Grazie al laser è apparso l'inatteso


di Barbara Mazzei

Alcuni giorni fa, sotto una spessa concrezione calcarea che nascondeva la decorazione della volta del cubicolo della catacomba di Santa Tecla, si è rivelato il volto emaciato dell'apostolo Paolo. La caratteristica fisionomia assegnata all'apostolo delle genti dall'arte paleocristiana, che gli ha attribuito le fattezze ideali del pensatore, con grandi occhi dallo sguardo lontano perso nel vuoto, guance scavate, incipiente calvizie e lunga barba incolta terminante a punta, non lasciava alcun dubbio sull'identificazione.  La  sua presenza ha suscitato profonda  emozione, entusiasmando i restauratori e imponendo una repentina accelerazione al restauro.
Benché si lavorasse da oltre un anno nel cubicolo, raggiungendo soltanto nell'ultimo periodo risultati insperati grazie alla tecnica laser - qui applicata per la prima volta in ambiente ipogeo - le condizioni deplorevoli del soffitto dell'ambiente rendevano i restauratori restii ad affrontarle. Dalla spessa patina calcarea affioravano vaghe forme geometriche, un clipeo centrale e almeno due tondi angolari. Lo schema della decorazione non è inusitata per le volte delle camere catacombali, che spesso accolgono la figura del Buon Pastore circondato dalle personificazioni delle stagioni, a rappresentare il volgere del tempo governato da Cristo.
Questo ci si aspettava anche in tale cubicolo, ma il rinvenimento del volto di Paolo proprio in uno dei tondi angolari della volta ha stravolto tutte le aspettative. Ci si è così dedicati al disvelamento degli altri tre clipei, dove in successione si sono rivelati i volti di due altri apostoli, uno particolarmente giovanile e l'altro dai tratti marcati (forse Giovanni e Giacomo), per scoprire nel terzo il canuto volto di Pietro. Per la prima volta nell'arte paleocristiana agli apostoli, e fra essi, primi fra tutti, i due principi degli apostoli, viene assegnata una postazione di così grande rilevanza; non accompagnatori di defunti, come in molti sarcofagi del IV secolo, né partecipanti al collegio liturgico presieduto dal Cristo, ma singole personalità che sovrintendono l'intero creato.
L'inatteso rinvenimento si situa nel corso di una lunga campagna di restauro intrapresa dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nell'unico cubicolo decorato della catacomba di Santa Tecla sulla via Ostiense. Lo stato di conservazione della decorazione risultava particolarmente compromesso fin dal primo rinvenimento, avvenuto in un'epoca anteriore al 1720. Fu opera di Marco Antonio Boldetti il quale, nelle Osservazioni sopra i cimiterj de' santi martiri, ed antichi cristiani di Roma, riporta:  "Si osservarono diverse pitture, ma talmente guaste dal tempo, che non si può ravvisare cosa mai rappresentassero".
Il cubicolo, rimasto interrato per secoli, era ampiamente ricoperto, soprattutto lungo la fascia inferiore delle pareti e lungo l'imboccatura del lucernario, da uno spesso strato di fango argilloso, che con il tempo si era indurito sino ad assumere un vero stato concrezionale; nella parte alta delle pareti e soprattutto sulla superficie piana del soffitto si concentravano gli spessi strati concrezionali che, come detto, offuscavano totalmente l'originale partito decorativo.
L'intervento ha preso avvio secondo le consolidate tecniche di pulitura tipiche degli ambienti ipogei, limitandosi a delicate e difficoltose operazioni meccaniche, tali da produrre soltanto un assottigliamento degli strati concrezionali. Con il procedere della pulitura, una prima difficoltà. Al di sotto delle incrostazioni calcaree è stata rinvenuta infatti una sottile patina nera confusa con un secondo strato scuro che traspariva al livello della pellicola pittorica:  inaspettatamente le raffigurazioni non erano state collocate sul consueto colore bianco dell'intonaco, secondo il più canonico repertorio catacombale, ma su uno sfondo scuro con qualche sfumatura verdastra richiamante i più antichi esempi pompeiani.
Il parziale svelamento delle superfici faceva intanto affiorare un ventaglio cromatico altrettanto insolito, mostrando una pittura corposa e ricca di velature e di sfumati che suggeriva un elevato livello qualitativo degli antichi artifices.
A un certo punto, però, i tradizionali sistemi di pulitura meccanica dovevano arrendersi davanti alla tenacia di alcune incrostazioni; e al pericolo di apportare danni alla pittura; in particolare il soffitto dell'ambiente, da cui iniziava a trasparire un complesso intreccio geometrico, era attanagliato da uno strato talmente aderente di materiale estraneo da rendere impossibile una pur parziale asportazione. Si era consapevoli ormai delle eccezionali qualità tecniche del complesso decorativo e i risultati raggiunti fino a quel momento non potevano ritenersi soddisfacenti. Si è pensato quindi di sperimentare l'innovativa tecnica dell'ablazione laser. Una scelta rivelatasi quanto mai proficua. La tecnica laser, che si distingue per limitata invasività e maggiore controllo, dimostra una risposta ottimale nel trattamento delle superfici decorate di ambiente ipogeo, grazie anche alle peculiarità tecnico-esecutive della pittura paleocristiana e alle particolari condizioni microclimatiche degli ambienti. Il perenne velo di condensa acquosa che attanaglia gli affreschi catacombali sembrerebbe infatti esercitare una funzione protettiva nei confronti del potente raggio luminoso, conferendo inalterabilità ai colori ed esercitando un'azione coadiuvante nella procedura di distacco delle sostanze sovrammesse alla pittura.
I risultati raggiunti, come i volti degli apostoli dimostrano, sono di qualità insperata, e l'impiego di questa rivoluzionaria tecnica di restauro nelle catacombe di Roma promette nuove sorprese.



(©L'Osservatore Romano 28 giugno 2009)
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