Persona, società e bene comune nella «lectio magistralis» del cardinale segretario di Stato all'Università di Lublino

Essere per gli altri
per esistere con gli altri


di Raffaele Alessandrini

"L'esistenza per gli altri è l'unica via che conduce all'esistenza con gli altri". Con questa citazione del teologo tedesco Jurgen Moltmann, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha concluso la sua lectio magistralis su "La prospettiva cristiana del bene della persona e della società", tenuta giovedì 3o aprile in Polonia, all'Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino ove, per l'occasione, al porporato è stato conferito il dottorato honoris causa in diritto civile, canonico e amministrativo.
Il cardinale si è anzitutto soffermato sui fondamenti che regolano la vita e gli equilibri di una società civile ove i rapporti tra gli uomini hanno corretto svolgimento solo nel rispetto delle libertà individuali orientate verso la giustizia.
Quando però "mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non vengono equamente applicate - ha detto il cardinale Bertone - la forza tende a prevalere sulla giustizia, l'arbitrio sul diritto, e la libertà viene messa a rischio fino a scomparire. La legalità, ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce perciò una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. Ma le leggi devono corrispondere all'ordine morale, poiché se il loro fondamento immediato è dato dall'autorità legittima che le emana, la loro giustificazione più profonda viene dalla loro corrispondenza alla natura umana e alla stessa dignità della persona, creata da Dio".
Ora i concetti di natura, di legge e di diritto naturali hanno necessariamente bisogno di una teologia della creazione. Infatti "senza un adeguato concetto di creazione si può facilmente giungere all'idea che la ragione, lungi dal riscontrare nella natura umana indicazioni idonee per comprendere il progetto del Creatore, la veda piuttosto come un semplice oggetto di manipolazione fisica, biologica, culturale e sociale". Con la negazione del progetto divino si smarrisce la verità. Tutto allora diventa relativo:  l'uomo, la famiglia, l'amore, la società, l'etica, la religione, e via dicendo. E quando s'impone il relativismo "la coscienza resta senza un punto di riferimento sicuro, perché se la condizione umana può essere radicalmente cambiata, anche il suo bene - il bene umano - può subire mutamenti profondi.
In realtà - sottolinea il cardinale - cambiamenti di tal genere non sono ipotizzabili, perché non l'uomo, ma Dio è all'origine della natura umana. Il bene umano, pertanto, come la stessa condizione umana, non è oggetto di scelta, ma di doveroso riconoscimento e di coerente attuazione. Per questo la Rivelazione parla di una derivazione dell'autorità da Dio e, di conseguenza, del valore e del limite delle leggi umane". In varie parti del mondo, purtroppo, osserva il cardinale Bertone, ancora oggi le ragioni del più forte e la violenza fisica continuano a prevalere:  se negli stati di diritto per fortuna questo non è più consentito, non si può tuttavia non constatare che, grazie soprattutto all'influenza dei media, si va diffondendo la cultura che considera normale la prevaricazione del più intelligente, del più organizzato, del più informato e del più ricco, a danno dei più deboli e sprovveduti.
"Per questo una legge umana talora deve essere contestata, se contraddice il suo fondamento ultimo". Il concetto stesso di legalità si fonda sulla moralità dell'uomo. Solo nel rispetto di precise condizioni il desiderio di giustizia e di pace proprio di ogni uomo potrà trovare appagamento, e gli uomini da "sudditi" si trasformeranno in veri e propri "cittadini". Resta attuale dunque, come ricorda il cardinale Bertone, l'ammonimento di Charles Péguy:  "La democrazia o sarà morale o non sarà democrazia".
Ai nostri giorni in più parti, al punto che taluno può consideralo un "segno dei tempi", osserva il segretario di Stato, si avverte sempre di più il bisogno dell'ordine morale e il rifiuto della disonestà. Si fa strada, tra la gente, una sete di giustizia che sorge in primo luogo dal disgusto per la disonestà tollerata o persino condivisa e le cui dimensioni, quando di colpo vengono rivelate, sgomentano.
La stessa attuale crisi economica è una palese dimostrazione di quelle che Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Sollicitudo rei socialis aveva chiamato "strutture di peccato" che producono solo frutti velenosi. Strutture di peccato che egli descriveva come nate dal consolidarsi, nelle persone e anche nelle nazioni, "della brama esclusiva del profitto e della sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà(...) "a qualsiasi prezzo"". Frutto del cristallizzarsi di alleanze e aggregazioni di interesse, ricorda il cardinale Bertone, nelle cui decisioni "apparentemente ispirate solo dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria:  del denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia" (n. 37). Queste "strutture di peccato" hanno prodotto quella ideologia del mercato senza regole che è arrivata ad oscurare le menti e inaridire i cuori di persone professionalmente molto valide, strapagate proprio per il loro ingegno, privandole di quel "buon senso del padre di famiglia", che le leggi presuppongono debba orientare ogni amministratore di società.
Ma al di là degli enunciati verbali di principio questo recupero di valori è sempre davvero in atto?
L'attuazione della legalità non si esaurisce in formule astratte, ma esige un cammino operoso ed esigente. A tal proposito il cardinale Bertone segnala alcuni rischi che potrebbero - e possono - inquinare o rendere meno feconda tale volontà di recupero etico e sociale.
Bisogna anzitutto distinguere, egli dice, la giustizia dalla legalità. "Osservare le leggi è il primo gradino - elementare ed indispensabile - per la civile convivenza; osservare il codice penale è il minimo dei minimi - ricorda il porporato. Ma la giustizia è altra cosa. Di fronte alla coscienza etica, la parola "corruzione" abbraccia molte più situazioni che quelle sanzionate dal precetto penale. Corruzione della vita è anche l'infedeltà al proprio dovere. L'autentica giustizia coincide con l'autentica moralità. E la giustizia, a sua volta, si rivela impotente se è sganciata dalla carità:  sua vera ragion d'essere. Qui, proprio nell'ottica della carità, la visione cristiana ci rivela che la giustizia è la virtù morale che ci fa rispettare la persona del nostro fratello in Cristo. L'altro non è dunque uno sconosciuto individuo, ma una persona inseparabile dall'unica famiglia umana. Il concilio Vaticano ii e il magistero pontificio insistono su questi aspetti illuminando il rapporto vigente tra carità, giustizia e politica.
Valori irrinunciabili se si vuole instaurare nella società l'autentico bene comune. È per questo, ricorda il cardinale segretario Stato, che anche Papa Benedetto XVI auspica un'azione di tutti per "fronteggiare le grandi sfide attuali, rappresentate dalle guerre e dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dalla estrema povertà di tanti esseri umani, da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell'educazione" (Discorso di Benedetto XVI al presidente della Repubblica Italiana, 20 novembre 2006). Se ciò fosse maggiormente compreso, anche dagli stessi cattolici, verrebbero meno le ricorrenti e pretestuose accuse di ingerenza che spesso oggi vengono accampate, quando i Pastori della Chiesa ricordano ai fedeli, e a tutti gli uomini di buona volontà, quei "valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione" (ibidem). Come dice il Papa nell'enciclica Deus caritas est, "la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare" (n. 28).
Un altro contributo cristiano alla visione di una società attenta al bene comune il cardinale Bertone lo coglie nel principio di sussidiarietà per il quale lo Stato non può regolare e dominare tutto ciò che occorre, ma sappia essere attento alle iniziative sociali che nascono da diversi ambiti unendo spontaneità e vicinanza alle persone bisognose di aiuto. Anche la Chiesa, è una di queste forze vive.
Serve dunque uno Stato "leggero" che lasci spazio all'iniziativa locale, aiutandola a favorire i servizi alla comunità che può e vuole dare. Molte esperienze concrete indicano la realizzabilità di una alleanza fra Stato e cittadini per fornire servizi sociali senza affidarli tutti a grandi strutture sociali, facendo invece leva sulla propensione dell'essere umano a praticare nel proprio ambito, attorno alla propria famiglia quella cultura della carità, della fraternità, della prossimità che è propria della famiglia sana. Si pensi ad esempio al grande mondo del volontariato.
Al contrario uno Stato che volesse assorbire tutto in se stesso privando anche il soggetto sofferente di ciò di cui ogni uomo ha bisogno:  l'amorevole dedizione personale, fino a giudicare superflue le opere di carità, come ricorda anche Papa Benedetto XVI "nasconde una concezione materialistica dell'uomo". Qui la carità ha anche la funzione di smascherare quei progetti politici che con la pretesa di edificare una società giusta in realtà opprimono l'uomo.
Solo l'esistenza con gli altri è la nuova forma della vita redenta e liberata. Impegnare la propria vita "per la carità nella gratuità, per la giustizia, la legalità e la moralità - in una parola per il bene della persona e della società - è del resto per i cristiani una autentica via alla santità.



(©L'Osservatore Romano 1 maggio 2009)
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