La lavatrice e l'emancipazione della donna

Metti il detersivo
chiudi il coperchio e rilassati


di Giulia Galeotti

Cosa nel Novecento ha maggiormente concorso all'emancipazione delle donne occidentali? Il dibattito è acceso. C'è chi dice la pillola, chi la liberalizzazione dell'aborto, chi il lavoro extradomestico. Qualcuno, però, osa maggiormente:  la lavatrice.
Fu un teologo a porre le basi per questa rivoluzione. Nel 1767, infatti, Jacob Christian Schäffern di Ratisbona inventò la prima rudimentale macchina per lavare, perfezionata poi a fine Ottocento nel modello a catino con manovella girevole. Gli inizi del xx secolo videro quindi i primi esemplari elettrici, destinati però all'uso industriale. Una volta tanto, le campagne non erano escluse dal progresso:  anzi, fu proprio lì che tutto prese avvio. Ci si accorse subito dell'enorme utilità di questi macchinari, e così, creatasi la domanda, molte ditte si riconvertirono. Fu il caso della Calor (società svedese che installava impianti di riscaldamento) e della Miele (che a Herzebrock, minuscola cittadina della Westfalia, produceva scrematrici), ditte note ancora oggi. Se le prime lavatrici per uso domestico fecero la loro comparsa negli anni Trenta, fu però necessario attendere il secondo dopoguerra per vederne il boom nel quotidiano. Il momento non fu casuale:  la diffusione, infatti, avvenne in base a un calcolo ben preciso.
Nel tentativo di ricacciare le donne in casa dopo l'esperienza bellica, gli uomini trovarono un potente alleato proprio nella lavapanni (come del resto in tanti altri elettrodomestici). Il messaggio fu martellante:  se sposarsi presto, trovare una sistemazione definitiva nel matrimonio, abbandonando studio e lavoro, era l'unico destino capace di permettere alle donne di realizzare la loro vera natura, tutto ciò - ed è questa la grande novità della modernità - poteva e doveva essere fatto senza sforzo né fatica. Cinema, televisione, giornali, pubblicitari, medici, psicologi e sociologi, tutti rivelarono alle donne la loro piacevole e appagante vocazione. Tutti mostrarono la sublime mistica del poter cambiare "le lenzuola due volte la settimana invece di una", tanto per citarne la massima esperta (e la più tenace critica), e cioè la Betty Friedan del 1963. L'immagine fu quella della super casalinga sorridente, truccata, vestita di tutto punto, radiosa e raggiante tra gli elettrodomestici di casa.
Da principio i macchinari erano ingombrantissimi. Nella sua autobiografia, Lisa Foa racconta:  "La mia prima lavatrice me la mandò mia madre da Torino negli anni Cinquanta quando ancora non ce l'aveva nessuno. Era una lavatrice Fiat, enorme, e quando faceva la centrifuga correva per la stanza". Ben presto, però, la tecnologia mise a punto modelli più stabili, leggeri ed efficienti, fino ad arrivare alla lavatrice bilingue, lanciata dall'Electrolux in India:  nel programma di lavaggio, infatti, la Washy talky fornisce sia in inglese che in indi preziosi indicazioni (come "metti il detersivo, chiudi il coperchio e rilassati!").
Alla loro salvatrice, le donne non hanno lesinato lodi. Un recente tributo è venuto dalla musica. Quando, dopo più di un decennio di silenzio, l'inconfondibile voce di Kate Bush è tornata a cantare, il cd Aerial (2005) conteneva una canzone, Mrs. Bartolozzi, dedicata proprio alla lavatrice. Persa tra i suoi pensieri, la casalinga protagonista si lancia in considerazioni esistenziali e filosofiche mentre guarda i panni che girano nel cestello. Il brano è espressione della nuova poetica della (allora) quarantottenne cantautrice inglese:  la pluriennale pausa di riflessione lontana dalle scene le ha permesso infatti di riacquistare un sano rapporto con la quotidianità, ricchissima di spunti d'ispirazione.
In realtà però, Kate Bush s'è svegliata tardi. La casalinga che fa il bucato nella solitudine domestica pare ormai un'immagine vecchia, stantia e sessista. O almeno così ci dicono industriali, pubblicitari ed esperti di costume. Il designer spagnolo Pep Torres (per esempio) s'è messo a capo di un'autentica crociata antidiscriminazione sessuale (chi manda la lavatrice, il maschio?), creando il primo elettrodomestico al mondo che si attiva soltanto se il lavoro viene suddiviso fra tutti i membri della casa. La lavapanni, infatti, eloquentemente battezzata Your turn, è dotata di uno scanner che identifica le impronte digitali dell'utilizzatore:  se viene accesa per due volte consecutive dalla stessa persona, semplicemente si rifiuta di fare il bucato.
Oltre che emancipare le donne, le lavatrici hanno fatto di più:  uscendo di casa e insediandosi nei locali alla moda hanno emancipato loro stesse. Alle pubbliche lavanderie che da oltre trent'anni vanno incontro ai bisogni delle fasce più povere della popolazione americana, si stanno infatti affiancando un po' ovunque esercizi di lavaggio integrati con bar o ristoranti (da San Francisco ad Amburgo, da Miami Beach a Parigi, da Berlino a Londra). Cappuccini, aperitivi, cocktail, cene, collegamenti a internet e televisori al plasma fanno del bucato un momento di socializzazione, intrattenimento e seduzione (apripista, qui, il clip anni Ottanta con un indimenticabile Nick Kamen, e i suoi jeans).
Nessuna novità, sia chiaro:  il bucato collettivo è, infatti, un ritorno all'antico. Se nell'Ippolito di Euripide è alla fonte dove si sono recate a fare il bucato che le donne di Trezene vengono a conoscenza della malattia di Fedra (che scatenerà il dramma), già nell'Odissea il bucato aveva permesso a Nausicaa, intenta con le sue ancelle a lavare i panni sulle rive del fiume, di incontrare "il ricco di espedienti" Ulisse. Persa poi la memoria di figlie di re alle prese con faticosi lavaggi, nei secoli l'operazione ha continuato a essere per tante donne occasione di chiacchiere, conoscenze e canti, come ci dice l'oleografia tradizionale.
Oggi però questo ritorno al passato è condito con indelebili tracce di modernità. Completamente assente la fatica e superata una scena solo femminile, "lavare i panni sporchi in famiglia" è ormai, almeno nel mondo occidentale, una frase preistorica. Fare il bucato è trendy solo se diviene un fenomeno collettivo. E cos'altro potrebbe essere in un contesto in cui la famiglia viene sempre più centrifugata?



(©L'Osservatore Romano 8 marzo 2009)
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