie al Battesimo, siamo capaci di perdonare e di amare anche chi ci offende e ci fa del male; che riusciamo a riconoscere negli ultimi e nei poveri il volto del Signore che ci visita e si fa vicino. Il Battesimo ci aiuta a riconoscere nel volto delle persone bisognose, nei sofferenti, anche del nostro prossimo, il volto di Gesù. Tutto ciò è possibile grazie alla forza del Battesimo! 3. Un ultimo elemento, che è importante. E faccio la domanda: una persona può battezzarsi da se stessa? Nessuno può battezzarsi da sé! Nessuno. Possiamo chiederlo, desiderarlo, ma abbiamo sempre bisogno di qualcuno che ci conferisca questo Sacramento nel nome del Signore. Perché il Battesimo è un dono che viene elargito in un contesto di sollecitudine e di condivisione fraterna. Sempre nella storia, uno battezza l’altro, l’altro, l’altro… è una catena. Una catena di Grazia. Ma, io non mi posso battezzare da solo: devo chiedere ad un altro il Battesimo. E’ un atto di fratellanza, un atto di filiazione alla Chiesa. Nella celebrazione del Battesimo possiamo riconoscere i lineamenti più genuini della Chiesa, la quale come una madre continua a generare nuovi figli in Cristo, nella fecondità dello Spirito Santo. Chiediamo allora di cuore al Signore di poter sperimentare sempre più, nella vita di ogni giorno, questa grazia che abbiamo ricevuto con il Battesimo. Incontrandoci, i nostri fratelli possano incontrare dei veri figli di Dio, veri fratelli e sorelle di Gesù Cristo, veri membri della Chiesa. E non dimenticate il compito di oggi: cercare, domandare la data del proprio Battesimo. Come io conosco la data della mia nascita, devo conoscere anche la data del mio Battesimo, perché è un giorno di festa.
Battesimo (2) Papa Francesco, Udienza generale (15 gennaio 2014) Mercoledì scorso abbiamo iniziato un breve ciclo di catechesi sui Sacramenti, incominciando dal Battesimo. E sul Battesimo vorrei soffermarmi anche oggi, per sottolineare un frutto molto importante di questo Sacramento: esso ci fa diventare membri del Corpo di Cristo e del Popolo di Dio. San Tommaso d’Aquino afferma che chi riceve il Battesimo viene incorporato a Cristo quasi come suo stesso membro e viene aggregato alla comunità dei fedeli (cfr Summa Theologiae, III, q. 69, art. 5; q. 70, art. 1), cioè al Popolo di Dio. Alla scuola del Concilio Vaticano II, noi diciamo oggi che il Battesimo ci fa entrare nel Popolo di Dio, ci fa diventare membri di un Popolo in cammino, un Popolo peregrinante nella storia. In effetti, come di generazione in generazione si trasmette la vita, così anche di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia, e con questa grazia il Popolo cristiano cammina nel tempo, come un fiume che irriga la terra e diffonde nel mondo la benedizione di Dio. Dal momento che Gesù disse quanto abbiamo sentito dal Vangelo, i discepoli sono andati a battezzare; e da quel tempo a oggi c'è una catena nella trasmissione della fede mediante il Battesimo. E ognuno di noi è un anello di quella catena: un passo avanti, sempre; come un fiume che irriga. Così è la grazia di Dio e così è la nostra fede, che dobbiamo trasmettere ai nostri figli, trasmettere ai bambini, perché essi, una volta adulti, possano trasmetterla ai loro figli. Così è il battesimo. Perché? Perché il battesimo ci fa entrare in questo Popolo di Dio che trasmette la fede. Questo è molto importante. Un Popolo di Dio che cammina e trasmette la fede. In virtù del Battesimo noi diventiamo discepoli missionari, chiamati a portare il Vangelo nel mondo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 120). «Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione… La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo» (ibid.) di tutti, di tutto il popolo di Dio, un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo – perché riceve la fede – e missionario – perché trasmette la fede. E questo lo fa il Battesimo in noi. Ci dona la Grazia e trasmette la fede. Tutti nella Chiesa siamo discepoli, e lo siamo sempre, per tutta la vita; e tutti siamo missionari, ciascuno nel posto che il Signore gli ha assegnato. Tutti: il più piccolo è anche missionario; e quello che sembra più grande è discepolo. Ma qualcuno di voi dirà: “I Vescovi non sono discepoli, i Vescovi sanno tutto; il Papa sa tutto non è discepolo”. No, anche i Vescovi e il Papa devono essere discepoli, perché se non sono discepoli non fanno il bene, non possono essere missionari, non possono trasmettere la fede. Tutti noi siamo discepoli e missionari. Esiste un legame indissolubile tra la dimensione mistica e quella missionaria della vocazione cristiana, entrambe radicate nel Battesimo. «Ricevendo la fede e il battesimo, noi cristiani accogliamo l’azione dello Spirito Santo che conduce a confessare Gesù Cristo come Figlio di Dio e a chiamare Dio “Abbà”, Padre. Tutti i battezzati e le battezzate … siamo chiamati a vivere e trasmettere la comunione con la Trinità, poiché l’evangelizzazione è un appello alla partecipazione della comunione trinitaria» (Documento finale di Aparecida, n. 157). Nessuno si salva da solo. Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere “canali” della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. La dimensione comunitaria non è solo una “cornice”, un “contorno”, ma è parte integrante della vita cristiana, della testimonianza e dell’evangelizzazione. La fede cristiana nasce e vive nella Chiesa, e nel Battesimo le famiglie e le parrocchie celebrano l’incorporazione di un nuovo membro a Cristo e al suo corpo che è la Chiesa (cfr ibid., n. 175b). A proposito dell’importanza del Battesimo per il Popolo di Dio, è esemplare la storia della comunità cristiana in Giappone. Essa subì una dura persecuzione agli inizi del secolo XVII. Vi furono numerosi martiri, i membri del clero furono espulsi e migliaia di fedeli furono uccisi. Non è rimasto in Giappone nessun prete, tutti sono stati espulsi. Allora la comunità si ritirò nella clandestinità, conservando la fede e la preghiera nel nascondimento. E quando nasceva un bambino, il papà o la mamma lo battezzavano, perché tutti i fedeli possono battezzare in particolari circostanze. Quando, dopo circa due secoli e mezzo, 250 anni dopo, i missionari ritornarono in Giappone, migliaia di cristiani uscirono allo scoperto e la Chiesa poté rifiorire. Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Questo è grande: il Popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti. E avevano mantenuto, pur nel segreto, un forte spirito comunitario, perché il Battesimo li aveva fatti diventare un solo corpo in Cristo: erano isolati e nascosti, ma erano sempre membra del Popolo di Dio, membra della Chiesa. Possiamo tanto imparare da questa storia! 11 aprile 2018: Catechesi sul Battesimo. 1. Il fondamento della vita cristiana Cari fratelli e sorelle, buongiorno! I cinquanta giorni del tempo liturgico pasquale sono propizi per riflettere sulla vita cristiana che, per sua natura, è la vita che proviene da Cristo stesso. Siamo, infatti, cristiani nella misura in cui lasciamo vivere Gesù Cristo in noi. Da dove partire allora per ravvivare questa coscienza se non dal principio, dal Sacramento che ha acceso in noi la vita cristiana? Questo è il Battesimo. La Pasqua di Cristo, con la sua carica di novità, ci raggiunge attraverso il Battesimo per trasformarci a sua immagine: i battezzati sono di Gesù Cristo, è Lui il Signore della loro esistenza. Il Battesimo è il «fondamento di tutta la vita cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1213). E’ il primo dei Sacramenti, in quanto è la porta che permette a Cristo Signore di prendere dimora nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero. Il verbo greco “battezzare” significa “immergere” (cfr CCC, 1214). Il bagno con l’acqua è un rito comune a varie credenze per esprimere il passaggio da una condizione a un’altra, segno di purificazione per un nuovo inizio. Ma per noi cristiani non deve sfuggire che se è il corpo ad essere immerso nell’acqua, è l’anima ad essere immersa in Cristo per ricevere il perdono dal peccato e risplendere di luce divina (cfr Tertulliano, Sulla risurrezione dei morti, VIII, 3: CCL 2, 931; PL 2, 806). In virtù dello Spirito Santo, il Battesimo ci immerge nella morte e risurrezione del Signore, affogando nel fonte battesimale l’uomo vecchio, dominato dal peccato che divide da Dio, e facendo nascere l’uomo nuovo, ricreato in Gesù. In Lui, tutti i figli di Adamo sono chiamati a vita nuova. Il Battesimo, cioè, è una rinascita. Sono sicuro, sicurissimo che tutti noi ricordiamo la data della nostra nascita: sicuro. Ma mi domando io, un po’ dubbioso, e domando a voi: ognuno di voi ricorda qual è stata la data del suo battesimo? Alcuni dicono di sì – sta bene. Ma è un sì un po’ debole, perché forse tanti non ricordano questo. Ma se noi festeggiamo il giorno della nascita, come non festeggiare – almeno ricordare – il giorno della rinascita? Io vi darò un compito a casa, un compito oggi da fare a casa. Coloro di voi che non si ricordano la data del battesimo, domandino alla mamma, agli zii, ai nipoti, domandino: “Tu sai qual è la data del battesimo?”, e non dimenticarla mai. E quel giorno ringraziare il Signore, perché è proprio il giorno in cui Gesù è entrato in me, lo Spirito Santo è entrato in me. Avete capito bene il compito a casa? Tutti dobbiamo sapere la data del nostro battesimo. E’ un altro compleanno: il compleanno della rinascita. Non dimenticatevi di fare questo, per favore. Ricordiamo le ultime parole del Risorto agli Apostoli; sono un mandato preciso: «Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Attraverso il lavacro battesimale, chi crede in Cristo viene immerso nella vita stessa della Trinità. Non è infatti un’acqua qualsiasi quella del Battesimo, ma l’acqua su cui è invocato lo Spirito che «dà la vita» (Credo). Pensiamo a ciò che Gesù disse a Nicodemo per spiegargli la nascita alla vita divina: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito» (Gv 3,5-6). Perciò il Battesimo è chiamato anche “rigenerazione”: crediamo che Dio ci ha salvati «per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito» (Tt 3,5). Il Battesimo è perciò segno efficace di rinascita, per camminare in novità di vita. Lo ricorda san Paolo ai cristiani di Roma: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,3-4). Immergendoci in Cristo, il Battesimo ci rende anche membra del suo Corpo, che è la Chiesa, e partecipi della sua missione nel mondo (cfr CCC, 1213). Noi battezzati non siamo isolati: siamo membra del Corpo di Cristo. La vitalità che scaturisce dal fonte battesimale è illustrata da queste parole di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» (cfr Gv 15,5). Una stessa vita, quella dello Spirito Santo, scorre dal Cristo ai battezzati, unendoli in un solo Corpo (cfr 1 Cor 12,13), crismato dalla santa unzione e alimentato alla mensa eucaristica. Il Battesimo permette a Cristo di vivere in noi e a noi di vivere uniti a Lui, per collaborare nella Chiesa, ciascuno secondo la propria condizione, alla trasformazione del mondo. Ricevuto una sola volta, il lavacro battesimale illumina tutta la nostra vita, guidando i nostri passi fino alla Gerusalemme del Cielo. C’è un prima e un dopo il Battesimo. Il Sacramento suppone un cammino di fede, che chiamiamo catecumenato, evidente quando è un adulto a chiedere il Battesimo. Ma anche i bambini, fin dall’antichità, sono battezzati nella fede dei genitori (cfr Rito del Battesimo dei bambini, Introduzione, 2). E su questo io vorrei dirvi una cosa. Alcuni pensano: ma perché battezzare un bambino che non capisce? Speriamo che cresca, che capisca e sia lui stesso a chiedere il Battesimo. Ma questo significa non avere fiducia nello Spirito Santo, perché quando noi battezziamo un bambino, in quel bambino entra lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo fa crescere in quel bambino, da bambino, delle virtù cristiane che poi fioriranno. Sempre si deve dare questa opportunità a tutti, a tutti i bambini, di avere dentro di loro lo Spirito Santo che li guidi durante la vita. Non dimenticate di battezzare i bambini! Nessuno merita il Battesimo, che è sempre dono gratuito per tutti, adulti e neonati. Ma come accade per un seme pieno di vita, questo dono attecchisce e porta frutto in un terreno alimentato dalla fede. Le promesse battesimali che ogni anno rinnoviamo nella Veglia Pasquale devono essere ravvivate ogni giorno affinché il Battesimo “cristifichi”: non dobbiamo avere paura di questa parola; il Battesimo ci “cristifica”, chi ha ricevuto il Battesimo e va “cristificato”, assomiglia a Cristo, si trasforma in Cristo e lo rende davvero un altro Cristo.
18 aprile 2018: Catechesi sul Battesimo. 2. Il segno della fede cristiana Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Proseguiamo, in questo Tempo di Pasqua, le catechesi sul Battesimo. Il significato del Battesimo risalta chiaramente dalla sua celebrazione, perciò rivolgiamo ad essa la nostra attenzione. Considerando i gesti e le parole della liturgia possiamo cogliere la grazia e l’impegno di questo Sacramento, che è sempre da riscoprire. Ne facciamo memoria nell’aspersione con l’acqua benedetta che si può fare la domenica all’inizio della Messa, come pure nella rinnovazione delle promesse battesimali durante la Veglia Pasquale. Infatti, quanto avviene nella celebrazione del Battesimo suscita una dinamica spirituale che attraversa tutta la vita dei battezzati; è l’avvio di un processo che permette di vivere uniti a Cristo nella Chiesa. Pertanto, ritornare alla sorgente della vita cristiana ci porta a comprendere meglio il dono ricevuto nel giorno del nostro Battesimo e a rinnovare l’impegno di corrispondervi nella condizione in cui oggi ci troviamo. Rinnovare l’impegno, comprendere meglio questo dono, che è il Battesimo, e ricordare il giorno del nostro Battesimo. Mercoledì scorso ho chiesto di fare i compiti a casa e ognuno di noi, ricordare il giorno del Battesimo, in quale giorno sono stato battezzato. Io so che alcuni di voi lo sanno, altri, no; quelli che non lo sanno, domandino ai parenti, a quelle persone, ai padrini, alle madrine… domandino: “Qual è la data del mio battesimo?” Perché è una rinascita il Battesimo ed è come se fosse il secondo compleanno. Capito? Fare questo compito a casa, domandare: “Qual è la data del mio Battesimo?”. Anzitutto, nel rito di accoglienza, viene chiesto il nome del candidato, perché il nome indica l’identità di una persona. Quando ci presentiamo diciamo subito il nostro nome: “Io mi chiamo così”, così da uscire dall’anonimato, l’anonimo è quello che non ha nome. Per uscire dall’anonimato subito diciamo il nostro nome. Senza nome si resta degli sconosciuti, senza diritti e doveri. Dio chiama ciascuno per nome, amandoci singolarmente, nella concretezza della nostra storia. Il Battesimo accende la vocazione personale a vivere da cristiani, che si svilupperà in tutta la vita. E implica una risposta personale e non presa a prestito, con un “copia e incolla”. La vita cristiana infatti è intessuta di una serie di chiamate e di risposte: Dio continua a pronunciare il nostro nome nel corso degli anni, facendo risuonare in mille modi la sua chiamata a diventare conformi al suo Figlio Gesù. E’ importante dunque il nome! E’ molto importante! I genitori pensano al nome da dare al figlio già prima della nascita: anche questo fa parte dell’attesa di un figlio che, nel nome proprio, avrà la sua identità originale, anche per la vita cristiana legata a Dio. Certo, diventare cristiani è un dono che viene dall’alto (cfr Gv 3,3-8). La fede non si può comprare, ma chiedere sì, e ricevere in dono sì. “Signore, regalami il dono della fede”, è una bella preghiera! “Che io abbia fede”, è una bella preghiera. Chiederla in dono, ma non si può comprare, si chiede. Infatti, «il Battesimo è il sacramento di quella fede, con la quale gli uomini, illuminati dalla grazia dello Spirito Santo, rispondono al Vangelo di Cristo» (Rito del Battesimo dei Bambini, Introd. gen., n. 3). A suscitare e a risvegliare una fede sincera in risposta al Vangelo tendono la formazione dei catecumeni e la preparazione dei genitori, come l’ascolto della Parola di Dio nella stessa celebrazione del Battesimo. Se i catecumeni adulti manifestano in prima persona ciò che desiderano ricevere in dono dalla Chiesa, i bambini sono presentati dai genitori, con i padrini. Il dialogo con loro, permette ad essi di esprimere la volontà che i piccoli ricevano il Battesimo e alla Chiesa l’intenzione di celebrarlo. «Espressione di tutto questo è il segno di croce, che il celebrante e i genitori tracciano sulla fronte dei bambini» (Rito del Battesimo dei Bambini, Introd., n. 16). «Il segno della croce esprime il sigillo di Cristo su colui che sta per appartenergli e significa la grazia della redenzione che Cristo ci ha acquistata per mezzo della sua croce» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1235). Nella cerimonia facciamo sui bambini il segno della croce. Ma vorrei tornare su un argomento del quale vi ho parlato. I nostri bambini sanno farsi il segno della croce bene? Tante volte ho visto bambini che non sanno fare il segno della croce. E voi, papà, mamme, nonni, nonne, padrini, madrine, dovete insegnare a fare bene il segno della croce perché è ripetere quello che è stato fatto nel Battesimo. Avete capito bene? Insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce. Se lo imparano da bambini lo faranno bene dopo, da grandi. La croce è il distintivo che manifesta chi siamo: il nostro parlare, pensare, guardare, operare sta sotto il segno della croce, ossia sotto il segno dell’amore di Gesù fino alla fine. I bambini sono segnati in fronte. I catecumeni adulti sono segnati anche sui sensi, con queste parole: «Ricevete il segno della croce sugli orecchi per ascoltare la voce del Signore»; «sugli occhi per vedere lo splendore del volto di Dio»; «sulla bocca, per rispondere alla parola di Dio»; «sul petto, perché Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori»; «sulle spalle, per sostenere il giogo soave di Cristo» (Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, n. 85). Cristiani si diventa nella misura in cui la croce si imprime in noi come un marchio “pasquale” (cfr Ap 14,1; 22,4), rendendo visibile, anche esteriormente, il modo cristiano di affrontare la vita. Fare il segno della croce quando ci svegliamo, prima dei pasti, davanti a un pericolo, a difesa contro il male, la sera prima di dormire, significa dire a noi stessi e agli altri a chi apparteniamo, chi vogliamo essere. Per questo è tanto importante insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce. E, come facciamo entrando in chiesa, possiamo farlo anche a casa, conservando in un piccolo vaso adatto un po’ di acqua benedetta – alcune famiglie lo fanno: così, ogni volta che rientriamo o usciamo, facendo il segno della croce con quell’acqua ci ricordiamo che siamo battezzati. Non dimenticare, ripeto: insegnare ai bambini a fare il segno della croce.
25 aprile 2018: Catechesi sul Battesimo: 3. La forza di vincere il male Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Continuiamo la nostra riflessione sul Battesimo, sempre alla luce della Parola di Dio. E’ il Vangelo a illuminare i candidati e a suscitare l’adesione di fede: «Il Battesimo è in modo tutto particolare “il sacramento della fede”, poiché segna l’ingresso sacramentale nella vita di fede» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1236). E la fede è la consegna di sé stessi al Signore Gesù, riconosciuto come «sorgente di acqua […] per la vita eterna» (Gv 4,14), «luce del mondo» (Gv 9,5), «vita e risurrezione» (Gv 11,25), come insegna l’itinerario percorso, ancora oggi, dai catecumeni ormai prossimi a ricevere l’iniziazione cristiana. Educati dall’ascolto di Gesù, dal suo insegnamento e dalle sue opere, i catecumeni rivivono l’esperienza della donna samaritana assetata di acqua viva, del cieco nato che apre gli occhi alla luce, di Lazzaro che esce dal sepolcro. Il Vangelo porta in sé la forza di trasformare chi lo accoglie con fede, strappandolo dal dominio del maligno affinché impari a servire il Signore con gioia e novità di vita. Al fonte battesimale non si va mai da soli, ma accompagnati dalla preghiera di tutta la Chiesa, come ricordano le litanie dei Santi che precedono l’orazione di esorcismo e l’unzione prebattesimale con l’olio dei catecumeni. Sono gesti che, fin dall’antichità, assicurano quanti si apprestano a rinascere come figli di Dio che la preghiera della Chiesa li assiste nella lotta contro il male, li accompagna sulla via del bene, li aiuta a sottrarsi al potere del peccato per passare nel regno della grazia divina. La preghiera della Chiesa. La Chiesa prega e prega per tutti, per tutti noi! Noi Chiesa, preghiamo per gli altri. È una cosa bella pregare per gli altri. Quante volte non abbiamo alcun bisogno urgente e non preghiamo. Noi dobbiamo pregare, uniti alla Chiesa, per gli altri: “Signore, io ti chiedo per quelli che sono nel bisogno, per coloro che non hanno fede…”. Non dimenticatevi: la preghiera della Chiesa sempre è in atto. Ma noi dobbiamo entrare in questa preghiera e pregare per tutto il popolo di Dio e per quelli che hanno bisogno delle preghiere. Per questo, il cammino dei catecumeni adulti è segnato da ripetuti esorcismi pronunciati dal sacerdote (cfr CCC, 1237), ossia da preghiere che invocano la liberazione da tutto ciò che separa da Cristo e impedisce l’intima unione con Lui. Anche per i bambini si chiede a Dio di liberarli dal peccato originale e consacrarli dimora dello Spirito Santo (cfr Rito del Battesimo dei bambini, n. 56). I bambini. Pregare per i bambini, per la salute spirituale e corporale. È un modo di proteggere i bambini con la preghiera. Come attestano i Vangeli, Gesù stesso ha combattuto e scacciato i demoni per manifestare l’avvento del regno di Dio (cfr Mt 12,28): la sua vittoria sul potere del maligno lascia libero spazio alla signoria di Dio che rallegra e riconcilia con la vita. Il Battesimo non è una formula magica ma un dono dello Spirito Santo che abilita chi lo riceve «a lottare contro lo spirito del male», credendo che «Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio per distruggere il potere di satana e trasferire l’uomo dalle tenebre nel suo regno di luce infinita» (cfr Rito del Battesimo dei bambini, n. 56). Sappiamo per esperienza che la vita cristiana è sempre soggetta alla tentazione, soprattutto alla tentazione di separarsi da Dio, dal suo volere, dalla comunione con lui, per ricadere nei lacci delle seduzioni mondane. E il Battesimo ci prepara, ci dà forza per questa lotta quotidiana, anche la lotta contro il diavolo che - come dice San Pietro - come un leone cerca di divorarci, di distruggerci. Oltre alla preghiera, vi è poi l’unzione sul petto con l’olio dei catecumeni, i quali «ne ricevono vigore per rinunziare al diavolo e al peccato, prima di appressarsi al fonte e rinascervi a vita nuova» ( Benedizione degli oli, Premesse, n. 3). Per la proprietà dell’olio di penetrare nei tessuti del corpo portandovi beneficio, gli antichi lottatori usavano cospargersi di olio per tonificare i muscoli e per sfuggire più facilmente alla presa dell’avversario. Alla luce di questo simbolismo i cristiani dei primi secoli hanno adottato l’uso di ungere il corpo dei candidati al Battesimo con l’olio benedetto dal Vescovo [1], al fine di significare, mediante questo «segno di salvezza», che la potenza di Cristo Salvatore fortifica per lottare contro il male e vincerlo (cfr Rito del Battesimo dei bambini, n. 105).E’ faticoso combattere contro il male, sfuggire ai suoi inganni, riprendere forza dopo una lotta sfiancante, ma dobbiamo sapere che tutta la vita cristiana è un combattimento. Dobbiamo però anche sapere che non siamo soli, che la Madre Chiesa prega affinché i suoi figli, rigenerati nel Battesimo, non soccombano alle insidie del maligno ma le vincano per la potenza della Pasqua di Cristo. Fortificati dal Signore Risorto, che ha sconfitto il principe di questo mondo (cfr Gv 12,31), anche noi possiamo ripetere con la fede di san Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). Noi tutti possiamo vincere, vincere tutto, ma con la forza che mi viene da Gesù.
2 maggio 2018: Catechesi sul Battesimo: 4. Sorgente di vita Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Proseguendo nella riflessione sul Battesimo, oggi vorrei soffermarmi sui riti centrali, che si svolgono presso il fonte battesimale. Consideriamo anzitutto l’acqua, sulla quale viene invocata la potenza dello Spirito affinché abbia la forza di rigenerare e rinnovare (cfr Gv 3,5 e Tt 3,5). L’acqua è matrice di vita e di benessere, mentre la sua mancanza provoca lo spegnersi di ogni fecondità, come capita nel deserto; l’acqua, però, può essere anche causa di morte, quando sommerge tra i suoi flutti o in grande quantità travolge ogni cosa; infine, l’acqua ha la capacità di lavare, pulire e purificare. A partire da questo simbolismo naturale, universalmente riconosciuto, la Bibbia descrive gli interventi e le promesse di Dio attraverso il segno dell’acqua. Tuttavia, il potere di rimettere i peccati non sta nell’acqua in sé, come spiegava Sant’Ambrogio ai neobattezzati: «Hai visto l’acqua, ma non ogni acqua risana: risana l’acqua che ha la grazia di Cristo. […] L’azione è dell’acqua, l’efficacia è dello Spirito Santo» (De sacramentis 1,15). Perciò la Chiesa invoca l’azione dello Spirito sull’acqua «perché coloro che in essa riceveranno il Battesimo, siano sepolti con Cristo nella morte e con lui risorgano alla vita immortale» (Rito del Battesimo dei bambini, n. 60). La preghiera di benedizione dice che Dio ha preparato l’acqua «ad essere segno del Battesimo» e ricorda le principali prefigurazioni bibliche: sulle acque delle origini si librava lo Spirito per renderle germe di vita (cfr Gen 1,1-2); l’acqua del diluvio segnò la fine del peccato e l’inizio della vita nuova (cfr Gen7,6-8,22); attraverso l’acqua del Mar Rosso furono liberati dalla schiavitù d’Egitto i figli di Abramo (cfr Es 14,15-31). In relazione con Gesù, si ricorda il battesimo nel Giordano (cfr Mt 3,13-17), il sangue e l’acqua versati dal suo fianco (cfr Gv 19,31-37), e il mandato ai discepoli di battezzare tutti i popoli nel nome della Trinità (cfr Mt 28,19). Forti di tale memoria, si chiede a Dio di infondere nell’acqua del fonte la grazia di Cristo morto e risorto (cfr Rito del Battesimo dei bambini, n. 60). E così, quest’acqua viene trasformata in acqua che porta in sé la forza dello Spirito Santo. E con quest’acqua con la forza dello Spirito Santo, battezziamo la gente, battezziamo gli adulti, i bambini, tutti. Santificata l’acqua del fonte, bisogna disporre il cuore per accedere al Battesimo. Ciò avviene con la rinuncia a Satana e la professione di fede, due atti strettamente connessi tra loro. Nella misura in cui dico “no” alle suggestioni del diavolo – colui che divide – sono in grado di dire “sì” a Dio che mi chiama a conformarmi a Lui nei pensieri e nelle opere. Il diavolo divide; Dio unisce sempre la comunità, la gente in un solo popolo. Non è possibile aderire a Cristo ponendo condizioni. Occorre distaccarsi da certi legami per poterne abbracciare davvero altri; o stai bene con Dio o stai bene con il diavolo. Per questo la rinuncia e l’atto di fede vanno insieme. Occorre tagliare dei ponti, lasciandoli alle spalle, per intraprendere la nuova Via che è Cristo. La risposta alle domande – «Rinunciate a Satana, a tutte le sue opere, e a tutte le sue seduzioni?» – è formulata alla prima persona singolare: «Rinuncio». E allo stesso modo viene professata la fede della Chiesa, dicendo: «Credo». Io rinuncio e io credo: questo è alla base del Battesimo. E’ una scelta responsabile, che esige di essere tradotta in gesti concreti di fiducia in Dio. L’atto di fede suppone un impegno che lo stesso Battesimo aiuterà a mantenere con perseveranza nelle diverse situazioni e prove della vita. Ricordiamo l’antica sapienza di Israele: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1), cioè preparati alla lotta. E la presenza dello Spirito Santo ci dà la forza per lottare bene. Cari fratelli e sorelle, quando intingiamo la mano nell’acqua benedetta - entrando in una chiesa tocchiamo l’acqua benedetta - e facciamo il segno della Croce, pensiamo con gioia e gratitudine al Battesimo che abbiamo ricevuto - quest’acqua benedetta ci ricorda il Battesimo - e rinnoviamo il nostro “Amen” – “Sono contento” -, per vivere immersi nell’amore della Santissima Trinità.
9 maggio 2018: Catechesi sul Battesimo. 5: La rigenerazione Cari fratelli e sorelle, buongiorno! La catechesi sul sacramento del Battesimo ci porta a parlare oggi del santo lavacro accompagnato dall’invocazione della Santissima Trinità, ossia il rito centrale che propriamente “battezza” – cioè immerge – nel Mistero pasquale di Cristo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1239). Il senso di questo gesto lo richiama san Paolo ai cristiani di Roma, dapprima domandando: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?», e poi rispondendo: «Per mezzo del battesimo […] siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti […], così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Il Battesimo ci apre la porta a una vita di risurrezione, non a una vita mondana. Una vita secondo Gesù. Il fonte battesimale è il luogo in cui si fa Pasqua con Cristo! Viene sepolto l’uomo vecchio, con le sue passioni ingannevoli (cfr Ef4,22), perché rinasca una nuova creatura; davvero le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove (cfr 2Cor 5,17). Nelle “Catechesi” attribuite a San Cirillo di Gerusalemme viene così spiegato ai neobattezzati quanto è loro accaduto nell’acqua del Battesimo. E’ bella questa spiegazione di San Cirillo: «Nello stesso istante siete morti e nati, e la stessa onda salutare divenne per voi e sepolcro e madre» (n. 20, Mistagogica 2, 4-6: PG 33, 1079-1082). La rinascita del nuovo uomo esige che sia ridotto in polvere l’uomo corrotto dal peccato. Le immagini della tomba e del grembo materno riferite al fonte, sono infatti assai incisive per esprimere quanto avviene di grande attraverso i semplici gesti del Battesimo. Mi piace citare l’iscrizione che si trova nell’antico Battistero romano del Laterano, in cui si legge, in latino, questa espressione attribuita al Papa Sisto III: «La Madre Chiesa partorisce verginalmente mediante l’acqua i figli che concepisce per il soffio di Dio. Quanti siete rinati da questo fonte, sperate il regno dei cieli».[1] E’ bello: la Chiesa che ci fa nascere, la Chiesa che è grembo, è madre nostra per mezzo del Battesimo. Se i nostri genitori ci hanno generato alla vita terrena, la Chiesa ci ha rigenerato alla vita eterna nel Battesimo. Siamo diventati figli nel suo Figlio Gesù (cfr Rm 8,15; Gal 4,5-7). Anche su ciascuno di noi, rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, il Padre celeste fa risuonare con infinito amore la sua voce che dice: «Tu sei il mio figlio amato» (cfr Mt 3,17). Questa voce paterna, impercettibile all’orecchio ma ben udibile dal cuore di chi crede, ci accompagna per tutta la vita, senza mai abbandonarci. Durante tutta la vita il Padre ci dice: “Tu sei il mio figlio amato, tu sei la mia figlia amata”. Dio ci ama tanto, come un Padre, e non ci lascia soli. Questo dal momento del Battesimo. Rinati figli di Dio, lo siamo per sempre! Il Battesimo infatti non si ripete, perché imprime un sigillo spirituale indelebile: «Questo sigillo non viene cancellato da alcun peccato, sebbene il peccato impedisca al Battesimo di portare frutti di salvezza» (CCC, 1272). Il sigillo del Battesimo non si perde mai! “Padre, ma se una persona diventa un brigante, di quelli più famosi, che uccide gente, che fa delle ingiustizie, il sigillo se ne va?”. No. Per la propria vergogna il figlio di Dio che è quell’uomo fa queste cose, ma il sigillo non se ne va. E continua a essere figlio di Dio, che va contro Dio ma Dio mai rinnega i suoi figli. Avete capito quest’ultima cosa? Dio mai rinnega i suoi figli. Lo ripetiamo tutti insieme? “Dio mai rinnega i suoi figli”. Un po’ più forte, che io o sono sordo o non ho capito: [ripetono più forte] “Dio mai rinnega i suoi figli”. Ecco, così va bene. Incorporati a Cristo per mezzo del Battesimo, i battezzati vengono dunque conformati a Lui, «il primogenito di molti fratelli» (Rm8,29). Mediante l’azione dello Spirito Santo, il Battesimo purifica, santifica, giustifica, per formare in Cristo, di molti, un solo corpo (cfr 1Cor 6,11; 12,13). Lo esprime l’unzione crismale, «che è segno del sacerdozio regale del battezzato e della sua aggregazione alla comunità del popolo di Dio» (Rito del Battesimo dei Bambini, Introduzione, n. 18, 3). Pertanto il sacerdote unge con il sacro crisma il capo di ogni battezzato, dopo aver pronunciato queste parole che ne spiegano il significato: «Dio stesso vi consacra con il crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna» (ibid., n. 71). Fratelli e sorelle, la vocazione cristiana sta tutta qui: vivere uniti a Cristo nella santa Chiesa, partecipi della stessa consacrazione per svolgere la medesima missione, in questo mondo, portando frutti che durano per sempre. Animato dall’unico Spirito, infatti, l’intero Popolo di Dio partecipa delle funzioni di Gesù Cristo, “Sacerdote, Re e Profeta”, e porta le responsabilità di missione e servizio che ne derivano (cfr CCC, 783-786). Cosa significa partecipare del sacerdozio regale e profetico di Cristo? Significa fare di sé un’offerta gradita a Dio (cfr Rm 12,1), rendendogli testimonianza per mezzo di una vita di fede e di carità (cfr Lumen gentium, 12), ponendola al servizio degli altri, sull’esempio del Signore Gesù (cfr Mt 20,25-28; Gv 13,13-17). Grazie.
16 maggio 2018: Catechesi sul Battesimo. 6: Rivestiti di Cristo Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi concludiamo il ciclo di catechesi sul Battesimo. Gli effetti spirituali di questo sacramento, invisibili agli occhi ma operativi nel cuore di chi è diventato nuova creatura, sono esplicitati dalla consegna della veste bianca e della candela accesa. Dopo il lavacro di rigenerazione, capace di ricreare l’uomo secondo Dio nella vera santità (cfr Ef 4,24), è parso naturale, fin dai primi secoli, rivestire i neobattezzati di una veste nuova, candida, a similitudine dello splendore della vita conseguita in Cristo e nello Spirito Santo. La veste bianca, mentre esprime simbolicamente ciò che è accaduto nel sacramento, annuncia la condizione dei trasfigurati nella gloria divina. Che cosa significhi rivestirsi di Cristo, lo ricorda san Paolo spiegando quali sono le virtù che i battezzati debbono coltivare: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-14). Anche la consegna rituale della fiamma attinta dal cero pasquale, rammenta l’effetto del Battesimo: «Ricevete la luce di Cristo», dice il sacerdote. Queste parole ricordano che non siamo noi la luce, ma la luce è Gesù Cristo (Gv 1,9; 12,46), il quale, risorto dai morti, ha vinto le tenebre del male. Noi siamo chiamati a ricevere il suo splendore! Come la fiamma del cero pasquale dà luce a singole candele, così la carità del Signore Risorto infiamma i cuori dei battezzati, colmandoli di luce e calore. E per questo, dai primi secoli il Battesimo si chiamava anche “illuminazione” e quello che era battezzato era detto “l’illuminato”. Questa è infatti la vocazione cristiana: «camminare sempre come figli della luce, perseverando nella fede» (cfr Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, n. 226; Gv 12,36). Se si tratta di bambini, è compito dei genitori, insieme a padrini e madrine, aver cura di alimentare la fiamma della grazia battesimale nei loro piccoli, aiutandoli a perseverare nella fede (cfr Rito del Battesimo dei Bambini, n. 73). «L’educazione cristiana è un diritto dei bambini; essa tende a guidarli gradualmente a conoscere il disegno di Dio in Cristo: così potranno ratificare personalmente la fede nella quale sono stati battezzati» (ibid., Introduzione, 3). La presenza viva di Cristo, da custodire, difendere e dilatare in noi, è lampada che rischiara i nostri passi, luce che orienta le nostre scelte, fiamma che riscalda i cuori nell’andare incontro al Signore, rendendoci capaci di aiutare chi fa la strada con noi, fino alla comunione inseparabile con Lui. Quel giorno, dice ancora l’Apocalisse, «non vi sarà più notte, e non avremo più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio ci illuminerà. E regneremo nei secoli dei secoli» (cfr 22,5). La celebrazione del Battesimo si conclude con la preghiera del Padre nostro, propria della comunità dei figli di Dio. Infatti, i bambini rinati nel Battesimo riceveranno la pienezza del dono dello Spirito nella Confermazione e parteciperanno all’Eucaristia, imparando che cosa significa rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre”. Al termine di queste catechesi sul Battesimo, ripeto a ciascuno di voi l’invito che ho così espresso nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate: «Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23)» (n. 15).
Papa Francesco, Udienza generale (29 gennaio 2014) Cari fratelli e sorelle, buongiorno, in questa terza catechesi sui Sacramenti, ci soffermiamo sulla Confermazione o Cresima, che va intesa in continuità con il Battesimo, al quale è legata in modo inseparabile. Questi due Sacramenti, insieme con l’Eucaristia, formano un unico evento salvifico, che si chiama — l’”iniziazione cristiana” —, nel quale veniamo inseriti in Gesù Cristo morto e risorto e diventiamo nuove creature e membra della Chiesa. Ecco perché in origine questi tre Sacramenti si celebravano in un unico momento, al termine del cammino catecumenale, normalmente nella Veglia Pasquale. Così veniva suggellato il percorso di formazione e di graduale inserimento nella comunità cristiana che poteva durare anche alcuni anni. Si faceva passo a passo per arrivare al Battesimo, poi alla Cresima e all'Eucaristia. Comunemente si parla di sacramento della “Cresima”, parola che significa “unzione”. E, in effetti, attraverso l’olio detto “sacro Crisma” veniamo conformati, nella potenza dello Spirito, a Gesù Cristo, il quale è l’unico vero “unto”, il “Messia”, il Santo di Dio. Il termine “Confermazione” ci ricorda poi che questo Sacramento apporta una crescita della grazia battesimale: ci unisce più saldamente a Cristo; porta a compimento il nostro legame con la Chiesa; ci accorda una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere la fede, per confessare il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1303). Per questo è importante avere cura che i nostri bambini, i nostri ragazzi, ricevano questo Sacramento. Tutti noi abbiamo cura che siano battezzati e questo è buono, ma forse non abbiamo tanta cura che ricevano la Cresima. In questo modo resteranno a metà cammino e non riceveranno lo Spirito Santo, che è tanto importante nella vita cristiana, perché ci dà la forza per andare avanti. Pensiamo un po', ognuno di noi: davvero abbiamo la preoccupazione che i nostri bambini, i nostri ragazzi ricevano la Cresima? E' importante questo, è importante! E se voi, a casa vostra, avete bambini, ragazzi, che ancora non l'hanno ricevuta e hanno l’età per riceverla, fate tutto il possibile perché essi portino a termine l’iniziazione cristiana e ricevano la forza dello Spirito Santo. E' importante! Naturalmente è importante offrire ai cresimandi una buona preparazione, che deve mirare a condurli verso un’adesione personale alla fede in Cristo e a risvegliare in loro il senso dell’appartenenza alla Chiesa. La Confermazione, come ogni Sacramento, non è opera degli uomini, ma di Dio, il quale si prende cura della nostra vita in modo da plasmarci ad immagine del suo Figlio, per renderci capaci di amare come Lui. Egli lo fa infondendo in noi il suo Spirito Santo, la cui azione pervade tutta la persona e tutta la vita, come traspare dai sette doni che la Tradizione, alla luce della Sacra Scrittura, ha sempre evidenziato. Questi sette doni: io non voglio domandare a voi se vi ricordate i sette doni. Forse li saprete tutti... Ma li dico io a nome vostro. Quali sono questi doni? La Sapienza, l’Intelletto, il Consiglio, la Fortezza, la Scienza, la Pietà e il Timore di Dio. E questi doni ci sono dati proprio con lo Spirito Santo nel sacramento della Confermazione. A questi doni intendo poi dedicare le catechesi che seguiranno quelle sui Sacramenti. Quando accogliamo lo Spirito Santo nel nostro cuore e lo lasciamo agire, Cristo stesso si rende presente in noi e prende forma nella nostra vita; attraverso di noi, sarà Lui lo stesso Cristo a pregare, a perdonare, a infondere speranza e consolazione, a servire i fratelli, a farsi vicino ai bisognosi e agli ultimi, a creare comunione, a seminare pace. Pensate quanto è importante questo: per mezzo dello Spirito Santo, Cristo stesso viene a fare tutto questo in mezzo a noi e per noi. Per questo è importante che i bambini e i ragazzi ricevano il Sacramento della Cresima. Cari fratelli e sorelle, ricordiamoci che abbiamo ricevuto la Confermazione! Tutti noi! Ricordiamolo prima di tutto per ringraziare il Signore di questo dono, e poi per chiedergli che ci aiuti a vivere da veri cristiani, a camminare sempre con gioia secondo lo Spirito Santo che ci è stato donato.
23 maggio 2018: Catechesi sulla Confermazione. 1. La testimonianza cristiana Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Dopo le catechesi sul Battesimo, questi giorni che seguono la solennità di Pentecoste ci invitano a riflettere sulla testimonianza che lo Spirito suscita nei battezzati, mettendo in movimento la loro vita, aprendola al bene degli altri. Ai suoi discepoli Gesù ha affidato una missione grande: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo» (cfr Mt 5,13-16). Queste sono immagini che fanno pensare al nostro comportamento, perché sia la carenza sia l’eccesso di sale rendono disgustoso il cibo, così come la mancanza o l’eccesso di luce impediscono di vedere. Chi può davvero renderci sale che dà sapore e preserva dalla corruzione, e luce che rischiara il mondo, è soltanto lo Spirito di Cristo! E questo è il dono che riceviamo nel Sacramento della Confermazione o Cresima, su cui desidero fermarmi a riflettere con voi. Si chiama “Confermazione” perché conferma il Battesimo e ne rafforza la grazia (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1289); come anche “Cresima”, dal fatto che riceviamo lo Spirito mediante l’unzione con il “crisma” – olio misto a profumo consacrato dal Vescovo –, termine che rimanda a “Cristo” l’Unto di Spirito Santo. Rinascere alla vita divina nel Battesimo è il primo passo; occorre poi comportarsi da figli di Dio, ossia conformarsi al Cristo che opera nella santa Chiesa, lasciandosi coinvolgere nella sua missione nel mondo. A ciò provvede l’unzione dello Spirito Santo: «senza la sua forza, nulla è nell’uomo» (cfr Sequenza di Pentecoste). Senza la forza dello Spirito Santo non possiamo fare nulla: è lo Spirito che ci dà la forza per andare avanti. Come tutta la vita di Gesù fu animata dallo Spirito, così pure la vita della Chiesa e di ogni suo membro sta sotto la guida del medesimo Spirito. Concepito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, Gesù intraprende la sua missione dopo che, uscito dall’acqua del Giordano, viene consacrato dallo Spirito che discende e rimane su di Lui (cfr Mc 1,10; Gv 1,32). Egli lo dichiara esplicitamente nella sinagoga di Nazaret: è bello come Gesù si presenta, qual è la carta identitaria di Gesù nella sinagoga di Nazaret! Ascoltiamo come lo fa: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Gesù si presenta nella sinagoga del suo villaggio come l’Unto, Colui che è stato unto dallo Spirito. Gesù è pieno di Spirito Santo ed è la fonte dello Spirito promesso dal Padre (cfr Gv 15,26; Lc 24,49; At 1,8; 2,33). In realtà, la sera di Pasqua il Risorto alita sui discepoli dicendo loro: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22); e nel giorno di Pentecoste la forza dello Spirito discende sugli Apostoli in forma straordinaria (cfr At 2,1-4), come noi conosciamo. Il “Respiro” del Cristo Risorto riempie di vita i polmoni della Chiesa; e in effetti le bocche dei discepoli, «colmati di Spirito Santo», si aprono per proclamare a tutti le grandi opere di Dio (cfr At 2,1-11). La Pentecoste – che abbiamo celebrato domenica scorsa – è per la Chiesa ciò che per Cristo fu l’unzione dello Spirito ricevuta al Giordano, ossia la Pentecoste è l’impulso missionario a consumare la vita per la santificazione degli uomini, a gloria di Dio. Se in ogni sacramento opera lo Spirito, è in modo speciale nella Confermazione che «i fedeli ricevono come Dono lo Spirito Santo» (Paolo VI, Cost. ap., Divinae consortium naturae). E nel momento di fare l’unzione, il Vescovo dice questa parola: “Ricevi lo Spirito Santo che ti è stato dato in dono”: è il grande dono di Dio, lo Spirito Santo. E tutti noi abbiamo lo Spirito dentro. Lo Spirito è nel nostro cuore, nella nostra anima. E lo Spirito ci guida nella vita perché noi diventiamo sale giusto e luce giusta agli uomini. Se nel Battesimo è lo Spirito Santo a immergerci in Cristo, nella Confermazione è il Cristo a colmarci del suo Spirito, consacrandoci suoi testimoni, partecipi del medesimo principio di vita e di missione, secondo il disegno del Padre celeste. La testimonianza resa dai confermati manifesta la ricezione dello Spirito Santo e la docilità alla sua ispirazione creativa. Io mi domando: come si vede che abbiamo ricevuto il Dono dello Spirito? Se compiamo le opere dello Spirito, se pronunciamo parole insegnate dallo Spirito (cfr 1 Cor2,13). La testimonianza cristiana consiste nel fare solo e tutto quello che lo Spirito di Cristo ci chiede, concedendoci la forza di compierlo.
30 maggio 2018: Catechesi sulla Confermazione. 2: Il sigillo dello Spirito Cari fratelli e sorelle, proseguendo l’argomento della Confermazione o Cresima, desidero oggi mettere in luce l’«intima connessione di questo sacramento con tutta l’iniziazione cristiana» (Sacrosanctum Concilium, 71). Prima di ricevere l’unzione spirituale che conferma e rafforza la grazia del Battesimo, i cresimandi sono chiamati a rinnovare le promesse fatte un giorno da genitori e padrini. Ora sono loro stessi a professare la fede della Chiesa, pronti a rispondere «credo» alle domande rivolte dal Vescovo; pronti, in particolare, a credere «nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e che oggi, per mezzo del sacramento della Confermazione, è in modo speciale a [loro] conferito, come già agli Apostoli nel giorno di Pentecoste» (Rito della Confermazione, n. 26). Poiché la venuta dello Spirito Santo richiede cuori raccolti in orazione (cfr At 1,14), dopo la preghiera silenziosa della comunità, il Vescovo, tenendo le mani stese sui cresimandi, supplica Dio di infondere in loro il suo santo Spirito Paraclito. Uno solo è lo Spirito (cfr 1 Cor 12,4), ma venendo a noi porta con sé ricchezza di doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e santo timore di Dio (cfr Rito della Confermazione, nn. 28-29). Abbiamo sentito il passo della Bibbia con questi doni che porta lo Spirito Santo. Secondo il profeta Isaia (11,2), queste sono le sette virtù dello Spirito effuse sul Messia per il compimento della sua missione. Anche san Paolo descrive l’abbondante frutto dello Spirito che è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). L’unico Spirito distribuisce i molteplici doni che arricchiscono l’unica Chiesa: è l’Autore della diversità, ma allo stesso tempo il Creatore dell’unità. Così lo Spirito dà tutte queste ricchezze che sono diverse ma allo stesso modo fa l’armonia, cioè l’unità di tutte queste ricchezze spirituali che abbiamo noi cristiani. Per tradizione attestata dagli Apostoli, lo Spirito che completa la grazia del Battesimo viene comunicato attraverso l’imposizione delle mani (cfr At 8,15-17; 19,5-6; Eb 6,2). A questo gesto biblico, per meglio esprimere l’effusione dello Spirito che pervade quanti la ricevono, si è ben presto aggiunta una unzione di olio profumato, chiamato crisma[1], rimasta in uso fino ad oggi, sia in Oriente che in Occidente (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1289). L’olio – il crisma – è sostanza terapeutica e cosmetica, che entrando nei tessuti del corpo medica le ferite e profuma le membra; per queste qualità è stato assunto dalla simbolica biblica e liturgica per esprimere l’azione dello Spirito Santo che consacra e permea il battezzato, abbellendolo di carismi. Il Sacramento viene conferito mediante l’unzione del crisma sulla fronte, compiuta dal Vescovo con l’imposizione della mano e mediante le parole: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono».[2] Lo Spirito Santo è il dono invisibile elargito e il crisma ne è il sigillo visibile. Ricevendo in fronte il segno della croce con l’olio profumato, il confermato riceve dunque una impronta spirituale indelebile, il “carattere”, che lo configura più perfettamente a Cristo e gli dà la grazia di spandere tra gli uomini il “buon profumo” (cfr 2 Cor2,15). Riascoltiamo l’invito di sant’Ambrogio ai neoconfermati. Dice così: «Ricorda che hai ricevuto il sigillo spirituale […] e conserva ciò che hai ricevuto. Dio Padre ti ha segnato, ti ha confermato Cristo Signore e ha posto nel tuo cuore quale pegno lo Spirito» (De mysteriis7,42: CSEL 73,106; cfr CCC, 1303). E’ un dono immeritato lo Spirito, da accogliere con gratitudine, facendo spazio alla sua inesauribile creatività. E’ un dono da custodire con premura, da assecondare con docilità, lasciandosi plasmare, come cera, dalla sua infuocata carità, «per riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 23).
6 giugno 2018: Catechesi sulla Confermazione. 3: Per la crescita della Chiesa Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Proseguendo la riflessione sul sacramento della Confermazione, consideriamo gli effetti che il dono dello Spirito Santo fa maturare nei cresimati, portandoli a diventare, a loro volta, un dono per gli altri. È un dono lo Spirito Santo. Ricordiamo che quando il vescovo ci dà l’unzione con l’olio, dice: “Ricevi lo Spirito Santo che ti è dato in dono”. Quel dono dello Spirito Santo entra in noi e fa fruttificare, perché noi poi possiamo darlo agli altri. Sempre ricevere per dare: mai ricevere e tenere le cose dentro, come se l’anima fosse un magazzino. No: sempre ricevere per dare. Le grazie di Dio si ricevono per darle agli altri. Questa è la vita del cristiano. È proprio dello Spirito Santo, dunque, decentrarci dal nostro io per aprirci al “noi” della comunità: ricevere per dare. Non siamo noi al centro: noi siamo uno strumento di quel dono per gli altri. Completando nei battezzati la somiglianza a Cristo, la Confermazione li unisce più fortemente come membra vive al corpo mistico della Chiesa (cfr Rito della Confermazione, n. 25). La missione della Chiesa nel mondo procede attraverso l’apporto di tutti coloro che ne sono parte. Qualcuno pensa che nella Chiesa ci sono dei padroni: il Papa, i vescovi, i preti, e poi ci sono gli altri. No: la Chiesa siamo tutti! E tutti abbiamo la responsabilità di santificarci l’un l’altro, di avere cura degli altri. La Chiesa siamo noi tutti. Ognuno ha il suo lavoro nella Chiesa, ma la siamo tutti. Dobbiamo infatti pensare alla Chiesa come a un organismo vivo, composto di persone che conosciamo e con cui camminiamo, e non come a una realtà astratta e lontana. La Chiesa siamo noi che camminiamo, la Chiesa siamo noi che oggi stiamo in questa piazza. Noi: questa è la Chiesa. La Confermazione vincola alla Chiesa universale sparsa su tutta la terra, coinvolgendo però attivamente i cresimati nella vita della Chiesa particolare a cui essi appartengono, con a capo il Vescovo, che è il successore degli Apostoli. E per questo il Vescovo è il ministro originario della Confermazione (cfr Lumen gentium, 26), perché lui inserisce nella Chiesa il confermato. Il fatto che, nella Chiesa latina, questo sacramento sia ordinariamente conferito dal Vescovo evidenzia il suo «effetto di unire più strettamente alla Chiesa, alle sue origini apostoliche e alla sua missione di testimoniare Cristo, coloro che lo ricevono» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1313). E questa incorporazione ecclesiale è ben significata dal segno di pace che conclude il rito della crismazione. Il Vescovo dice, infatti, a ogni confermato: «La pace sia con te». Ricordando il saluto di Cristo ai discepoli la sera di Pasqua, colma di Spirito Santo (cfr Gv20,19-23)- abbiamo sentito -, queste parole illuminano un gesto che «esprime la comunione ecclesiale con il Vescovo e con tutti i fedeli» (cfr CCC, 1301). Noi, nella Cresima, riceviamo lo Spirito Santo e la pace: quella pace che dobbiamo dare agli altri. Ma pensiamo: ognuno pensi alla propria comunità parrocchiale, per esempio. C’è la cerimonia della Cresima, e poi ci diamo la pace: il Vescovo la dà al cresimato, e poi nella Messa, la scambiamo tra di noi. Questo significa armonia, significa carità fra noi, significa pace. Ma poi cosa succede? Usciamo e incominciamo a sparlare degli altri, a “spellare” gli altri. Incominciano le chiacchiere. E le chiacchiere sono guerre. Questo non va! Se noi abbiamo ricevuto il segno della pace con la forza dello Spirito Santo, dobbiamo essere uomini e donne di pace, e non distruggere, con la lingua, la pace che ha fatto lo Spirito. Povero Spirito Santo il lavoro che ha con noi, con questa abitudine del chiacchiericcio! Pensate bene: il chiacchiericcio non è un’opera dello Spirito Santo, non è un’opera dell’unità della Chiesa. Il chiacchiericcio distrugge quello che fa Dio. Ma per favore: smettiamola di chiacchierare! La Confermazione si riceve una sola volta, ma il dinamismo spirituale suscitato dalla santa unzione è perseverante nel tempo. Non finiremo mai di adempiere al mandato di effondere ovunque il buon profumo di una vita santa, ispirata dall’affascinante semplicità del Vangelo. Nessuno riceve la Confermazione solo per sé stesso, ma per cooperare alla crescita spirituale degli altri. Solo così, aprendoci e uscendo da noi stessi per incontrare i fratelli, possiamo davvero crescere e non solo illuderci di farlo. Quanto riceviamo in dono da Dio dev’essere infatti donato – il dono è per donare – affinché sia fecondo, e non invece seppellito a motivo di timori egoistici, come insegna la parabola dei talenti (cfr Mt 25,14-30). Anche il seme, quando noi abbiamo il seme in mano, ma non è per metterlo lì, nell’armadio, lasciarlo lì: è per seminarlo. Il dono dello Spirito Santo dobbiamo darlo alla comunità. Esorto i cresimati a non “ingabbiare” lo Spirito Santo, a non opporre resistenza al Vento che soffia per spingerli a camminare in libertà, a non soffocare il Fuoco ardente della carità che porta a consumare la vita per Dio e per i fratelli. Che lo Spirito Santo conceda a tutti noi il coraggio apostolico di comunicare il Vangelo, con le opere e le parole, a quanti incontriamo sulla nostra strada. Con le opere e le parole, ma le parole buone: quelle che edificano. No le parole delle chiacchiere che distruggono. Per favore, quando uscite dalla chiesa pensate che la pace ricevuta è per darla agli altri: non per distruggerla col chiacchiericcio. Non dimenticare questo.
Eucaristia (1) Papa Francesco, Udienza generale (5 febbraio 2014) Oggi vi parlerò dell'Eucaristia. L'Eucaristia si colloca nel cuore dell’«iniziazione cristiana», insieme al Battesimo e alla Confermazione, e costituisce la sorgente della vita stessa della Chiesa. Da questo Sacramento dell’amore, infatti, scaturisce ogni autentico cammino di fede, di comunione e di testimonianza. Quello che vediamo quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia, la Messa, ci fa già intuire che cosa stiamo per vivere. Al centro dello spazio destinato alla celebrazione si trova l’altare, che è una mensa, ricoperta da una tovaglia, e questo ci fa pensare ad un banchetto. Sulla mensa c’è una croce, ad indicare che su quell’altare si offre il sacrificio di Cristo: è Lui il cibo spirituale che lì si riceve, sotto i segni del pane e del vino. Accanto alla mensa c’è l’ambone, cioè il luogo da cui si proclama la Parola di Dio: e questo indica che lì ci si raduna per ascoltare il Signore che parla mediante le Sacre Scritture, e dunque il cibo che si riceve è anche la sua Parola. Parola e Pane nella Messa diventano un tutt’uno, come nell’Ultima Cena, quando tutte le parole di Gesù, tutti i segni che aveva fatto, si condensarono nel gesto di spezzare il pane e di offrire il calice, anticipo del sacrificio della croce, e in quelle parole: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo … Prendete, bevete, questo è il mio sangue”. Il gesto di Gesù compiuto nell’Ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore, per la sua misericordia. “Ringraziamento” in greco si dice “eucaristia”. E per questo il Sacramento si chiama Eucaristia: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo Figlio per amore. Ecco perché il termine Eucaristia riassume tutto quel gesto, che è gesto di Dio e dell’uomo insieme, gesto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Dunque la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. «Memoriale» non significa solo un ricordo, un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli. È per questo che comunemente, quando ci si accosta a questo Sacramento, si dice di «ricevere la Comunione», di «fare la Comunione»: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci pregustare già ora la piena comunione col Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con tutti i Santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia. Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia! E' un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica. Andare a Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E' bello fare questo! E tutte le domeniche andiamo a Messa, perché è il giorno proprio della risurrezione del Signore. Per questo la domenica è tanto importante per noi. E con l'Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza. Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del Padre. E questo si fa durante tutta la vita, ma si comincia a farlo il giorno della prima Comunione. E' importante che i bambini si preparino bene alla prima Comunione e che ogni bambino la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza forte a Gesù Cristo, dopo il Battesimo e la Cresima.
Eucaristia (2) Papa Francesco, Udienza generale (12 febbraio 2014) Nell’ultima catechesi ho messo in luce come l’Eucaristia ci introduce nella comunione reale con Gesù e il suo mistero. Ora possiamo porci alcune domande in merito al rapporto tra l’Eucaristia che celebriamo e la nostra vita, come Chiesa e come singoli cristiani. Come viviamo l’Eucaristia? Quando andiamo a Messa la domenica, come la viviamo? È solo un momento di festa, è una tradizione consolidata, è un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto, oppure è qualcosa di più? Ci sono dei segnali molto concreti per capire come viviamo tutto questo, come viviamo l’Eucaristia; segnali che ci dicono se noi viviamo bene l’Eucaristia o non la viviamo tanto bene. Il primo indizio è il nostro modo di guardare e considerare gli altri. Nell’Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di sé per amore; perciò Egli amava stare con i discepoli e con le persone che aveva modo di conoscere. Questo significava per Lui condividere i loro desideri, i loro problemi, quello che agitava la loro anima e la loro vita. Ora noi, quando partecipiamo alla Santa Messa, ci ritroviamo con uomini e donne di ogni genere: giovani, anziani, bambini; poveri e benestanti; originari del posto e forestieri; accompagnati dai familiari e soli… Ma l’Eucaristia che celebro, mi porta a sentirli tutti, davvero come fratelli e sorelle? Fa crescere in me la capacità di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange? Mi spinge ad andare verso i poveri, i malati, gli emarginati? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù? Tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione. Ma amiamo, come vuole Gesù, quei fratelli e quelle sorelle più bisognosi? Per esempio, a Roma in questi giorni abbiamo visto tanti disagi sociali o per la piaggia, che ha fatto tanti danni a quartieri interi, o per la mancanza di lavoro, conseguenza della crisi economica in tutto il mondo. Mi domando, e ognuno di noi si domandi: Io che vado a Messa, come vivo questo? Mi preoccupo di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questo problema? Oppure sono un po’ indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: Hai visto com’è vestita quella, o come com’è vestito quello? A volte si fa questo, dopo la Messa, e non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno bisogno a causa di una malattia, di un problema. Oggi, ci farà bene pensare a questi nostri fratelli e sorelle che hanno questi problemi qui a Roma: problemi per la tragedia provocata dalla pioggia e problemi sociali e del lavoro. Chiediamo a Gesù, che riceviamo nell’Eucaristia, che ci aiuti ad aiutarli. Un secondo indizio, molto importante, è la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. A volte qualcuno chiede: «Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla Santa Messa è peccatore come gli altri?». Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo. Se ognuno di noi non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono. Quel “Confesso” che diciamo all’inizio non è un “pro forma”, è un vero atto di penitenza! Io sono peccatore e lo confesso, così comincia la Messa! Non dobbiamo mai dimenticare che l’Ultima Cena di Gesù ha avuto luogo «nella notte in cui veniva tradito» (1 Cor 11,23). In quel pane e in quel vino che offriamo e attorno ai quali ci raduniamo si rinnova ogni volta il dono del corpo e del sangue di Cristo per la remissione dei nostri peccati. Dobbiamo andare a Messa umilmente, come peccatori e il Signore ci riconcilia. Un ultimo indizio prezioso ci viene offerto dal rapporto tra la celebrazione eucaristica e la vita delle nostre comunità cristiane. Bisogna sempre tenere presente che l’Eucaristia non è qualcosa che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé, per nutrirci della sua Parola e della sua vita. Questo significa che la missione e l’identità stessa della Chiesa sgorgano da lì, dall’Eucaristia, e lì sempre prendono forma. Una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore, bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù Cristo, rischia di non portare alcun nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia coerenza tra liturgia e vita. Il cuore si riempie di fiducia e di speranza pensando alle parole di Gesù riportate nel Vangelo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Viviamo l’Eucaristia con spirito di fede, di preghiera, di perdono, di penitenza, di gioia comunitaria, di preoccupazione per i bisognosi e per i bisogni di tanti fratelli e sorelle, nella certezza che il Signore compirà quello che ci ha promesso: la vita eterna. Così sia!
Riconciliazione Papa Francesco, Udienza generale (19 febbraio 2014) Attraverso i Sacramenti dell’iniziazione cristiana, il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia, l’uomo riceve la vita nuova in Cristo. Ora, tutti lo sappiamo, noi portiamo questa vita «in vasi di creta» (2 Cor 4,7), siamo ancora sottomessi alla tentazione, alla sofferenza, alla morte e, a causa del peccato, possiamo persino perdere la nuova vita. Per questo il Signore Gesù ha voluto che la Chiesa continui la sua opera di salvezza anche verso le proprie membra, in particolare con il Sacramento della Riconciliazione e quello dell’Unzione degli infermi, che possono essere uniti sotto il nome di «Sacramenti di guarigione». Il Sacramento della Riconciliazione è un Sacramento di guarigione. Quando io vado a confessarmi è per guarirmi, guarirmi l'anima, guarirmi il cuore e qualcosa che ho fatto che non va bene. L’icona biblica che li esprime al meglio, nel loro profondo legame, è l’episodio del perdono e della guarigione del paralitico, dove il Signore Gesù si rivela allo stesso tempo medico delle anime e dei corpi (cfr Mc 2,1-12 // Mt 9,1-8; Lc 5,17-26). 1. Il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione scaturisce direttamente dal mistero pasquale. Infatti, la stessa sera di Pasqua il Signore apparve ai discepoli, chiusi nel cenacolo, e, dopo aver rivolto loro il saluto «Pace a voi!», soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,21-23). Questo passo ci svela la dinamica più profonda che è contenuta in questo Sacramento. Anzitutto, il fatto che il perdono dei nostri peccati non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù. Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto. In secondo luogo, ci ricorda che solo se ci lasciamo riconciliare nel Signore Gesù col Padre e con i fratelli possiamo essere veramente nella pace. E questo lo abbiamo sentito tutti nel cuore quando andiamo a confessarci, con un peso nell'anima, un po' di tristezza; e quando riceviamo il perdono di Gesù siamo in pace, con quella pace dell'anima tanto bella che soltanto Gesù può dare, soltanto Lui. 2. Nel tempo, la celebrazione di questo Sacramento è passata da una forma pubblica - perché all'inizio si faceva pubblicamente - a quella personale, alla forma riservata della Confessione. Questo però non deve far perdere la matrice ecclesiale, che costituisce il contesto vitale. Infatti, è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti i fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù. Ecco allora perché non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo Sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana. Uno può dire: io mi confesso soltanto con Dio. Sì, tu puoi dire a Dio “perdonami”, e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote. “Ma padre, io mi vergogno...”. Anche la vergogna è buona, è salute avere un po' di vergogna, perché vergognarsi è salutare. Quando una persona non ha vergogna, nel mio Paese diciamo che è un “senza vergogna”: un “sin verguenza”. Ma anche la vergogna fa bene, perché ci fa più umili, e il sacerdote riceve con amore e con tenerezza questa confessione e in nome di Dio perdona. Anche dal punto di vista umano, per sfogarsi, è buono parlare con il fratello e dire al sacerdote queste cose, che sono tanto pesanti nel mio cuore. E uno sente che si sfoga davanti a Dio, con la Chiesa, con il fratello. Non avere paura della Confessione! Uno, quando è in coda per confessarsi, sente tutte queste cose, anche la vergogna, ma poi quando finisce la Confessione esce libero, grande, bello, perdonato, bianco, felice. E' questo il bello della Confessione! Io vorrei domandarvi - ma non ditelo a voce alta, ognuno si risponda nel suo cuore -: quando è stata l'ultima volta che ti sei confessato, che ti sei confessata? Ognuno ci pensi… Sono due giorni, due settimane, due anni, vent’anni, quarant’anni? Ognuno faccia il conto, ma ognuno si dica: quando è stata l'ultima volta che io mi sono confessato? E se è passato tanto tempo, non perdere un giorno di più, vai, che il sacerdote sarà buono. E' Gesù lì, e Gesù è più buono dei preti, Gesù ti riceve, ti riceve con tanto amore. Sii coraggioso e vai alla Confessione! 3. Cari amici, celebrare il Sacramento della Riconciliazione significa essere avvolti in un abbraccio caloroso: è l’abbraccio dell’infinita misericordia del Padre. Ricordiamo quella bella, bella parabola del figlio che se n'è andato da casa sua con i soldi dell'eredità; ha sprecato tutti i soldi, e poi, quando non aveva più niente, ha deciso di tornare a casa, non come figlio, ma come servo. Tanta colpa aveva nel suo cuore e tanta vergogna. La sorpresa è stata che quando incominciò a parlare, a chiedere perdono, il padre non lo lasciò parlare, lo abbracciò, lo baciò e fece festa. Ma io vi dico: ogni volta che noi ci confessiamo, Dio ci abbraccia, Dio fa festa! Andiamo avanti su questa strada. Che Dio vi benedica!
Unzione degli infermi Papa Francesco, Udienza generale (26 febbraio 2014) Oggi vorrei parlarvi del Sacramento dell’Unzione degli infermi, che ci permette di toccare con mano la compassione di Dio per l’uomo. In passato veniva chiamato “Estrema unzione”, perché era inteso come conforto spirituale nell’imminenza della morte. Parlare invece di “Unzione degli infermi” ci aiuta ad allargare lo sguardo all’esperienza della malattia e della sofferenza, nell’orizzonte della misericordia di Dio. 1. C’è un’icona biblica che esprime in tutta la sua profondità il mistero che traspare nell’Unzione degli infermi: è la parabola del «buon samaritano», nel Vangelo di Luca (10,30-35). Ogni volta che celebriamo tale Sacramento, il Signore Gesù, nella persona del sacerdote, si fa vicino a chi soffre ed è gravemente malato, o anziano. Dice la parabola che il buon samaritano si prende cura dell’uomo sofferente versando sulle sue ferite olio e vino. L’olio ci fa pensare a quello che viene benedetto dal Vescovo ogni anno, nella Messa crismale del Giovedì Santo, proprio in vista dell’Unzione degli infermi. Il vino, invece, è segno dell’amore e della grazia di Cristo che scaturiscono dal dono della sua vita per noi e si esprimono in tutta la loro ricchezza nella vita sacramentale della Chiesa. Infine, la persona sofferente viene affidata a un albergatore, affinché possa continuare a prendersi cura di lei, senza badare a spese. Ora, chi è questo albergatore? È la Chiesa, la comunità cristiana, siamo noi, ai quali ogni giorno il Signore Gesù affida coloro che sono afflitti, nel corpo e nello spirito, perché possiamo continuare a riversare su di loro, senza misura, tutta la sua misericordia e la salvezza. 2. Questo mandato è ribadito in modo esplicito e preciso nella Lettera di Giacomo, dove raccomanda: «Chi è malato, chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,14-15). Si tratta quindi di una prassi che era in atto già al tempo degli Apostoli. Gesù infatti ha insegnato ai suoi discepoli ad avere la sua stessa predilezione per i malati e per i sofferenti e ha trasmesso loro la capacità e il compito di continuare ad elargire nel suo nome e secondo il suo cuore sollievo e pace, attraverso la grazia speciale di tale Sacramento. Questo però non ci deve fare scadere nella ricerca ossessiva del miracolo o nella presunzione di poter ottenere sempre e comunque la guarigione. Ma è la sicurezza della vicinanza di Gesù al malato e anche all’anziano, perché ogni anziano, ogni persona di più di 65 anni, può ricevere questo Sacramento, mediante il quale è Gesù stesso che ci avvicina. Ma quando c'è un malato a volte si pensa: “chiamiamo il sacerdote perché venga”; “No, poi porta malafortuna, non chiamiamolo”, oppure “poi si spaventa l’ammalato”. Perché si pensa questo? Perché c’è un po’ l’idea che dopo il sacerdote arrivano le pompe funebri. E questo non è vero. Il sacerdote viene per aiutare il malato o l’anziano; per questo è tanto importante la visita dei sacerdoti ai malati. Bisogna chiamare il sacerdote presso il malato e dire: “venga, gli dia l’unzione, lo benedica”. È Gesù stesso che arriva per sollevare il malato, per dargli forza, per dargli speranza, per aiutarlo; anche per perdonargli i peccati. E questo è bellissimo! E non bisogna pensare che questo sia un tabù, perché è sempre bello sapere che nel momento del dolore e della malattia noi non siamo soli: il sacerdote e coloro che sono presenti durante l’Unzione degli infermi rappresentano infatti tutta la comunità cristiana che, come un unico corpo si stringe attorno a chi soffre e ai familiari, alimentando in essi la fede e la speranza, e sostenendoli con la preghiera e il calore fraterno. Ma il conforto più grande deriva dal fatto che a rendersi presente nel Sacramento è lo stesso Signore Gesù, che ci prende per mano, ci accarezza come faceva con gli ammalati e ci ricorda che ormai gli apparteniamo e che nulla - neppure il male e la morte - potrà mai separarci da Lui. Abbiamo questa abitudine di chiamare il sacerdote perché ai nostri malati – non dico ammalati di influenza, di tre-quattro giorni, ma quando è una malattia seria – e anche ai nostri anziani, venga e dia loro questo Sacramento, questo conforto, questa forza di Gesù per andare avanti? Facciamolo!
Sacramento dell'Ordine Papa Francesco, Udienza generale (26 marzo 2014) Cari fratelli e sorelle, abbiamo già avuto modo di rimarcare che i tre Sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia costituiscono insieme il mistero della «iniziazione cristiana», un unico grande evento di grazia che ci rigenera in Cristo. È questa la vocazione fondamentale che accomuna tutti nella Chiesa, come discepoli del Signore Gesù. Ci sono poi due Sacramenti che corrispondono a due vocazioni specifiche: si tratta dell’Ordine e del Matrimonio. Essi costituiscono due grandi vie attraverso le quali il cristiano può fare della propria vita un dono d’amore, sull’esempio e nel nome di Cristo, e così cooperare all’edificazione della Chiesa. L’Ordine, scandito nei tre gradi di episcopato, presbiterato e diaconato, è il Sacramento che abilita all’esercizio del ministero, affidato dal Signore Gesù agli Apostoli, di pascere il suo gregge, nella potenza del suo Spirito e secondo il suo cuore. Pascere il gregge di Gesù non con la potenza della forza umana o con la propria potenza, ma quella dello Spirito e secondo il suo cuore, il cuore di Gesù che è un cuore di amore. Il sacerdote, il vescovo, il diacono deve pascere il gregge del Signore con amore. Se non lo fa con amore non serve. E in tal senso, i ministri che vengono scelti e consacrati per questo servizio prolungano nel tempo la presenza di Gesù, se lo fanno col potere dello Spirito Santo in nome di Dio e con amore. 1. Un primo aspetto. Coloro che vengono ordinati sono posti a capo della comunità. Sono “A capo” sì, però per Gesù significa porre la propria autorità al servizio, come Lui stesso ha mostrato e ha insegnato ai discepoli con queste parole: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28 // Mc 10,42-45). Un vescovo che non è al servizio della comunità non fa bene; un sacerdote, un prete che non è al servizio della sua comunità non fa bene, sbaglia. 2. Un’altra caratteristica che deriva sempre da questa unione sacramentale con Cristo è l’amore appassionato per la Chiesa. Pensiamo a quel passo della Lettera agli Efesini in cui san Paolo dice che Cristo «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché» (5,25-27). In forza dell’Ordine il ministro dedica tutto se stesso alla propria comunità e la ama con tutto il cuore: è la sua famiglia. Il vescovo, il sacerdote amano la Chiesa nella propria comunità, l’amano fortemente. Come? Come Cristo ama la Chiesa. Lo stesso dirà san Paolo del matrimonio: lo sposo ama sua moglie come Cristo ama la Chiesa. È un mistero grande d’amore: questo del ministero sacerdotale e quello del matrimonio, due Sacramenti che sono la strada per la quale le persone vanno abitualmente al Signore. 3. Un ultimo aspetto. L’apostolo Paolo raccomanda al discepolo Timoteo di non trascurare, anzi, di ravvivare sempre il dono che è in lui. Il dono che gli è stato dato per l’imposizione delle mani (cfr 1 Tm 4,14; 2 Tm 1,6). Quando non si alimenta il ministero, il ministero del vescovo, il ministero del sacerdote con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, e con la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia e anche con una frequentazione del Sacramento della Penitenza, si finisce inevitabilmente per perdere di vista il senso autentico del proprio servizio e la gioia che deriva da una profonda comunione con Gesù. 4. Il vescovo che non prega, il vescovo che non ascolta la Parola di Dio, che non celebra tutti i giorni, che non va a confessarsi regolarmente, e lo stesso il sacerdote che non fa queste cose, alla lunga perdono l’unione con Gesù e diventano di una mediocrità che non fa bene alla Chiesa. Per questo dobbiamo aiutare i vescovi e i sacerdoti a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio che è il pasto quotidiano, a celebrare ogni giorno l’Eucaristia e andare a confessarsi abitualmente. Questo è tanto importante perché riguarda proprio la santificazione dei vescovi e dei sacerdoti. 5. Vorrei finire con una cosa che mi viene in mente: ma come deve fare per diventare sacerdote, dove si vendono gli accessi al sacerdozio? No. Non si vendono. Questa è un’iniziativa che prende il Signore. Il Signore chiama. Chiama ognuno di quelli che Egli vuole diventino sacerdoti. Forse ci sono qui alcuni giovani che hanno sentito nel loro cuore questa chiamata, la voglia di diventare sacerdoti, la voglia di servire gli altri nelle cose che vengono da Dio, la voglia di essere tutta la vita al servizio per catechizzare, battezzare, perdonare, celebrare l’Eucaristia, curare gli ammalati... e tutta la vita così. Se alcuno di voi ha sentito questa cosa nel cuore è Gesù che l’ha messa lì. Curate questo invito e pregate perché cresca e dia frutto in tutta la Chiesa.
Matrimonio Papa Francesco, Udienza generale (2 aprile 2014) Cari fratelli e sorelle, buongiorno. Oggi concludiamo il ciclo di catechesi sui Sacramenti parlando del Matrimonio. Questo Sacramento ci conduce nel cuore del disegno di Dio, che è un disegno di alleanza col suo popolo, con tutti noi, un disegno di comunione. All’inizio del libro della Genesi, il primo libro della Bibbia, a coronamento del racconto della creazione si dice: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò … Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 1,27; 2,24). L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale: l’uomo e la donna; non soltanto l’uomo, non soltanto la donna, ma tutti e due. Questa è l’immagine di Dio: l’amore, l’alleanza di Dio con noi è rappresentata in quell’alleanza fra l’uomo e la donna. E questo è molto bello! Siamo creati per amare, come riflesso di Dio e del suo amore. E nell’unione coniugale l’uomo e la donna realizzano questa vocazione nel segno della reciprocità e della comunione di vita piena e definitiva. 1. Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del Matrimonio, Dio, per così dire, si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amore. Il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio per noi. Anche Dio, infatti, è comunione: le tre Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo vivono da sempre e per sempre in unità perfetta. Ed è proprio questo il mistero del Matrimonio: Dio fa dei due sposi una sola esistenza. La Bibbia usa un’espressione forte e dice «un’unica carne», tanto intima è l’unione tra l’uomo e la donna nel matrimonio. Ed è proprio questo il mistero del matrimonio: l’amore di Dio che si rispecchia nella coppia che decide di vivere insieme. Per questo l’uomo lascia la sua casa, la casa dei suoi genitori e va a vivere con sua moglie e si unisce tanto fortemente a lei che i due diventano – dice la Bibbia – una sola carne. 2. San Paolo, nella Lettera agli Efesini, mette in risalto che negli sposi cristiani si riflette un mistero grande: il rapporto instaurato da Cristo con la Chiesa, un rapporto nuziale (cfr Ef 5,21-33). La Chiesa è la sposa di Cristo. Questo è il rapporto. Questo significa che il Matrimonio risponde a una vocazione specifica e deve essere considerato come una consacrazione (cfr Gaudium et spes, 48; Familiaris consortio, 56). E’ una consacrazione: l’uomo e la donna sono consacrati nel loro amore. Gli sposi infatti, in forza del Sacramento, vengono investiti di una vera e propria missione, perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici, ordinarie, l’amore con cui Cristo ama la sua Chiesa, continuando a donare la vita per lei, nella fedeltà e nel servizio. È davvero un disegno stupendo quello che è insito nel sacramento del Matrimonio! E si attua nella semplicità e anche nella fragilità della condizione umana. Sappiamo bene quante difficoltà e prove conosce la vita di due sposi… L’importante è mantenere vivo il legame con Dio, che è alla base del legame coniugale. E il vero legame è sempre con il Signore. Quando la famiglia prega, il legame si mantiene. Quando lo sposo prega per la sposa e la sposa prega per lo sposo, quel legame diviene forte; uno prega per l’altro. È vero che nella vita matrimoniale ci sono tante difficoltà, tante; che il lavoro, che i soldi non bastano, che i bambini hanno problemi. Tante difficoltà. E tante volte il marito e la moglie diventano un po’ nervosi e litigano fra loro. Litigano, è così, sempre si litiga nel matrimonio, alcune volte volano anche i piatti. Ma non dobbiamo diventare tristi per questo, la condizione umana è così. E il segreto è che l’amore è più forte del momento nel quale si litiga e per questo io consiglio agli sposi sempre: non finire la giornata nella quale avete litigato senza fare la pace. Sempre! E per fare la pace non è necessario chiamare le Nazioni Unite che vengano a casa a fare la pace. E’ sufficiente un piccolo gesto, una carezza, ma ciao! E a domani! E domani si comincia un’altra volta. E questa è la vita, portarla avanti così, portarla avanti con il coraggio di voler viverla insieme. E questo è grande, è bello! E’ una cosa bellissima la vita matrimoniale e dobbiamo custodirla sempre, custodire i figli. Altre volte io ho detto in questa Piazza una cosa che aiuta tanto la vita matrimoniale. Sono tre parole che si devono dire sempre, tre parole che devono essere nella casa: permesso, grazie, scusa. Le tre parole magiche. Permesso: per non essere invadente nella vita dei coniugi. Permesso, ma cosa ti sembra? Permesso, mi permetto. Grazie: ringraziare il coniuge; grazie per quello che hai fatto per me, grazie di questo. Quella bellezza di rendere grazie! E siccome tutti noi sbagliamo, quell’altra parola che è un po’ difficile a dirla, ma bisogna dirla: scusa. Permesso, grazie e scusa. Con queste tre parole, con la preghiera dello sposo per la sposa e viceversa, con fare la pace sempre prima che finisca la giornata, il matrimonio andrà avanti. Le tre parole magiche, la preghiera e fare la pace sempre. Che il Signore vi benedica e pregate per me.
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