Duecento anni fa la presa del Quirinale e la deportazione napoleonica di Papa Pio VII

Il prigioniero
dell'imperatore


di Claudio Ceresa

Dopo l'incoronazione imperiale di Napoleone, avvenuta nel 1804 a Parigi alla presenza del Papa Pio VII, al secolo Barnaba Chiaramonti, i rapporti tra il Pontefice ed il capo dello Stato francese divennero difficili, anche per il fatto che vescovo di Roma non volle appoggiare il blocco continentale contro l'Inghilterra e si oppose alle ingerenze statali nella sfera religiosa.
Il 17 maggio 1809, furono annessi all'impero transalpino Roma e gli altri dominii del Papa, che erano ormai costituiti soltanto dal Lazio e dall'Umbria; infatti, le Romagne e i territori marchigiani erano stati incorporati nel Regno italico, del quale il Bonaparte era sovrano. Del resto, l'urbe era occupata, dal febbraio 1808, dalle truppe napoleoniche, agli ordini del generale Sextius Alexandre François de Miollis.
Quando, nel giugno 1809, pervenne notizia a Roma dei decreti del precedente 17 maggio, fu innalzata su Castel Sant'Angelo la bandiera tricolore di Francia, e i documenti relativi all'annessione vennero resi pubblici, e letti nelle strade. Pio VII scomunicò gli usurpatori, e i fautori, consiglieri, aderenti, esecutori, della violazione dei diritti della Chiesa e della Santa Sede. La relativa bolla venne affissa nella città, a cura di sudditi fedeli al Papa.
In una lettera del 20 giugno di Napoleone al re di Napoli Gioacchino Murat, suo cognato, era contenuta l'autorizzazione, se necessario, all'arresto del Papa. In Roma, la situazione non era tranquilla, e gli ufficiali napoleonici temevano una sommossa, che avrebbe potuto essere imputata a loro incapacità o mancanza di zelo. Inoltre, gli effettivi dell'esercito occupante non erano molto numerosi, anche se il contingente era stato rinforzato da un drappello di quattrocento gendarmi a cavallo, agli ordini del generale Étienne Radet.
Si decise allora di penetrare, eventualmente con la forza, nel Quirinale, dove risiedeva il Papa.
La sera del 5 luglio 1809 il palazzo venne circondato da ogni parte, e picchetti di cavalleria circolarono per le strade attigue. L'incarico di dirigere le operazioni era stato affidato al generale Radet; il Miollis seguì le operazioni da un posto di osservazione di fronte alla reggia. Secondo i piani, si doveva entrare da più parti; con il generale francese erano circa centocinquanta soldati transalpini, divisi in tre squadre, e una sessantina di romani.
Un testimone di quei giorni, l'abate Luca Antonio Benedetti, fornisce un elenco di quanti aiutarono le truppe straniere; in tale lista si ritrovano alcuni nobili e avvocati, qualche ecclesiastico, e diversi artigiani e commercianti:  pizzicagnoli, abbacchiari, chiavari, stagnari. Alcuni assalitori provenivano da località del Lazio:  Rieti, Poggio Mirteto, Salisano, Alatri, Frosinone, Sant'Oreste, Ceccano.
Dal posto di osservazione del generale Miollis, venne dato il segnale per l'inizio delle operazioni; era stato assicurato che qualche addetto al palazzo avrebbe aperto, ma non fu così. Si tentò allora la scalata, ma quelli che provarono dal muro del luogo detto "la Panetteria" non riuscirono, in quanto non disponevano di scale abbastanza alte. Furono allora chiamati due "festaroli", cioè due artigiani che provvedevano all'organizzazione delle festività:  essi disponevano, infatti, delle alte scale di legno che si usavano per parare le chiese nelle solenni ricorrenze liturgiche. Gli strumenti per l'ascesa furono approntati e alzati, ma vennero incontrate notevoli difficoltà; un popolano che tentò di salire, soprannominato "il Muletto", cadde, e si ruppe una gamba.
Riuscì a entrare con maggiore facilità, da una finestra bassa di fronte alla chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, il generale Radet, con alcuni dei suoi soldati; l'ufficiale si trovò nei giardini, e raggiunse la base dello scalone. Erano usciti nel frattempo guardiani e domestici del palazzo, i quali, però, non opposero resistenza, anche perché sopraffatti dal numero; infatti, gli assalitori erano ormai entrati anche dagli altri punti d'accesso. Un servitore fedele suonò la campana, ma fu arrestato quasi subito.
Il Radet fece abbattere numerose porte a colpi di accetta, e in un'anticamera trovò un drappello di guardie svizzere, con il comandante Karl Leodegar Pfyffer von Altishofen; anch'esse, in obbedienza agli ordini che erano stati loro impartiti, deposero le armi. L'ufficiale francese giunse così nella stanza dove si trovava il Papa, che era vestito con l'abito bianco, la mozzetta di seta rossa e la stola dorata. Erano con lui alcuni cardinali, tra i quali il pro-segretario di Stato Bartolomeo Pacca.
Il Radet accennò con emozione e imbarazzo all'incarico che era in procinto di eseguire; chiese poi al Pontefice, da parte dell'imperatore, di rinunziare alla sovranità temporale della città di Roma e dello Stato romano. Qualora il Papa avesse rifiutato, sarebbe stato condotto dal generale Miollis, che gli avrebbe indicato il luogo della sua destinazione.
Pio VII prese lo spunto dalle parole del suo interlocutore, che aveva ricordato il giuramento di obbedienza da lui prestato al sovrano, e lo invitò a considerare in quale modo e con quale fedeltà il Vicario di Cristo era impegnato a sostenere i diritti della Santa Sede. Il Papa precisò di essere solo l'amministratore del dominio temporale, che non apparteneva a lui, ma alla Chiesa romana. Aggiunse che non si aspettava tale trattamento dall'imperatore, e Radet ammise che Napoleone i aveva molti motivi di riconoscenza per il vescovo di Roma.
Il Pontefice chiese se doveva lasciare il Quirinale da solo, e il generale francese rispose che poteva essere accompagnato dal pro-segretario di Stato.
Pio VII indossò il cappello e il mantello rosso, e, con il cardinale Pacca, uscì quasi subito dal palazzo, passando per le stanze le cui porte erano state abbattute; il Papa e il porporato entrarono in una piccola carrozza chiusa, che fu subito circondata da un picchetto di gendarmeria a cavallo. Nessuno dei due illustri viaggiatori aveva preso denaro; pare avessero con sé, in totale, soltanto una lira e settantacinque centesimi. Il generale Radet e un maresciallo d'alloggio presero posto all'esterno della vettura.
Il convoglio uscì da porta del Popolo, e si diresse verso la Toscana. Papa Chiaramonti non mancò di far presente al comandante francese che lo si stava conducendo non dal generale Miollis, come gli era stato detto, ma direttamente fuori Roma.
A Radicofani il Papa fu raggiunto da alcune persone del suo seguito; le mete del viaggio furono dapprima Firenze, e poi Genova e Grenoble; ben presto il Pontefice fu separato dal cardinale Pacca, il quale venne recluso, per oltre tre anni, nella fortezza piemontese di Fenestrelle.
Pio VII rimase a Grenoble dal 21 luglio al 1° agosto; da lì, passando per Valenza, Avignone, Aix, Nizza e Mondovì, fu condotto a Savona, dove risiedette per quasi un triennio. Nella primavera del 1812, fu trasferito a Fontainebleau; solo nel maggio 1814 il vescovo di Roma poté rientrare nella sua diocesi.



(©L'Osservatore Romano 17 maggio 2009)
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