Tra la bufera della guerra e le difficoltà della ricostruzione

L'ombrello di Pio XII sull'università di padre Gemelli


All'Università Cattolica del Sacro Cuore è in corso il convegno organizzato nel cinquantesimo anniversario della morte di padre Agostino Gemelli. Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni.

di Andrea Riccardi

Padre Agostino Gemelli è un personaggio incontournable per ricostruire la storia del Novecento, ma anche di una tale complessità da sfuggire alle definizioni. Pio XI fu il suo Papa:  basta ripercorrere la vicenda dell'Università, ricordare il rapporto personale, sottolineare il ruolo del francescano nella Pontificia Accademia delle Scienze. Pio XI, tra l'altro, fu il Papa che aveva dispensato il giuramento antimodernista e la professione di fede per docenti e studenti. Alla Cattolica, come all'Accademia, potevano esserci quindi anche non cattolici. Pio XII non ritenne opportuno continuare su questa linea per l'Università. C'è una consonanza ecclesiale, non solo nel progetto di fondo, ma anche nello stile di governo tra il Papa e il singolare francescano. Il forte governo ambrosiano di Papa Ratti affascinò molti:  dall'erudito cardinale Eugène Tisserant al futuro cardinale Léon-Etienne Duval. Pio XI crea un episcopato italiano sul modello ambrosiano, come si vede dalle nomine di Francesco Marchetti Selvaggiani a Roma, di Marcello Mimmi a Bari, di Elia Dalla Costa a Firenze. Il tenace e deciso rettore ben si ritrovava in questo modo di operare.
Pio XII, alla sua elezione, trovò l'Università Cattolica del Sacro Cuore come una fortezza, per così dire, in quel Nord che avrebbe passato tempi duri:  una centrale educativa e di pensiero che coniugava progetto ecclesiale e cultura. Era un antemurale che non solo difendeva, ma consentiva un avanzamento dei cattolici nella cultura, nell'amministrazione, nelle professioni. Era uno strumento, tra i più importanti, del cattolicesimo italiano. Ma c'era la guerra e l'emergenza era altra. Mai più l'orizzonte italiano sarebbe stato simile a quello in cui era sorta l'università. In questo tempo delicato, il padre sente il bisogno di consultarsi con il Papa.
Non è una novità, perché il Papa è stato il suo costante interlocutore. La sua opera è cattolica, ma anche papale:  "dell'Università e del suo indirizzo può disporre solo il Pontefice romano:  la sua parola santa deve essere ascoltata e attuata, anche quando non se ne vedono le ragioni" - scrive nel testamento del 1954. Questo carattere papale è obbligo per chi vi lavora - aggiunge. Il francescano interpreta un carattere del cattolicesimo italiano:  essere papale. Non riguarda solo il popolo, ma anche la cultura alta. Gemelli lo afferma in una Milano, che talvolta sente una distanza da Roma. Ma, per i cattolici, non deve esserci distanza dalla Roma del Papa. Con la Cattolica, la prossimità al Papa è quella di professionisti e di gente di cultura.
Pulsa in questo anche una qualche tradizione francescana che non teme di misurarsi con le vie del secolo, anche se si tratta qui dell'università. Seppure, consapevole dell'atipicità della sua vita, padre Gemelli dichiara la sua francescanità:  "non sono stato un frate esemplare" - ammette. Ma soggiunge:  "ho molto amato il comune padre San Francesco". Non può essere trascurato questo tessuto francescano, che non esprime progetti organici, ma che ha una sua forza ispiratrice. È anche la francescanità della provincia lombarda, origine di personalità intraprendenti nel Novecento, non solo in Lombardia, ma anche all'estero e in missione .
Come può Pio XII, estraneo a questo mondo ma che ben conosce Gemelli, prescindere da questa fortezza culturale e ecclesiale, saldo presidio culturale e religioso verso il Nord, in quella Milano delle res novae, che tante novità aveva prodotto, dal socialismo allo sviluppo economico e capitalista, sino al fascismo? Questa creatura singolare, istituzione universitaria e cenacolo carismatico delle pluriformi iniziative del frate, aveva un suo particolare profilo. Il rapporto con il Papa, non solo con Pio XI, era decisivo. Pio XII deve prendersi le sue responsabilità verso questa creatura. Lo si vede dalle lettere che il rettore scrive al Papa, devoto, chiaro, diretto. Accompagnando l'invio dell'Annuario - il diciannovesimo - dell'Università, Gemelli dice:  "l'Università dei cattolici italiani educa numerosi giovani ad amare, a servire, ad obbedire il Papa, così che questi giovani sono pronti a far conoscere l'insegnamento e la parola del Papa illustrandola con l'esempio di una vita cristiana". La vicinanza al Papa è una delle ragioni del successo dell'Università:  "confrontando l'Ateneo nostro con gli altri Atenei cattolici e con gli altri Atenei dello Stato italiano, mi convinco che il fatto che l'Ateneo(...) vive vicino al Papa ed è diventato(...) la "casa ospitale del Padre comune" dà ragione del risultato".
Il carattere papale dell'Università richiede un rapporto tra il carismatico fondatore e il Papa. Con Pio XI, il rapporto è stato intenso e personale. Ma con Pio XII? Papa Pacelli non aveva la storia del predecessore con Gemelli. Dovette sembrare più freddo, distante. C'è una lettera all'arcivescovo Montini dell'aprile 1955, a seguito di un'udienza molto cordiale, in cui il fondatore della Cattolica apre il suo animo: 
"Da molti anni manco di un aiuto spirituale e di una parola direttiva, come Lei sta facendo da che è divenuto nostro amatissimo Arcivescovo; da molti anni, ossia da che è mancato Pio XI di s.m., le sole parole di aiuto e di consiglio sono state quelle che Lei mi ha dato quando mi riceveva come Sostituto".
Gli anni di Pio XII non sono solo un periodo in cui padre Gemelli è un po' orfano del suo Pio XI, ma anche di crescita del rapporto con il sostituto Montini, destinato a divenire arcivescovo di Milano. Così dopo la nomina, il francescano gli scrive una lettera in cui rievoca la confidenza con Achille Ratti e con padre Mariano Cordovani - morto nel 1950 - grande amico di Montini, che non condivideva il riconoscimento fascista all'Università. Gemelli spiega che fu Pio XI a volerlo. Non si tratta solo di espressioni di cortesia, ma di un rapporto autentico. Infatti Montini era stato interlocutore del padre durante il periodo difficile della guerra.
Pio XII e la Segreteria di Stato erano preoccupati per la sorte dell'Università nella bufera della guerra. Specie dopo il 1943 e a seguito della liberazione di Roma, nel giugno 1944, le comunicazioni non sono semplici. Il rettore scrive al cardinale Ildefonso Schuster di essere investito di "straordinarie facoltà". Da Roma la direttiva è far funzionare l'Università. Il rettore scrive al sostituto Montini, suo abituale interlocutore, oltre la congregazione dei seminari, presieduta dal cardinale Giuseppe Pizzardo coadiuvato da monsignor Ernesto Ruffini. Bisogna dire che con Pizzardo l'intesa è meno immediata e il rettore lamenta che questi raccomandi il Maria Assunta e non la Cattolica per l'istruzione delle suore.
Gemelli vuole il rapporto con Pio XII e la sua benedizione. La richiesta non è retorica:  "la benedizione per me chiedo anche per la salute:  i patemi d'animo per cause diverse hanno esercitato una non buona influenza sul cuore". Le numerose lettere a Pio XII sono in buona parte ufficiali, ma non mancano testi rivelatori di come padre Agostino ponga i problemi al Papa con immediatezza. Ad esempio, nel 1955, ringrazia per essere stato ricevuto ancora una volta:  aggiunge che ha visto Antonio Segni e gli ha manifestato le preoccupazioni del Papa - sulla situazione politica. Conclude:  "mi ha recato pena quello che Vostra Santità mi ha detto della Sua preziosa salute". Non importa chi sia il Papa. La Cattolica va al di là delle dimensioni della diocesi ambrosiana guidata da quel cardinale Schuster che era - come nota l'indimenticabile Giorgio Rumi - quasi legato papale nel Nord.
Nel difficile 1943, Gemelli chiede direttamente un'udienza a Pio XII, scrivendo che può restare a Roma solo cinque giorni:  "Dopo la terribile prova - scrive - ho bisogno vivo della parola illuminatrice e delle direttive di Vostra Santità". Il viaggio a Roma del 1943 è di particolare importanza non solo per l'udienza del Papa, ma per lo stringersi del contatto con il sostituto e per l'intesa con Alcide De Gasperi. Il rettore si stava interrogando sulle responsabilità dei cattolici nel vuoto aperto dal regime. Attento ascoltatore del magistero dei Papi, si era accorto della svolta realizzata sul tema della democrazia da parte di Pio XII. Aveva studiato e fatto commentare i radiomessaggi della guerra. Aveva percepito novità teoriche e prospettive politiche. Nell'aprile 1943, aveva presentato al Papa alcune questioni sui radiomessaggi, in particolare sulla separazione dei poteri, la necessaria partecipazione dei cittadini al potere legislativo, il contenuto e il metodo della crociata sociale voluta dal Papa. Un mese dopo, il rettore ricevette da Roma risposte succinte e poco impegnative.
Erano i momenti in cui l'idea della Democrazia cristiana, coltivata da De Gasperi, non era ancora la realtà del partito della Chiesa, per usare le parole di Pietro Scoppola - che resta un grande studioso di questa stagione.
De Gasperi era appoggiato dal sostituto, ma non da tutti a Roma, tra cui Pizzardo. Monsignor Domenico Tardini aveva fatto il suo nome in una memoria sul futuro dell'Italia, per gli americani; ma non vedeva con favore la nascita di un partito cattolico legato alla Chiesa. Il Papa esitava. Si vede la qualità dell'azione di monsignor Montini, come ha notato Agostino Giovagnoli, intesa a ricomporre le varietà del cattolicesimo italiano.
Gemelli, in questo frangente, giocò un ruolo presso Pio XII, come mostra il memoriale inviato a lui, che ricalca in parte un testo trovato nelle carte De Gasperi, probabilmente fornitogli da quest'ultimo. Un intervento del rettore a favore della Dc era autorevole presso Pio XII, perché ben conosciuto e estraneo al popolarismo antifascista. Veniva, insomma, da tutt'altra parte rispetto a De Gasperi o a Montini - che proprio in quegli anni la polizia fascista accusava di essere alla testa di una rete antifascista nel clero. In Vaticano si conosceva bene la storia critica di Gemelli con Luigi Sturzo e la sua politica - anche se nel dopoguerra il frate riprende il rapporto con Sturzo e gli chiede testi per le riviste della Cattolica.
La proposta politica di De Gasperi, per utilizzare l'espressione di Scoppola, si distingueva da quella di Sturzo nel 1919. Per lui, la Dc avrebbe dovuto divenire il partito unico dei cattolici, riferendosi all'insegnamento e all'autorità della Chiesa. La Dc non era il partito popolare di Sturzo. È quanto il rettore scrive al Papa. Si tratta di un testo di grande interesse, rivelatore dell'autorità di cui Gemelli si sentiva rivestito, ma anche di una visione lucida. È necessaria l'unità politica dei cattolici in un partito. Tale partito potrà fronteggiare l'antifascismo, che rischia di accusare la Chiesa di compromesso con il passato regime. I Patti Lateranensi potrebbero essere messi in discussione. A fronte del pluralismo di visioni tra i cattolici, l'unità politica è necessaria per Gemelli. Il quale sommessamente aggiunge "presenta maggiore numero di consensi e offre le forze più preparate, è quello che si intitola Democrazia Cristiana". Così il rettore, noto per la prossimità al fascismo fino a poco prima, sostiene la composizione dei cattolici in un unico partito, secondo il disegno di Montini e De Gasperi.
La domanda sulla coerenza politica di Gemelli è stata più volte posta. La sua non è una logica politica. La sua passione religiosa e culturale aveva inteso servirsi della politica per la Chiesa e l'Università. Nel 1943, pur imbarazzato dal passato politico, coglie un nuovo scenario per i cattolici. Scrive in questa delicata fase:  "non è tanto importante il passato quanto il futuro, ossia l'esecuzione del proprio dovere". È interessante come Giulio Andreotti, considerato da Giuseppe Dossetti, e da altri discepoli di Gemelli, un personaggio romano pronto facilmente a mediare, abbia definito così Gemelli:  "machiavellismo cattolico, del fine giustifica i mezzi, sia pure applicato con le migliori intenzioni". Per Andreotti, Dossetti era segnato dalla mentalità dell'Università Cattolica e di Gemelli. Risulta significativo confrontare il realismo romano di Andreotti con il realismo milanese di Gemelli. La loro stessa comprensione della romanità è differente. Nel 1943, però, quando il giovane romano era ancora incerto se fare una tesi sulla marina pontificia, il magnifico rettore entra con tutta la sua forza a sostegno del progetto politico di De Gasperi, ancora non affermatosi in Curia romana.
Ma c'è di più:  il rettore, diverso per storia e sentire ecclesiale e politico da Montini, con il suo peso di personalità tutt'altro che antifascista, opera per il disegno che il sostituto andava intessendo per il dopoguerra e per l'inserzione dei cattolici nella vita democratica. Non solo, ma padre Gemelli - nel 1944 - chiede al Papa una parola per sfatare un "sofisma" diffuso tra cattolici, specie giovani, affascinati dal comunismo:  la distinzione tra l'ateismo del comunismo e la via economica, che sarebbe legittima. In questo stesso periodo Andreotti invita Pio XII a soprassedere a ogni condanna, perché i cattolici comunisti sono ricercati dai tedeschi. Solo più tardi De Gasperi ottenne la condanna della sparuta formazione cattolico-comunista, che legittimava però con la sua esistenza il pluralismo partitico dei cattolici.
Nella delicata transizione della guerra, il rettore trova nel sostituto l'interlocutore romano più disponibile. Del resto è lui che ha la responsabilità delle questioni italiane in Vaticano. Gemelli affida a fra' Carlo da Milano il contatto con Roma. Bisognava chiudere la Cattolica? La risposta di Roma - Pio XII e Montini - è "vivere in modo ridotto, nella legalità, senza far chiasso, cercando di passare quasi inosservata, senza sbandieramenti di nuovi programmi, evitando ogni riconoscimento di diritto del Governo illegale, e limitandosi a servirsi di esso nelle necessità di fatto". Altri passi erano impossibili, "perché l'Università è dipendente dalla Santa Sede". "Vivere ignorando e facendosi ignorare" consente alla Cattolica di essere spazio per le attività educative, ma anche luogo di solidarietà a ebrei, clandestini e ricercati - non aveva Pio XII parlato di solidarietà ai randagi proprio nel 1943? - :  è lo spazio di alterità, che il Papa aveva assegnato alla Chiesa - specie a Roma - nel passaggio del conflitto, solidale con la gente, prudente ma non timorosa di infrangere la sedicente legalità.
Il concetto originario di dipendenza dalla Santa Sede, tra 1943 e 1945, è ampliato:  l'ombrello vaticano si stende sull'ateneo. Nel maggio 1944, il rettore chiede a Montini un documento che attesti che gli edifici universitari sono di proprietà vaticana e non possono essere requisiti. La formulazione echeggia il cartello distribuito a Roma, agli edifici ecclesiastici, durante l'occupazione tedesca. Gemelli lo aveva avuto per l'Apostolico Istituto del Sacro Cuore a firma dell'ambasciatore tedesco. In questa circostanza lo vuole con la firma degli Alleati.
Gemelli informa il sostituto che il Comitato di Liberazione Nazionale ha tentato di modificare il governo dell'Università. La permanenza del rettore, noto per le posizioni per il regime, appariva delicata. Lui stesso dichiara di aver resistito alle pressioni politiche. Domanda ancora:  "Se io potessi avere un documento della Segreteria di Stato, in cui si dichiari che l'Università Cattolica dipende dalla Santa Sede e che non possono essere modificati gli organi di governo e non possono essere modificate le norme statutarie senza il previo assenso della Santa Sede". Gemelli freme di venire a Roma:  "Abbiamo sofferto molto" - scrive a Pio XII nel maggio 1945.
Da Roma la protezione si stende subito sul rettore. Il 10 maggio 1945 partono da Roma i certificati di salvaguardia dell'Università, richiesti da Gemelli. Montini invia due missive di grande stima:  "non posso non benedire ancora una volta il Signore dei frutti di bene che vengono all'Italia nostra da codesto provvido focolare di "salute pubblica", intellettuale e morale". Intanto assicura vicinanza nel "dubbio clima dei nuovi tempi". Il Papa decide di respingere la linea epurativa. La Chiesa non può essere giudicata dai nuovi governanti. Lo si contesta a Charles de Gaulle in Francia, ci si immagini in Italia! "La Civiltà Cattolica" contesta le basi giuridiche dell'epurazione. Si figuri quanto questa tocca alla Chiesa. Ferruccio Parri allude al cardinale Schuster e al suo filofascismo, ma riceve una severa replica da Pio XII.
Le difficoltà del rettore con gli Alleati lo costrinsero a una pausa di silenzio, consigliatagli dalla Santa Sede:  "Un nuovo energico intervento di Sua Santità ha risolto la mia questione (...) Di questo risultato debbo essere grato esclusivamente a Pio XII" - scrive a monsignor Bernareggi nell'ottobre 1945. Al conte Giuseppe Dalla Torre parla di "posizione veramente risoluta presa dal Santo Padre". Pio XII, con il suo intervento, consente che il rettore rientri in carica. Del resto non si dimentichi che è pure una personalità del Vaticano, come segretario dell'Accademia. Il frate è toccato dalla difesa del Papa. È un pratico però, e subito nota che le ultime sofferenze hanno dato un risultato:  riconoscere quel che il fascismo non voleva, cioè "la perfetta dipendenza dalla Santa Sede e il diritto della Santa Sede di governare l'Università" .



(©L'Osservatore Romano 29 aprile 2009)
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