L'immigrazione raccontata in tv da un documentario di Luca De Mata

Le valigie si legano ancora con lo spago


di Luca Pellegrini

Sbatti l'immigrato sullo schermo, come si faceva con il mostro in prima pagina. Viviseziona la sua angoscia, ascolta il suo dolore, chinati sulle sue ferite mentre lo trovi derelitto lungo la strada che sale verso la tua città, quella del finto benessere, delle vetrine effimere, della moralità compromessa. Con lo spago lui, l'immigrato, chiudeva un secolo fa la sua valigia. Altri tempi, anche se, ammettiamolo, forse anche altra dignità. Oggi, con quello stesso spago, alcuni si cuciono le palpebre, altri la bocca. E si è fortunati se lo spago non s'attorciglia al collo, con altre conseguenze.
Dalla parte di chi sta peggio, di chi non è ascoltato, di chi è rifiutato:  s'apre uno spiraglio di verità, senza compromessi e senza dolcezze, con il programma scritto e diretto da Luca De Mata assieme a Teresa De Santis, con la collaborazione di Nicola Bux e Massimo Cenci. La prima puntata è stata trasmessa da Rai Uno lo scorso 29 giugno in seconda serata, a scadenza settimanale le altre tre. Strascichi di polemiche:  zero. Dibattiti e prese di posizione ufficiali:  zero. Questo significa che lo spirito del programma ha colto nel segno e che si teme possa davvero scuotere l'apatia delle coscienze, afflosciate nella quotidiana deriva della distrazione civile e morale.
L'impressione è che nei patinati inferni cittadini e nelle anonime campagne dell'entroterra si stia tutti stretti, troppo stretti e con poche regole certe che separino gli sfruttati dagli sfruttatori, gli innocenti dai colpevoli, chi minaccia da chi è minacciato, tutti a bordo di una fragile barca-società che ancora fende le procelle e cerca il porto della civile e sicura convivenza. Un caleidoscopio di volti che hanno immagazzinato storie e rigurgitano ogni tipo di scomoda verità, ci guidano dritti al cuore del fenomeno migratorio mondiale, soprattutto clandestino.
Nel programma, immagini non censurate e censurabili e numerose testimonianze straniere - che una recitazione meno enfatica avrebbe recapitato ancor più crude - si affiancano a una vera e propria overdose di cifre che, talvolta, rendono faticosa l'assimilazione di fenomeni tanto sconvolgenti. Un susseguirsi di verità nascoste e semi-atrocità:  dal numero dei clandestini nel mondo ai turpi guadagni, veramente da capogiro, legati alla clandestinità, allo sfruttamento, alla prostituzione, al commercio delle persone e degli organi che non è da meno di quello delle droghe; infine, le nuove, bizzarre forme di schiavitù che legano con il peso di catene ricattatorie e di inconfessabili paure. Si scendono i gradini della vita fino agli ultimi, sudici e pericolosi, occupati da africani, orientali di varia etnia, latini di ogni Paese, gente dell'est europeo passato dalla dittatura politica all'illusione e al tracollo sociale del post-comunismo. Le bolge in terra, come se l'inferno dantesco si fosse rovesciato in superficie.
La valigia con lo spago, nell'aprire le ferite senza nasconderle e cauterizzarle, non risparmia di interpellare la società, lo spettatore. Potrebbe interrogarsi sui motivi, sui palliativi, sulle risposte urgenti e di alto profilo morale che si attendono, sugli sbagli. "Sarò cattiva - scrive tra le tante una ragazza sul blog apposito creato per commentare il programma televisivo e da seguire con estrema attenzione -, sarò razzista, ma la verità è che non se ne può più, il 95 per cento delle persone che conosco non ne possono più. Non lo direi davvero, se vedessi negli stranieri una qualche forma e volontà concreta di integrarsi con la nostra realtà". Lei non la vede. E in troppi casi è vero. Molti, però, prendono diversa posizione:  "Una cosa mi lascia davvero perplessa:  la gente pensa che gli stranieri siano tutti criminali".
È difficile pensare di poter trovare soluzioni adeguate e giuste per tutti, ma non si può ignorare l'urgenza di cercarle, proporle, sperimentarle. È quello che, in fondo, fanno le tante persone di Chiesa che incontriamo e ascoltiamo nel programma e che sappiamo essere migliaia nel mondo. Dà coraggio la loro presenza silenziosa, infonde speranza il loro anonimato, in perfetto stile evangelico, la loro insostituibile carità. Non sono pochi, precisa De Mata, quelli che si ricordano "come dietro ogni donna, uomo, qualunque sia la sua condizione, c'è una persona. E mai come in questo caso il ragionamento si allarga a un fenomeno planetario che ci sta coinvolgendo tutti e ci sta cambiando tutti. Non possiamo più voltare la testa da un'altra parte".
Tra chi la volta, chi è costretto a farlo, chi non lo vuole fare e non lo fa, il programma assume un ritmo sempre più incalzante, talvolta anche frenetico. Veniamo accompagnati tra i rom avversati dalla società, ma loro stessi razzisti nell'ambito delle comunità di appartenenza; camminiamo lungo muri divisori scavalcati ogni giorno da intere popolazioni in fuga o a caccia di futuro; costeggiamo i porti disseminati di panchine che diventano regge per barboni alla deriva, sempre con la bottiglia in mano, fino a quando, per puro divertimento, non li derubano o non gli danno fuoco. Di giorno, campi da coltivare inglobano le vite di nuovi schiavi mentre di notte, lungo strade non più soltanto di periferia, fiumane di ragazze si vendono distrattamente a una fiumana di clienti molto determinati. Tutti partono, arrivano, si spostano, migrano da est a ovest, da sud a nord:  il mondo sembra un enorme cantiere nel quale il movimento è continuo, senza sosta. C'è chi lo fa con disperazione, chi con rassegnazione; chi non si aspetta nulla, chi si aspetta tutto. Nessun luogo è oggi illibato, spesso la sicurezza latita, nessun Paese può dirsi immune dal contagio del razzismo, che infetta più della febbre suina, come fanno anche la criminalità, la violenza, lo sfruttamento. E la distrazione, l'ipocrisia.
La valigia con lo spago è una voce libera che ha il coraggio di segnalare i fatti, senza proporre i rimedi, perché questo non è compito degli autori televisivi. Lascia così in sospeso le soluzioni e le cure, ma non tralascia di esigere che esse siano, prima di tutto, ispirate al comandamento della carità, al bisogno di certezze, al diritto di convivenza sicura e pacifica per tutti.



(©L'Osservatore Romano 9 luglio 2009)
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